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Irma Loredana Galgano

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Neuromarketing e potere subipnotico dell’era digitale. “Il cervello aumentato l’uomo diminuito” di Miguel Benasayag (Erickson, 2016)

23 lunedì Gen 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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CentroStudiErickson, Comunicazione, filosofia, Ilcervelloaumentatoluomodiminuito, MiguelBenasayag, neuromarketing, recensione, saggio

Siamo certi che l’unica via possibile per una coabitazione e una coevoluzione fra la vita, la cultura e la tecnica sarebbe questa vera e propria «artefattualizzazione del mondo»? Miguel Benasayag dichiara un suo convinto no e afferma di aver scritto Il cervello aumentato l’uomo diminuito proprio per dare il suo “piccolo” contributo alla famosa questione del senso, che «non è niente di più e niente di meno che il mondo della vita e della cultura», allo scopo di non farla annientare dalla «fascinazione infantile e spesso nichilista dei tecnofili irriflessivi».

El cerebro aumentato, el hombre disminuido uscito nel 2015 con Paidós in Argentina, arriva in Italia nel 2016 edito dal Centro Studi Erickson nella versione tradotta da Riccardo Mazzeo che ne ha curato anche la prefazione. Un libro, Il cervello aumentato l’uomo diminuito, che si rivela fin da subito molto interessante, per l’argomento trattato come per le considerazioni personali dell’autore che possono anche non essere condivise dal lettore ma che egualmente lo invogliano a una utile riflessione sull’evoluzione del mondo e dell’uomo contemporaneo. Benasayag comunque cerca di rimanere quanto più neutrale gli riesce e di affidare a studi scientifici i dati su cui riflettere, con riferimenti a conoscenze mediche, chimiche, fisiche, psicologiche, filosofiche e tecnologiche.

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Per Benasayag lo sviluppo tecnologico sovverte la struttura della nostra società con una forza comparabile soltanto «all’emergenza storica del Rinascimento», con tutto il carico di speranze e di paure che ne deriva. Quella attuale è la prima cultura a essere letteralmente «posseduta dalla tecnologia» che ha generato l’idea di vivere un’epoca dove tutto è possibile, e dove ciò che appare impossibile in realtà viene interpretato come non ancora possibile. Questa «tentazione di una potenza illimitata», che si affianca sempre più spesso alla «promessa di una deregolazione totale», si pone in netta antitesi alla «essenza stessa della vita in tutte le sue dimensioni: la fragilità». Che non va intesa come debolezza, bensì come “caducità della vita” di ungarettiana memoria.

 

L’autore non è contrario alla tecnologia e al suo sviluppo, solamente si sofferma su alcuni aspetti “deviati” del suo utilizzo. Tutto ciò che la tecnologia rende possibile si trasforma, nelle nostre società e nelle nostre vite, «rapidamente in qualcosa di obbligatorio» e non perché ci sia una costrizione fisica ma in quanto questi «possibili» che in «linea di principio ci facilitano la vita, scolpiscono il mondo secondo modi e caratteristiche propri». Inoltre va sottolineato che è in atto una vera e propria «rivoluzione della misura» che «punta a migliorare (aumentare?) le capacità del cervello umano a vantaggio della efficacia economica». Le conoscenze e i risultati degli studi sul cervello vengono usati sempre più spesso come «neuromarketing». Dove condurrà tutto questo? L’intento di Benasayag non è giudicare ma conoscere, capire e, potendolo fare, scegliere se proseguire lungo questa che viene indicata come l’unica via percorribile oppure provare almeno a trovarne delle altre.

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Il cervello umano viene di continuo equiparato a una «Macchina di Turing», capace di elaborare una quantità enorme di dati e di “trarre conclusioni” a partire dall’utilizzazione degli algoritmi e del programma incorporato, ovvero il software. Ma il cervello umano è altro. Innanzitutto questo è legato e strutturato al corpo che lo contiene e la «deterritorializzazione imposta dalla digitalizzazione sta creando una vera e propria distanza fra l’uomo e il mondo, e fra l’uomo e se stesso». Una “deterritorializzazione” che si declina in una «alterazione del cervello e del biologico organico in generale».

L’eccesso di informazione codificata priva di esperienza diretta trasforma gradualmente il cervello in una «lastra di gestione di informazioni» ma si tratta di informazioni che non «modellano il cervello perché non passano per il corpo». Tra gli esempi più efficaci addotti dall’autore spiccano quelli relativi alla formazione e alle “conoscenze” dei bambini.

Gli schermi di TV, giochi, tablet, computer dinanzi ai quali grandi e piccoli umani trascorrono sempre più tempo non solo non «aggregano le dimensioni» ma addirittura le annientano, creando una «forza irresistibile che ci affascina» e ci pone in uno «stato subipnotico, né gradevole né spiacevole: assente».

