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Irma Loredana Galgano

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Liberi dall’amianto? I numeri parlano chiaro e non danno certo conforto

27 domenica Mag 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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Italia, italiani, Legambiente, NWO

Tra il 1945 e il 1992 in Italia sono state prodotte 3.7milioni di tonnellate di amianto grezzo e importate 1.9milioni di tonnellate. Con la legge 257/1992 è stata decretata la cessazione dell’impiego dell’amianto sull’intero territorio nazionale. In 26 anni sono stati registrati 21.463 casi di mesotelioma maligno, di cui il 93% a carico della pleura e il 6.5% del peritoneo. Oltre 6mila morti l’anno.

In occasione della giornata mondiale delle vittime dell’amianto, che cade il 28 aprile, Legambiente ha pubblicato il dossier Liberi dall’amianto? e ribadito «l’urgenza e la necessità improrogabile per il nostro Paese di agire attraverso una concreta azione di risanamento e bonifica del territorio».

A distanza di 26 anni dall’approvazione della legge, «il Piano Regionale Amianto non è stato approvato in tutte le Regioni». L’indagine posta in essere da Legambiente ha stimato un totale di quasi 58milioni di metri quadri di coperture in cemento amianto. Si parla di 370mila strutture di cui oltre 20mila sono siti industriali, 50.744 edifici pubblici, 214.469 edifici privati, oltre 60mila le coperture in cemento amianto e 18.945 altra tipologia di siti.
Sono oltre 1.195 i siti ricadenti in I Classe, ovvero a maggiore rischio, e 12.995 quelli in II Classe.

Molto a rilento vanno avanti le attività di bonifica. Rilevamenti ISPRA del 2015 parlano di 369mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto prodotti (71% al Nord, 18.4% al Centro e 10.6% al Sud), di cui 227mila tonnellate smaltite in discarica e 145mila tonnellate esportate nelle miniere dismesse della Germania a fronte di quasi 40milioni di tonnellate di amianto presenti sul territorio.

E molto scarse sono anche le attività di formazione del personale tecnico, con programmi e momenti di aggiornamento che risultano solo in otto Regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) e nella Provincia Autonoma di Trento, nonché le attività di formazione e informazione rivolte ai cittadini. Scarse, sporadiche e comunque risalenti a diversi anni fa.

Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Ambiente, aggiornati al novembre 2017, in Italia «ci sono circa 86mila siti interessati dalla presenza di amianto, di cui 7.669 risultano bonificati e 1.778 parzialmente bonificati». Tra questi rientrano anche i «779 impianti industriali (attivi o dismessi)» e «10 SIN (Siti di Interesse Nazionale da bonificare) che presentano problemi connessi al rischio amianto». Numeri che lo stesso Ministero dell’Ambiente «ritiene essere sottostimati» in quanto i dati raccolti dalle Regioni «non consentono una copertura omogenea del territorio nazionale».

Inoltre 20 anni di produzione normativa ha generato «una situazione ingarbugliata e spesso contraddittoria tra norma e norma». Alla risoluzione di questo problema era preposto il Testo Unico per il riordino, il coordinamento e l’integrazione di tutta la normativa in materia di amianto, presentato a novembre 2016 al Senato e realizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali. «Il Testo Unico è al momento ancora fermo in Senato».

Il monitoraggio delle fibre disperse in aria è «una delle attività fondamentali che gli Enti preposti dovrebbero mettere in campo» per prevenire l’insorgere di rischi sanitari per i cittadini. I dati forniti dalle Regioni in tal senso «sono però scoraggianti».

Il V Rapporto fornito dall’INAIL attraverso il ReNaM (Registro Nazionale dei Mesoteliomi), risalente al 2015, sottolinea come «l’Italia è attualmente uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto correlate». L’incisività della malattia è rarissima fino a 45 anni («il 2% dei casi registrati»). L’età media della diagnosi è «69.2 anni, senza distinzione significativa di genere». Il 69.5% dei casi analizzati presenta un’esposizione professionale («certa, probabile, possibile»), il 4.8% famigliare, il 4.2% ambientale, l’1.6% per un’attività extralavorativa di svago o hobby.
Per quanto riguarda i casi da esposizione professionale, i settori di attività maggiormente coinvolti risultano essere:
Edilizia
Industria pesante

