• Bio
  • Contatti
  • Curriculum

Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

Archivi tag: Laterza

Perché abbiamo lasciato che ‘i nostri simili’ diventassero semplicemente ‘altri’? “Somiglianze. Una via per la convivenza” di Francesco Remotti (Editori Laterza, 2019)

21 mercoledì Ago 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

FrancescoRemotti, Laterza, recensione, saggio, Somiglianze

Non c’è forse, nella società attuale – sia in Italia che in Europa -, un ritorno indietro, dalla cultura alla biologia, un pericoloso scivolamento da identitarismi culturali a identitarismi razziali?
Nessun noi sa bene cosa sia in realtà la propria identità, eppure ogni noi identitario sa usare le proprie armi da taglio (fisiche, mentali, sociali, giuridiche, politiche) nei confronti di chi arbitrariamente si decide non debba far parte del “noi”.

Quotidianamente ascoltiamo le dichiarazioni del ministro Salvini sulla, a suo parere, necessità di pensare prima agli italiani. Esternazioni politiche e culturali che fanno leva e presa sul bisogno, o meglio sull’impulso di sentirsi e di essere dei “privilegiati” per semplice diritto di nascita. E di lasciare fuori, chiudendo anche porti e aeroporti se necessario, tutti gli altri che non sono noi. Alle dichiarazioni di Matteo Salvini viene dato molto risalto mediatico e le sue affermazioni vengono associate al suo essere un leader politico sovranista e populista. Purtroppo però il concetto di identità viene costantemente frainteso e strumentalizzato, anche da esponenti di opposte fazioni politiche.

«Chi viene qui deve fare i conti con la nostra identità. Che è innanzi tutto identità culturale, civile, spirituale, sociale.»
«Senza identità la contaminazione sarebbe semplicemente annullamento. Può dialogare, contaminare e farsi contaminare chi ha un’identità forte, della quale non si vergogna.»

Sono parole pronunciate da Matteo Renzi nel 2017, riportate per esteso nel testo del professor Remotti, il quale sottolinea il carattere volutamente provocatorio delle stesse. Per mettersi agli antipodi rispetto a una destra politica che vuole la chiusura, il partito democratico, per tramite delle parole pronunciate dall’allora segretario, dichiara di essere per l’apertura. Un ‘apertura controllata però per non rischiare di annullarsi nella “babele delle differenze”.
Non ci si può “abbarbicare all’identità” e nel contempo proporre con forza l’apertura verso il futuro, verso le trasformazioni, verso una società diversa da quella attuale. Per sua natura, ricorda Remotti, l’identità ci inchioda al passato, a un presente tutto impregnato di passato.
La ricerca delle somiglianze (il pensiero delle somiglianze e delle differenze che l’autore indica con l’acronimo SoDif) porta invece altrove rispetto alle attuali società ed epoca.

Gli identitarismi si somigliano troppo e alla fine diventa facile, quasi naturale, scivolare da una posizione all’altra. Se siamo davvero propensi a una “logica meticcia” dell’incontro con gli altri, dobbiamo allora essere disposti a vederci trasformati dal dialogo stesso. Non necessariamente in quello che sono gli altri, ma in qualcosa di inedito, di diverso sia da quello che eravamo noi sia da quello che erano gli altri. Per Remotti, l’identità non è un dato di fatto, una realtà acquisita, bensì va intesa più saggiamente come un’aspirazione. Al posto dell’identità così come viene ora intesa, ci sono invece somiglianze, ovvero somiglianze e differenze. Si chiede allora l’autore quand’è e come è potuto accadere che “i nostri simili” sono diventati semplicemente “altri”. Un vuoto linguistico che nasconde ed evidenzia al contempo altri campanelli d’allarme. Quando vengono meno le somiglianze, o meglio l’affermazione delle somiglianze, si entra nell’ottica di far valere solo le differenze, ossia ciò che viene considerato “il volto esterno e truce delle identità”.

L’analisi dei concetti di somiglianza e differenza, convivenza, appartenenza, condivisione, estraneità… nonché la relazione tra essi e l’io di ognuno, viene portata avanti nel testo da Remotti con un rigore quasi scientifico, nonostante si basi su scienze non di certo “esatte” come viene considerata per esempio la matematica. L’antropologia e la sociologia saranno anche non scientificamente esatte ma riescono a permeare fino agli strati più reconditi dell’uomo e della società. Esattamente come fa Remotti con la sua analisi, esemplare, della teoria delle somiglianze e delle differenze, che immediatamente riporta “gli altri” (i diversi, gli stranieri, gli estranei) al loro più consono posto di “simili” e l’individuo al suo altrettanto miglior essere in realtà condividuo. Anche l’io infatti è un fascio di somiglianze e di differenze – sincroniche e diacroniche – sia con sé, sia con gli altri.

Un’analisi, questa portata avanti da Francesco Remotti in Somiglianze. Una via per la convivenza, che evidenzia in maniera netta e decisa la pochezza, intellettuale e culturale, di certi efferati discorsi e individualismi estremi cui si sono ridotte, o sono rimaste ancorate, la politica e la società odierne, anche italiane purtroppo.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Editori Laterza per la disponibilità e il materiale


LEGGI ANCHE

La questione migranti non può risolversi in mare, lì bisogna solo salvare vite. “Immigrazione. Cambiare tutto” di Stefano Allievi (Editori Laterza, 2018) 

L’occidentalizzazione del mondo non significa che l’Occidente sta diventando il mondo. “Paesaggi migratori” di Iain Chambers (Meltemi, 2018) 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La questione migranti non può risolversi in mare, lì bisogna solo salvare vite. “Immigrazione. Cambiare tutto” di Stefano Allievi (Editori Laterza, 2018)

09 venerdì Ago 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

ImmigrazioneCambiaretutto, Laterza, recensione, saggio, StefanoAllievi

 

 

Con il saggio Immigrazione. Cambiare tutto Stefano Allievi decide di andare ancora più a fondo nella questione immigrazione, molto più di quanto aveva fatto nel testo Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, scritto a quattro mani con Gianpiero Dalla Zuanna ed edito sempre da Editori Laterza.

In questa nuova pubblicazione Allievi non percorre solamente la linea del tempo, narrando del passato e del presente, ma estende la sua analisi anche a quella dello spazio. Uno sguardo che parte dal locale per arrivare al globale. E viceversa. Con piglio molto più critico, deciso e, per certi versi, incisivo.

Per Allievi, l’immigrazione è un fenomeno di dimensioni sempre più ampie, sempre più diffuso, sempre più frequente. Il quale, per essere compreso e “governato”, presuppone, come tutti i fenomeni complessi, uno sforzo di analisi e riflessione altrettanto complesso. Un fenomeno che va affrontato nelle sue grandi linee, ma anche nei suoi snodi più problematici. Ed è esattamente quello che ha tentato di fare Allievi in Immigrazione. Cambiare tutto.

