• Bio
  • Contatti
  • Curriculum

Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

Archivi tag: racconto

“Veleno nelle gole” di Simona Barba e Gisella Orsini (Riccardo Condò Editore, 2016)

09 martedì Gen 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

GisellaOrsini, mafia, paura, racconto, recensione, RiccardoCondoEditore, SimonaBarba, Velenonellegole

Anni ’70. Un incidente nello stabilimento industriale dove lavora come chimico e altri avvenimenti drammatici travolgeranno la vita di Lorenzo, che non riuscirà più a placare il suo bisogno di giustizia e di conoscenza. Una verità scomoda lo porterà a scontrarsi con la complicità silente di una cittadinanza che, di fronte al rischio della perdita di lavoro, sceglierà di rinunciare persino alla salute. Una lunga lotta contro un mondo avviato verso lo sviluppo a tutti i costi…

Un tuffo nel passato, un salto indietro nel tempo di quasi cinquant’anni per presentare al lettore uno spaccato dell’Italia in pieno boom economico, nel clou di quello che veniva indicato come un vero e proprio miracolo in un Paese da poco uscito devastato da ben due conflitti mondiali e in piena ripresa… almeno così si credeva. C’è sempre un prezzo da pagare, per tutto, e quello che simbolicamente hanno pagato i protagonisti della fiction nata dalla fantasia di Simona Barba e Gisella Orsini corrisponde a quello pagato realmente da tutti gli italiani.

Pubblicato nel 2016 con Riccardo Condò Editore, Veleno nelle gole è un libro che, se letto nella giusta prospettiva, fa letteralmente mancare il respiro in chi legge perché, se è vero che la storia è di pura fantasia, sappiamo anche che la realtà troppo spesso la supera questa fantasia. Purtroppo.

Veleno nelle gole è un testo breve con una scrittura lenta, cadenzata sui ritmi di piccole comunità, il cui tempo è scandito dalle sirene della fabbrica, dal suono delle campane, dal peso dei ricordi e dalle incertezze per il futuro. Un libro la cui storia è fiction, frutto della fantasia delle autrici, ma il cui nudo realismo è una cartina tornasole indirizzata verso chi ancora finge di non sapere, di non capire e tenta di nascondere la verità, come polvere sotto il tappeto, come rifiuti nei campi, lungo gli argini dei fiumi, sotto i piloni dei ponti che creano le lunghe vie di comunicazione che hanno finito per far diventare gli angoli del nostro Paese non solo e non tanto più vicini, quanto, solamente, più uguali, simili, soprattutto nel male.

Un libro breve, Veleno nelle gole di Simona Barba e Gisella Orsini, ben scritto e interessante, carico di significati e risvolti interessanti. Un libro da leggere.

Simona Barba: nata a Pescara, ha compiuto studi classici e successivamente conseguito la Laurea in Architettura presso l’Università degli studi di Firenze. Iscritta all’Ordine degli Architetti di Pescara, impegnata nel settore automotive. Autrice di numerosi racconti brevi.

Gisella Orsini: Nata a Ginevra, ha conseguito la Laurea in Filosofia presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti. Atleta professionista per l’atletica leggera. Ha partecipato a varie esperienze di laboratori teatrali e seguito corsi di sceneggiatura.


LEGGI ANCHE

Non diventeremo onesti per decreto legge: “Guardare la mafia negli occhi” di Elia Minari (Rizzoli, 2017) 

“Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli (Rizzoli, 2015)


Articolo originale qui

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Siamo quello che nel cuore sentiamo di essere? “Potrebbe trattarsi di ali” di Emilia Bersabea Cirillo (L’Iguana Editrice, 2017)

25 martedì Lug 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

AliceMunro, EmiliaBersabeaCirillo, LiguanaEditrice, Nobel, Potrebbetrattarsidiali, racconto, recensione

Esce con L’Iguana Editrice la raccolta di sette racconti di Emilia Bersabea Cirillo che prende il nome dalla prima storia narrata, Potrebbe trattarsi di ali. Sette figure femminili indagate dall’autrice nel loro essere donne, mogli, madri, sorelle, lavoratrici, disoccupate, bambole… secondo un preciso ordine di intenti che regala al lettore il piacere di leggere un’autrice nuova, o meglio rinnovata.

