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Irma Loredana Galgano

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“Brexit Blues” di Marco Varvello (Mondadori, 2019)

17 domenica Mar 2019

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BrexitBlues, MarcoVarvello, Mondadori, recensione, romanzo

 

L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, avvalorata dal risultato del referendum del 23 giugno 2016, nota come Brexit, ha scatenato valanghe di discussioni pubbliche e politiche sui termini certo ma, soprattutto, sulle conseguenze. Per l’economia come per le tantissime persone che, a vario titolo, hanno attraversato il canale della Manica per studio o lavoro. I termini della loro permanenza sul suolo britannico saranno magari da rivedere ma difficilmente si assisterà a scene così drammatiche come quelle paventate da media e sostenitori del Remain. L’emigrazione, soprattutto per lavoro, è cosa ben precedente la nascita degli accordi dell’Unione europea e quella nel Regno Unito ha riguardato e riguarda tutt’ora non solo e non esclusivamente cittadini comunitari.
Qualcuno potrebbe dire che si farà come si è sempre fatto. Eppure i sostenitori convinti di un’Europa unita e inscindibile sembrano essere addirittura terrorizzati da quello che di certo, a loro avviso, accadrà.

Tutte queste paure Varvello le ha trasformate in storia, nel racconto di una società, quella inglese del post-Brexit, che sembra essere diventata l’incarnazione di una moderna Gomorra dove tutto è portato allo stremo e all’esasperazione. Un’estremizzazione per certo voluta dallo stesso autore per sottolineare il timore di pericoli che possono celarsi dietro cambiamenti troppo repentini radicali e profondi: «Alla fine l’avrebbe spuntata il buon senso, pensavano. Il Remain avrebbe vinto. Magari di misura, ma avrebbe vinto. Gli elettori non avrebbero davvero scelto il salto nel buio».

Le reali tappe storiche e politiche della vicenda principale, il Referendum sulla Brexit, comprese le interviste e le dichiarazioni di politici e opinionisti, fanno da sfondo e da sottofondo alle azioni e alle vicissitudini dei protagonisti delle storie descritte. Il registro narrativo utilizzato dall’autore è semplice, lineare, con una scrittura che rimanda molto al parlato comune, nell’uso di frasi brevi, di un linguaggio non particolarmente ricercato e nell’impiego di espressioni di largo utilizzo.
C’è una sensazione di malessere continuo che accompagna le storie e i protagonisti fin dalle primissime battute. Una sorta di blues narrativo che solo in apparenza si può ricondurre al Referendum e al suo risultato. In realtà, più si va avanti con la lettura più in chi legge si rafforza la convinzione che questo mal di vivere sia legato alle vite, alle esistenze e al vissuto quotidiano, su cui potrà magari incidere e influire anche questo nuovo grande evento ma che rimarrebbe e persisterebbe in ogni caso.

In Brexit Blues Marco Varvello sceglie di alternare capitoli in cui racconta le varie storie e parti nelle quali invece esprime il suo personale parere, anche sulle medesime vicende appena narrate. È una scelta stilistica molto azzardata, il lettore non riesce fino in fondo a legare tutte le varie narrazioni e, soprattutto, si chiede il motivo per cui si è scelto di spezzettare in questo modo il libro. L’intento principale di Varvello sembra, alla fin fine, quello di raccontare la sua opinione su quanto sta accadendo nel Regno Unito e le parti in cui lo fa in effetti travalicano per interesse quelle in cui la narrazione segue gli eventi e le vicende di sconosciuti.

Il libro di Varvello appare molto più simile a una memoria di ricordi e opinioni personali dell’autore che non a un romanzo, un reportage giornalistico o un saggio critico. Sono le idee e le tesi dell’autore a farla da padrone nel testo e sono sempre queste a rimanere impresse nella mente di chi legge, molto più delle tante storie raccontate, vere o presunte che siano.
Il Regno Unito e gli inglesi, molti di loro almeno, non temono la Brexit perché forse è proprio vero che «questo Paese è globale. Da secoli vive oltre la dimensione europea». Colonizzatori, avventurieri e conquistatori. Sovrani e mai sudditi. Forse non è tanto la Brexit a spaventare così tanto quanto il fatto che, in realtà, il Regno Unito non è mai entrato davvero nell’Unione Europea, non fino in fondo almeno.


Articolo originale qui


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Una lunga e oscura vicenda di sangue e potere: “Storia segreta della ‘ndrangheta” di Gratteri e Nicaso (Mondadori, 2018)

12 martedì Mar 2019

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AntonioNicaso, Italia, mafia, Mondadori, NicolaGratteri, recensione, saggio, Storiasegretadellandrangheta

Uscito in prima edizione a ottobre 2018, con la casa editrice Mondadori, Storia segreta della ‘ndrangheta di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso è un testo corredato e arricchito di riferimenti a fonti certe e documentali. Un resoconto storico che ahinoi forse non entrerà mai a far parte dei libri di storia, maggiormente se scolastici. Con il rischio, o meglio la certezza che i ragazzi continueranno ad apprendere delle mafie secondo stereotipi aridi e inutili o, peggio ancora, in maniera mitizzata attraverso tv, cinema e videogame.

Nel testo vengono descritti con dovizia di particolari i legami che hanno unito, fin dagli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, i boss calabresi con quelli siciliani, della “Nuova Camorra organizzata” di Napoli e la banda della Magliana a Roma.

Gratteri e Nicaso dedicano quasi un intero capitolo alla descrizione del radicamento della ‘ndrangheta in varie e numerose regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, NordEst e Centro Italia), nonché l’espansione in Europa e nel resto del mondo. A smontare, o almeno tentare di farlo, i luoghi comuni che vogliono la corrispondenza perfetta tra mafie e Sud Italia, tra Terra dei fuochi e Campania.
Sono ormai disparate e diffuse le inchieste che hanno portato ad arresti e processi per mafia al Nord ma quella «destinata a rimanere nella storia» è Crimine-Infinito, scattata nel 2010. Un’indagine sviluppatasi su un doppio fronte: lombardo e calabrese. Servita a «individuare e colpire decine di ‘ndranghetisti radicati in Lombardia» e a cambiare «la percezione della ‘ndrangheta».

Tra passato e presente, in sostanza, c’è una sola differenza: «ieri la ‘ndrangheta era ritenuta forza eversiva, oggi è sempre più governo del territorio». Un tempo era il boss ad andare a casa del politico a chiedere assunzioni o favori, oggi «è il politico che va a casa del boss a chiedere pacchetti di voti». I consigli comunali calabresi sciolti per mafia sono stati «3 nel 2016, 12 nel 2017 e 8 nei primi otto mesi del 2018».