Un libro la cui stesura è stata preceduta da una minuziosa ricerca, raccolta e analisi dei dati da fonti originali. Da interviste e confronti con addetti ai lavori, operatori nel campo dell’accoglienza ma, soprattutto, in quello dell’integrazione sul territorio, aspetto su cui ritorna più volte Allievi nel libro. Il tutto ha portato l’autore a elaborare delle ipotesi e portare avanti delle tesi, a definire le problematiche e suggerire possibili soluzioni . Giungendo anche a estremizzare volutamente degli aspetti del fenomeno proprio al fine di evidenziare la necessità del cambiamento.

Sottolinea l’autore quanto l’immigrazione non sia un mero fenomeno che può essere letto con la logica dello schieramento ideologico, ipotizzando anche di ricevere critiche da coloro i quali invece hanno mostrato apprezzamenti al suo precedente lavoro. Critiche dovute, con ogni probabilità, alle obiezioni addotte da Allievi alle politiche sulle migrazioni poste in essere dai governi italiani, non solo quello attuale ma anche i precedenti, e quelle ancor meno risolutive dell’Unione europea. Tutto quello che non vi hanno detto sull’immigrazione parlava della normalità dell’immigrazione in quanto tale, delle sue implicazioni, delle sue dinamiche, anche spiacevoli, ma afferenti comunque a un fenomeno strutturale della società dell’uomo. In Immigrazione. Cambiare tuttoinvece l’autore si concentra sull’analisi dell’eccezionalità di alcuni aspetti del fenomeno, nella speranza che non restino tali a lungo.

Il dibattito pubblico e politico si concentra sovente sull’analisi delle conseguenze dei processi migratori ignorando del tutto o quasi quelle che ne sono le cause e che andrebbero invece analizzate molto più a fondo. Le conseguenze ci interessano perché ci toccano da vicino, concretizzandosi in arrivi e sbarchi poco graditi a parti significative della pubblica opinione. Ma anche le cause, sottolinea Allievi, ci riguardano, anche quando non ce ne accorgiamo.

Per ragionare su quest’ultime, ci si può anche limitare a citare, in ordine sparso, alcune parole:

  • Guerre (e, a monte, la vendita degli armamenti con cui si fanno).
  • Sfruttamento.
  • Dittature.
  • Ingiustizie.
  • Diseguaglianze.
  • Crescita demografica non accompagnata da crescita economica.
  • Persecuzioni mirate (per motivi etnici, religiosi, razziali, politici).
  • Calamità naturali.

Dopo aver descritto nel dettaglio tutti i maggiori fattori di spinta (guerre, fame, sfruttamento, dittature, ingiustizie, disuguaglianze, persecuzioni), i push factor che sono anche la causa di spinta appunto alle migrazioni, Allievi passa in rassegna quelli che sono invece i pull factor, i fattori di attrazione, che spingono i migranti verso determinati paesi e non altri. Il differenziale economico e salariale è indubbiamente fra questi, ma lo è anche la costruzione dell’immaginario sugli altri paesi, che ha tante possibili ragioni, «reali nei loro fondamenti, anche se talvolta immaginarie nella loro estensione».

In questo, l’Europa dovrebbe prendere atto e coscienza di essere diventata «l’America dell’Africa (e di altre aree del mondo)», o per lo meno «un’America più vicina e meno irraggiungibile dell’altra, ancora la più ambita».

La letteratura sulle migrazioni, e anche «la sua vulgata giornalistica e popolare», tende a porre l’enfasi sui fattori di espulsione, mentre questi andrebbero sempre relazionati a quelli di attrazione.

Ad ogni modo, gli arrivi di migranti non compensano il calo demografico in atto in Italia, Europa e nell’intero Occidente. Iproblemi sono altri, sono culturali certo ma riguardano soprattutto le modalità di arrivo, e la filiera di irregolarità che implica. Dietro a viaggi e sbarchi ci sono mafie che si arricchiscono, violenze inenarrabili, il tutto per un giro di affari di dimensioni mostruose che a sua volta fa da volano ad altri investimenti illegali. In più i richiedenti asilo costituiscono un costo, almeno nel periodo in cui sono sotto esame e quindi a carico dei rispettivi sistemi di protezione, mentre il migrante economico, per così dire, si arrangia in proprio.

Andare ad aiutare qualcuno lontano dà il senso di essere implicati attivamente in «un’eroica epopea del bene», mentresubire arrivi organizzati da altri in casa propria implementa un «terribile senso di impotenza e di passività senza difese». Si genera un profondo senso di inquietudine che diviene terreno fertile per estremismi e nazionalismi, al punto da paragonare gli arrivi dei migranti a un vero e proprio esodo di massa, l’invasione dei nostri paesi di cui tanto si narra nella “vulgata giornalistica e popolare” descritta da Allievi. E così l’imperativo categorico diviene “fermare gli sbarchi” e farlo a ogni costo.

Ma per l’autore la questione non può assolutamente essere risolta in mare, dove è necessario salvare le vite e non c’è alternativa a questo, a meno di non volersi assumere scientemente il ruolo dello spettatore che si trasforma in boia. Va risolto «altrove» e riguarda tutti. La sola vera via, quella indicata da Allievi nel testo, è concordare politiche complessive, a livello europeo, che tocchino i vari nodi della questione: dall’aiutarli a casa loro, al concertare politiche europee comuni, aprendo canali di ingresso legale, che bypassino tutto questo e riescano a rendere irrilevante all’origine – o almeno fortemente ridimensionata e minoritaria – la necessità di partire illegalmente via mare, e quindi i salvataggi.

I corridoi umanitari evitano il traffico illegale di manodopera, organizzando un traffico legale collaborativo, organizzato, rivolto nello specifico ai richiedenti asilo veri. Così facendo si riesce a far entrare chi ne ha diritto, distinguendo a monte tra richiedenti asilo o titolati della protezione umanitaria e migranti economici, in situazione di sicurezza, senza arricchire la criminalità organizzata.

Allievi sottolinea che sono tre i mutamenti fondamentali – che hanno a che fare con le migrazioni – che stanno cambiando non solo il paesaggio migratorio, ma la struttura stessa delle nostre società. E li sintetizza con tre parole chiave:

  • Mobilità.
  • Pluralità.
  • Mixité(da intendersi come “mischiamento”, significa che trovandosi in mezzo agli altri si cambia, più o meno inevitabilmente, tutti).

Sta avvenendo un mutamento di proporzioni tali che richiede un cambiamento di paradigma interpretativo radicale. Bisogna spostarsi dal locale al globale, se si vuole capire cosa succede (sul piano analitico), anche se poi al locale si ritorna, quando si cercano le soluzioni ai problemi concreti (sul piano pratico). Il problema, per Allievi, è appunto imparare a connettere le due dimensioni, locale e globale. E la sensazione è che, al momento, il livello di consapevolezza di questa necessità sia ancora drammaticamente basso.