Sul sito del Ministero della Salute si legge che «la presenza delle fibre di amianto o asbesto nell’ambiente comporta inevitabilmente dei danni a carico della salute, anche in presenza di pochi elementi fibrosi». I danni a carico della salute sono “inevitabili” anche in presenza di pochi elementi fibrosi perché si tratta di «un agente cancerogeno». Particolarmente nocivo è il fibrocemento (“eternit”), una mistura di amianto e cemento particolarmente friabile e quindi soggetta a danneggiamento o frantumazione, infatti «i rischi maggiori sono legati alla presenza delle fibre nell’aria» che, una volta inalate, «si possono depositare all’interno delle vie aeree e sulle cellule polmonari». Asbestosi, mesotelioma (tumore che si sviluppa a carico della membrana che riveste i polmoni, pleura, o gli altri organi interni, peritoneo), tumore dei polmoni… queste le conseguenze che possono e in genere si manifestano anche a distanza di molti anni dall’esposizione e a bassi livelli di asbesto.

In questo opuscolo ministeriale informativo ci tengono a ribadire che, essendo un agente cancerogeno, «occorre evitare l’esposizione anche a bassi livelli di concentrazione» poiché basta «una minima esposizione per subirne gli effetti nocivi». Già. Ma se le tonnellate di amianto sparse, disseminate e abbandonate lungo tutto il territorio nazionale non vengono bonificate come si fa a evitare l’esposizione anche a minime quantità di asbesto, magari aerodisperso? La risposta a questa domanda però non si trova nell’opuscolo e nemmeno negli allegati a esso accorpati sul sito ministeriale.

Qualche indicazione viene data in caso di bonifica o smaltimento di manufatti già esistenti. Viene consigliato in questi casi di non procedere da autodidatta bensì di «rivolgersi sempre a personale qualificato» in maniera tale da «non recare danni maggiori a se stessi e agli altri».

Si legge ancora che l’articolo 4 della Legge 257/92 «prevedeva l’istituzione della Commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all’impiego dell’amianto». L’ultimo mandato di suddetta Commissione si è concluso nel 2005, con proroga fino al 2006. Dopodiché è cessata l’attività di monitoraggio come anche quella di «produzione di documenti tecnici affidati a essa come compiti fondamentali». Per «mantenere tuttavia vivo l’interesse per le tematiche rimaste in sospeso e mettere in luce le nuove problematiche emergenti», il Ministero ha previsto la costituzione di un Gruppo di studio che, nel 2012, ha elaborato «un rapporto finale, che fotografa lo stato dell’arte della problematica».

Il rapporto sullo “stato dell’arte” ci dice che ogni Regione, ad accezione di Molise e P.A. di Bolzano, ha istituito un Centro Operativo (COR) con compiti di identificazione di tutti i casi di mesotelioma insorti nel proprio territorio e di analisi della storia professionale, residenziale, famigliare e ambientale dei soggetti ammalati. «La rilevazione avviene coinvolgendo tutte le fonti informative utili (ospedali pubblici e cliniche private) e conducendo la ricerca attiva dei casi». Nella relazione gli operatori del Gruppo di lavoro si dichiarano abbastanza soddisfatti della raccolta dati al riguardo. Stessa cosa non può dirsi per i tumori polmonari, in quanto «non esiste in Italia un sistema di registrazione esaustivo dei casi integrato dalla raccolta anamnestica delle circostanze che espongono ad amianto». Per l’asbestosi si fa invece riferimento alle «statistiche INAIL di denunce e di riconoscimento di malattie professionali» e viene precisato che «l’attendibilità delle statistiche INAIL sulle denunce e riconoscimento delle asbestosi non è mai stata valutata attraverso un confronto con un adeguato golden standard».

Diverse Regioni hanno approvato programmi di sorveglianza sanitaria per gli ex-esposti ad amianto. Ma si tratta di protocolli estremamente eterogenei, si passa infatti dalla «Regione Campania, che prevede la sistematica fornitura di strumenti diagnostici tecnologicamente avanzati e quella delle Regioni Piemonte e Friuli Venezia Giulia che delegano le decisioni, caso per caso, ai medici di base». Nella relazione si legge anche che, per quanto riguarda l’estero, «l’esperienza più esaustiva è quella finlandese», che integra uno screening per tutte le malattie correlate all’amianto (compresa l’offerta di Tac spirale), servizi di igiene e di analisi chimica, progetti di ricerca e cooperazione internazionale.