Ciò che colpisce durante la lettura di Storia segreta della ‘ndrangheta, oltre la grande capacità di narrazione e sintesi degli autori, è il ritrovare delle sconcertanti somiglianze con quanto accade nel tempo, nella storia appunto, come anche nell’attualità della cronaca.
A seguito del terremoto del 28 dicembre 1908, che ferisce duramente Reggio Calabria e Messina, il Parlamento stanzia un finanziamento di 100milioni di lire per la ricostruzione. «Subito dopo il terremoto, molti calabresi annusano l’affare della ricostruzione».
E poi arrivano gli anni in cui «si ricorre al tritolo per taglieggiare le imprese che si aggiudicano i lavori dell’ultimo tratto dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria». Del resto, sono oltre 170 i miliardi previsti per la realizzazione dell’opera. Una cifra enorme, «alla quale si aggiungono i fondi della legge Pro-Calabria», 345miliardi stanziati dal governo per opere di sistemazione idraulico-forestale.

Nell’intento degli autori c’è la volontà di raccontare la storia della ‘ndrangheta per conoscerne gli aspetti più reconditi, per capire quanto sia in realtà necessario «combatterla, spezzando quel grumo di potere che continua ad alimentarla». Perché la ‘ndrangheta è «una sorta di mostruoso animale giurassico» che non si estingue perché «sono ancora in tanti a proteggerla, a tutelarla, a cercarla e a legittimarla». Non si può non convenire con Gratteri e Nicaso allorquando, nelle conclusioni del libro, affermano che servirebbe un «nuovo sentimento etico-politico», in grado di coinvolgere individui e gruppi, élite e popolo su obiettivi comprensibili «per rendere sconveniente la scelta dell’illegalità».


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa della casa editrice Mondadori per la disponibilità e il materiale.


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“Lo chiamano populismo ma è resilienza di democrazia”. Analisi del decennio di crisi economica che ha cambiato il mondo ne “Lo schianto” di Adam Tooze (Mondadori, 2018)

04 martedì Set 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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AdamTooze, Loschianto, Mondadori, monocolooccidentale, NWO, Occidente, Oriente, recensione, saggio, terrore

Cento anni dopo il primo conflitto mondiale i governi e i popoli dell’intero pianeta si pongono i medesimi interrogativi, di nuovo.
Come si accumulano rischi enormi, poco compresi e poco controllabili? In che modo quadri di riferimento anacronistici e obsoleti ci impediscono di capire cosa sta succedendo intorno a noi? Il motore di ogni instabilità è forse lo sviluppo disomogeneo e combinato del capitalismo globale? Possiamo raggiungere una stabilità e una pace perpetue?
Di nuovo, le medesime domande perché sono queste che «accompagnano le grandi crisi della modernità».

In Crashed, edito in Italia da Mondadori ad agosto 2018 nella versione tradotta da Chiara Rizzo e Roberto Serrai e intitolata Lo schianto, Adam Tooze analizza gli ultimi dieci anni, dal 2008 al 2018, dalle origini della crisi prima finanziaria poi economica che ha investito, a quanto hanno detto, a più riprese l’intero sistema globale. Per la gran parte menzogne o giustificazioni a provvedimenti che i governanti hanno ritenuto essere improrogabili. Per gestire la crisi dell’eurozona dopo il 2010, per esempio, condotta seguendo una logica che non è stata altro che «una ripetizione dei salvataggi bancari del 2008, ma questa volta sotto mentite spoglie».

E così, mentre ai contribuenti europei venivano richiesti enormi sacrifici, i medesimi chiesti in precedenza ai cittadini americani, «banche e altri istituti di credito erano pagati col denaro riversato nei paesi che beneficiavano del salvataggio». Tutto perché al centro della crisi eurozona venivano messe le politiche del debito sovrano. «Come i responsabili della UE sono ora disposti ad ammettere pubblicamente», questo non aveva alcun fondamento sul piano economico. La sostenibilità del debito pubblico può diventare un problema, a lungo termine. La Grecia, per esempio, era insolvente. Ma l’eccessivo debito pubblico non era il denominatore comune della più ampia crisi dell’eurozona. Il denominatore comune era «la pericolosa fragilità di un sistema finanziario eccessivamente legato all’indebitamento» e troppo dipendente «da finanziamenti a breve termine basati sul mercato».

La Federal Reserve statunitense si è proposta fin da subito come fornitore di liquidità di ultima istanza per il sistema bancario globale. Ma cosa vuol significare davvero il fatto che la finanza e l’economia globali dipendono, in ultima istanza, dalla decisioni del governo americano?
La crisi dei mercati emergenti (Messico, Corea, Thailandia, Indonesia, Russia, Argentina) degli anni Novanta ha mostrato a tutto il mondo «con quanta facilità uno Stato possa perdere la propria sovranità». Nel 2008, «nessuna delle vittime degli anni Novanta» è stata costretta a ricorrere al Fondo monetario internazionale. Una lezione che i paesi dell’eurozona sembrano non aver imparato neanche ora.

La crisi nell’eurozona è stata affrontata in maniera disomogenea, «una confusione di visioni contrastanti» che hanno portato alla messa in scena di un «dramma sconfortante di occasioni mancate, di fallimenti nella leadership e di fallimenti nelle azioni collettive». Generando un danno sociale e politico da cui «il progetto della UE potrebbe non riprendersi mai più».

La crisi finanziaria ed economica del 2007-2013 si è trasformata, tra il 2013 e il 2017, «in una crisi politica e geopolitica globale dell’ordine mondiale uscito dalla guerra fredda», le cui ovvie implicazioni politiche «non dovrebbero essere schivate». Pulsioni di rinnovamento e aneliti di cambiamento sono giunti da ogni parte ma «contro la sinistra le brutali tattiche di contenimento hanno fatto il loro lavoro». Si pensi a quanto accaduto, per esempio in Grecia. Invece non altrettanto è accaduto per la destra che ha resistito ed è avanzata nel consenso e nella determinazione. Si pensi a quanto sta accadendo, per esempio, in Austria.

Questa «nuova politica» del periodo successivo alla crisi è stata demonizzata come populismo, trattata alla stregua degli anni Trenta o attribuita alla «malvagia influenza della Russia», invece va osservata, sottolinea Tooze, come un segno della vitalità della democrazia europea davanti al «deplorevole fallimento dei governi» riassumibile forse nelle parole di Jean-Claude Juncker citate nel testo: «Quando le cose si fanno serie, bisogna mentire».