Se l’Unione Europea non vuole fare un gigantesco passo indietro rispetto alla sua storia recente, e ritornare a essere solo una zona di libero scambio, una unione commerciale su pochi prodotti, deve essere capace di assumere questo problema come problema/soluzione collettiva. Attivare una “Agenzia europea della mobilità e delle migrazioni”, dotata delle risorse e dei poteri necessari. Prevedere una forma di programmazione degli ingressi europea e non delegata e limitata ai singoli stati. «Un permesso di soggiorno europeo», e la possibilità di circolazione per immigrati e richiedenti asilo, attraverso «una modifica agli insensati regolamenti di Dublino» che nazionalizzano un problema che è invece comunitario, irrigidendolo e rendendone più complicata, e irrazionale, e costosa, la gestione.

Una sorta di Piano Marshall per l’Africa sarebbe necessario, purché venga posto in essere con criterio, in tempi relativamente brevi o, in ogni caso, congrui alla sua poi effettiva efficacia. Ma andrebbe comunque accompagnato da «una contro-narrazione», da un’operazione verità, sulla realtà delle condizioni economiche dell’Europa e delle drammatiche condizioni del viaggio della speranza, via terra e via mare.

Una campagna verità andrebbe fatta anche in Italia e in Europa. Una recente indagine dell’Ipsos rivela come gli italiani siano convinti che gli immigrati rappresentino il 26% della popolazione residente in Italia, e di questi, i musulmani siano il 20%. Le cifre reali invece dicono che gli immigrati sono circa il 10% (stimando e comprendendo anche gli irregolari) e i musulmani il 3.5% circa.

L’immigrazione c’è sempre stata, c’è e ci sarà, è inevitabile che ci sia. Non è dunque un problema di «se», ma di «quanto» e di «come».

Allievi ritorna così a descrivere il fenomeno delle migrazioni come un dato strutturale da sempre esistito, teoria che ha rappresentato il filo conduttore del precedente libro scritto con Dalla Zuanna. Inutile quindi continuare a trattarlo come un’urgenza o un’emergenza. Come inefficaci continueranno a essere le politiche “nazionaliste” adottate dai vari stati dell’Unione europea. Realmente valevoli saranno quelle prese in comunione e che tengano conto di tutti gli elementi indicati dallo stesso autore, ovvero dei pushe dei pull factor, quindi delle cause come delle conseguenze, dei risvolti locali ma anche di quelli globali. Gli accordi tra l’UE e la Turchia, per esempio, hanno avuto come diretta conseguenza la diminuzione dei flussi migratori lungo la rotta balcanica e, come conseguenza indiretta, l’aumento su quella mediterranea, ovvero in Italia. Bloccare quest’ultima rotta senza un piano locale-globale ben strutturato non farebbe altro che spostare verso nuove rotte gli sbarchi o gli arrivi, di certo non servirebbe a fermarli o diminuirli.

I costi di accoglienza e di integrazione dei migranti ricadono inevitabilmente sul paese di arrivo ed è per questo che i principali soggetti in causa, ovvero Italia e Grecia, chiedono sempre maggiori finanziamenti all’Unione europea in virtù del principio in base al quale facendosi carico di queste operazioni assolvono in realtà funzioni comuni che, come tali, andrebbero considerate. In breve, a pagare dovrebbe essere l’UE. Tutto ciò però non ha solo dei risvolti economici, ci sono aspetti sociali e culturali ancora troppo sottovalutati.

Allievi espone il concetto in maniera molto chiara, decisa e concisa. Stiamo importando lavoratori unskilled neoimmigrati e ne esportiamo di skilled e molto ben formati, per quel che riguarda gli italiani che emigrano. Gli immigrati che arrivano non conoscono lingua e cultura italiane, nelle loro intenzioni in genere non vi è neanche il desiderio di rimanere nel nostro paese. La maggior parte delle risorse investite per la loro formazione e accoglienza si allontana insieme a loro quando lasciano l’Italia, non appena ne hanno l’occasione. La loro destinazione prescelta fin dal principio sono i paesi del Nord Europa.

Tutto questo non rischia seriamente di aumentare ulteriormente il divario già esistente tra i vari paesi dell’Unione europea? Non sarebbe quindi più opportuno pensare o ripensare a una equa redistribuzione di migranti e immigrati?

Anche per questo, chiosa Allievi, bisogna concordare a livello europeo, globale, politiche capaci di affrontare il fenomeno delle migrazioni non come un’emergenza o un problema dei paesi frontalieri, ma come un fenomeno strutturale che abbraccia, inevitabilmente, locale e globale, cause e conseguenze, politica e cultura.

Immigrazione. Cambiare tuttodi Stefano Allievi è un testo molto più critico, rispetto alle precedenti pubblicazioni dell’autore. Un rigore maggiore nell’esposizione del narrato che riflette l’inasprimento generale dei toni in merito a questo fenomeno, oppure ne è conseguenza diretta o indiretta. Per certo, egli afferma più volte la necessità di invertire la rotta, soprattutto per le politiche nazionali e comunitarie. Cambiare tutto e farlo in maniera decisa, senza slogan o false promesse da parte sopratutto dei politici italiani che tentano e hanno tentato anche in passato di trasformare il fenomeno complesso dell’immigrazione in linfa nazionalista per le campagne elettorali.

Il saggio di Allievi è un libro molto ben strutturato, scritto con un linguaggio deciso, incisivo ma chiaro e accessibile a tutti. Un’analisi, quella dell’autore, che aiuta il lettore a meglio comprendere alcune dinamiche interne ed esterne al fenomeno migratorio, alle sue cause come anche alle conseguenze. Una lettura che si rivela, fin dalle prime pagine, per certo interessante.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa degli Editori Laterza per la disponibilità e il materiale


LEGGI ANCHE

“Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna (Editori Laterza, 2016) 

L’occidentalizzazione del mondo non significa che l’Occidente sta diventando il mondo. “Paesaggi migratori” di Iain Chambers (Meltemi, 2018) 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Quale futuro per le democrazie del post liberalismo e populismo? Jan Zielonka “Contro-Rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale” (Editori Laterza, 2018)

01 venerdì Mar 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

ControRivoluzione, JanZielonka, Laterza, recensione, saggio

La democrazia liberale era mal concepita o semplicemente è stata mal realizzata? Quale futuro avranno le democrazie del post liberalismo e populismo? Quali sono le caratteristiche della contro-rivoluzione in atto? E dove condurrà i paesi del blocco democratico liberale?

Da Washington a Varsavia, Atene e Berlino, i politici anti-establishment continuano ad avanzare a spese di quelli di centro-sinistra e centro-destra. Questa sembra essere diventata la nuova normalità e le elezioni italiane del 4 marzo 2018 non hanno fatto che confermare «in maniera abbastanza spettacolare una tendenza generale». L’Italia di oggi rappresenta «un caso da manuale di contro-rivoluzione».