Anche la relazione del Gruppo di Lavoro pone l’accento sul censimento a macchie di leopardo e i ritardi nelle bonifiche, spesso fatte anche male. «Questi censimenti, nonostante il cospicuo e ripetuto impegno economico, hanno in realtà prodotto risultati di non eccessivo rilievo e di limitata fruibilità». Stesso discorso vale per la bonifica e lo smaltimento. Ci sono stati sicuramente dei miglioramenti nella conoscenza del processo di dismissione dell’amianto «ma se non esteso a tutte le Regioni non permette di avere un quadro completo a livello nazionale del trend in atto, con particolare riferimento al destino finale dei rifiuti di amianto, che attualmente non risulta ben conosciuto nel sue caratteristiche».

Le informazioni che si evincono dalla relazione sommate ai numeri del dossier di Legambiente fanno emergere un quadro davvero allarmante o, se si preferisce, disarmante della situazione italiana a 26 anni dalla messa al bando di questo elemento fibroso altamente nocivo per la salute dei cittadini. «Quanto fatto sino ad oggi non può quindi considerarsi un punto di arrivo in quanto l’esigenza di costante e sempre più approfondita conoscenza della tematica è elemento essenziale per assicurare oltre alla correttezza delle azioni anche la tutela degli operatori, dei cittadini, dell’ambiente».

Essendo molti i Paesi che ancora estraggono e lavorano fibra di amianto viene riscontrato, «con frequenze non eccessive ma certamente meritevoli di attenzione», l’arrivo sul territorio nazionale di merce non conforme ai dettami normativi in materia di amianto. L’obiettivo da porsi è, quindi, «evitare, per quanto possibile, l’ingresso in Italia di prodotti realizzati con componentistiche vietate dalla normativa vigente riguardanti materiali con fibre di amianto» e per raggiungere detto scopo è necessaria una «organica interazione tra i vari soggetti coinvolti o comunque cointeressati». Organi centrali, Regioni, Asl, dogane portuali e aeroportuali.

Anche il Gruppo di Lavoro ministeriale, come Legambiente, giunge alla conclusione che sia necessario redarre quanto prima un Testo Unico normativo di riferimento. «Diversi Ministeri (Ambiente, Industria, Sanità) hanno nel tempo legiferato per le proprie competenze, ma non sempre si è tenuto conto di altri precedenti provvedimenti di diverse amministrazioni con cui vi potevano essere elementi di non chiarezza applicativa».

Per la tutela degli operatori, dei cittadini e dell’ambiente ci si attenderebbe quindi quanto prima l’approvazione di un Testo Unico articolato ed esaustivo, un censimento che vada a coprire l’intero territorio nazionale e una bonifica altrettanto plenaria.

A giugno 2012 il Ministero della Salute pubblica il Quaderno n°15 sullo «stato dell’arte e prospettive in materia di contrasto alle patologie asbesto-correlate». Ma quali sono esattamente le patologie asbesto-correlate?
Sono respirabili tutte le fibre, «come generalmente quelle di asbesto», con diametro inferiore a 3.5micron. Le fibre comprese tra 5 e 10 micron di lunghezza, arrivando all’interstizio e per via linfatica alle sierose, «possono determinare lesioni interstiziali e pleuriche»:
Fibrosi
Ispessimenti e Placche pleuriche
Neoplasie
Quelle di lunghezza superiore ai 10micron, arrestandosi a livello alveolare, «possono provocare lesioni alveolari (alveolite asbestosica)».

Tra le patologie asbesto-correlate vengono quindi inserite:
Asbestosi
Pleuropatie asbesto-correlate (Placche pleuriche e Ispessimento pleurico diffuso)
Versamenti pleurici benigni (pleuriti benigne da asbesto)
Tumore polmonare
Mesotelioma (Mesotelioma pleurico e Mesotelioma maligno extrapleurico)

Vanno evidenziate poi le patologie extrapolmonari da asbesto. «Una possibile correlazione è stata evidenziata tra l’esposizione ad asbesto e le patologie autoimmunitarie». Gli effetti sull’apparato gastrointestinale «sono prevalentemente riconducibili all’insorgenza di tumore dello stomaco». Per quanto riguarda l’apparato riproduttivo, «una possibile correlazione è stata documentata con il tumore ovarico». La IARC (International Agency for Research on Cancer) definisce come «sufficiente l’evidenza di insorgenza di cancro alla laringe e dell’ovaio in seguito a esposizione ad asbesto e limitata quella per tumore della faringe, stomaco, colon-retto».

