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Irma Loredana Galgano

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Archivi tag: Putinofobia

Guerre dichiarate e guerre segrete. Analisi geostrategica della guerra delle informazioni combattuta nel conflitto civile siriano

17 sabato Mar 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli, Recensioni

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I governi di tutto il mondo basano le proprie decisioni sui rapporti informativi dei servizi di intelligence, strutture di sicurezza cui spetta il compito di reperire tutte le informazioni possibili necessarie alle autorità per compiere le proprie scelte e prendere le relative decisioni. Un potere enorme racchiuso nelle mani di una rete di persone pressoché invisibili, ma che esistono e agiscono, anche se all’ombra di governi e istituzioni, determinandone però la linea e le iniziative. Andrea Foffano, docente di sicurezza e intelligence presso ASCE e ANVU-ISOPOL, sottolinea come alcune notizie di carattere internazionale sono in grado di poter stabilire l’andamento politico, sociale ed economico di un’intera comunità nazionale. Anche laddove queste informazioni fossero volutamente forzate o addirittura falsate. Infatti, uno dei principi cardine dell’attività d’intelligence, svolta da tutti i servizi di informazione del mondo, non è altro che l’imperativo: usa tutto e tutti per raggiungere i tuoi scopi.
Quali sono allora gli scopi dei servizi di intelligence e quali quelli degli stati per cui lavorano?

Per esemplificare il lavoro svolto da servizi segreti e governi Foffano analizza il conflitto civile siriano partendo da quanto accaduto due anni prima l’inizio della guerra. Ovvero allorquando nel tratto di mare compreso tra l’Iran e la penisola del Qatar, fu scoperto uno dei più grandi giacimenti energetici di gas naturale, usufruibile da entrambi i Paesi. La Siria, al cui governo si trovavano gli Alauiti del Presidente Bashar al-Assad, fedeli alleati degli Sciiti iraniani, negò il consenso al transito delle strutture di trasporto sul proprio territorio nazionale per la Qatar-Turkey pipeline, che avrebbe dovuto collegare l’Europa con il Qatar. Mentre diede il proprio consenso per il passaggio dell’Islamic pipeline progettato dall’Iran. Washington decise di intervenire in difesa dei propri alleati (Qatar e Arabia Saudita) e iniziò a sostenere militarmente le fazioni ribelli che, dopo l’avvento della Primavera Araba in Siria, avevano iniziato a opporsi al regime di Assad. Parallelamente, l’Arabia Saudita iniziò a finanziare in modo massiccio molti dei gruppi terroristici e jihadisti che si opponevano allo stesso regime.

Secondo quanto riportato in un’inchiesta del NewYork Times, l’Arabia Saudita avrebbe finanziato la guerra segreta della CIA in maniera continua e massiccia, si parla di circa un miliardo di dollari da parte degli Stati Uniti e svariati miliardi di dollari provenienti da ricchi e anonimi finanziatori sauditi. Un servizio segreto estero che fornisce sistemi d’arma di ultima generazione a gruppi ribelli divenuti poi estremisti, jihadisti, terroristi è di sicuro una scomoda verità. Modi di agire che ricordano molto, forse troppo, la guerra russa in Afghanistan, con gli americani intenti a sostenere militarmente i Talebani e i Mujaheddin. Americani e sauditi, con il sostegno fondamentale del Pakistan e dei pashtun della zona tribale, avevano creato a Peshàwar il più grande centro jihadista del mondo. Come ricorda Pierre-Jean Luizard, storico e direttore del Centre national de la recherche scientifique, del tempo in cui gli jihadisti erano i nostri eroi che combattevano contro l’Impero del Male, e solo in un secondo momento si trasformarono in barbari che avevano portato il terrorismo nel cuore dell’Occidente.

Per Luizard, il regime siriano ha avuto sempre alcuni difetti agli occhi degli occidentali. In primis per il diniego a una pace con Israele che non prevedesse la restituzione del Golan, occupato dall’esercito ebraico nel 1967. Continua ad avere ottimi rapporti con Mosca, alleato della repubblica sciita dell’Iran e a sostenere militarmente gli Hezbollah, l’unica formazione araba che abbia fermato Israele nella guerra del 2006. Appartiene a quell’asse della resistenza che intende mantenere un’indipendenza dal sistema occidentale alleato con le potenze sunnite del Golfo. Insomma, il nemico perfetto che ha fatto della Siria il terreno ideale per una guerra santa.