Jan Zielonka, docente di Politiche europee all’Università di Oxford e liberale convinto, scrive un saggio, Contro-Rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, edito in Italia da Laterza, sotto forma di lunga e articolata lettera al suo ormai scomparso mentore Ralph Dahrendorf, seguendo anche in questo le orme del suo maestro, il quale anni addietro aveva scritto un’opera utilizzando il medesimo registro narrativo. Zielonka analizza quanto accaduto nelle democrazie liberali negli ultimi trent’anni e, con spirito molto critico, ne definisce gli errori ammettendo la sconfitta di quel sistema in cui, nonostante tutto, egli ancora crede ma che necessita di profondi e strutturali cambiamenti e adeguamenti.

Rivoluzioni e contro-rivoluzioni sono sempre portatrici di turbolenze, e «non abbiamo ancora assistito alle peggiori manifestazioni della confusione e del conflitto generati dall’attuale delirio politico». I “nuovi arrivati” hanno sollevato una gran quantità di valide critiche all’establishment liberale, ma saper distruggere un vecchio ordine non implica essere capaci di costruirne uno nuovo: «l’universo del governo è altra cosa rispetto al cosmo dell’opposizione».
È probabile che tutti i notevoli sforzi di aumentare la spesa dello Stato e di allargare i diritti degli occupati scatenino una reazione dei mercati, un trasferimento degli affari all’estero e una conseguente delusione negli elettori e «il nuovo governo deve sapere in anticipo come affrontare queste situazioni».

Ai media piace concentrarsi sulle individualità e i retroscena politici, ma dovrebbero invece «dare spazio ai dilemmi politici che questi nuovi governi con programmi radicali di cambiamento devono affrontare». Puntando l’obiettivo sui valori e le norme che si nascondono dietro gli slogan politici, guardare all’Italia come a un «caso particolare dell’affascinante esperimento storico» che va sviluppandosi in Europa. Un esperimento che è al contempo un pericolo e un’opportunità.
Alcuni, molti in realtà, sarebbero contenti di preservare lo status quo o, addirittura, riportare indietro l’orologio a un «mitico passato». Molti liberali auspicano il ritorno «ai bei tempi andati del regno liberale» e non vogliono vedere alcun cambiamento.

Negli ultimi trent’anni essi hanno dato la priorità alla libertà sull’uguaglianza, i beni economici hanno ricevuto più attenzione e protezione di quelli politici, i valori privati sono stati accarezzati più di quelli pubblici, ora «queste priorità vanno rivisitate». Per Zielonka le riforme dei parlamenti non produrranno miracoli, necessita quindi costruire o ricostruire la democrazia su altri pilastri oltre la rappresentanza: «in particolare la partecipazione, lo scambio di opinione e la contestazione». Il liberalismo ormai non può votarsi «né alla difesa dello status quo né all’imposizione di un qualsiasi dogma».

Il populismo è diventato un tema di discussione pressoché universale. I liberali si sono dimostrati «più abili nel puntare il dito contro gli altri che nel riflettere su se stessi». Dedicano molto più tempo a spiegare la nascita e i difetti del populismo che non a illuminare i motivi della «caduta del liberismo». Il libro di Jan Zielonka intende concentrare l’attenzione proprio su questo squilibrio, è «il libro autocritico di uno che è liberale da sempre».

Oggi è l’intera Europa a versare in «uno stato di confusione», i cittadini si sentono insicuri e arrabbiati, «i loro leader si rivelano incompetenti e disonesti», i loro imprenditori appaiono furibondi e la violenza politica è in aumento. Si chiede Zielonka se sia possibile invertire il pendolo della storia e in che modo bisogna farlo.
La «deviazione neoliberista ha fatto molti danni», ma l’autore non ritiene plausibile abbandonare alcuni punti centrali della «fede liberale»: la razionalità, la libertà, l’individualità, il potere sotto controllo e il progresso. Egli si dichiara convinto che le attuali difficoltà della situazione europea possano trasformarsi «in un altro meraviglioso Rinascimento», ma ciò richiederà una seria riflessione di quanto finora è andato storto.

In Europa, la politica si è configurata sempre più come «un’arte di ingegneria istituzionale» anziché come «arte di negoziazione fra le élite e l’elettorato». Poteri in numero sempre maggiore sono stati delegati a istituzioni non elettive – banche centrali, corti costituzionali, agenzie regolatorie – . «La politica incline a cedere alla pressione pubblica era considerata irresponsabile, se non pericolosa».
I politici contro-rivoluzionari sono spessi appellati populisti, ma «questo termine è fuorviante e stigmatizzante» e, secondo Zielonka, non coglie quello che è il loro obiettivo chiave, ovvero abolire l’ordine stabilito a partire dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 e sostituire le élite che lo hanno generato.

Da intellettuali, non bisogna coltivare un «pensiero manicheo di bianco o nero».
Da democratici, non si deve mai ironizzare sulle scelte elettorali.
Da attivisti pubblici, non bisogna illudersi che la gente “si svegli” all’improvviso e «si accomodi nuovamente dietro di noi».
Lo scopo, sottolinea Zielonka, non è dimostrare semplicemente che le critiche erano sbagliate, bensì vedere se gli ideali liberali reggono di fronte ai cambiamenti sociali e tecnologici.
La spiegazione più frequente dell’odierna difficoltà dei liberali è la svolta neoliberista. Ma «il liberalismo è stato sequestrato da avidi banchieri oppure è stato un terreno di coltura ideale per l’autoindulgenza?»
La rivoluzione del 1989 ruotava intorno a concetti quali democrazia, sicurezza, Europa, confini e cultura. La gente voleva essere governata da un diverso tipo di politico e l’autore teme che «la situazione di oggi sia simile». I politici contro-rivoluzionari non si oppongono soltanto a singole politiche liberali, ma ne sfidano l’intera logica, e «tentano di introdurre una nuova normalità».

Che un paese possa o meno permettersi una più incisiva politica sociale non è solo «funzione di fatti statistici ma anche di scelte politiche». Molto dipende dalla concezione che si ha del bene e della giustizia. E invece, per assurdo, quelli che suggeriscono un salario minimo o un bonus per ogni figlio che si aggiunge alla famiglia finiscono per essere «etichettati dai neoliberisti come irresponsabili populisti». Allora Zielonka cita Andrew Calcutt, il quale sostiene che, anziché prendersela con il populismo perché «realizza quello che noi abbiamo messo in moto», sarebbe meglio riconoscere «la parte vergognosa che noi abbiamo avuto in tutto ciò».

Solo attraverso una profonda e articolata autocritica il liberalismo e i liberisti riusciranno a non soccombere all’avanzata dei contro-rivoluzionari. Solamente ciò consentirà loro di rivedere principi e dogmi adeguandosi ai tempi ormai mutati. È questa l’unica strada percorribile per Jan Zielonka il quale più volte nel testo sottolinea la sua ferrea convinzione nei valori puri e originari del liberalismo. Quelli che non vanno abbandonati, piuttosto ritrovati. Ed è con questa seppur flebile speranza ch’egli congeda il lettore di Contro-Rivoluzione. Un libro che racconta le degenerazioni dell’attuale sistema come anche quelle di chi vorrebbe combatterlo e cambiarlo. Un libro che è un’accorata richiesta di cambiamento, di adeguamento e, soprattutto, di equilibrio.

