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Irma Loredana Galgano

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E se l’inferno fosse vuoto? Intervista a Giuliano Pesce

06 mercoledì Giu 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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GiulianoPesce, intervista, Linfernoèvuoto, MarcosyMarcos, romanzo

Avvicinarsi quanto più possibile al limite è, spesso, l’unico modo per compiere scelte diffcili, esistenziali. Decisioni che altrimenti non si avrebbe la giusta spinta per prenderle. E Giuliano Pesce ne L’inferno è vuoto spinge al massimo i suoi personaggi, “costringendoli” ad affrontare rocambolesche avventure che, proprio nel loro essere così esageratamente surreali, diventano punto d’appoggio per riflessioni intense sulla vita e anche sulla sua fine. Il dualismo esistenziale tra vita e morte raccontato con l’originalità che caratterizza gli scritti di Pesce e l’immancabile pungente ironia con la quale condisce il tutto e lo rende piacevole al lettore.

Gli abbiamo rivolto alcune domande sul nuovo romanzo, edito sempre da Marcos y Marcos, incuriositi anche dal confronto con il precedente.

Esce il nuovo romanzo, sempre per Marcos y Marcos, e questa volta sembra lei abbia voluto scrivere il libro al contrario. Mi spiego: in Io e Henry il lettore scopriva la scena topica solo alle ultime battute mentre adesso costituisce proprio l’incipit. Si tratta di una scelta legata alla storia oppure ci sono altre motivazioni?

Di sicuro non mi piace ripetermi. Ma non è certo una scelta progettata a tavolino. La scena di apertura, con il papa che si getta nel vuoto durante l’Angelus, mi ronzava in testa già da anni, suggerita da un amico, quasi per scherzo. Per iniziare a scrivere un romanzo, però, ho bisogno di avere in mente sia la scena iniziale che quella finale. A quel punto si tratta solo di raccontare – prima di tutto a me stesso – come si collegano quelle due immagini. È come se la storia fosse già lì da qualche parte, e io dovessi solo scriverla.

Anche ne L’inferno è vuoto il tema principale sembra essere legato all’esistenzialismo o sbaglio?

Direi che il romanzo è dominato dall’azione e dalla suspense, più che dalla filosofia. Che poi i personaggi si trovino a scontrarsi con temi come l’angoscia, il peccato, la colpa e il peso delle decisioni prese o subite, credo sia inevitabile, poiché sono calati in situazioni estreme, in cui non possono esimersi dal cercare di dare un senso alla propria esistenza. Penso per esempio al personaggio di Bara, un gangster che, nel momento del suo massimo dramma personale, si trova – suo malgrado, direi – a riflettere su come le esistenze di tutti gli uomini siano intrinsecamente collegate e apparentemente dominate da forze che ci appaiono, in fondo, del tutto incomprensibili:

«Se qualcuno è sopravvissuto a quella tempesta di fuoco, è giusto che sia così. La fortuna è più che un dio tra gli uomini. Perché tutti gli uomini sono solo il risultato della fortuna: la vita è una vincita alla lotteria degli spermatozoi. Tutti nascono unici, sorteggiati fra trecento milioni di girini bianchi. Nascono unici per ritrovarsi circondati da un mucchio di altre persone – tutte vincitrici – aggrovigliate tra loro, intrecciate come i fili dello stesso tappeto. Ma ognuno pensa per sé, tira in una direzione, vuole tracciare il proprio disegno. E allora tiri anche tu, senza sapere nemmeno quale senso abbia quell’ordito. Tu tiri, loro tirano; e all’improvviso è tutto finito. Come se non fosse mai successo.‘fanculo.»

In Io e Henry si percepiva molto del dualismo tra solitudine, fisica o mentale che sia, e condivisione, di vita ed esperienze. Reali o immaginarie che fossero. Ne L’inferno è vuoto invece tutto sembra consumarsi nella lotta infinita ed eterna tra vita e morte. Considerando anche che si parla di personaggi particolari con esistenze borderline, i protagonisti del suo romanzo sono persone che vogliono vivere o morire?

