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Il ruolo degli editori indipendenti nel panorama editoriale italiano e internazionale. Bibliodiversità e desertificazione libraria. Editori indipendenti e autori emergenti.
Gli editori indipendenti in Italia sono quelli che si dichiarano paladini della bibliodiversità, capaci di mantenere alta l’asta della libertà d’espressione grazie al fatto di essere liberi autonomi e sovrani nelle scelte editoriali.
Non rispondendo agli interessi di alcuno riescono a garantire ai lettori piena indipendenza. È veramente questo che accade? Gli editori non-indipendenti sono per contro tutti “dipendenti” da qualcuno? Le loro pubblicazioni sono quindi in un certo qual modo “falsate”?
I grandi editori producono molti titoli ma soprattutto stampano innumerevoli copie puntando al guadagno come ritorno per il numero di copie vendute. Un libro che ha venduto molto e che viene magari anche ristampato è identificato come best seller. Un “best seller” nell’immaginario collettivo diventa un “gran libro”, per l’editore è un “successo editoriale” ma nella realtà rimane semplicemente un titolo che ha venduto molto.
Gli editori indipendenti affermano di preoccuparsi più della bibliodiversità, ovvero di curare la diversità culturale applicata ai libri.
In un articolo pubblicato sull’Huffington Post lo scorso aprile e firmato da Leonardo Romei, venivano riportate tutte le risposte date dagli editori indipendenti presenti al Book Pride 2016 (la Fiera Nazionale dell’Editoria Indipendente) in merito al quesito: cos’è una casa editrice?
Le risposte sono molto varie e parlano di progetti culturali, di laboratori, di strumenti per interpretare lo spirito del tempo… nella gran parte dei casi si percepisce il tentativo di battere sull’aspetto culturale, a volte si palesa la concretezza dell’aspetto economico e la risposta data dalle Edizioni E/O sembra sintetizzare al meglio la complessa situazione. Una casa editrice è «una fabbrica di mondi che però deve fari tornare i conti».
Ecco allora che, almeno in qualcosa, gli editori indipendenti cominciano a somigliare di più ai grandi colossi dell’editoria. Nessuno di loro lavora a un progetto culturale per filantropia bensì tutti lo fanno con un fine economico. Permane l’obiezione che vede gli indipendenti paladini della bibliodiversità. Tuttavia spulciando i cataloghi dei grandi editori si trovano anche lì dei titoli bibliodiversi, certo meno sponsorizzati rispetto ai best seller ma pur sempre presenti. E allora dove sta la differenza, oltre ovviamente nelle dimensioni?
La differenza la dovrebbe fare l’utente che in questo caso coincide con il lettore.
I grandi editori possono giocare con i grandi numeri, con le poderose campagne pubblicitarie e con le “vantaggiose” campagne promozionali volte a invogliare i lettori all’acquisto. Cifre che sempre più spesso divengono per nulla competitive per gli editori indipendenti i quali, per tramite dell’Osservatorio degli Editori Indipendenti (ODEI), hanno presentato una proposta di legge «a favore della promozione della lettura, per il sostegno delle librerie di qualità, delle biblioteche e delle piccole e medie imprese editoriali» nella quale spiccano le richieste di fissare il tasso massimo di sconto al 5% e di una maggiore regolamentazione delle campagne.
Non si può sapere con certezza assoluta se fissando un tetto massimo di sconto si spingerà il lettore a guardarsi attorno con maggiore attenzione e magari se questi decida di acquistare, a parità di prezzo, libri meno sponsorizzati e pubblicizzati, ma di sicuro regolamentando i ribassi del prezzo di vendita si contribuirà a limitare la “svendita” di un libro.
Nel corso della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria Più libri Più liberi, tenutasi lo scorso dicembre a Roma, sono stati presentati i dati dell’indagine Nielsen sul mercato generale del libro di carta. Nei primi dieci mesi del 2016 si è registrato un aumento dello 0,2% del mercato del libro di carta corrispondente a circa 2,1 milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2015. Ma il problema di fondo ruota proprio intorno ai quesiti: siamo sicuri che dati col segno più siano segnali positivi dell’editoria? Il mercato del libro è davvero come qualsiasi altro settore della commercializzazione dove chi più vende più guadagna e se così è non ci troviamo dinanzi a una situazione simile al casinò dove è il banco a vincere sempre?
In tutta questa vorticosa giostra fatta di numeri dati vendite e guadagni in che posizione si collocano rispettivamente autori e lettori?