La tesi portata avanti da Tooze ne Lo schianto è di collocare la crisi bancaria nel suo contesto più ampio, politico e geopolitico, oltre che, naturalmente, finanziario ed economico perché è necessario «confrontarci con l’economia del sistema finanziario». La narrazione offerta dall’autore tenta di mostrare «la percezione dall’interno del funzionamento – o del non funzionamento – della circolazione del potere e del denaro» e di chiarire le dimensioni dell’interdipendenza del sistema globale nonché «l’estrema dipendenza del sistema finanziario globale dal dollaro». E l’importanza delle conseguenze di tutto ciò. Per tutti.


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Un viaggio nella Letteratura tra miti e leggende in “Morfisa o l’acqua che dorme” di Antonella Cilento (Mondadori, 2018)

23 martedì Gen 2018

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AntonellaCilento, Mondadori, Morfisaolacquachedorme, recensione, romanzo, romanzostorico


Fresco di stampa per Mondadori il nuovo romanzo di Antonella Cilento, Morfisa o l’acqua che dorme, si apre al lettore con tre intense citazioni d’autore. Lente e profonde, come il testo stesso della Cilento.

Uno stile narrativo, quello dell’autrice, molto più vicino, per indole e carattere, agli scrittori citati (Montero, Tomasi di Lampedusa, Croce) che agli scrittori, o meglio ai narratori di oggi.

Leggere le storie della Cilento è un’immersione, ogni volta sempre più intensa, nella Letteratura con l’iniziale maiuscola. Quell’universo che ha appassionato tanti lettori e tanti critici, di ogni epoca ed età. Libri che sono mondi da esplorare. Personaggi che sono guide, esempi, eroine ed eroi, paria e rinnegati… ma sempre e comunque interessanti. Illuminanti. Personaggi che sono, anche, animali bizzarri, strambi, nani e gobbi e popolano tutti la città senza tempo dove l’autrice è nata e lavora.

Una città, Napoli, nella quale sacro e profano si mescolano da sempre in un fluido inscindibile che travolge mito e realtà e rende unica la città, i suoi abitanti e la loro storia.

Tra miti e mitologia, personaggi strambi e animali bizzarri, vicende del presente e del passato trovano spazio, nel testo della Cilento, anche scene che rimandano al teatro popolare che ha contribuito a creare la storia e la cultura della città partenopea. Sceneggiate come quella di Nennella che rifiuta di sposare l’uomo per lei scelto dal padre. Un “buon partito” che lei rinnega perché nzevuso. Ma Egidio, accecato dai denari del promesso sposo questa puzza proprio non la sente, fiutando solo il profumo di un matrimonio che sarebbe l’unione di sua figlia con «una miniera d’oro». Scene che rimandano al teatro di Scarpetta e De Filippo, un genere tanto popolare quanto amato, nel suo amaro realismo.

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Una vera e propria magia che scaturisce dall’incontro e dalla fusione degli opposti, il serio e il faceto, il sacro e il profano, il mare e la montagna vulcano di nome Vesuvio che guarda tutti e sembra minacciarli col suo sguardo di fuoco. Uno sguardo immutato nei secoli. Un legame che ha reso immortale questa cultura. La medesima dalla quale la Cilento attinge con bramosia informazioni e spunti di riflessione. In questo testo preferendo il periodo, come lei stessa sottolinea, di una Napoli senza dominatoriné conquistatori. Il Ducato, noto ai più come bizantino ma «di fatto indipendente». Una scelta che la Cilento motiva come un sogno di lunga data ma che per realizzarsi necessitava forse di tutto il tempo intercorso. Tempo che l’autrice ha impiegato a documentarsi e istruirsi. E si ritrova tutta la sua meticolosa ricerca nel testo, nelle descrizioni, nelle narrazioni.

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Non è mai facile, e forse neanche necessario, inquadrare le storie e la scrittura della Cilento. Del resto, per sua stessa ammissione, non hanno mai un rigido percorso prestabilito. Si plasmano a seconda delle notizie, delle informazioni, delle esperienze, delle conoscenze che l’autrice assorbe e studia, modellando poi, pagina dopo pagina, intreccio, personaggi e stile narrativo. Il tutto tenuto assieme forse più che dal narrato, proprio dal linguaggio che sale e scende a seconda dei personaggi e delle scene, come il cavo d’acciaio che segue e al contempo trattiene trapezisti e acrobati.

 

Un libro che entusiasma il lettore sia quando il linguaggio è aulico sia quando ricorda la vulgata dei vichi e dei vasci. Un testo, Morfisa o l’acqua che dorme che certo non può essere inteso come romanzo commerciale e che forse proprio per questo è meritevole di una larghissima diffusione.


Per la prima foto, copyright: Théo Roland.


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Periferie, rave, festini e multietnicità in “Terremoto” di Chiara Barzini (Mondadori, 2017)

14 sabato Ott 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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ChiaraBarzini, intervista, Mondadori, RinnovamentoCulturaleItaliano, romanzo, Terremoto

Periferie, rave, festini e multietnicità in “Terremoto” di Chiara Barzini

Quanto si somigliano in realtà America e Italia? E quanto invece sono dissimili? Coraggio e un pizzico di incoscienza sono la giusta prospettiva per evolvere nella vita e nella crescita personale? Chiara Barzini al suo esordio letterario ha cercato di condensare in Terremoto questo e molto altro ancora.

Ne abbiamo parlato in un’intervista a ridosso dell’uscita in Italia per Mondadori della versione italiana di Things That Happened Before The Earthquake.

Things That Happened Before The Earthquake, che in Italia è diventato semplicemente Terremoto, sembra voler mettere in relazione non solo due realtà, quella italiana e quella americana, ma anche i diversi modi di viverle. Cosa si era prefissa di “raccontare” in questo suo esordio letterario?

Da sempre osservo queste due culture così diverse tra di loro e le metto a contrasto, ma l’idea principale era quella di raccontare la storia di un gruppo di outsider che provano a fare il loro meglio per essere accettati (o rifiutati). Volevo raccontare le vulnerabilità e le paure di chi vive al di fuori dalla “azione principale”.

Il registro narrativo, al pari dello stesso narrato, è forte, deciso, a tratti provocatorio. È stata una scelta voluta oppure conseguenza della trama e del suo sviluppo?

Penso che la voce di Eugenia che racconta la sua storia debba essere decisa perché in qualche modo glielo richiede l’ambiente che la circonda. È un ambiente “forte” al quale per sopravvivere bisogna rispondere in maniera forte.

Periferie, rave, festini e multietnicità in “Terremoto” di Chiara Barzini

Quanto si sente o si è sentita simile e vicina a Eugenia, la protagonista di Terremoto? E in cosa invece non potreste essere più dissimili?

Siamo simili in certe cose “scellerate”, ma Eugenia è una versione molto più sicura di sé rispetto a come ero io. È un concentrato bionico. Volevo che fosse un’antieroina e volevo accompagnarla anche attraverso le scelte più sbagliate. Perchè da adolescenti si compiono gli errori migliori ed è giusto che sia così.