«Possibile che tutti i tuoi discorsi finiscano con la morte?» chiede Bara – uno dei personaggi del romanzo – al suo amico Beccamorto, che gli risponde: «Sembra che la vita funzioni così».

Sicuramente uno dei temi portanti del romanzo è la tensione tra la vita e la morte. I personaggi – che siano gangster, attori o uomini di Chiesa – si trovano costantemente in situazioni di pericolo. Parliamoci chiaro: una pistola puntata alla testa spingerebbe chiunque a fare un bilancio della propria esistenza, e mi intrigava molto l’idea di cogliere i personaggi in un momento di riflessione così estremo. E poi, dopotutto, chi è in grado di cogliere il dramma della fine se non un personaggio letterario? La vita di ognuno di loro – che si concluda con una morte violenta o meno – è destinata a esaurirsi sulla pagina.

Permane la sua volontà e capacità di raccontare aspetti e problemi contemporanei molto seri e attuali attraverso l’uso dell’ironia e dell’autoironia. Nonostante le avventure esilaranti che si avvicendano e si inerpicano nel giro di brevissimo tempo, riesce comunque a dare al lettore margini per riflessioni ponderate. Sono folgorazioni letterarie le sue oppure i suoi scritti rispecchiano un preciso piano di lavoro?

Ogni storia ha il suo modo di essere raccontata. L’inferno è vuoto ondeggia tra commedia e tragedia, e credo che riesca a porre il lettore nel giusto stato d’animo per affrontare le riflessioni a cui fai riferimento: ci si trova di fronte a temi universali, come sono la difficoltà di comprendere il senso della vita e della morte, ma li si osserva dal punto di vista personaggi molto particolari, che spesso stride con il senso comune. Credo che un buon romanzo debba sempre pungolare il lettore, e invitarlo a spingersi un po’ più in là, in luoghi che non pensava di poter raggiungere e che invece sono proprio lì, dietro la pagina.

Sembra esserci molto di autobiografico nel protagonista, aspirante scrittore, Fabio Acerbi e molto di lei scrittore in tutta la storia. Come si inserisce simbolicamente un papa in tutto questo?

Più che a me stesso, il personaggio di Fabio Acerbi – aspirante scrittore, alle dipendenze di un Grande Editore che dispone della sua vita come meglio crede – è ispirato ai tanti giovani che ho visto e vedo affacciarsi nel mondo del lavoro editoriale. Spesso, da fuori, si ha un’idea della Casa Editrice come luogo di cultura per eccellenza, in cui si passa la giornata a discutere di libri e di scrittura, un luogo in cui c’è ancora tanto spazio per il sogno e la fantasia. Ma non è così: le redazioni sono sempre più piccole e i ritmi di lavoro frenetici. E molti si trovano spiazzati.

Per quanto riguarda il papa, non credo che sia un simbolo attinente al mondo editoriale, che infatti occupa solo una piccola parte del romanzo. L’estremo gesto del pontefice si rifà semmai a quella tensione tra vita e morte, inferno e paradiso, salvezza e dannazione di cui abbiamo parlato prima.

Lei popola Roma di personaggi strambi e la anima di persone improbabili le cui rocambolesche vicende solo in apparenza sembrano inverosimili. Viene naturale chiedersi se davvero l’inferno è vuoto?

Non appena Fabio Acerbi mette piede a Roma, riceve una telefonata da un numero sconosciuto. «Chi sei?» chiede. «La tua guida», risponde una voce contraffatta. «Per questo lato dell’inferno».

La maggior parte dei personaggi del romanzo vive una vita immersa nella violenza, fisica o psicologica che sia. Quando si parla di gangster, prostitute e spacciatori, è facile immaginarci la loro esistenza come un oceano di dannazione. Ma, se si estende il discorso anche a personaggi più vicini a noi è impossibile non pensare al Mondo come, quantomeno, all’anticamera dell’inferno. Dappertutto ci sono persone – vecchi, donne e bambini – che vivono per la strada, o addirittura muoiono di fame e in guerre inutili, scatenate dall’avidità e dal disprezzo per la vita di altri uomini come loro, mentre la maggior parte di noi sta a guardare senza fare un bel niente.