La Cirillo pur restando fedele al suo essere e voler essere una scrittrice del territorio sembra aver fatto un grosso passo in avanti con questa sua nuova pubblicazione. L’ambientazione rimane la sua città, capoluogo dell’omonima provincia irpina, Avellino, ma i suoi racconti non restano più ancorati alla volontà dell’autrice di raccontare la sua terra. Pur rappresentando ancora i luoghi che hanno originato le storie queste diventano universali. Emilia Cirillo sembra essere riuscita a staccarsi dalla volontà di scrivere per se stessa, per soddisfare un suo personale desiderio, la sua scrittura ora, in Potrebbe trattarsi di ali, sembra un regalo per i suoi lettori, che lo accolgono e lo apprezzano.

Più volte ricorre, all’interno dei racconti, il nome del premio Nobel Alice Munro per la quale la scrittura deve «toccare il lettore tanto da farlo sentire un po’ cambiato». La Cirillo sembra aver fatto tesoro degli insegnamenti della Munro.

Il dolore che Beba somatizza al punto da far soffrire l’intero corpo quanto il cuore, la vicenda umana di Camillo e della sua dolly Rebecca, le dimensioni “fuori misura” di Agnese almeno quanto i suoi sogni, la folle gelosia di Natalina che scuote l’abitudinaria Giovanna, il coraggio di Laura, il dolore di Norma e la disperazione di Anna viaggiano lungo lo stesso binario della vita e imprimono nel lettore la sensazione che questi personaggi esattamente come i loro tormenti possono annidarsi ovunque. Reali e realistici al punto da considerare le loro storie come fotografie o meglio ritratti a tinte forti di quello che in verità l’umanità è e rappresenta. E il lettore, insieme al personaggio Agnese, si chiede se le persone sono quello che nel cuore sentono di essere o sono altro.

«Certe sere erano queste storie, quando un freddo dentro mi immalinconiva,

a restituirmi la voglia di non soccombere surgelata»

La Cirillo fa una singolare dedica iniziale: ai corpi che resistono. Leggendo il testo si riesce a capirne il perché. Va sottolineato anche il merito dell’autrice di aver raccontato temi di scottante attualità narrando il vero, il reale, senza ipocrisie e senza lasciarsi deviare dai proclami che inneggiano alla paura. Le storie di Maria Fatima e Anna meritano grande attenzione e riflessione così pure le sfaccettature di Kathrine e dei bambini di Bianca.

Un buon libro, Potrebbe trattarsi di ali di Emilia Bersabea Cirillo, una valida selezione di racconti nuovi tra i quali è stata inserita anche qualche rivisitazione di storie già pubblicate in passato. Una raccolta di storie che merita senz’altro di essere letta.

LEGGI ANCHE

Le storie, il tempo e la propria terra nell’intervista a Emilia Bersabea Cirillo per “Non smetto di aver freddo”(L’Iguana Editrice, 2016)

Umanità e Giustizia salveranno i migranti… e anche tutti gli altri. “Padre Mosé” di Mussie Zerai e Giuseppe Carrisi (Giunti, 2017)

“Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna (Editori Laterza, 2016)

“I buoni” di Luca Rastello (Chiarelettere, 2014)

Source: Si ringrazia l’autrice, Emilia Bersabea Cirillo, per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte trama e biografia autrice scheda copertina libro

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Dimmi che c’entra la felicità” di De Filpo e Corraro (Edizioni Ensemble, 2016)