Negli Stati Uniti e in Svezia, dove i consumi di amianto sono diminuiti più precocemente, «si assiste già a una diminuzione dei tassi di mortalità e di incidenza». Laddove i consumi sono cresciuti, come nei Paesi in via di sviluppo, «le limitate statistiche disponibili suggeriscono che l’epidemia sia attualmente al suo esordio». Il declino del consumo di amianto in Italia è avvenuto «in ritardo rispetto ad altri Paesi occidentali». La bonifica e lo smaltimento dell’amianto messo al bando orami dal lontano 1992 sono ancora procedure in fase di rodaggio. Per il nostro Paese si prevede una diminuzione dei picchi di mortalità e incidenza a partire dal 2015-2020. Si prevede. O meglio si suppone. Si potrebbe anche immaginare che la gran parte dell’amianto prodotto e importato tra il 1945 e il 1992 fosse stato tempestivamente censito, smaltito e i siti, pubblici e privati, bonificati… già si potrebbe ma quello che proprio non si può fare è cambiare la realtà, lo stato delle cose. E quello è disastroso.

Tre verbi che devono diventare azioni concrete e diffuse: censire, bonificare, smaltire. Tutto e ovunque. E farlo in tempi brevi. Tutto il resto sono parole, o meglio chiacchiere inutili.


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Centro Italia, ferma ricostruzione e consegna moduli abitativi: il report di OsservatorioSisma denuncia i gravissimi ritardi

12 domenica Nov 2017

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Legambiente

Alla vigilia del secondo inverno dopo il sisma che ha colpito, lo scorso anno, una vasta area del Centro Italia che abbraccia ben quattro regioni (Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio), Legambiente e Fillea-Cgil presentano i dati dell’Osservatorio per la ricostruzione di qualità. Solo una scuola è stata realizzata sulle 108 da ricostruire previste da due piani straordinari approvati dal Commissario straordinario per la ricostruzione. Un’altra è in costruzione. Su 3570 casette richieste complessivamente nelle quattro regioni interessate, 995 risultano quelle consegnate.

Il report dell’Osservatorio per la ricostruzione di qualità, promosso da Fillea-Cgil e Legambiente per monitorare la ricostruzione delle aree del Centro Italia, individua «responsabilità lungo tutta la complessa catena di comando, non sempre chiara». Sottolinea, inoltre, che l’esigenza del “fare presto” non deve inficiare la qualità del costruito, e manifesta «forte preoccupazione all’idea che per la riapertura di alcune scuole ci si possa accontentare del miglioramento sismico e non dell’adeguamento nonostante gli ingenti investimenti».

La priorità, in casi come questo, è giusto che sia la volontà di velocizzare l’uscita dallo stato di emergenza, ma ciò non deve in alcun modo precludere il rispetto della legalità. Viene a tal proposito ricordata l’inchiesta della Procura di Napoli sulle aziende impegnate nella sistemazione delle casette.

La normativa stabilisce che sia Invitalia a svolgere le gare di affidamento dei lavori e le ordinanze commissariali hanno deciso che sono 105 le scuole da ripristinare: 18 in base al primo programma straordinario (gennaio 2017) e 87 in base al secondo (luglio 2017). Tre invece sono finanziate dai donatori. Del primo gruppo, è in costruzione solo la scuola primaria Romolo Capranica di Amatrice. Del secondo, è stata realizzata la scuola dell’infanzia Benedetto Costa di Sarnano, grazie ai finanziamenti della Regione Friuli Venezia Giulia.

Il resto delle gare non viene assegnato, nonostante l’ordinanza 35 del 31 luglio abbia modificato le prime due con «l’obiettivo di facilitare la messa a gara». Ci si chiede, a questo punto, se sia «lecito domandarsi per quale motivo, a fronte di quasi 900 aziende che inizialmente (l’elenco è aggiornato al 31 maggio) hanno espresso interesse alla realizzazione dei 18 edifici scolastici, soltanto la realizzazione di uno sia stata aggiudicata». Il 4 agosto 2017 Invitalia pubblica un secondo “avviso esplorativo” per la costruzione delle 18 scuole. L’elenco di esecutori interessati alla ricostruzione degli edifici scolastici «giunge così a 1119 aziende». Ma, a quasi tre mesi «da questo secondo avviso ancora nessuna gara è stata aggiudicata».