In queste condizioni, chi può essere così arrogante da pensare di essere salvo?


Articolo originale qui 


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La Storia come non l’avete mai letta… ma come avreste sempre voluto studiarla. “Manuale distruzione” di Roberto Corradi 

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Esiste una realtà che dipende solo da noi? “Io e Henry” di Giuliano Pesce

06 venerdì Mag 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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GiulianoPesce, intervista, IoeHenry, MarcosyMarcos, romanzo

 

Esiste una realtà che dipende solo da noi? “Io e Henry” di Giuliano Pesce

Da pochi giorni in libreria, Io e Henry (Marcos y Marcos, 2016) di Giuliano Pesce è un libro strutturato su diversi livelli. Sarà il lettore stesso a scegliere se vuol vederci un racconto umoristico, una spy-story o un romanzo che inglobi tutto questo e molto altro ancora. Riflessioni sulla contemporaneità si alternano a soliloqui con la propria mente e alterchi con personaggi reali o immaginari.

Un libro, quello di Pesce, costruito intorno alla constatazione che «se hai un sogno, vale la pena di vivere inseguendolo; se non ce l’hai, non vale la pena di vivere». Tagliaferro, il protagonista, un sogno lo ha ma non è quello che sembra. L’originalità di questo libro sta anche in questo.

Ne abbiamo parlato con Giuliano Pesce in un’intervista.

Io e Henry è un libro con una struttura e una storia originali, a cavallo tra un “finto” romanzo e una semiseria spy-story. Perché questa scelta narrativa?

Potrà sembrare strano, ma il romanzo nasce dalla prima frase. Un giorno ho preso un foglio e ho scritto un aforisma che mi ronzava in testa: «Se hai un sogno vale la pena di vivere inseguendolo; se non ce l’hai, non vale la pena di vivere». Poi, ho aggiunto: «Il vecchio Henry lo diceva sempre». A quel punto mi sono trovato davanti a diverse domande: chi è questo Henry? Perché è “vecchio”? E perché pronuncia una frase simile?

La storia è stata la mia risposta a queste domande, subordinata al bisogno che sentivo di scrivere qualcosa che, oltre che catturare l’attenzione del lettore, fosse anche divertente, da leggere, ma soprattutto da scrivere.

Nel testo sono innumerevoli le citazioni, i paragoni e le similitudini con personaggi o aneddoti tratti da cinema, musica e letteratura contemporanei. Quali sono i motivi alla base di questo stile di scrittura?

Come dicevo, volevo scrivere qualcosa che fosse divertente. Lo stile del romanzo nasce in parte da questo bisogno. E in parte dal fatto che volevo un protagonista che fosse sì un uomo comune, ma che avesse anche un modo tutto suo di vedere il mondo. Così ho riversato in Tagliaferro qualcosa che mi capita di provare spesso. Cioè la sensazione che il mondo di oggi sia una gigantesca bolla di rumore informativo, ripiena di tante, tantissime parole, immagini e suoni, dietro cui è difficile scovare dei veri significati.

Tagliaferro, all’inizio della storia, ha appena perso i pochi appigli che aveva (l’amore, il lavoro, la casa) e cerca disperatamente di trovare nuovi punti di riferimento. Tuttavia, quasi tutto gli sembra già visto, sentito, rimasticato, sputato fuori dalla sua mente ormai sovraccaricata da input esterni, che hanno in un certo qual modo sommerso il suo vero Io. Lo stile che ho adottato serve principalmente a rendere a livello espressivo queste sensazioni che attanagliano il protagonista.