I bambini hanno perso o stanno perdendo il loro diritto ad annoiarsi, non tollerano la «frustrazione ingenerata dall’interruzione della cascata di stimoli» cui sono quotidianamente sottoposti durante i giorni «regolarmente strutturati da un diluvio di immagini». In questi momenti i bambini si sentono come di fronte a «un vuoto angoscioso». Ciò rappresenta un problema reale in quanto «la noia è fondamentale per lo sviluppo delle zone cerebrali associate all’immaginazione e alla creatività».

 

Scrivere a mano vuol dire «impegnarsi in una pratica che territorializza quel che stiamo pensando» mettendo in movimento reti neuronali e modificando la quantità di neuroni, la loro dimensione, le sinapsi e via discorrendo. La digitalizzazione del mondo, «la sostituzione di qualunque riferimento al mondo, per passare a funzionare con modellazioni di esso» implica un importante mutamento qualitativo. Il ruolo degli umani diventa secondario anche «nella circolazione ultrafluida dell’informazione». L’umano non è che un segmento di tale circolazione, «un segmento ogni volta sempre più destrutturato e fluido».

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Jean-Jacques Rousseau sosteneva che «il problema, con il progresso, è che vediamo quel che guadagniamo ma ignoriamo quello che perdiamo». Tanto più ci avvaliamo di informazioni custodite nella macchina e da questa elaborate, tanto meno il cervello potrà «scolpirsi, svilupparsi». La quantità di «vita intensiva» è differente per ogni cervello e dipende da quel che ciascun cervello «sperimenta». La domanda giusta da porsi è se davvero si vuole “delegare” alle macchine e alla digitalizzazione una quantità via via maggiore di funzionalità che caratterizzano il cervello nella consapevolezza che quello che di questo organo non viene utilizzato o stimolato o sfruttato in breve diventa “perduto”.

 

Nell’interscambio macchina-uomo avviene «un processo in una sorta di playback di trasformazione del cervello in “applicazioni” pratiche». In altre parole: l’interscambio con le macchine “macchinizza” l’uomo. Benasayag evidenzia la necessità di riuscire a «individuare dove si sia posizionata la singolarità in un mondo e in un paesaggio che cambiano giorno dopo giorno». Un mondo dove la tecnologia sembra abbia «colonizzato la cultura e la vita» e dove si può ancora cercare una modalità di «ibridazione umano-biologica-artefatto» che favorisca la «colonizzazione della tecnologia da parte della vita e della cultura».

Un ottimo saggio, Il cervello aumentato l’uomo diminuito di Miguel Benasayag, in grado di accompagnare il lettore in un viaggio nella “fragilità” degli umani in un mondo, quello attuale, in cui tutto sembra orientato verso «l’ideale di emanciparsi dalla natura». L’uomo moderno è colui che «pretende di autocostruirsi», ambisce a essere «il creatore e la creatura» e per raggiungere il suo obiettivo vorrebbe che «nulla di ciò che è innato venga a disturbarlo», incluso il suo corpo. L’uomo moderno però sembra dimenticare o non conoscere che corpo e cervello sono strutturati insieme, che la “potenza tecnologica” in realtà è molto meno complessa del biologico organico, che un “cervello aumentato” non corrisponde necessariamente a conoscenze di “spessore” maggiore… e Benasayag ha fatto benissimo a ricordarlo.

Miguel Benasayag: Filosofo e psicoanalista di origine argentina che vive ed esercita la professione di psicoterapeuta a Parigi. Partecipò alla guerrilla guevarista nel suo Paese dove restò in carcere per anni. È autore anche di L’epoca delle passioni tristi e C’è una vita prima della morte?

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa del Centro Studi Erickson per la disponibilità e il materiale.

 

Articolo disponibile anche qui

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Neuroschiavi, la Manipolazione del Pensiero attraverso la Ripetizione

27 venerdì Feb 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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Comunicazione, monocolooccidentale, neuromarketing, Neuroschiavi, NWO, ordinemondiale

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«Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo» (Johann Wolfgang von Goethe).

Marco della Luna e Paolo Cioni nel libro Neuroschiavi (Macro Edizioni, 2009) pongono l’attenzione sulle tecniche di manipolazione mentale collettiva e individuale e soprattutto sulla conoscenza che è il miglior sistema per «restare o ritornare liberi».

La ‘comunicazione’ da sempre ha costituito per l’uomo il principale strumento di ‘sviluppo sociale’, comunicazione spesso identificata con la ‘educazione’. Educare attraverso la comunicazione impiegando parole, suoni o immagini.