L‘ordinanza 33 dell’11 luglio 2017 approva invece il secondo programma straordinario per la riapertura delle scuole nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, e prevede la costruzione di 87 scuole, con uno stanziamento complessivo di 231.038.692. In questo caso, i committenti sono i Comuni e le Province. Incaricata a svolgere le gare d’appalto «su indicazione degli Enti preposti» è sempre Invitalia. «Ad oggi, su tali opere Invitalia non ha pubblicato alcun bando». Il report dell’Osservatorio per una ricostruzione di qualità è datato ottobre 2017.

La richiesta complessiva delle Soluzioni Abitative di Emergenza (SAE) è di 3570 (205 in Abruzzo, 775 nel Lazio, 1824 nelle Marche e 766 in Umbria), da 43 su 140 comuni danneggiati dal sisma. «Al 17 ottobre 2017 ne sono state consegnate 995, pari al 27.87% del totale richiesto».

Spettano alla Protezione Civile l’acquisto, le opere di urbanizzazione, l’installazione e la consegna delle casette richieste, sotto il cui coordinamento i Comuni «sono stati delegati a quantificare il fabbisogno delle casette, individuare le aree per la loro installazione e quelle per la sistemazione delle strutture pubbliche». La Protezione Civile ha «inoltre assegnato alle quattro Regioni coinvolte il compito di provvedere all’urbanizzazione delle aree preposte a ospitare le casette».

Va detto, a onor del vero, e i promotori del report lo fanno, che vi sono anche cause oggettive che giustificano «in parte i ritardi e le differenze». Il susseguirsi degli eventi sismici (24 agosto, 26 e 30 ottobre, 18 gennaio) che a più riprese ha allargato l’area del cratere, allungato i tempi per la verifica dei danni sugli immobili, ha fatto aumentare progressivamente le persone rimaste senza casa. Va aggiunta poi la difficoltà a individuare aree idonee a causa «della presenza di vincoli, a partire da quello idrogeologico, nel territorio dell’Appennino». Ecco allora che «una pianificazione preventiva che individui nelle aree a rischio le aree preposte a ospitare gli sfollati in casi di emergenza avrebbe potuto accelerare di molto i tempi» e avrebbe anche prodotto «un minore impatto paesaggistico e ambientale».

Un altro aspetto su cui il report si sofferma a lungo è la prevenzione dello sfruttamento del lavoro e il mantenimento della legalità. Come dimostra, ad esempio, l’inchiesta giudiziaria della Procura di Napoli di inizio ottobre «sulle varie aziende totalmente fittizie che occupavano lavoratori in nero in Umbria, tra l’altro privi delle più elementari dotazioni antinfortunistiche» adibiti sia all’allestimento delle aree per le SAE sia al montaggio delle stesse. Le verifiche effettuate sul campo dagli operatori del Sindacato «hanno registrato, in tutte e quattro le Regioni interessate, la presenza di lavoratori completamente sconosciuti alle Casse edili» o denunciati «con un monte ore di lavoro di molto inferiore a quello effettivamente svolto».

La normativa prevista per la fase della Ricostruzione è molto vincolante dal punto di vista del controllo della trasparenza e della legalità. Prevede infatti un’anagrafe delle aziende tenuta dalla Struttura di Missione antimafia creata apposta per gestire la fase successiva agli eventi sismici del 2017. Ma così non è per la fase di emergenza, come per la costruzione delle SAE, fasi «in cui non vengono messi in atto alcuni procedimenti preventivi essenziali». Viene consigliato a tutti i soggetti attuatori, quelli che affidano i lavori, l’adozione del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva per congruità). Illusorio pensare di fare presto saltando alcuni passaggi, «utilizzando l’alibi dell’emergenza». In virtù della «esperienza italiana sulla realizzazione delle opere pubbliche», il vero rischio è che, così facendo, si assista al «blocco dei cantieri a seguito dell’intervento della magistratura».

La filosofia seguita e suggerita nel report di Osservatorio Sisma è “si può fare presto e bene”. Affinché il vedere «i tetti delle casette di Accumoli divelti dalle raffiche di vento» non diventi una consuetudine.

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11 domenica Giu 2017

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articolo, dossier, ecoreati, Legambiente

Bilancio in positivo per i primi due anni della legge sugli ecoreati, approvata il 29 maggio 2015. A sottolinearlo un dossier di Legambiente che ne evidenzia l’utile impiego per il sequestro di depuratori malfunzionanti, per fermare l’inquinamento causato da attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, per intervenire su situazioni di inquinamento pregresso e per fermare attività illegali di vario genere. Una legge con la quale lo Stato italiano, finalmente, sembrerebbe aver dichiarato “guerra” agli ecocriminali. Una svolta necessaria. Una “riforma di civiltà” com’è stata definita proprio da Legambiente.