Periferie difficili da abitare, rave, festini, multietnicità sociale sembrano i temi centrali del libro. In base alla sua esperienza, quanto l’Italia di oggi ha finito per somigliare all’America degli anni Novanta?

Non vedo molta somiglianza tra l’Italia di oggi e l’America degli anni Novanta. In America, in quegli anni soprattutto––purtroppo dall’11 settembre molto meno e con Trump ancora peggio–– le minoranze etniche possono evolversi sia socialmente che economicamente. Qui si tende a isolare le minoranze e a rilegarle sempre negli stessi ruoli. La legge sulla cittadinanza statunitense prevede lo ius soli, qui è assurdo che ne stiamo ancora a parlare.

Periferie, rave, festini e multietnicità in “Terremoto” di Chiara Barzini

Da giovanissima ha lasciato l’Italia per gli States con la sua famiglia. Cosa ha comportato questo cambiamento e lo rifarebbe senza rimpianti?

Sicuramente è stato un trauma in quel momento, ma non ho alcun rimpianto. Rispetto i miei genitori per essere stati così coraggiosi. Ora che sono una madre, mi accorgo di quanto sia difficile prendere rischi, soprattutto per la nostra generazione che è cresciuta con genitori più o meno sessantottini e a volte un po’ incoscienti… Ma lo spirito di avventura che hanno avuto loro in quel momento è stato prezioso per la mia crescita.

Terremoto, già uscito nella versione americana, sta riscuotendo svariati consensi. Cosa si aspetta dal mercato e, soprattutto, dal pubblico italiano?

Spero che il pubblico italiano lo legga senza pregiudizi e a cuore aperto. È stato scritto con una grande dose di onestà emotiva ed è il mio primo romanzo quindi mi sento particolarmente vulnerabile.

Periferie, rave, festini e multietnicità in “Terremoto” di Chiara Barzini

Insieme a Francesco Pacifico, ha curato anche la traduzione in italiano del libro. Com’è stato tradurre se stessa? Ha mai avuto la tentazione di riscrivere alcune parti?

La traduzione mi ha sopresa perchè ero sicura che il libro avrebbe cambiato forma in italiano invece sono felice perchè penso che ci sia tutto lo spirito della versione originale. Questo è stato molto liberatorio. Qualche parte è stata riscritta in effetti. Ho pensato fosse importante scegliere di cambiare alcuni toni ed evidenziare alcune sfumature culturali americane per il pubblico italiano in modo da spiegare anche delle cose di quel paese. Per quello americano sono andata più a fondo sui dettagli culturali italiani in modo che anche loro potessero capire.


Per la prima foto, copyright: Frank Köhntopp.

Per le foto di Chiara Barzini, copyright: Jeannette Montgomery Burron.

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Grandi filosofi e fenomeni culturali di massa, la “pop filosofia” delle serie tv. Intervista a Tommaso Ariemma

02 mercoledì Ago 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Aristotele, filosofia, intervista, Kant, Lafilosofiaspiegataconleserietv, Mondadori, Nietzsche, popfilosofia, serietv, Spinoza, TommasoAriemma

Grandi filosofi e fenomeni culturali di massa, la “pop filosofia” delle serie tv

La filosofia e i suoi grandi rappresentanti appartengono al passato o al futuro? Per Tommaso Ariemma, docente universitario ora dedito all’insegnamento liceale, la filosofia si studia con le serie televisive che tanto piacciono ai ragazzi proprio perché incentrate su aspetti determinanti del filosofare che attirano l’attenzione del pubblico, in questo caso degli studenti. Ed ecco che nasce la “pop filosofia” che attrae ragazzi e insegnanti ma anche qualche critica.

Ne abbiamo parlato in un’intervista con Tommaso Ariemma, autore de La filosofia spiegata con le serie tv edito da Mondadori.

Per “svecchiare”, mi consenta il termine, una materia dai più ormai considerata “antica” lei ha inventato un metodo alquanto singolare. Perché e da dove ha origine l’idea?

L’idea ha innanzitutto origine dalle mie ricerche filosofiche, maturate negli anni di insegnamento universitario presso le Accademie di Belle Arti di Perugia e di Lecce come titolare della cattedra di Estetica. Lì ho potuto studiare attentamente molti fenomeni della cultura di massa, come le nuove serie tv, pubblicando numerosi volumi in merito. Una volta entrato a scuola, ho pensato di applicare la mia “pop filosofia” ai programmi liceali, con risultati sorprendenti soprattutto in termini di attenzione e partecipazione dei ragazzi. Si è trattato di applicare le mie competenze filosofiche, ma anche di un felice incontro con la passione dei ragazzi per le nuove serie tv.

La Filosofia si sposa alle serie tv come si adatta a ogni aspetto della vita e della quotidianità?

Si può fare filosofia di qualsiasi cosa. Tuttavia, le nuove serie tv come Lost, Breaking Bad, True Detective sono singolari proprio per la filosofia (o le filosofie) che veicolano. La componente filosofica è determinante, al punto da attirare enormemente l’attenzione del pensiero (e il desiderio di seguire dello spettatore). C’è quindi oggi un’affinità elettiva tra filosofia e serie tv che va colta. Usata in classe, rivoluziona in modo inaspettato la didattica.

Grandi filosofi e fenomeni culturali di massa, la “pop filosofia” delle serie tv

Gli antichi ci insegnano che fare politica equivale a vivere perché ogni scelta che compiamo, dalla più banale alla più complessa, è una scelta politica, consapevole o inconsapevole. Filosofare è un po’ come fare politica secondo lei?

Non si può vivere senza una filosofia più o meno spontanea. Le nostre scelte, la nostra vita, sono orientate da pensieri. Lo studio della filosofia porta a perfezionare i pensieri che ci permettono di orientarci nel mondo. E quindi a renderci più vivi.

Come hanno accolto i suoi alunni l’innovativo quanto originale metodo di studiare i grandi filosofi?

All’inizio i ragazzi sono stati colti di sorpresa: non si aspettavano lezioni di filosofia così vicine al loro immaginario. In un secondo momento, non ne hanno più potuto fare a meno. Soprattutto non hanno potuto più fare a meno di intendere le ore di filosofia come un momento di produzione e trasformazione. L’insegnamento con le serie tv è infatti solo la punta dell’iceberg: studiando insieme i meccanismi alla base della nuova serialità (e uno fra tutti: la Poetica di Aristotele), i miei ragazzi sono invitati a produrre testi transmediali, ebook, video performance, ovvero a mettere in atto (davvero, questa volta) quella “scuola digitale” tanto promossa da governo, quanto poi inattuata per tutta una serie di motivi, come lo scollamento dalla concreta pratica didattica dei formatori. Io quest’anno ho tenuto delle prime lezioni di formazione sul mio metodo “pop filosofico” e ho riscontrato un grande entusiasmo.