Bibliografia di riferimento

Jan Zielonka, Contro-Rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, Editori Laterza, 2018. Traduzione di Michele Sampaolo dall’edizione originale Counter-Revolution. Liberal Europe in Retreat, Oxford University Press, 2018.

Biografia dell’autore

Jan Zielonka insegna Politiche europee alla University of Oxford ed è Ralf Dahrendorf Fellow al St Antony’s College.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Editori Laterza per la disponibilità e il materiale.


LEGGI ANCHE

Democrazia senza scelta e partiti anti-establishment. La rivolta degli elettori nell’indagine di Morlino e Raniolo 

“Lo chiamano populismo ma è resilienza di democrazia”. Analisi del decennio di crisi economica che ha cambiato il mondo ne “Lo schianto” di Adam Tooze (Mondadori, 2018) 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Continuare a lavorare per un mondo migliore. “L’ultima lezione” di Zygmunt Bauman (Editori Laterza, 2018)

26 giovedì Apr 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

Laterza, Lultimalezione, monocolooccidentale, Occidente, ordinemondiale, Oriente, recensione, RinnovamentoCulturaleItaliano, saggio, ZygmuntBauman

Esce in prima edizione a gennaio 2018 per Laterza L’ultima lezione di Zygmunt Bauman nella versione tradotta da Valentina Pianezzi e Fabio Galimberti, che si è occupato de L’eredità del XX secolo e come ricordarla; contenente anche un saggio di Wlodek Goldkorm. Un libro con un grande insegnamento positivo, come sottolinea nella prefazione Fabio Cavallucci: «La crisi della storia, le avversità della natura, persino la natura spesso malvagia dell’uomo non possono impedirci di continuare a operare, a costruire, a lavorare per un mondo migliore». Un saggio frutto delle più profonde e importanti analisi di Bauman orientate dallo sforzo costante di individuare i fili nascosti della trama della vita sociale e di trasformare in senso comune le idee maturate nella propria ricerca intellettuale. Unico modo per garantire «quell’osmosi feconda tra riflessione e vita condivisa», come evidenzia lo stesso editore nella sua nota.

Un filosofare, quello di Zygmunt Bauman, che nasce spesso da «teorizzazioni delle sue vicende biografiche», ricorda a margine del saggio Goldkorm. Una biografia che ne ha di cose da raccontare, pregna di esperienze difficili e che hanno portato l’autore a vedere davvero il mondo con occhi diversi. Una visione globale del pianeta che abbraccia soprattutto i popoli e non, come si vorrebbe, soltanto le economie. Un’analisi obiettiva e a tratti ‘spietata’ degli errori commessi e protratti nell’affrontare conseguenze gravi, come le migrazioni globali di popoli, con una visione ancora troppo nazionalista e faziosa.

Un rifiuto nel vedere e soprattutto nel tentare di capire quanto sta accadendo nel mondo, il perché intere popolazioni sono costrette a migrare, nel razionalizzare, coscientemente o meno, che quanto sta accadendo a loro è, alla fin fine, casuale, nel senso che potrebbe un giorno accadere anche a noi. E se da un lato è vero che qualsiasi cosa accade nell’universo è casuale, lo è anche che le guerre «possiamo fare in modo che non scoppino». Tuttavia nello Stato moderno si preferisce scegliere la strada del rifiuto e della negazione con «l’esclusione di tutto ciò che è ingestibile e pertanto indesiderabile». Arrivando ripetutamente agli “omicidi categoriali”, allorquando «uomini, donne e bambini sono stati sterminati perché assegnati a una categoria di esseri da sterminare». E Bauman parla in maniera approfondita degli ebrei, degli armeni, dei kulaki, dei musulmani, degli induisti… sottolineando come «tutti i continenti della terra hanno avuto i loro hutu che hanno massacrato i loro vicini tutsi, e ovunque i tutsi del luogo hanno ripagato con la stessa moneta i loro persecutori».

Edith Birkin, “A Camp of Twins – Auschwitz” – 1980/1982

Quello che conta è arrivare in cima e rimanerci, essere il più forte. L’inattaccabile. Mascherando la ferocia con la necessità di sopravvivere, un valore che «vale la pena perseguire di per sé, non importa quanto elevato possa essere il costo per gli sconfitti, e fino a che punto possano uscirne depravati e degradati i vincitori». Una lezione che Bauman stesso definisce “terrificante”.

Nel nostro mondo di modernità liquida, di rapida disintegrazione dei legami sociali e dei loro contesti tradizionali, le comunità, così come le società, possono essere soltanto conquiste, «artifizi di uno sforzo produttivo». E l’omicidio categoriale va inteso ormai come un sottoprodotto, «un effetto collaterale o una scoria della loro produzione». Per Bauman, la rilevanza dell’olocausto «risiede nel suo ruolo di laboratorio», dove sono state condensate, portate in superficie e rese visibili «certe potenzialità, precedentemente diluite e sparpagliate, delle forme moderne e largamente condivise di convivenza umana». La lezione più importante che dà è il rivelare «il potenziale genocidiale innato nelle nostre forme di vita e le condizioni in presenza delle quali tale potenziale più produrre i suoi frutti letali».

Per tagliare alle radici la tendenza genocida «si deve dichiarare inammissibile il sistema dei due pesi e delle due misure», del trattamento differenziato e della separazione, che getta le basi per «una battaglia per la sopravvivenza condotta come gioco a somma zero». La “concorrenza sfrenata per la violenza” si alimenta dello stesso «disordine mondiale su cui prospera la concorrenza sfrenata per i profitti». Non esistono soluzioni locali a problemi globali e, in un pianeta in via di globalizzazione, «i problemi umani possono essere affrontati e risolti solo da un’umanità solidale».