Il dossier Ecoreati nel Codice penale analizza nel dettaglio i numeri e le storie di una «legge che funziona», frutto di un lavoro parlamentare trasversale sul testo che aveva unificato i progetti di legge di Ermete Realacci (Pd), Salvatore Micillo (M5s) e Serena Pellegrino (Si) ha finalmente consentito alla giustizia italiana di lasciarsi alle spalle «decenni di disastri ambientali senza colpevoli».

Nel 2016, a fronte di 1215 controlli, sono stati sanzionati 574 ecoreati, denunciate 971 persone e 43 aziende e sequestrati 133 beni per un valore di quasi 15 milioni di euro. 18 le ordinanze di custodia cautelare.

143 i casi di inquinamento ambientale, 13 quelli di disastro ambientale, 6 di impedimento di controllo, 5 i delitti colposi contro l’ambiente, 3 quelli di omessa bonifica e 3 i casi di aggravanti per morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale.

La Campania si conferma la regione in cima alla lotta al crimine ambientale con 70 ecoreati contestati mentre è la Sardegna la regione con il maggior numero di denunciati (126). L’Abruzzo è in cima per numero di aziende coinvolte (16) mentre la Puglia per numero di arresti (14). In Calabria è stato registrato il numero più alto di sequestri (43). L’Umbria è invece la regione con il maggior numero di reati contravvenzionali contestati (64). In Liguria è stato registrato il maggior numero di persone denunciate (83).

In base ai dati raccolti dal ministero della Giustizia, per l’attività di 87 procure nel 2016, risultano iscritti 265 procedimenti in applicazione della legge 68/2015 con 446 persone indagate e 13 imputate.

Estendendo l’indagine a ritroso fino al 1 giugno 2015, ovvero alla data di inizio dell’applicazione della legge sugli ecoreati, risultano iscritti 467 procedimenti con 651 persone indagate e 17 imputate. Nel 2015 sono stati 41 i procedimenti in tribunale che hanno portato a condanne di primo grado, dei quali 35 per inquinamento e 3 per disastro ambientale.

Anche l’attività delle Arpa, nell’elaborazione dei dati forniti da AssoArpa, sono positivi e in costante aumento. Dal 2015 al 2016 le prescrizioni impartite sono aumentate da 580 a 1296, le asseverazioni sono passate da 183 a 935, mentre il gettito economico è passato da 491mila euro a quasi 2,2 milioni di euro incassati direttamente dalle tasche dei trasgressori. Per il 2016 le Arpa che hanno prodotto più prescrizioni sono state quelle di Emilia Romagna (413), Piemonte (373) e Veneto (190), mentre quelle più impegnate nelle asseverazioni sono state ancora il Veneto (208), poi Lazio (157) e di nuovo Emilia Romagna (115), che ritorna anche per quanto riguarda il gettito economico (oltre un milione di euro), seguita da Piemonte (circa 950mila euro) e Toscana (oltre 550mila euro).

Tra le indagini più significative del 2016 vengono annoverate:

  • Operazione Poseydon, conclusa il 2 novembre dalla Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di porto di Taranto con 14 arresti per i delitti di inquinamento e disastro ambientale, oltre che per illegale fabbricazione e detenzione di ordigni e sostanze esplosive.

  • Operazione Panta Rei eseguita dall’allora Corpo forestale dello Stato di Chieti e Pescara che ha contestato i reati di inquinamento ambientale, insieme alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni dello Stato, peculato e abuso d’ufficio.

  • Operazione condotta dai Carabinieri del Ros e dalla Procura di Brescia, che lo scorso novembre ha bloccato una presunta organizzazione criminale dedita alla miscelazione sistematica di rifiuti speciali pericolosi da spacciare come “materiali ferrosi”, con destinazione ricorrente le acciaierie bresciane.

  • Inchiesta Spazzatura d’oro della Dda di Perugia per i reati di disastro ambientale, inquinamento ambientale e altri reati ambientali.

  • Accuse di disastro ambientale colposo e permanente per la gestione della discarica di Malagrotta alle porte della Capitale, indagine portata avanti dalla Procura di Roma.

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