Secondo Joshua Landis, uno dei massimi esperti mondiali della politica siriana, circa il 60-80% delle armi che gli Stati Uniti hanno introdotto nel paese sono finiti nelle mani di gruppi terroristici jihadisti riconducibili ad al-Qaeda. Ma se a qualcuno venisse in mente di trovare le prove per accusare gli Stati Uniti di fomentare la guerra in Medio Oriente, avverte Foffano, sappia che andrà incontro a un fallimento certo. Il conflitto in atto in Siria appartiene a una nuova tipologia di guerra: quella per procura, nella quale gli attori in campo mascherano il proprio intervento tramite il sostegno, più o meno indiretto, ad una delle parti in causa. Scontri nei quali il secondo livello, ovvero la guerra delle informazioni, risulta alla fin fine più potente e pericoloso del primo, gli scontri armati sul campo. Almeno per gli Stati che non risultano in apparenza coinvolti direttamente nello scontro perché per quelli direttamente chiamati in causa e soprattutto per le popolazioni ad essi afferenti la situazione naturalmente cambia e anche di molto.

Bana Alabed, la ragazzina che ha fatto conoscere il dolore dei cittadini di Aleppo a tutto il mondo attraverso i suoi tweet inviati ai presidenti di tutte le maggiori potenze mondiali, si chiede come le persone possano essere così crudeli da far diventare, per un bambino, nessun posto sicuro e dedica il libro che racchiude la sua storia a tutti i bambini che soffrono a causa di una guerra, per dire loro che non sono soli, purtroppo. In tanti, in troppi soffrono e subiscono le conseguenze di scelte non proprie, non volute e non condivise in nome di una pace che stenta ad arrivare e a causa di interessi che raramente coincidono con quelli di interi popoli e troppo spesso invece con quelli elitari di ristrette cerchie e categorie di persone.

 

Quei terroristi che in altri scenari operativi sparsi per il mondo gli Stati Uniti stavano combattendo, a prezzo di numerose vittime fra i soldati dell’esercito americano e della coalizione internazionale, anche come conseguenza dell’intervento, diretto o indiretto che sia, degli stessi nel conflitto civile rischiavano di prendere il potere in Siria e allora lo Stato Maggiore decise di servirsi dei servizi segreti di intelligence per passare informazioni militari alle forze armate delle altre nazioni impegnate nel conflitto. Con la certezza che i servizi segreti di Assad avrebbero intercettato il movimento di dati e utilizzato il tutto nella lotta contro gli jihadisti. I cablo del Dipartimento di Stato americano, resi pubblici nel corso degli anni da Wikileaks, avrebbero gettato un fascio di luce su un retroscena assai torbido e buio.

Un rischio enorme quindi quello corso dagli americani. Non si può non chiedersi il perché reale del continuo e persistente intervento degli Stati Uniti in Medio Oriente o in qualsiasi altra parte del mondo si prospetti o si profili una qualsivoglia instabilità. Al termine della cosiddetta Guerra Fredda, gli Stati Uniti sono diventati l’unico polo dominante schierato in campo geopolitico mondiale. L’America è una di quelle nazioni, insieme a tante altre del cosiddetto Occidente, ad aver improntato il proprio sistema economico sulla competitività: non riescono a trovare una sicura e certa stabilità interna, senza ricorrere a nuovi mercati e ad altrettanti investimenti. Lo slogan del ventennio era: “Chi si ferma è perduto!”. Ecco, mai parole furono più adatte a descrivere la situazione di alcune potenze mondiali a ridosso del ventunesimo secolo.