Comunicare o non comunicare qualcosa è stato da subito inteso come un efficace metodo per ottenere la ‘obbedienza’, piegando quella che oggi definiamo la ‘volontà popolare’. Re, imperatori, gerarchi, dittatori, maestri di setta, leader politici utilizzano e hanno utilizzato spesso la potente arma della ‘persuasione propagandistica’ per orientare la volontà popolare utilizzando il mezzo strategicamente ideato della ‘comunicazione di massa’.

Non è un caso che l’informazione sia indicata come il ‘quarto potere’ dopo, o prima a seconda dei punti di vista, quello esecutivo, legislativo e giudiziario.

Ricorre spesso la citazione esemplificativa, per avvalorare i concetti di ‘persuasione propagandistica’ e ‘comunicazione di massa’ e della loro efficacia, dell’ampio uso che ne hanno fatto due organizzazioni politiche che, da semplici movimenti legati alle ideologie predominanti dell’epoca si trasformarono in regimi totalitari con un larghissimo consenso tra la popolazione.

Fascismo e Nazismo basarono il loro sistema politico sul monopolio dell’informazione e sulle nuove tecniche di propaganda.

In Italia Benito Mussolini capì fin da subito l’importanza fondamentale della propaganda, in particolare attraverso la stampa, per affermare il suo potere. Il popolo italiano fu letteralmente ‘bombardato’ di messaggi volti a dimostrare la natura giusta e potente dell’ideologia fascista e con le cosiddette Leggi fascistissime del 1926 la stampa si ritrovò sottoposta a rigidissimi controlli e di fatto Mussolini affidò al Ministero della Cultura Popolare il compito di censurare tutti quei documenti ritenuti pericolosi o dannosi per il Regime.

In Germania Adolf Hitler unì al potere coattivo del terrore quello dell’attrazione, con una martellante propaganda condotta per mezzo radio, stampa, cinema, sistema scolastico ed educativo. In particolare il regime nazista si pose tra gli obiettivi quello dell’indottrinamento dei giovani in maniera tale da assicurarsi non solo il futuro, ma anche l’interpretazione del passato. Tutta la Storia fu rivista attraverso il messaggio ‘salvifico’ del nazismo, unica forza in grado di sconfiggere il marxismo e l’influenza dell’ebraismo nel mondo.

Ovviamente i regimi Nazista e Fascista non sono e non sono stati gli unici ad aver adottato le tecniche di manipolazione del pensiero collettivo attraverso il condizionamento dell’informazione, rappresentano forse solo i casi di cui più spesso si narra.

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«La parola è energia, ripetere una frase o una parola come avviene nei mantra, fa sì che essa acquisti una forza energetica abbastanza notevole. Questa energia investe le masse e, a seconda del grado di ricezione, diviene il pensiero delle stesse, come se i ricettori lo avessero pensato e generato dalla loro stessa mente» (White Wolf).

L’idea base del sistema scolastico adottato in molti paesi occidentali, tra cui l’Italia, della ripetizione ciclica degli argomenti e dell’obiettivo prefissato che tutti raggiungano lo stesso livello di conoscenza, apprendendo non solo la stessa quantità ma proprio le medesime nozioni, è messo in discussione da chi ritiene questo metodo omologatore e annientatore delle inclinazioni individuali di ognuno. Al pari della cultura di massa anche la ‘istruzione di massa’ viene inserita in quel sistema da cambiare. Istruzione di massa che non va intesa come la possibilità data a tutti, quindi alla massa, di accedere alla cultura, all’istruzione e alla conoscenza bensì come la volontà di livellare la cultura, l’istruzione e la conoscenza di tutti e di ognuno. Processo paragonabile quindi al ‘consumismo di massa’: vestire tutti allo stesso modo, mangiare gli stessi cibi, frequentare gli stessi luoghi, avere la stessa istruzione, le medesime conoscenze, la stessa cultura, gli stessi sogni, le medesime aspettative…

Attualmente sono circa 20.000 le scuole in tutto il mondo che hanno scelto di abbandonare lo schema rigido dell’istruzione omologativa abbracciando quello alternativo denominato ‘montessoriano’ in onore della sua ideatrice Maria Montessori. Indipendenza, libertà di scelta, rispetto per il naturale sviluppo fisico, psicologico e sociale, apprendimento per scoperta e ‘costruzione’ delle conoscenze sono i principi cardine su cui si basa questa forma di apprendimento ‘alternativa’ sicuramente diversa se non addirittura opposta al metodo ‘tradizionale’ più ampiamente diffuso e caldeggiato dai vari Stati.