Grandi filosofi e fenomeni culturali di massa, la “pop filosofia” delle serie tv

E i suoi colleghi invece come hanno reagito alle sue scelte didattiche?

Bene, in generale. Sono in tanti, da tutte le scuole italiane, a chiedermi suggerimenti e confronti su questa sperimentazione pop. C’è ancora però qualche diffidenza, ma solo da parte di colleghi che hanno, a mio parere, un’idea molto sterile (e in alcuni casi imbarazzante) dell’insegnamento della filosofia: irrigidito su contenuti arretrati, senza confronto con il testo del filosofo e senza una sua attualizzazione problematica. Per applicare il metodo pop c’è bisogno di fare ricerca, di sperimentazione e soprattutto del desiderio di far crescere tutta la classe, senza lasciare nessuno indietro. Alcuni docenti hanno ancora il mito del programma (che, tra le altre cose, con il metodo pop viene davvero svolto fino al contemporaneo), secondo cui bisogna andare “avanti”. Ma dove? Io voglio, invece, che i miei studenti siano “avanti”.

Tre nomi tra i più noti: Nietzsche, Kant e Spinoza. In quali serie televisive bisogna andarli a cercare e perché?

Non credo che si tratti semplicemente di “andarli a cercare”. Spesso sono loro stessi a manifestarsi: come Parmenide o Nietzsche in True Detective, o Spinoza in The Young Pope. I filosofi vengono esplicitamente citati. Ma si possono fare anche interessanti esperimenti mentali, come accade nel mio libro: immaginare, ad esempio, Kant sull’isola di Lost. In questo modo non rinunciamo alla complessità, anzi la moltiplichiamo. Con il risultato di rendere il tutto ancora più avvincente e interessante per i ragazzi.

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Qual è la strada per sconfiggere il terrorismo? Intervista a Benedetta Berti

10 venerdì Feb 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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BenedettaBerti, Comunicazione, intervista, Lafinedelterrorismo, Mondadori, Occidente, Oriente, paura, terrore, Terrorismo, violenza

Qual è la strada per sconfiggere il terrorismo? Intervista a Benedetta Berti

Il 31 gennaio 2017 esce con Mondadori La fine del terrorismo di Benedetta Berti, nella versione tradotta da Teresa Albanese. TED Senior Fellow e ricercatrice al Foreign Policy Research Institute e al Modern War Institute a West Point, Benedetta Berti ha trascorso gli ultimi dieci anni “sul campo”, in luoghi impervi e pericolosi a studiare la nascita e l’evoluzione dei gruppi armati ribelli, politici e/o terroristici allo scopo di capirne l’essenza. Questa la via da lei stessa indicata nel libro per riuscire a “superarli”. Una sconfitta che passa attraverso la conoscenza e l’analisi di fatti e dati, non mediante il caos ingenerato dalla paura.

Nell’era della digitalizzazione e della globalizzazione infinite sono le “informazioni” che circolano su terrorismo e anti-terrorismo, notizie spesso falsate faziose o imprecise. Per questo e anche per altre motivazioni la Berti sostiene che sia necessario riportare tutto alla linearità di una conoscenza basata su dati certi, informazioni sicure e analisi che siano fedeli alla realtà dei fatti. Solo in questo modo si riuscirà a comprendere il fenomeno terroristico e forse anche a superarlo.

Ne abbiamo parlato nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.

L’introduzione a La fine del terrorismo si apre al lettore con una citazione di Diego Gambetta. Parole forti, immagini tanto chiare quanto cruenti di ciò che mafia e Isis rappresentano o intendono rappresentare.  A cosa “servono” o “possono servire” mafia e Isis per l’Italia e l’Occidente?

Più che a “servire” all’Italia o all’Occidente, credo che il punto fondamentale sia che, oggi come in passato, gruppi armati violenti di matrice religiosa, politica o criminale sfruttano e traggono vantaggio dalla loro reputazione violenta. Più questi gruppi vengono analizzati e descritti come brutali, irrazionali e misteriosi, più ci sembrano minacciosi. Quello che non possiamo capire o spiegare ci fa inevitabilmente paura, questo però è un circolo vizioso: la paura non ci aiuta a capire, né tantomeno a fare le scelte più giuste ed efficaci per la nostra società e sicurezza. Allora, credo che sia importante andare oltre. Oggi come ieri, per capire ISIS così come le organizzazioni criminali nostrane, dobbiamo andare oltre la reputazione e il velo di mistero e analizzare le logiche interne, organizzative, politiche ed economiche di questi gruppi.

Qual è la strada per sconfiggere il terrorismo? Intervista a Benedetta Berti

La chiave di lettura da lei indicata per una maggiore comprensione delle «attuali tendenze nella violenza politica e nel terrorismo internazionale» è la comprensione in «termini semplici e razionali». Perché ritiene necessario seguire questa strada?

Perché, oggi più che mai, ci troviamo di fronte a un mondo caotico dove, tra sensazionalismo, informazioni disorientanti e decine di versioni contrastanti, diventa quasi impossibile capire che cosa stia davvero succedendo quando si parla di terrorismo e violenza politica. In questo contesto, credo sia importante cercare di spiegare le dinamiche globali legate alla violenza politica: dall’ascesa al declino dell’ISIS, alle nuove forme di terrorismo “autoctono” partendo da dati solidi e da un’accurata analisi del contesto storico, politico e geo-politico. Nel libro cerco di descrivere le complesse ragioni che hanno portato a una crescita del terrorismo a livello mondiale e anche di capire come i gruppi armati – come ISIS ma non solo – sono in grado di sfidare stati con maggiori risorse finanziarie e militari. Nel fare questo, mi propongo di spiegare la logica militare, politica ed economica di questi gruppi. Non per volerne giustificare le azioni, ma semplicemente perché capire la logica e la strategia della violenza politica odierna in modo semplice e razionale ci aiuta ad avere un dibattito pubblico basato sui fatti e non sulla paura; ci aiuta a trovare politiche più efficaci e a non essere manipolati.

Quali sono le immagini stereotipate relative ai gruppi armati che maggiormente influenzano l’opinione pubblica e l’operato dei governi?