Gli attacchi dell’11 settembre 2001, da questo punto di vista, sono stati un avvenimento strategicamente molto importante. Hanno decretato l’inizio della «guerra al terrore» che ha significato l’invasione dell’Afghanistan, la guerra ai Talebani, l’invasione dell’Iraq, gli interventi in Libia e in Siria. Operazioni nelle quali ogni mossa è politica, è dettata da convenienze economiche e risponde sempre a chiare regole sociali. Giulietto Chiesa, giornalista e politico italiano, considera il terrorismo islamico un prodotto diretto dell’azione coordinata degli occidentali che usa semplicemente i terroristi, che pure esistono, come manodopera che spesso non riesce a capire neanche per chi sta lavorando. L’Occidente ha sempre avuto bisogno di un nemico. L’Unione Sovietica del ventesimo secolo era perfetta in questo senso. Ma, una volta abbattuto il Comunismo sovietico, l’Occidente si è ritrovato senza un nemico da combattere. Senza nemici e con un nuovo gigantesco alleato e vassallo non è riuscito a spiegare al mondo intero come mai l’economia mondiale andava comunque a rotoli. Il problema non sarebbe quindi esterno, bensì interno, nel modello di sviluppo scelto. Il piano messo in atto sarebbe stato quello di sostituire il terrore rosso con il terrore verde. Il terrore rosso non era un’invenzione, era un antagonista serio. Il terrore verde non è un’antagonista, è stato inventato dall’Occidente. È un’ipostasi messa davanti agli occhi della gente per terrorizzarla e costringerla a rifugiarsi sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti d’America.

Per Foffano, prima di passare all’analisi oggettiva dei fatti, provando conseguentemente a interpretarli sino a giungere a una spiegazione logica e razionale degli avvenimenti, bisogna forzatamente sgombrare il campo da ogni sorta di pregiudizio politico-ideologico, che potrebbe in qualche modo viziare la nostra intrinseca capacità critica. Quello che Chiesa definisce con parole molto più crude Matrix, con riferimento diretto alla omonima produzione cinematografica. L’Occidente ha forgiato un apparato di comunicazione, attraverso il suo meraviglioso sistema dell’immagine gradevole e dell’immagine in movimento in generale, che è riuscito a modificare profondamente la psicologia della gente. Ha lavorato in tutti i modi possibili e immaginabili alla penetrazione cognitiva nel cervello degli uomini, delle donne e dei bambini soprattutto, modificando la loro percezione del mondo. Il mondo reale è altrove però, fatto in un altro modo, è furibondo, è feroce, è senza tregua. Siamo sistematicamente mitragliati da una sterminata quantità di messaggi gradevoli che uccidono la nostra capacità critica di sentire, di percepire e di conoscere.

Anche quanto sta accadendo o è già accaduto in Siria, per fare un esempio, viene tagliato fuori dall’immagine che del conflitto hanno milioni di occidentali indotti a credere che si stia parlando, solo, dell’ennesima lotta contro il terrorismo, di matrice islamica questa volta, necessaria e imprescindibile per la sicurezza e la stabilità del mondo, occidentale naturalmente.


Bibliografia di riferimento:

A. Foffano, “Siria. La guerra segreta dell’intelligence”, Ed. Solfanelli, 2017
P.J. Luizard, “La trappola Daesh. Lo Stato islamico o la Storia che ritorna”, Rosenberg&Sellier, 2016
B. Alabed, “Caro mondo”, Tre60, 2017
G. Chiesa, “Putinofobia”, Piemme, 2016


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La nascita dei “mostri” del terrorismo e il rifiuto delle responsabilità dell’Occidente in “La trappola Daesh. Lo Stato islamico o la Storia che ritorna” di Pierre-Jean Luizard (Rosenberg&Sellier, 2016) 

Il grido dei bambini vittime delle guerre. “Caro mondo” di Bana Alabed (Tre60, 2016) 

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Articolo originale qui


Disclosure: Per l’immagine in evidenza, credits www.pixabay.com


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Perché Putin ci fa paura? Intervista a Giulietto Chiesa

27 mercoledì Apr 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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GiuliettoChiesa, intervista, monocolooccidentale, NicolaiLilin, NWO, Occidente, ordinemondiale, Oriente, Piemme, Putinofobia, saggio

 

Perché Putin ci fa paura? Intervista a Giulietto Chiesa

Putinofobia di Giulietto Chiesa (edito da Piemme) è un libro che analizza la paura che l’Occidente ha sempre provato nei confronti della seconda potenza mondiale: l’Unione Sovietica, ora diventata Russia.

