Stando a quanto scrive Luca Celada in TRUMPLAND. Scheletri e fantasmi dell’America nazional-populista, edito da manifestolibri, il rischio di vedere l’inabissamento della democrazia americana c’è ed è anche molto alto. Il ‘trumpismo’ imporrà «una necessaria resa dei conti? O è semplicemente il prologo al degrado definitivo, all’inferno hobbesiano che anticipa secoli bui di un declino oscurantista?». Celada teme che ciò possa riguardare non solo l’America ma l’Occidente intero con ripercussioni sull’intero pianeta.
L’autore sembra dimenticare però che, per la gran parte degli abitanti del pianeta, questo “buio” così temuto per l’Occidente è realtà da secoli ormai. Per tutto il tempo che è servito allo stesso Occidente a cercare di convincere tutti che il libero mercato, incluso quello finanziario, avrebbe rappresentato la crescita estrema del pianeta. Una folle corsa verso il tanto agognato benessere che sta involvendo e rapidamente anche in una rovinosa caduta libera verso la distruzione, l’autodistruzione. Il presidente degli Stati Uniti viene indicato come un problema e, per tanti versi, lo è ma il nocciolo fondamentale è che non si riesce a vedere oltre, a guardare a un mondo che sia profondamente e realmente diverso, che non sia per intenderci neoliberista, capitalista, lobbista e finanziario.
Il dilemma americano, sottolinea Celada, è in gran parte quello di tutto l’Occidente, «e coincide con quello delle sinistre, che ovunque stentano a trovare una risposta adeguata alla crisi del tardo neoliberismo». Invece di dedicare ogni energia e ogni strumento a disposizione per risolvere questo vero problema le sinistre, in America come in Europa, rifiutano finanche di ammettere le sconfitte elettorali, la constatazione di essersi staccate dalla realtà nella quale vive il popolo che loro amano sempre più chiamare semplicemente “elettorato”.
È vero, come sostiene Celada in TRUMPLAND, che i proclami del presidente non servono, ma altrettanto inutili sono le ideologie e fors’anche le idee laddove non trovano la concretizzazione in leggi e provvedimenti efficaci. L’amministrazione Obama che tanto viene osannata e giudicata tra le migliori, e forse lo è anche stata, ha comunque continuato a siglare accordi esteri per la fornitura di armi e materiale bellico e la tanto declamata riforma sanitaria continuava a lasciare senza copertura sanitaria decine di migliaia di cittadini americani e, anche per coloro che rientravano nell’assistenza, le coperture erano risicole. “Meglio di niente” si potrebbe obiettare. Anche se lo spirito migliore sarebbe non di scegliere il male minore ma chiedere a gran voce il giusto. Il punto piuttosto è un altro: gli americani abbienti sono disposti ad accollarsi questi oneri? Il risultato elettorale delle presidenziali del 2016 parlano abbastanza chiaro.
Angelo Mincuzzi, autore insieme a Hervé Falciani de La cassaforte degli evasori (Chiarelettere, 2015), in un’intervista ha dichiarato: “tra i documenti della banca risulta chiaramente come i clienti della HSBC preferissero perdere i soldi in operazioni finanziarie sbagliate, a volte anche venire truffati dai gestori, ma la cosa che non volevano assolutamente era pagare le tasse su quei soldi”. Pagare le tasse equivale a contribuire a sostenere il welfare. E loro non lo vogliono fare.
È vero che la presidenza Trump l’ha strappata per i voti dei grandi elettori ma lo è anche che quasi 63milioni di americani hanno scelto di votare per lui. E non sono certo pochi.
Se almeno, in tutti questi anni, la gran parte dei media e dei giornalisti non si fossero, al pari di governi e amministratori, piegati ai diktat del mercato e della finanza forse non si sarebbe mai arrivati al punto in cui invece si è rovinosamente giunti.
La domanda da porsi è: “in che percentuale media e stampa raccontano e hanno raccontato la verità, sempre e comunque?”
Nel suo documentario, omonimo del libro di Celada, Micheal Moore sostiene che «ogni dipendente licenziato, anonimo, dimenticato, che fa parte della cosiddetta classe media, ama Trump. Lui è il cocktail umano esplosivo che loro stavano aspettando. La bomba a mano umana che potevano tirare legalmente sul sistema che gli aveva rubato la vita». Chi li ha portati a questo livello di rabbia e disperazione?
Elencare i difetti e gli errori di Trump serve fino a un certo punto. Se i media americani, per esempio, avessero sempre raccontato la verità invece di portarlo a diventare una star amata dal pubblico per i suoi già improbabili programmi forse il popolo americano non avrebbe preso così tanto sul serio la sua candidatura alle presidenziali. Troppo spesso e per troppo tempo i cronisti, di tutto l’Occidente, sono stati al servizio degli “stregoni della notizia” e quindi ogni loro allontanamento da questa “retta” linea viene automaticamente vissuto come una sorta di tradimento anche dallo stesso presidente americano il quale, «sparando a zero dalla postazione Twitter della Casa Bianca sulle riviste che gli negano la copertina di uomo dell’anno, chiedendo la chiusura di network, declassando l’intera categoria dei giornalisti a “nemici della patria”», in fondo non fa che manifestare il suo stupore. Quante copertine e quante apologie gli hanno dedicato osannando le sue doti di imprenditore e uomo d’affari e celando tutto il resto? Relazioni e amicizie che naturalmente continua a coltivare anche ora che è diventato presidente.
Per Celada l’America ancora non si capacita di ciò che è accaduto ma stiamo parlando di un Paese davvero “grande”, immenso, vasto e per comprendere gli americani non bisogna seguire l’informazione da format o da spot che viene propinata al pubblico mondiale in tutte le salse. Il Paese più democratico e liberale che esista al mondo. No, la vera America e la sua reale popolazione è quella che sta dietro le telecamere, lontano dai riflettori, “nascosta” e disseminata lungo un vastissimo territorio conquistato e dominato proprio in nome del tanto caro a Trump imperativo o mantra come dir si voglia che vede e vuole la supremazia assoluta e incondizionata dei bianchi su tutte le altre etnie.
Luca Celada non disdegna di sottolineare più volte all’interno del libro la sua consapevolezza che il neo presidente americano, la first family e le loro azioni rappresentano e incarnano, per certi versi, il male assoluto per l’America certo ma anche per l’intero pianeta. Ciò che realmente sorprende il lettore non è il resoconto dettagliato delle azioni di Trump, prevedibili e già note per chi sceglie di informarsi comunque e diversamente, bensì il fatto che l’autore, corrispondente Rai a Los Angeles per 20 anni e inviato per «Il Manifesto» abbia dovuto scrivere un libro e pubblicarlo con una casa editrice indipendente per raccontarle.
TRUMPLAND di Luca Celada è scritto con un ritmo serrato, come se l’autore avesse dovuto faticare per riuscire a far rientrare tutto quello che riteneva necessario scrivere e che, per questo, abbia dovuto “aumentare la velocità”. Lo stile è deciso. Celada voleva chiaramente che al lettore arrivasse in modo inequivocabile il messaggio e le informazioni che intendeva divulgare.
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