Ce ne sono molte; e avendo passato gli ultimi dieci anni “sul campo” studiando i gruppi armati (in Medio Oriente, America Centrale, Latina, Africa orientale e altrove) credo che uno dei problemi principali sia la tendenza a sottovalutare l’evoluzione dei gruppi armati moderni, oltre alla facilità con la quale si fa di tutta l’erba un fascio, senza soffermarsi su come diversi contesti producano distinte dinamiche di violenza politica. In particolare, sottovalutare questi gruppi non aiuta a capirli meglio, né tantomeno a contrastarli. Per esempio, tendiamo a non prestare sufficiente attenzione alle motivazioni economiche e ai modelli finanziari usati dai gruppi armati; questo però ci porta a trascurare una delle componenti fondamentali della loro strategia e, spesso, del loro successo. Nel libro, anche attraverso esempi e storie ottenute in anni di ricerca, racconto di come molte organizzazioni terroristiche abbiano sviluppato complessi modelli di business, impegnandosi in attività economiche lecite e illecite, sfruttando la globalizzazione per aumentare la loro ricchezza. Ancora più interessanti sono le dinamiche di “governance” e le “politiche sociali” di questi attori violenti; per non parlare poi delle attività di marketing e comunicazione.

Qual è la strada per sconfiggere il terrorismo? Intervista a Benedetta Berti

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Quali sono i punti in comune e quali invece le divergenze tra la violenza politica di oggi e quella del passato?

Il libro parte dal semplice ma importante fatto che l’uso delle armi, della violenza e del terrorismo non sono tattiche nuove. Ci sono però numerose differenze tra gruppi terroristici “tradizionali” – come ad esempio le Brigate Rosse – e le principali organizzazioni violente attive negli ultimi due, tre decenni. Un punto fondamentale è che il contesto è cambiato: i gruppi armati non-statali, da organizzazioni terroristiche a milizie, sono sempre più spesso i protagonisti dei conflitti armati, che oggi avvengono prevalentemente a livello di guerre civili, interne e/o irregolari. Inoltre, nel libro guardo attentamente anche a come i processi di globalizzazione e di crisi degli stati abbiano offerto l’opportunità a molti gruppi armati di aumentare il loro potere, il loro status e le loro capacità di esercitare controllo sulla popolazione civile. Si può anche aggiungere che i gruppi armati moderni – sia di stampo politico che criminale – tendano ad essere più globali, più orientati ad agire attraverso complesse reti di alleati e partner, anche grazie all’accesso alle nuove tecnologie militari e di comunicazione. Negli anni dopo l’11 settembre, anche le dinamiche e le tattiche del terrorismo globale sono cambiate, e nel libro cerco di analizzare il come e il perché questo sia avvenuto.

È vero che un’organizzazione come l’Isis è riuscita ad affermarsi e a crescere sempre più perché si è sostituita e ha in parte sopperito alle carenze di governi corrotti e inefficienti?

Sicuramente sì.  Quando guardiamo alla mappa della violenza politica a livello mondiale, troviamo senza dubbio un nesso tra stati deboli inefficienti e caratterizzati da violenza interna e l’ascesa di gruppi armati che si propongono come un’alternativa allo stato e al sistema politico. Dall’ISIS ai Talebani, un contesto di guerra insicurezza repressione corruzione ha creato terreno fertile per questi attori violenti. Inoltre, non c’è dubbio che, almeno nelle prime fasi della sua espansione, anche un gruppo repressivo e violento come ISIS ha dedicato energie nel cercare di guadagnarsi una parvenza di legittimità, utilizzando per esempio l’inefficacia dello stato e cercando di sopperire a queste carenze come ad esempio la manutenzione stradale, la distribuzione del pane, per citarne solo alcune, rafforzando così la pretesa di essere uno “stato” di nome e di fatto.

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Quale sarà il futuro della violenza politica e quale quello di chi cerca di combatterla?

Anche se è impossibile sapere che cosa ci aspetterà nel futuro, credo che un’analisi attenta della realtà ci possa aiutare a capire alcune delle sfide in materia di violenza politica in generale e terrorismo in particolare. Per esempio, tutto indica che il ginepraio che caratterizza la situazione mondiale: insicurezza, inefficienza dello Stato, corruzione e repressione continuerà ad aiutare gruppi insurrezionali a emergere, e che la diffusione di nuove tecnologie militari e di comunicazione contribuirà alla maggiore pericolosità di molti di questi gruppi. Questa analisi sembra suggerire anche che contrastare il terrorismo dovrà essere sempre di più un’attività complessa e integrativa, a livello militare e di forza pubblica, ma anche sociale politico economico e culturale.

http://www.sulromanzo.it/blog/qual-e-la-strada-per-sconfiggere-il-terrorismo-intervista-a-benedetta-berti

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Cosa siamo diventati? Migrazioni, umanità e paura in “Lacrime di sale” di Bartolo – Tilotta (Mondadori, 2016)

09 giovedì Feb 2017

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flussimigratori, immigrazione, Italia, Lacrimedisale, Lampedusa, LidiaTilotta, migranti, Mondadori, PietroBartolo, recensione, romanzo

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Cosa siamo diventati? Si chiede Pietro Bartolo, il medico lampedusano che da oltre venticinque anni accoglie i migranti, li cura e li ascolta. Quelle storie, o meglio quelle vite si sono fuse alla sua e sono diventate un libro e anche un film documento. Una testimonianza, come sottolineano i due autori, che rappresenta anche un grande esempio di coraggio e impegno civile. Che doveva diventare un monito «contro l’indifferenza di chi non vuol vedere». Doveva. Ma così non è stato, con grande rammarico di Pietro Bartolo il quale, dopo il primo entusiasmo per i riconoscimenti a Fuocoammare e la diffusione di Lacrime di sale, ha realizzato che chi doveva concretamente recepire il messaggio non lo ha fatto e chiusure barriere muri confini indifferenza… non hanno fatto che aumentare. «Nessuna pietà». E lui ha realizzato di continuare a «combattere una battaglia senza speranza contro chi vuole eliminare il problema semplicemente cancellandolo».
Il “problema” sono i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, le donne e gli uomini, le famiglie e gli orfani che ogni giorno raggiungono le coste italiane a bordo dei mezzi di soccorso che li hanno strappati alla morte come i corpi di coloro che non sono stati altrettanto “fortunati”. Persone che nell’indifferenza generale diventano prima sbarchi e poi numeri, tanti numeri. Cifre così imponenti da diventare fastidiose oltraggiose e di recente addirittura pericolose. Per il terrorismo. Certo. Pietro Bartolo che da un quarto di secolo accoglie migranti non parla di terroristi e terrorismo ma di persone che hanno bisogno di aiuto. Persone che fuggono dalla guerra, dalla povertà… e lo fanno per cercare di rifarsi una vita o per salvare coloro che invece sono rimasti, i famigliari che li hanno visti partire verso luoghi che a loro devono sembrare quasi magici, dove si mangia ogni giorno, più volte al giorno e soprattutto dove nessuno ti spara addosso senza motivo.
Ma queste persone che sono apparse fastidiose agli europei quando hanno conquistato i loro Paesi continuano a essere considerate tali anche e maggiormente ora che si vuol far credere che siano loro a voler colonizzare l’Europa.
Pietro Bartolo e Lidia Tilotta hanno scritto un libro che non è solo un pugno nello stomaco, è uno squarcio nella coscienza di ognuno perché continuare a fingere di non capire come realmente funziona il mondo non fa degli occidentali persone migliori ma agevola chi crede solo alla forza del denaro, «un demone che continua a succhiare senza alcun ritegno il sangue di intere popolazioni soggiogate e impotenti» e trasforma le persone in «numeri senza identità e per questo, quindi, facili da eliminare senza lasciare tracce».
Uomini avidi e spietati che non si fermano difronte a niente, e non si parla di chi organizza la tratta degli esseri umani ma di chi «la consente, di chi vuole tenere il resto del mondo nella povertà, di chi alimenta i conflitti, li sostiene, li finanzia».
Lidia Tilotta afferma che il libro vuole essere «semplicemente una testimonianza. Messa nero su bianco senza edulcorazioni». Lacrime di sale in realtà è molto di più. Molto di più.