Come sua consuetudine, Chiesa presenta dati e fatti secondo un criterio spazio-temporale che fin da subito lascia intendere al lettore che ben altro si chiarirà con la lettura del libro.

Si può essere d’accordo con le posizioni di Giulietto Chiesa o non condividerle, ma non si può negare che seguire il suo ragionamento conduce, inevitabilmente, ad allargare il proprio orizzonte, a porsi delle domande, a cercare delle risposte… come se all’improvviso, dopo aver sempre osservato il mondo dalla stessa postazione, si venisse catapultati nello spazio e lo si potesse osservare da lì, il nostro pianeta. Ogni cosa acquista una prospettiva nuova, differente.

Per Chiesa, la Russia potrebbe essere uno straordinario ponte di collegamento dell’Occidente con l’Asia e il resto del mondo ma ciò non accade perché gli occidentali non vogliono questo.

Nicolai Lilin, che ha curato la prefazione a Putinofobia, scrive che: «la politica dell’Occidente, che con tutte le forze cercava di frantumare il multiculturalismo ereditato dal regime sovietico per poter manovrare meglio le piccole regioni staccate dal grande polo legato al Cremlino, da subito ha sfruttato la propaganda russofoba come l’elemento principale su cui poter costruire i nazionalismi locali».

Perché lo ha fatto? Quali sono i motivi alla base della russofobia 2.0? Ne abbiamo parlato con Giulietto Chiesa nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.

La russofobia occidentale non è un fenomeno nuovo. Quali sono le peculiarità della “russofobia 2.0 o Putinofobia”?

La russofobia risale ad almeno tre secoli fa, da quando esiste la Russia come grande Paese e questo dice già molte cose. La Russia viene vista come un avversario. La russofobia 2.0 è qualcosa di nuovo nel senso che è anche una forma di astio dei gruppi dirigenti europei e occidentali in genere nei confronti di una Russia che si credeva fosse ormai stata conquistata definitivamente e invece si rivela altra cosa da quelle che erano le nostre illusioni o speranze. C’è una sorta di rivincita dell’Occidente contro questa Russia incomprensibile.

Più che essere un ragionamento è una malattia. Una sorta di violenta ripulsa di ciò che è diverso da noi tanto più violenta quanto più i russi, a prima vista, sembrano uguali a noi. Sono uguali a noi. In questo sta il paradosso. E scopriamo spesso, in ritardo, con nostro disdoro e fastidio, che in realtà, sebbene siano così uguali a noi, sono anche molto diversi. Il tutto confluisce in questa specie di ripulsa che riguarda però solo i gruppi dirigenti o da quella parte costituita dagli opinion maker, cioè dai mass media. Non credo che questo sentimento sia molto diffuso, in Occidente, tra la gente comune, normale, piuttosto che sia un’operazione politica guidata dai gruppi dirigenti occidentali che vogliono tenere la Russia diciamo in disparte e usano tutti i mezzi a disposizione per farlo.

Quali sono i reali motivi alla base della character assassination alla quale la stampa occidentale ormai da anni sottopone Vladimir Putin?

Si usa il 2.0 in quanto qui c’è una differenza rispetto alle altre forme di russofobia della Storia. Adesso c’è un grande personaggio, di valore mondiale che può facilmente essere preso a bersaglio nel fuoco dei riflettori e accusato di tutte le nefandezze che servono per esemplificare il rifiuto dell’Occidente nei confronti della Russia. È accaduto altre volte, nel corso della storia, che la Russia schierasse personalità di grande calibro, ma Putin è questo 2.0, è il ventunesimo secolo che dimostra, indirettamente e involontariamente, che l’Occidente non è capace di accettare la Russia quale essa è.

Perché Putin ci fa paura? Intervista a Giulietto Chiesa

Nell’introduzione a Putinofobia Roberto Quaglia afferma che di solito i russofobi non sono consapevoli di essere tali. Da dove deriva questa fobia inconsapevole per la Russia?