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L’emblema della ‘comunicazione di massa’ potrebbe essere ben individuato nella televisione che, nella società contemporanea, ha raggiunto livelli di diffusione inauditi e anche oggi, che già la si comincia ad additare come mezzo inabilitante delle coscienze capace di bloccare e a volte inibire le capacità creative e critiche dell’individuo, rimane ancora il massmedia che quotidianamente raggiunge il più elevato numero di individui. Pier Paolo Pasolini parlava di «genocidio del pluralismo culturale» riferendosi ai danni dell’omologazione cui stava portando la ‘cultura di massa’ trasmessa dalla televisione. Tutti con gli stessi vestiti, con gli stessi ideali, con gli stessi sogni… non si può veramente credere che l’omologazione sociale e culturale sia semplicemente una moda, una tendenza, una caratteristica dei tempi moderni e non rappresenti invece ciò che effettivamente è, ovvero la diretta conseguenza di una politica volta a raggiungere potere sfruttando la comunicazione per ottenere consenso e il consumismo per ottenere profitto.

«Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che ‘omologava’ gli italiani. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.»

Questo scriveva Pier Paolo Pasolini sulle pagine del Corriere della Sera il 9 dicembre del 1973. Da allora «i mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione)» hanno continuato inesorabilmente a comunicare e informare, a indottrinare e omologare.

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Dire apertamente alle persone che le si priva dell’informazione e della conoscenza avrebbe come diretta conseguenza lo stimolo in ognuno di loro a riappropriarsi del diritto negato, del servizio inatteso… lasciar invece credere loro di essere quotidianamente correttamente e ampiamente informati su tutto ciò che è necessario ed utile sapere provoca un senso di tranquillità ed anche sicurezza. È lo stesso principio su cui si basa il concetto di libertà. «Se dici alle persone che esse sono prigioniere di un sistema è pericoloso e controproducente perché può scatenare rivolte e ribellioni, mentre convincere gli stessi prigionieri di essere liberi e in democrazia elimina ogni forma avversa e ogni tentativo di ‘evasione’. L’importanza dell’informazione è fuori da ogni discussione. Informare deriva da in-formare, cioè ‘dare forma’. Ma dare forma a cosa se non alle coscienze?»

Nel 2007 la giornalista Naomi Klein pubblica il saggio Shock Economy  (Bur Rizzoli, 2008) nel quale collega disastri naturali, guerre e crisi economiche alle azioni di economia e finanza che anche e a volte soprattutto da tutto ciò guadagnano e anche molto. Il tutto reso possibile dallo ‘ebetismo’ dei popoli letteralmente ‘shoccati’ e per questo pronti ad accettare qualsiasi decisione governativa in nome di un riscatto e di un miglioramento che puntualmente latitano. Ruolo determinante in questa operazione di vero e proprio ‘terrorismo’ giocano i media che ‘scelgono’ di parlare o meno di un determinato argomento, di farlo ripetutamente, saltuariamente o ciclicamente.

«Cercare di spiegare cosa sono e come vengono praticate le cosiddette ‘tecniche di manipolazione mentale’ in una società quasi completamente controllata e manipolata come la nostra non è compito facile. Affermare che la nostra società – com’è strutturata – è una vera e propria gabbia mentale fa subito aizzare i paladini e difensori dei diritti civili, che sbandierano ai quattro venti termini come ‘libertà’ e ‘democrazia’, cercano immediatamente di tranquillizzarci tutti, soprattutto le loro coscienze. Forse non capiscono. Forse fanno finta di non capire, che parole bellissime come ‘libertà’ e ‘democrazia’ primo non significano granché e secondo vengono sfruttate e amplificate proprio dall’establishment economico-finanziaria (cioè i veri e propri Burattinai), proprio per dare a noi l’illusione di non essere in gabbia» (Marcello Pamio).

L’esser riusciti a far credere a una tale moltitudine di persone nel mondo che questo modo di vivere, di istruirsi, di informare, di nutrirsi, di sognare, di conformarsi sia l’unico sistema per raggiungere la crescita e il progresso che sono stati sempre identificati come gli unici e soli baluardi degni di essere perseguiti anche a costo di guerre, morti e distruzioni rappresenta una grande vittoria oppure una incommensurabile sconfitta, a seconda di quello che si vuol mettere sul piatto della bilancia. Potere e denaro nel primo caso, valori e cultura nel secondo. Ammettere che un altro modo è possibile non è così facile perché bisognerebbe per forza di cose confessare o sconfessare tanto e riscrivere non soltanto la storia del presente ma anche e soprattutto quella del passato.

«Uno degli aspetti più micidiale dell’attuale cultura è di far credere che sia l’unica cultura, invece è semplicemente la peggiore» (Silvano Agosti).

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