Pietro Bartolo: medico di Lampedusa, dal 1991 si occupa del poliambulatorio dell’isola. Da sempre in prima linea nel soccorso ai migranti, si è meritato numerose onorificenze. È uno dei protagonisti di Fuocoammare di Gianfranco Rosi, docufilm Orso d’Oro 2016.

Lidia Tilotta: giornalista della testata regionale della Rai. Da Lampedusa ha raccontato più volte le storie dei migranti, di quelli che si sono salvati come di coloro che non ce l’hanno fatta.

Source: ebook inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Anna dell’Ufficio Stampa Mondadori.

Articolo originale qui

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“Le donne erediteranno la terra” di Aldo Cazzullo

06 martedì Dic 2016

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AldoCazzullo, Ledonneerediterannolaterra, Mondadori, recensione, saggio, stroncatura

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Aldo Cazzullo in Le donne erediteranno la terra (Mondadori, 2016) esordisce affermando che «il nostro sarà il secolo del sorpasso». Inizia così una nutrita serie di postulati, che l’autore elenca fin dall’introduzione al testo, volti a rafforzare la sua tesi, o meglio la sua ipotesi.
Cazzullo evoca il genio femminile, racconta di battaglie contro le ingiustizie e le violenze, contro il masochismo che «ancora le induce a sacrificarsi e a darsi all’uomo sbagliato» e va avanti con questo registro narrativo per oltre cento pagine.
La domanda che viene in mente fin da subito al lettore è: dove vuole andare a parare l’autore quando sostiene che le donne erediteranno la terra?

«Comincia il tempo in cui le donne prenderanno il potere. Perché sanno sacrificarsi, guardare lontano, prendersi cura; ed è il momento di prendersi cura della terra e dell’uomo.»

Quindi, in buona sostanza, le donne devono continuare a svolgere il ruolo che è sempre stato riservato loro, volenti o nolenti, solo che ora possono e devono farlo in grande. Devono “accudire” l’intero pianeta, per “rassettare” e riassettare il caos creato dagli uomini.
Sembra incredibile eppure è proprio questo il ragionamento che segue l’autore.
Cazzullo dedica il libro a sua figlia e a «tutte le ragazze nate nel 2000 che erediteranno la terra». Perché proprio le ragazze nate nell’anno 2000? Il voler rimarcare un grosso cambiamento in atto o solamente sperato individuando una data certa ricorda una certa prassi, tra l’altro anche un po’ superata, di inquadrare fenomeni ed eventi entro precisi limiti temporali. Così è stato fatto per la storia, per la letteratura… e così l’autore vuol fare per il “sorpasso” delle donne sugli uomini.
In realtà leggendo il libro di Cazzullo sembra più che quanto scrive siano mere speranze, desideri di un padre cresciuto secondo i dettami della ideologia “antica” che si sforza di trovare le ragioni del cambiamento più in se stesso, per il “bene” e per il futuro della propria figlia.

L’autore mette nel piatto della bilancia qualche dea romana e alcuni miti greci, le arcinote vicende di Giovanna d’Arco e Santa Caterina da Siena, qualche attrice famosa, Rita Levi Montalcini che oltre a essere stata una brava scienziata era anche ebrea. Lo sterminio è sempre un argomento che prende e infatti l’autore cita svariati esempi di donne che sono scampate alla furia nazista. Sarebbe stato interessante poter leggere anche di altri esempi, che riguardavano altri popoli, gente diversa, differenti colori ma che narravano sempre del coraggio delle donne.
Quando lo fa, elencando le donne europee che hanno scalato la piramide del potere politico, scivola in inutili commenti che demarcano una visione troppo partitica della società. «Persino l’arrembante destra populista si affida alle donne», dice parlando di Marine e Marion Le Pen, Frauke Petry e Beata Szydlo.

Secondo Cazzullo, oggi una donna per emergere «deve troppo sovente comportarsi come un uomo, muoversi come un uomo, quasi “diventare” un uomo». Lui si augura invece che «le nostre figlie potranno valorizzarsi esprimendo appieno la loro femminilità». Ritorna poi sull’argomento parlando di chirurgia estetica e sconsigliando alle donne di effettuare ritocchini in quanto il più delle volte le rendono «meno invitanti» agli occhi maschili.
Ci sono molti buoni motivi per provare a far desistere una donna dalla volontà di sottoporsi a interventi di chirurgia estetica non legati al proprio stato di salute, fisico o mentale, ma quello addotto dall’autore proprio non convince, per non dire che è irritante.
La libertà di una donna non sta anche nel fare scelte indipendenti e non condizionate dall’idea di essere o meno invitante per gli uomini?

L’ipotesi di Aldo Cazzullo si basa in prevalenza sugli esempi di “donne che hanno fatto storia”. Scrittrici, attrici, protagoniste di romanzi, studiose e scienziate, vittime… ma in tutta onestà affermare che le donne erediteranno la terra sulla base di detti esempi è una costruzione un po’ labile. Chiunque può scrivere un libro similare elencando esempi maschili, che pure ci sono, e affermare in base a questo che “gli uomini custodiscono l’eredità della terra”.
Le donne erediteranno la terra di Aldo Cazzullo sembra una sorta di canovaccio per la stesura di una lettera, non un libro, indirizzata a qualcuno in particolare non un pubblico generico, dal quale emerge con chiarezza che l’idea portata avanti dall’autore è quella di una rivincita delle donne, in particolare quelle nate nell’anno 2000, come sua figlia. Un desiderio di rivincita e di rivalsa che però è ben lontano dal concetto di rispetto parità e collaborazione necessario affinché vero cambiamento sia.