In parte deriva dal fatto che l’Occidente non riesce a capire dove sta il problema, nel senso che guarda i russi e li vede uguali a sé stesso. Qui sta parte della verità. La loro cultura, come anche la letteratura, ha impregnato la nostra. Basti pensare a Tolstoj, a Dostoevskij…

Quando si va poi al contatto diretto di questo Paese, nella vita quotidiana, nel modo di pensare, di sentire il tempo e lo spazio, le dimensioni del pianeta… lo spirito dei russi è diverso da quello occidentale. E qui si arriva alla contraddizione. L’Occidente non capisce dove sta la differenza, che invece è molto semplice: la Russia non è solo Europa.

La Russia non è né prevalentemente europea né prevalentemente asiatica. Nel corso della storia è stata a volte più europea altre più asiatica. Ogni volta che diventa più asiatica l’Occidente inizia a perdere il controllo dei nervi.

Se la russofobia attuale è «una lente di ingrandimento» sulla nostra civiltà, lei che ci ha guardato profondamente attraverso cosa ha visto?

Ho visto che la Russia, se noi fossimo in grado di capirla, sarebbe uno straordinario ponte di comunicazione proprio per questa sua duplice essenza, europea e asiatica. È l’unico strumento che abbiamo noi europei per capire un po’ meglio l’Asia e il resto del mondo, che abbiamo colonizzato, ma ciò non vuol dire che lo abbiamo capito. Vuol dire solo che lo abbiamo vinto, conquistato, soggiogato.

La Russia può essere il tramite attraverso il quale l’Occidente può capire il resto il mondo. Ma l’Occidente questo non lo vuole, lo ha scartato da principio.

E io qui ho ampiamente attinto alla riflessione che faceva Arnold Toynbee nel suo purtroppo non molto famoso libro intitolato Il mondo e l’Occidente (Sellerio, 1992). Già il titolo è pieno di significati.

L’Occidente si è contrapposto a tutto il resto il mondo da quando è diventato “occidente”. Questo è il problema: l’Occidente sta aggredendo il resto del mondo. Non è capace di fare altro che aggredire anche la Russia. Per tre secoli, come dice Toynbee, l’Occidente ha potuto giovare di questa sua caratteristica, ma oggi, nel ventunesimo secolo, la tattica aggressiva non funziona più.

Stiamo assistendo all’inizio della fine di questi dominatori occidentali. Il che è molto grave, perché l’Occidente è anche il più armato. La tentazione di utilizzare la propria forza per continuare la dominazione diventerà sempre più concreta finché non vi sarà una riflessione di grande respiro culturale. Riflessione che, in verità, non vedo all’orizzonte.

Con il Madison Valleywood Project il governo americano vuole unire le forze di Hollywood e Silicon Valley per attuare una strategia contro l’Isis o per portare avanti la propaganda contro il nemico designato, in maniera analoga alle numerose azioni di cui si parla nel libro e messe in campo contro i russi?

Sarò più brutale. L’Occidente che si propone di fare ciò che dice lei è un sogno. Ignora il fatto l’Isis e il terrorismo islamico sono il prodotto dello stesso Occidente. Quindi tutte le strategie che vengono elencate per spiegare come questo è contro il terrorismo islamico sono in realtà delle fantasie che servono a manipolare l’opinione pubblica.

Il terrorismo islamico è un prodotto diretto dell’azione coordinata degli occidentali che usa semplicemente i terroristi, che pure esistono, come manodopera che spesso non riesce a capire neanche per chi sta lavorando.

È un sistema largamente sperimentato nella storia di questo ultimo secolo e che ha sempre funzionato. Si usano, di volta in volta, dei capri espiatori che credono di lavorare per i propri interessi ma in realtà lavorano per “il re di Prussia”.

LEGGI ANCHE – Hollywood e Silicon Valley per combattere l’Isis, la nuova strategia di Obama

L’Occidente ha sempre avuto bisogno di un nemico. L’Unione Sovietica del ventesimo secolo era perfetto in questo senso. Era il Comunismo sovietico il nemico mortale da combattere. Una volta abbattuto o suicidatosi, a seconda delle interpretazioni, l’Occidente è rimasto senza nemico. Ha proceduto per circa un decennio non solo senza nemici ma con un nuovo gigantesco alleato e vassallo e in pratica non è riuscito a spiegare, al resto del mondo, come mai l’economia mondiale andava comunque a rotoli.