Un grande saggio L’ultima lezione di Zygmunt Bauman, un testo che espone senza pregiudizi quanto accade o è accaduto e che propone delle soluzioni assolutamente non di parte, come è giusto che sia, se risolutive si vuole esse siano. Un libro assolutamente da leggere.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa del Gruppo Editoriale Laterza per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte trama libro e biografia autore www.laterza.it


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

“Il collasso della modernizzazione: dal crollo del socialismo di caserma alla crisi dell’economia mondiale” di Robert Kurz (Mimesis, 2017 a cura di Samuele Cerea) 

 “È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016) 

Guerre dichiarate e guerre segrete. Analisi geostrategica della guerra delle informazioni combattuta nel conflitto civile siriano 

Quando l’intreccio di un libro è quello di vite vere. “Il bambino del treno” di Paolo Casadio (Piemme, 2018) 

Il grido dei bambini vittime delle guerre. “Caro mondo” di Bana Alabed (Tre60, 2016) 

Prigioni mentali e dittature politiche in “193 gabbie” di Rezart Palluqi (Ensemble, 2016) 


 

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Non è lavoro, è sfruttamento” di Marta Fana (Editori Laterza, 2017)

31 mercoledì Gen 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ 2 commenti

Tag

Italia, Laterza, lavoro, MartaFana, Nonelavoroesfruttamento, recensione, RinnovamentoCulturaleItaliano, saggio

Denunciare i danni del lavoro precario, in una società strutturata secondo la regola che il valore di ogni cosa è commisurato al suo costo, è assolutamente doveroso e bene ha fatto l’autrice a sottolineare che non si deve in alcun modo «soffiare sul fuoco delle responsabilità individuali, delle frustrazioni che la solitudine sociale produce». Bisogna smetterla di enumerare i suicidi per precariato o fallimento come un elenco di casi individuali. È necessario urlare e mobilitarsi contro le classi dirigenti e politiche che promettono, illudono, arraffano e affamano. Ribellarsi alla cultura mafiosa e omertosa che nel lavoro prolifera più che altrove. Inchiodare alle proprie responsabilità generazioni intere di italiani che hanno preferito il compromesso, turandosi il naso prima al seggio elettorale e poi accettando leggi e provvedimenti che hanno generato condizioni di lavoro da vero e proprio sfruttamento.

Pubblicato con la casa editrice Laterza, Non è lavoro, è sfruttamento di Marta Fana è un testo molto ben scritto e articolato che analizza vari aspetti del fenomeno e da varie angolazioni, senza mai perdere di vista l’obiettivo, ovvero il racconto e la denuncia. Punti di partenza fondamentali affinché si metta in essere la “rivoluzione” del cambiamento, quello voluto dal popolo e non da esso subito.

È vero quanto dice l’autrice, che l’unità di classe della popolazione è stata costantemente attaccata proprio allo scopo di fare breccia e dividere. Ma lo è anche il fatto che ciò è stato possibile perché glielo si è lasciato fare. Andrebbe comunque ridimensionato l’aspetto di socializzazione del lavoro, e anche della scuola. Si può e si deve avere una vita anche fuori da questi luoghi che hanno, o dovrebbero avere, come scopo principale lo svolgimento della propria attività professionale e di formazione. L’essere umano è molto altro, il lavoro è solo una parte, una necessità generata dal bisogno di possedere un reddito, una retribuzione. Ottimo quando la Fana ricorda che dovrebbero lavorare tutti e di meno. È esattamente ciò che serve. Basta straordinari non pagati o sottopagati, basta collaborati “volontari” … lavorare tutti e meno.


LEGGI ANCHE – Primo Maggio: Festa dei lavoratori o del lavoro? 


Doveroso aprire una parentesi sul reale ruolo svolto dai sindacati, più volte citati dall’autrice, nati per essere e farsi portavoce delle richieste dei lavoratori e garanti dei loro diritti e diventati, con il tempo e con i pubblici finanziamenti, sempre più dei semplici delegati, valvola di sfogo, mediatori, pacificatori tra le parti, zona cuscinetto tra l’avidità della ricchezza e lo sfruttamento della forza lavoro.


«Una triste storia di sfruttamento che ha coinvolto circa 18.500 lavoratori e che vede la firma dei tre maggiori sindacati italiani Cgil, Cisl e Uil.»


Un esempio tra i tanti, troppi che si potrebbero elencare, il reclutamento di giovani sponsorizzato con lo slogan a effetto “Essere volontario in Expo Milano 2015”.

Un libro interessante, necessario, doveroso Non è lavoro, è sfruttamento di Marta Fana, pubblicato nell’epoca che si definisce della digitalizzazione, e si ritiene evoluta rispetto a quelle oramai “arcaiche” industriale, agricola, capitalista. Una società che però sembra mantenere intatte moltissime forme e logiche di sfruttamento usate anche in passato. Solo che viene dato loro un nome diverso, preferibilmente preso in prestito dalla terminologia inglese. Così tutto diventa più cool, glam, fashion, trendy… Appunto. E così la precarizzazione del lavoro diventa jobs act, il lavoro a chiamata diventa voucher, il lavoro a cottimo diviene free lance. Ma la sostanza resta immutata, o peggiora. Purtroppo. E quando si ha necessità ulteriore di “ottimizzare” i costi per il personale entra in gioco la vera essenza dell’alternanza scuola-lavoro.

Straordinaria la lettera indirizzata al ministro Poletti, apparsa sul portale online dell’Espresso il 20 dicembre 2016 e riproposta anche nel testo, dettata forse, più che dal sentimento o dall’impulsività, dal tentativo di arginare con l’azione i conati di vomito che si riaffacciano a ogni decreto, legge o dichiarazione pubblica, ufficiale o ufficiosa, che corrisponde, in realtà, alla manifestazione di un potere immeritato, immotivato e malgestito da parte di intere classi politiche e dirigenti.


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa degli Editori Laterza per la disponibilità e il materiale


Articolo originale qui

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Il rinnovamento culturale italiano degli anni ’50 nell’autoritratto di Goffredo Petrassi

09 mercoledì Ago 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

≈ Lascia un commento

Tag

Autoritratto, CarlaVasio, GoffredoPetrassi, intervista, Laterza, MucchiEditore, RinnovamentoCulturaleItaliano

Il rinnovamento culturale italiano degli anni '50 nell'autoritratto di Goffredo Petrassi

Autoritratto di Goffredo Petrassi di Carla Vasio viene pubblicato in prima edizione con Laterza nel 1991 e riproposto al pubblico quest’anno da Mucchi editore. Le memorie di un grande compositore italiano raccolte dalla Vasio affinché le sue ricerche e sperimentazioni in campo musicale, ma che hanno poi influenzato anche la sua esistenza, non vadano perdute o dimenticate.

Ne abbiamo parlato con Carla Vasio nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.

Il suo libro Autoritratto di Goffredo Petrassi, che raccoglie le memorie di una vita intera, è uscito in prima edizione nel 1991 con Laterza. Perché ha ritenuto necessario ripubblicarlo nel 2017?

Non è stata una mia iniziativa ripubbblicare il lungo colloquio con Goffredo Petrassi: ho risposto alla richiesta di un editore che stimo, soddisfatta che venga riproposta in una nuova edizione la mia conversazione con un artista di altissima sapienza musicale e di nobile intelligenza. Nel raccontare ho scelto una struttura narrativa che permettesse al lettore di partecipare  all’evolversirsi dell’ambiente culturale, specificamente musicale in questo caso, che intorno agli anni cinquanta/sessanta ha rinnovato non solo la tecnica ma l’immaginario delle arti.

Chi era Goffredo Petrassi, oltre il personaggio pubblico?