Gianluca Ferrara, saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni, in un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano parla delle difficoltà incontrate come conseguenza della scelta di voler restare dalla parte dei lettori. «Il mercato editoriale è un settore delicato, la “fabbrica del consenso” nasce proprio con i libri, infatti sono i pochi gruppi editoriali che controllano la quasi totalità del settore. Posseggono le tipografie dove si stampano i libri, la distribuzione con cui li veicolano, le librerie dove se li vendono e i giornali dove si pubblicano le recensioni.» Gli spazi che rimangono liberi secondo il sistema appena descritto sono pochi ma al giorno d’oggi, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie e nuovi strumenti, le possibilità offerte agli indipendenti sono in aumento e loro dovrebbero approfittarne presentando sempre pubblicazioni lodevoli.
Secondo quanto riportato da Jon Sealy in un articolo per Literary Hub, negli Stati Uniti una serie sempre crescente di piccoli editori indipendenti cerca di aggirare gli ostacoli relativi alla distribuzione e alla vendita dei canali tradizionali aprendo dei propri punti vendita, librerie che siano al tempo stesso centri di commercio al dettaglio e aggregazione culturale. In Italia questo ruolo sembra sia stato assegnato alle fiere di settore.
In buona sostanza quindi l’obiettivo dell’editoria indipendente sembrerebbe ben sintetizzato nelle parole di Carlos Fuentes: «Bisogna creare lettori, non dar loro quello che vogliono». Gli indipendenti sognano di creare dei lettori mentre i colossi sognerebbero di creare dei buoni clienti.
I sogni però devono prima o poi scontrarsi con la realtà e, impossibile negarlo, l’Italia è il Paese dei pochi lettori ma soprattutto dei pochi lettori forti. Ciò significa che le persone che leggono regolarmente, che sono appassionate dalla lettura, che vanno a cercarsi dei titoli che esulano dalle classifiche dei best seller, dalla narrativa di genere, dai libri-tormentone… sono in numero ancora più esiguo e che, per contro, coloro che comprano la narrativa o altro genere a prezzo ribassato nei grandi store commerciali o online forse comprerebbero di meno o non comprerebbero affatto se venisse meno la convenienza economica. Lettori che acquistano libri né più né meno di come fanno la spesa al supermercato, dove le offerte speciali e i tre per due vanno per la maggiore.
È già da un po’ che in Italia si parla di ‘desertificazione libraria‘ in riferimento alle librerie storiche o più o meno recenti che chiudono i battenti per vari motivi ma principalmente ciò va considerato una diretta conseguenza della ‘desertificazione progressiva dei lettori’, frutto a sua volta della ‘desertificazione culturale’ che ormai sta diventando strutturale. Persone, famiglie, coppie, giovani e meno giovani, occupati e inoccupati disposti e addirittura bramosi di accollarsi anche un cospicuo numero di rate pur di ‘possedere’ un’auto, un televisore o uno smartphone di ultima generazione ma che storcono il naso dinanzi una pila di libri che sonnecchia in una pressoché invisibile vetrina. E allora sì che in quest’ottica l’impresa portata avanti dagli editori indipendenti diventa ancora più titanica.
In un’intervista rilasciata per Il Giornale, Matteo Chiavarone, direttore editoriale delle Edizioni Ensemble, afferma che essere “indipendente” è bello ma solo se fai dei bei libri, in numero limitato, mantieni una costante attenzione verso esordienti e autori di Paesi poco esplorati, partecipi assiduamente a eventi culturali e fiere di settore.
Per Gino Iacobelli, già editore e presidente di ODEI, la casa editrice indipendente è «un’azienda che parla con lo scrittore ma anche con il tipografo. Lavora a stretto contatto con tutta la filiera. Gli indipendenti scelgono sempre in virtù di una passione, pur non vergognandosi di gioire dei successi economici ed editoriali».
Se da un lato l’Italia è il Paese dei pochi lettori dall’altro è il regno degli scrittori in erba. Tutti gli editori, grandi e piccoli, indipendenti e non, dichiarano di ricevere decine o centinaia di manoscritti, quotidianamente. Iacobelli sostiene che questo va sempre e comunque visto come un qualcosa di positivo e che ogni editore è libero di scegliere se puntare sulla scrittura oppure sulle idee, magari in questo caso ritornando a lavorare sulla scrittura insieme con l’autore.
E ci sono stati molti casi di “grandi successi” letterari portati avanti da editori indipendenti. Nuovi autori scoperti o scrittori riscoperti, stranieri valorizzati oppure ancora “idee” in cui si credeva fermamente. Il “successo” riscosso dagli editori indipendenti sembra essere quasi sempre legato alle rigide scelte editoriali e all’accurata selezione preventiva dei titoli da inserire nel proprio catalogo per cui è lecito pensare che un autore emergente e non che intende rivolgersi a un indipendente per sottoporre un proprio manoscritto debba preventivamente visionare tutta la linea del catalogo e riflettere, con una quanto maggiore gli riesce obiettiva autocritica, valutare la propria scrittura oppure, quantomeno, la qualità delle proprie idee.
Articolo originale apparso sul numero 49 di Writers Magazine Italia – La Rivista di riferimento per chi scrive diretta da Franco Forte.
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