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La vicenda narrata in Io e Henry ruota intorno alla figura del protagonista ma ha come ambiente di riferimento il Centro di salute mentale Villachiara. Pirandello affermava che esistono solo due modi per liberarsi del peso della vita: la morte o la pazzia. Il protagonista vive la sua “alienazione” come una fuga dalla realtà?

La singolarità del mio protagonista, Tagliaferro, è rintracciabile proprio qui. La sua è certamente una fuga da una realtà che non gli piace più. Ma non solo. È anche il tentativo, forse vano, di costruire una realtà nuova, che non sia solo l’incomprensibile somma delle diverse volontà degli individui, gettate alla rinfusa sul piatto della vita. Tagliaferro vuole una realtà che dipenda soltanto da lui. Per questo si mette alla caccia del Registro-01, l’unico strumento in grado di concedergli il potere di cui ha bisogno.

La realtà può spaventare, o fare male. Ma Tagliaferro, grazie a Henry, scopre che a volte la miglior difesa è l’attacco.

Esiste una realtà che dipende solo da noi? “Io e Henry” di Giuliano Pesce

«La sofferenza interiore, la terrificante depressione che ti attanaglia, inevitabilmente, quando ti rendi conto della differenza che esiste (ed esisterà sempre) tra il mondo come lo vorresti e il mondo com’è». Tagliaferro cerca di vincere il suo male di vivere con l’umorismo e la follia?

L’umorismo è sicuramente una componente importante del romanzo. Ma Tagliaferro, pur essendo il narratore, ne è quasi una vittima involontaria. Le situazioni in cui si viene a trovare ondeggiano tra il drammatico e l’assurdo; e l’unico modo che ha per affrontarle è quello di lasciarsi trascinare da questo flusso.

Per quel che riguarda la follia, io non credo che Tagliaferro sia pazzo. A volte penso che i pazzi non esistano neppure. Se consideriamo la vita e i suoi canoni come il risultato della mediazione tra le diverse volontà di tutti gli individui, i folli sono semplicemente coloro che rifiutano di sedersi al tavolo delle trattative. Coloro che, per così dire, preferiscono tentare di far saltare il banco. E Tagliaferro rientra senza dubbio in questa categoria.

Parlando di umorismo la mente rimanda nuovamente a Pirandello. Anche Tagliaferro, come i personaggi del grande drammaturgo, ha una patina di tristezza che trasmette al lettore. Come Pirandello anche lei scrive le sue storie per sfidare il pubblico, per stimolarlo?

Certamente. Io e Henry è un libro che può essere letto su tanti livelli. Può essere gustato come un semplice romanzo umoristico e – mi auguro – avvincente. Ma spero anche che alcune situazioni e certe riflessioni dei personaggi, seppur deformate dalla lente dell’umorismo, possano spingere i lettori a ripensare al mondo di oggi e, soprattutto, al nostro modo un po’ troppo dogmatico di interpretarlo.

«Come ciascuno di noi, anche il protagonista del romanzo è – almeno in parte – il prodotto del costante bombardamento di immagini, suoni, parole a cui ci sottopone il mondo di oggi e che, inevitabilmente, finisce per condizionare il nostro modo di essere, pensare e agire». Siamo dei burattini? E nelle mani di chi?

Uno dei temi principali del libro è proprio questo. E ho cercato di affrontarlo da vari punti di vista, che vanno dal complottismo più esacerbato (ci sono oscuri signori che ci dominano!) all’influenza che il mondo esercita sul nostro Io, passando per alcuni concetti come la Fortuna, il Destino e la Possibilità.

Quanto di nostro riusciamo davvero a provare? E quanto siamo vittime di quello che ci investe dall’esterno?

Sono domande che mi pongo spesso e a cui, purtroppo, non sono in grado di dare una risposta soddisfacente. Spero, però, che il libro possa spingere i lettori a riflettere su tutto questo e, magari, a cominciare a cercare le proprie risposte.

http://www.sulromanzo.it/blog/esiste-una-realta-che-dipende-solo-da-noi-io-e-henry-di-giuliano-pesce

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