Ha mostrato che il problema non è esterno all’Occidente, è interno, nel modello di sviluppo. Così nell’anno 2001 i dominatori dell’Occidente, gli Stati Uniti d’America, hanno prodotto il mutamento di rotta della storia politica del mondo.

Hanno creato l’11 settembre del 2001 per mettere dinanzi agli occhi di tre miliardi di persone il nuovo nemico, cioè l’estremismo islamico.

Così è iniziata la guerra contro il terrorismo islamico che dura ormai da quindici anni. Sia il Presidente di allora, George Bush jr, sia il suo Ministro della Difesa, Donald Rumsfeld, affermarono: «comincia una guerra che durerà 50 anni» e l’altro «durerà un’intera generazione». Questo era il piano: sostituire il terrore rosso con il terrore verde.

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Il terrore rosso non era un’invenzione, era un antagonista serio. Il terrore verde non è un antagonista, è stato inventato dall’Occidente. È un’ipostasi messa davanti agli occhi della gente per terrorizzarla e costringerla a rifugiarsi sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti d’America.

Papa Francesco, e con lui tanti analisti, hanno parlato di una terza guerra mondiale combattuta in tutto il mondo senza un focolaio preciso. Siamo anche in una nuova versione della Guerra Fredda?

Io non parlo per conto terzi. Parlo per me stesso. Sono stato uno dei primi analisti al mondo a dire apertamente che stiamo entrando nella terza guerra mondiale. Quando si parla di questo non si può che riferirsi a una guerra atomica. Una guerra mondiale fatta a pezzettini non ha alcun senso, c’è sempre stata.

Durante la Guerra Fredda si sono combattute, per conto terzi, decine e decine di guerre locali che servivano per mantenere l’equilibrio tra le due potenze. Nel momento in cui è finito il bipolarismo ed è finita la Guerra Fredda, queste sono continuate ma non sono conflitti mondiali.

Perché Putin ci fa paura? Intervista a Giulietto Chiesa

Una guerra mondiale è lo scontro tra l’Occidente (Stati Uniti, Europa, Canada, Australia e pochi altri) e l’Asia. In questo senso l’Asia è tutto il resto il mondo. Solo che tutto il resto del mondo è impreparato a questo conflitto, lo sono solo gli Stati Uniti d’America e la Russia che dispongono del potenziale nucleare necessario.

Quando si scontreranno questi due Stati sarà lo scoppio della terza guerra mondiale. Ritengo sarà anche la fine dell’attuale civiltà umana. Ma molti non lo vedono perché non capiscono o non sanno qual è il carattere della guerra moderna, se lo sapessero non direbbero le sciocchezze prive di fondamento che dicono quando si parla di guerra diffusa e via discorrendo.

Il primo segnale di non-democrazia è il tentativo di ostacolare le opinioni divergenti. Possibile che gran parte della “massa democratica occidentale” non riesca a cogliere questo segnale nell’informazione dominante?

Purtroppo è possibile e reale. Nel libro precedente a questo, intitolato È arrivata la bufera (Piemme, 2015), spiego nel capitolo dedicato a Matrix cosa è già accaduto da quaranta-cinquanta anni a questa parte.

L’Occidente ha forgiato un apparato di comunicazione, attraverso il suo meraviglioso sistema dell’immagine gradevole e dell’immagine in movimento in generale, che è riuscito a modificare profondamente la psicologia della gente. Ha lavorato in tutti i modi possibili e immaginabili alla penetrazione cognitiva nel cervello degli uomini, delle donne e dei bambini soprattutto, modificando la loro percezione del mondo.

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Ritengo realistico affermare che gran parte della popolazione vive dentro Matrix, dentro una prigione virtuale nella quale crede di essere libera, come accade appunto nel film, ma che è un universo irreale. Il mondo reale è altrove, fatto in un altro modo, è furibondo, feroce, senza tregua.