La narrazione di Petrassi che sta alla base di questo libro è sostenuta da una precisione linguistica e storica necessaria a sottolineare l’importanza della sua opera e del suo insegnamento in un momento  in cui non soltanto la musica ma tutti i linguaggi dell’arte stavano sperimentando la felicità e i rischi di un rinnovamento profondo. Nel raccontare, Petrassi non si perde mai in divagazioni approssimative, fossero storiche o tecniche: non dimentica le difficoltà dell’infanzia e della giovinezza quando la sua famiglia poverissima  si trasferisce da un paese rurale a Roma, e poi la tenacia appassionata che lo ha portato a raggiungere i massimi livelli di preparazione negli studi e poi di innovazione nell’ attività creativa. La sua narrazione musicale raggiungeva sempre un’altissima precisione di linguaggio con una ricchezza di invenzione mai superflua o approssimativa. Inoltre è stato un attento e generoso maestro per i suoi allievi e per chiunque gli chiedesse notizie sull’evoluzione della musica anche in campo internazionale. All’insegnamento si è dedicato con grandissimo senso di responsabilità e con molta generosità.

Il rinnovamento culturale italiano degli anni '50 nell'autoritratto di Goffredo Petrassi

I fili conduttori del suo libro, come dell’arte di Petrassi, sembrano essere la passione e la curiosità, verso ciò che si fa come verso la vita intera. Sentimenti, atteggiamenti ma anche modi di essere che oggi sono egualmente presenti negli artisti contemporanei?

Mi auguro di sì. Petrassi esercitava sempre una consapevole e generosa partecipazione alla vita e al lavoro dei suoi allievi e dei suoi amici, con quel rispetto e quel distacco professionale che permettevano anche il formarsi di lunghe amicizie. Non so dire se in questo distratto tempo presente  si formino ancora importanti rapporti insegnante-allievo, impegnati e produttivi. Me lo auguro, tanto più che nella nostra cultura la pratica scolastica ha esempi di nobile generosità che non vanno dimenticati.

Lungo tutto il suo percorso artistico Petrassi non abbandonò mai la ricerca costante e il confronto dialettico con i classici della musica pur evolvendo verso l’originalità e l’innovazione. Era così anche per la sua vita privata?

È giusto dire che nel suo lavoro Petrassi non ha mai abbandonato la ricerca e l’innovazione, come si può osservare in tutta la sua ininterrotta attività creativa e anche nella sua partecipazione agli incontri internazionali di arte musicale, per esempio a Darmshtadt, in Svizzera, e in Germania. Quanto alla sua vita privata, è stata arricchita più che condizionata dagli eventi portati dalla sua attività professionale.

Il rinnovamento culturale italiano degli anni '50 nell'autoritratto di Goffredo Petrassi

Petrassi ha costruito una carriera internazionale di tutto rispetto e ha collaborato anche con diversi registi componendo colonne sonore per il cinema durante il periodo neorealista. Qual era la sua opinione riguardo questo mondo governato dalla finzione che voleva raccontare la realtà?

La sua cultura era vasta ed eclettica e questo gli ha permesso di partecipare alle innovazioni in vari campi dell’arte tra cui il cinema. Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta Petrassi ha composto  le colonne sonore di film che hanno fatto la storia del cinema, tra cui Riso amaro di Dino Risi e Cronaca familiare di Valerio Zurlini, dando all’accompagnamento musicale quella forza innovativa che si stava confermando  nel cinema in quegli anni.

Il rinnovamento culturale italiano degli anni '50 nell'autoritratto di Goffredo Petrassi

Cosa ha significato per lei scrivere l’autoritratto di Goffredo Petrassi?

È stato un lavoro molto lungo e non facile. Durante i colloqui, che si sono svolti nel corso di un paio di anni, ho raccolto il materiale storico-narrativo che il maestro generosamente mi ha affidato. La sua non era una collaborazione superficiale: controllava il mio testo riga per riga se non parola per parola ed è stato quasi sempre soddisfatto del mio lavoro, che interpretava e ricostruiva i suoi discorsi rispettandone i contenuti e cercando di rendere con la scrittura l’intensità del colloquio.

Io seguivo le sue parole e lui era grato della mia correttezza professionale.

Questo libro è il risultato di una lunga e rispettosa amicizia.

Articolo originale qui


© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna (Editori Laterza, 2016)

12 venerdì Mag 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

flussimigratori, GianpierodallaZuanna, immigrazione, italiani, Laterza, lavoro, migranti, paura, saggio, StefanoAllievi, stranieri, terrore, Tuttoquellochenonvihannomaidettosullimmigrazione

Uscito in prima edizione ad aprile 2016 per Editori Laterza, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna è un saggio tascabile di poco oltre centocinquanta pagine sui «radicalismi emergenti, tra gli immigrati e contro gli immigrati».

Un libro che è un valido «strumento di lettura e di orientamento», utile a fornire «chiavi interpretative» prive di pregiudizi ideologici per una questione che ha «radici profonde nella storia» e di cui gli autori si interessano sistemicamente. Ciò ha consentito loro di evitare l’inseguimento delle notizie di stretta attualità e mantenere un approccio meno semplicistico al fenomeno, riuscendo così a raccontare al lettore «alcune prospettive di questa storia grandiosa, piena di speranze e soddisfazioni, ma anche delusioni e sofferenze».

Una vicenda che ha visto un paese come l’Italia «che si credeva monoculturale e in passato di emigrazione» trasformarsi, nel giro di un paio di generazioni, «in un grande porto di mare» e un popolo, quello italiano, che nella necessità del confronto con l’altro, con il “diverso”, si vede costretto a fare i conti con la propria identità. Una condizione di mutamento continuo, dove «anche i nativi vengono in qualche modo modificati dall’interazione con i migranti», esattamente come questi subiscono la metamorfosi del cambiamento e così «da questi incontri nasce una popolazione nuova». Diventa a questo punto necessario «adattare la nostra società e – prima ancora – la nostra mentalità, per vivere al meglio questo grandioso mutamento».

Nel caos degli allarmismi di informazione e politica il testo di Allievi e Dalla Zuanna viene positivamente accolto come una lettura che invita alla calma e alla conoscenza riguardo un fenomeno che è sempre esistito e che ruota intorno a tre “semplici” parole: «necessità, selezione, integrazione».

Utile doveroso e necessario anche l’aver ricordato in Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione che il censimento del 1881 rivelò che metà dei milanesi non erano nati a Milano e che nel primo secolo di Unità nazionale (1861 – 1961), almeno 25milioni di italiani hanno lasciato l’Italia, «quasi 700 al giorno».

L’impegno degli autori è stato profuso non solo nel racconto dettagliato di ciò che i fatti storici avrebbero dovuto insegnarci e il cui apprendimento sotto un ottica diversa avrebbe potuto meglio preparare la società attuale ad affrontare la “crisi migratoria” in atto, ma anche nell’analisi dei dati, nella formulazione di pacate ipotesi risolutive nonché per sfatare i luoghi comuni che sembrano sempre più radicalizzati e strumentalizzati per creare un clima di diffidenza e paura.