Aldo Cazzulllo è nato ad Alba, in provincia di Cuneo, il 17 settembre del 1966. Figlio di un bancario, inizia la sua carriera giornalistica a soli 17 anni, quando comincia a collaborare con un quotidiano locale di sinistra, “Il Tanaro”. Passa poi alla redazione di un’altra testata locale, il settimanale diocesano “La Gazzetta d’Alba”. Successivamente si trasferisce a Milano, dove frequenta la scuola di giornalismo. Nel 1988 inizia a lavorare, in un primo momento come praticante, alla redazione del quotidiano “La Stampa”. Nel 1998 si trasferisce a Roma e nel 2003, dopo quindici anni di lavoro con il quotidiano torinese, passa alla redazione del “Corriere della Sera” in qualità di inviato speciale ed editorialista. Nella sua lunga carriera giornalistica ha raccontato le Olimpiadi Atene, gli attentati dell’11 settembre, il G8 di Genova, gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi, l’elezione di Benedetto XVI, la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 2006 e molti altri eventi significativi della storia recente. E’ autore di numerose opere. Ha esordito nel 1996 con il volume dal titolo “Il mal francese. Rivolta sociale e istituzioni nella Francia di Chirac”. Ha due figli, Francesco e Rossana.

Source: ebook inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Anna dell’Ufficio Stampa Mondadori.

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“Cesare l’immortale. Oltre i confini del mondo” di Franco Forte

23 domenica Ott 2016

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Cesarelimmortale, FrancoForte, Mondadori, recensione, romanzo, romanzostorico, thriller

Cesare l’immortale. Oltre i confini del mondo (Mondadori, 2016) di Franco Forte è un romanzo storico che si apre al lettore con una bellissima dedica che l’autore indirizza ai suoi figli e che ogni genitore dovrebbe desiderare far propria.

«…nella speranza che prima o poi capiscano quanto sia meraviglioso immergersi nella lettura di un romanzo. Non solo nei loro smartphone e tablet…»

L’antefatto racconta di uno degli accadimenti più celebri della storia romana: le Idi di marzo, divenute nel tempo l’emblema delle congiure e delle cospirazioni di stampo politico e motivate da brama di potere e interessi che prima erano solo economici ora anche finanziari. In Cesare l’immortale però la vera ‘congiura’ l’ha portata avanti lui, il dittatore Gaio Giulio, accecato dal desiderio di travalicare i confini del mondo e diventare veramente invincibile.

Leggere una dopo l’altra le pagine che compongono il libro di Forte è, per il lettore, una immersione lenta e programmata nell’antico impero dei Romani. Rivedere, come in un docu-film trimidensionale, le loro vesti, le abitazioni, le fortificazioni militari, le imbarcazioni… un universo sapientemente riportato alla mente di chi legge con l’uso di termini tipici della tradizione romana inseriti ad uopo nel contesto di un linguaggio, quello in gran parte utilizzato, che invece è molto più contemporaneo.

La scena si sposta presto dai luoghi e dai fasti della Roma imperiale, ritenuti sicuri perché conosciuti, verso mete indicate come piene di insidie ma affascinanti forse proprio perché ancora inesplorate. E sarà proprio tra le immense distese ghiacciate del Nord che i Romani di Franco Forte si scontreranno con l’evanescenza delle certezze non provate ma solo acquisite.

«i Celti che si scaraventavano a petto nudo contro le frecce infuocate dei romani e sotto lo sguardo attento e vigile del loro druido»

La forza della persuasione, una delle armi più potenti, che incita anche ad andare incontro a morte certa, da sempre utilizzata per muovere le masse e piegarle al proprio volere. A volte è un desiderio di rivalsa, altre la promessa di ergersi verso superiori livelli di vita trascendentale, più comunemente l’avidità di ingenti ricompense… ma gli esiti di queste “missioni” sono alla fin fine sempre disastrosi, soprattutto in termini di vite sacrificate. Allora come oggi.

«Mentre il rumore della battaglia, fatto delle grida degli uomini e del clangore delle armi, cresceva sempre più Gaio si riempì i polmoni dell’aria gelida e nera che lo avvolgeva e contemplò soddisfatto il modo in cui i suoi soldati facevano strage di quegli sciocchi selvaggi che si tuffavano a petto nudo contro una fortificazione romana, un baluardo che probabilmente non avevano mai visto in vita loro. Un errore che sarebbe costato la vita alla maggior parte di quei guerrieri, tanto coraggiosi e possenti quanto poco consapevoli di ciò che avevano di fronte.»

Cesare l’immortale invita il lettore a riflettere sull’eterno scontro tra uomini che si ritengono civilizzati e per questo superiori e altri che invece sono considerati selvaggi, primitivi, non all’altezza dei primi. Uno scontro che è sempre stato impari dal punto di vista della forza fisica e soprattutto di quella delle armi ma che in fondo dovrebbe aver insegnato da tempo ormai, ai civilizzati, che forse non è solo questo che conta e che i confini del mondo che allora conoscevano come quello degli attuali stati è una nozione posticcia per un pianeta che è tondo nella forma e inscindibile nel contenuto.

Il Cesare raccontato nei libri di storia come quello narrato da Forte è un guerriero e per questo irrequieto lontano dai campi di battaglia. «Dilatò le narici e immaginò di sentire l’odore del sangue. Un odore afrodisiaco, a cui nessun vero soldato avrebbe mai potuto rinunciare.» L’adrenalina che entra in circolo un attimo prima dello scontro e rinvigorisce lo spirito di chi altrimenti si sentirebbe già vinto. Il coraggio che in fondo distingue gli impavidi dai pavidi. Una sensazione, associata all’impeto giovanile, che si ritrova a vivere anche il filosofo Cicerone, coinvolto dallo stesso Gaio nell’epica avventura della Legio Caesaris, partita dal Mare Nostrum, approdata nel mar del Nord dell’Oceanus Magnus e volta alla nuova traversata del Mediterraneo perché diretta verso il nuovo luogo che sarebbe diventato lo scenario della loro forsennata ricerca.

«Non sapeva che cosa avrebbero trovato, dall’altra parte, ma era chiaro che non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, anche se si fosse trattato, semplicemente, di andare incontro alla morte.»

Cesare l’immortale. Oltre i confini del mondo di Franco Forte è un romanzo storico e come tale fonde storia e fantasia. A luoghi e personaggi realmente esistiti l’autore dona tratti e comportamenti modellati dalle sue ricerche come dalla sua immaginazione. Il risultato è ottimo. Il libro merita di essere letto.

(fonte biografia: autori.librimondadori.it)

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