L’importante è non far capire alla gente in che situazione vive, lo capirà soltanto quando sarà il momento di finire tutti abbrustoliti. A quel punto molti se ne renderanno conto ma sarà un po’ tardi.

La grande massa della gente non sa nulla di ciò che la circonda. È stata bombardata da una miriade di proiettili che attraversano ogni secondo, ogni attimo della nostra vita e sono spesso non solo non percepiti e indolori ma addirittura piacevoli. Siamo sistematicamente mitragliati da una sterminata quantità di messaggi gradevoli che uccidono la nostra capacità critica di sentire, di percepire e di conoscere.

La più grande arma costruita dall’Occidente per annichilire il senso comune, il buon senso, la razionalità, la solidarietà, la cooperazione, la consapevolezza della limitatezza delle risorse… tutto questo è stato cancellato dalla visione di miliardi di persone.

Parliamo di un’arma che spegne l’intelligenza e quindi, alla lunga, non potrà che produrre mostri. Come ci indica l’acquaforte di Francisco Goya: «il sonno della ragione genera mostri». L’Occidente è stato trasformato in un gigantesco formicaio di persone la cui ragione è stata addormentata.

Perché Putin ci fa paura? Intervista a Giulietto Chiesa

Lei paragona le inquietanti sensazioni che proviamo noi oggi, che viviamo un’epoca di grande cambiamento, a quanto devono aver provato i dinosauri. Siamo destinati all’estinzione?

Destinati no. Non credo in un qualche destino preordinato, è un qualcosa che forgiamo noi sempre, in un modo o nell’altro. Devo questa mia convinzione guarda caso alla lettura di uno straordinario romanzo russo, Guerra e Pace di Tolstoj, citato più volte in Putinofobia.

Noi popolo siamo protagonisti e, quando siamo in tanti, produciamo un movimento, un muoversi delle idee, delle correnti profonde della storia. Non esistiamo inutilmente. Esistiamo con la nostra forza fisica, con la presenza fisica e intellettuale.

Non credo ai complotti. La trasformazione in automi sta avvenendo ma non è il risultato di un complotto bensì della commistione tra l’informazione manipolata e il potere. E avviene in modo quasi automatico ormai. Il coordinamento dei nostri movimenti dall’esterno è avvenuto su un sesto della popolazione, che è l’Occidente. Il resto del mondo, secondo me, non è stato neanche minimamente scalfito da questo meccanismo.

Non credo che l’Occidente arriverà a dominare il mondo al punto che non ci possa più essere speranza. C’è ancora un grande movimento nel mondo. Non esiste un Nuovo Ordine Mondiale, non è mai esistito, esiste invece un “piccolo disordine occidentale”.

Riusciranno i popoli a organizzarsi e fermare la follia omicida e suicida dell’Occidente? Beh, la questione è aperta.

L’Occidente pensa di essere invincibile e questo è il suo tallone d’Achille. Se tale consapevolezza si farà strada in importanti settori intellettuali e dirigenti, sulla spinta di altri popoli non occidentali, noi potremo salvarci.

Noi europei non troveremo la soluzione del problema. Noi abbiamo creato il problema. Noi siamo il problema. Non credo potremo comprendere quanto sto dicendo in termini tali da modificare il corso delle cose che precipita verso lo scontro e cioè verso la terza guerra mondiale. Lo potremo fare solamente insieme agli altri popoli, alle altre culture, alle altre civiltà, alle altre religioni, alle altre tradizioni…

La soluzione la possiamo trovare solo tutti insieme. Chiunque progetti l’uscita da questa crisi, che è mondiale ed epocale, da solo, qui in Europa… beh si fa una grande illusione.

Se dovessi riassumere in poche parole, che restassero impresse nel lettore che legge Putinofobia, il senso di questo libro, direi: smettiamola di ritenere l’Occidente il centro del mondo. Non lo è più. Non perché sia buono o cattivo. Semplicemente non lo è più. Quanto più riusciranno a liberarci da questa idea tanto più potremo salvarci e preservare la nostra civiltà.

http://www.sulromanzo.it/blog/perche-putin-ci-fa-paura-intervista-a-giulietto-chiesa

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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