  • Gli stranieri rubano il lavoro agli italiani.

  • Gli stranieri frenano lo sviluppo dell’Italia.

  • Tra gli stranieri c’è un’elevata percentuale di criminali.

Gli economisti mostrano e dimostrano che, in Italia come in altri Paesi “ricchi”, i nuovi flussi migratori «hanno causato la crescita dei salari dei nativi, favorendo nel contempo la compressione dei salari degli stranieri» già presenti da tempo sul territorio. Sul mercato del lavoro «gli immigrati sono complementari piuttosto che concorrenti degli italiani». Sono loro per la gran parte ad accollarsi l’onere di svolgere mansioni dirty, dangerous and demeaning (sporche, pericolose e umilianti) e la loro “disponibilità” allo svolgimento dei ddd jobs ha di fatto «permesso agli italiani di concentrarsi sui lavori meglio retribuiti, meno faticosi e più prestigiosi». Ma ha anche, in concreto, spinto «verso mansioni meglio retribuite i lavoratori italiani non qualificati». Per contro «polacche, ucraine, filippine, peruviane, moldave e rumene» sono le più penalizzate, costrette per necessità «a svolgere un lavoro poco qualificato rispetto al titolo di studio conseguito e alle competenze professionali acquisite».

I motivi alla base della mancanza di lavoro, della diffusa disoccupazione, anche giovanile, e dei bassi livelli di crescita dell’Italia vanno invece ricercati nelle «forti barriere all’ingresso delle professioni», negli «oligopoli e cartelli fra le imprese (spesso tutelati dal sistema politico)», nella tendenza a «preservare strenuamente il posto di lavoro piuttosto che a proteggere il lavoratore».

Leggi anche – Primo Maggio: Festa dei lavoratori o del lavoro?

Allievi e Dalla Zuanna sottolineano con fermezza il destino di declino cui andrà inesorabilmente incontro il nostro Paese «se non inizierà a prendere di petto questi problemi». Paesi come la Germania, il Regno Unito e gli Usa negli ultimi venti anni «sono cresciuti molto più di noi pur condividendo i nostri alti tassi immigratori». Mentre paesi come il Giappone «sono cresciuti poco anche se continuano a tenere blindate le loro frontiere». Ne conviene quindi che «alti tassi di immigrazione possono convivere con alti tassi di sviluppo».

Non è tanto la condizione di straniero in sé a essere determinante nel delinquere quanto «quella di marginale». È «la povertà materiale, di risorse sociale e di capitale culturale» a giocare un ruolo decisivo. Leggendo i dati del Dossier Statistico Immigrazione 2015 del Centro Studi e Ricerche IDOS, che gli autori riportano nel testo, si apprende che le denunce contro italiani sono in aumento del 28% mentre quelle verso stranieri sono in calo del 6,2% e che il 17% di queste riguarda violazioni della normativa di soggiorno.

Inoltre non bisogna dimenticare che «gli stranieri non sono solo soggetto, sono anche oggetto di devianza e vittime di criminalità». Dettagliato il resoconto che fanno Allievi e Dalla Zuanna su traffico di manodopera, tratta, sfruttamento, caporalato, violenza, truffa… insomma su tutte le «forme di criminalità legate al business sugli immigrati e all’accoglienza», ricordando anche il recente scandalo etichettato da media e magistratura Mafia Capitale.

Leggi anche – Migrazioni… di organi

Gli autori sottolineano come la questione dei profughi, al pari dell’immigrazione, non è un’emergenza ma «un dato strutturale del mondo globale» e come tale va affrontata.

  • Con strategie, non con parole d’ordine.

  • Con politiche, non con slogan.

  • Con pragmatismo, non con precomprensioni ideologiche.

A livello europeo, a livello nazionale e locale, nella scuola… evitando strumentalizzazioni e multiculturalismi improvvisati che sono speculari all’identitarismo grossolano.

I rifugiati sono dei testimoni della storia e delle volte portano con sé «il destino, la coscienza e il desiderio di riscatto di un intero paese». Viene riportato l’esempio di un esule italiano antifascista in Francia che, dopo aver lavorato come muratore, è rientrato in Italia e diventato successivamente il settimo Presidente della Repubblica. Sandro Pertini.

I migranti economici si muovono per ragioni in parte differenti dai rifugiati politici ma la loro storia merita egualmente di essere scritta con l’inchiostro della civiltà, dell’umanità e del rispetto, tenendo sempre a mente le tre “semplici” parole che ricorrono nelle storie migratorie.

  • Necessità.

  • Selezione.

  • Integrazione.

Tre termini che custodiscono il mondo che è stato e al contempo mostrano quello che sarà. Perché il cambiamento è «la chiave di lettura principale, da assumere e da sostanziare con contenuti seri» se l’intenzione è «capire cosa sta succedendo, tra le comunità islamiche presenti in Europa e nelle società che le ospitano». E questo naturalmente è un discorso valido per tutte le comunità, non solo quelle islamiche.

Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna si rivela una lettura molto interessante. Si tratta di un saggio breve ben articolato e con un’ottima struttura narrativa in grado di presentare al lettore una panoramica di ampio raggio sul fenomeno delle migrazioni e indurlo in profonde riflessioni sulla società, attuale e passata, su quelli che devono o dovrebbero esserne i principi fondativi (l’inalienabilità dei diritti e l’universalità della loro applicazione), sulle politiche e sull’informazione globalizzate ma neanche poi tanto, sui concetti per niente astratti di inclusione e divisione. Un libro che merita senza dubbio alcuno di essere letto.

Stefano Allievi: è professore di Sociologia e direttore del Master sull’Islam in Europa presso l’Università di Padova.

Si occupa di migrazioni in Europa e analisi del cambiamento culturale e del pluralismo religioso.

Gianpiero Dalla Zuanna: è professore di Demografia presso l’Università di Padova.

Ha studiato il problema dell’equilibrio demografico nazionale e internazionale e l’integrazione delle seconde generazioni nella società italiana.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Editori Laterza per la disponibilità e il materiale.

Disclousure: Fonte biografia autori quarta di copertina.

Articolo disponibile anche qui

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Sostieni le Attività di Ricerca e Studio di Irma Loredana Galgano

Translate:

Articoli recenti

  • Liana Zimmardi, L’urlo dei gattopardi
  • Luisa Passerini, Artebiografia. Percorsi di artiste tra Italia e Africa
  • Jorge Luis Borges, il Mestiere della Poesia
  • Silvia Giagnoni, Alabama Hunt
  • Il ruolo delle scam city nella società di oggi: truffe, lavoro e relazioni sociali

Archivi

Categorie

  • Articoli
  • Interviste
  • Recensioni
  • Senza categoria

Meta

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Proudly powered by WordPress