10 martedì Gen 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

Dimmichecentralafelicita, Ensemble, MargideFilpo, racconto, recensione, VincenzoCorraro

index

Dimmi che c’entra la felicità di Margi de Filpo e Vincenzo Corraro è una silloge di 18 racconti, alternati per autore, che in punta di piedi e con un linguaggio pacato e misurato accompagnano il lettore nei mille mondi descritti. Piccoli universi di storie di vita ordinaria. Infiniti microcosmi di una quotidianità a volte struggente altre accompagnata da una profonda leggerezza che comunica, in ogni caso, una vocazione alla parola come narrazione di fatti sentimenti riflessioni e denuncia.
Il libro si apre al lettore con un testo di Corraro. La collina davanti al mare racconta la parabola di un uomo del Sud che le ha provate tutte, compresa l’emigrazione, prima di gettare la spugna e arrendersi. Una resa che nel protagonista equivale a una rinascita, una voglia di riscatto che si concretizza nel desiderio di azzerare tutto e ripartire, cercando di non sprecare di nuovo ciò che la vita offre o che a questa si riesce a strappare.
Una riflessione amara, quella condotta da Corraro, sulle psicosi e nevrosi della vita moderna. Sul desiderio sfrenato di “possedere”: una casa, una famiglia, dei figli, del denaro, una posizione sociale… Sul ruolo che in questa vorticosa giostra viene dato agli affetti e all’amore. Sulla vita che può essere un rettilineo oppure una curva mal progettata dove basta un attimo, un granello di brecciola, un rivolo d’acqua o una piccola distrazione per farti precipitare nel vuoto.
Se Corraro descrive la “periferia” dello Stato nella sua marginalità di luoghi dimenticati, per certi versi, dal progresso e dalla modernità, la De Filpo racconta invece quella di una grande metropoli come Roma dove “combattono” per sopravvivere giovani e meno giovani formatisi in tutti i gradi (lauree, dottorati, master…) e che lottano per un misero posto in qualche anonimo call center sempre in bilico tra il rinnovo del contratto e il licenziamento, spesso dovuto alla “necessità” di una delocalizzazione dell’azienda per ridurre i costi e poter restare sul mercato. Assurdità e contraddizioni di luoghi dove invece il progresso e la modernità sono entrati a gamba tesa e hanno manifestato il loro lato più nero. Questo raccontano i protagonisti di L’ultima chiamata al call center.
Diego de Silva ha sapientemente sintetizzato in poche battute ciò che il lettore trova in Dimmi che c’entra la felicità quando ha descritto gli autori «pazienti e sapientemente incostanti» in grado di comprendere da soli quando è il momento giusto per “affacciarsi” al pubblico, ovvero quando il loro lavoro è abbastanza maturo.
Non si trova alcunché di “acerbo” nei racconti di De Filpo e Corraro. Anzi la narrazione scorre fluida, i personaggi sono ben caratterizzati al punto che nei racconti successivi più volte chi legge spera di rincontrarli.
Il tema centrale del libro è naturalmente la felicità. Questa chimera che ognuno rincorre a proprio modo e che in pochi riescono a intuire che «non è un accidente come la tragedia, che quando la eviti arriva da un’altra parte». La felicità si nasconde «lungo la strada, dietro l’ultima curva prima del mare».

Margi de Filpo: Di origini lucane, vive a Roma. Ha pubblicato i romanzi Nero di lacrime e luoghi comuni e Liza, oltre alla short story Sensation.

Vincenzo Corraro: È nato e vive a Viggianello, in Basilicata. Ha scritto i romanzi Isabella e Sahara. Vincitore del premio “Nati 2 volte” per l’opera prima, i suoi racconti sono apparsi anche in varie antologie e su testate giornalistiche.

Articolo originale qui

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Basta thriller o pubblichiamone ancora? Le pecche della malata editoria italiana nell’intervista a Simonetta Santamaria per “Seguimi nel buio” (IoScrittore, 2016)

28 lunedì Nov 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

≈ Lascia un commento

Tag

intervista, IoScrittore, MauriSpagnol, racconto, Seguiminelbuio, SimonettaSantamaria, thriller

cover_snb

Simonetta Santamaria, scrittrice di thriller e noir conosciuta e affermata, decide di sottoporre al vaglio degli editori la sua nuova fatica letteraria, Seguimi nel buio. Una storia che trascina il lettore nei meandri più bui della mente umana, tra le paure e le debolezze di chi è ‘malato’ e la crudele follia di chi tale non è considerato perché sa nascondersi e celare i fili sottili che legano i suoi crimini alle ignare vittime. Autismo e Insanet si affiancano e si scontrano in un libro che merita di essere letto tutto d’un fiato, come ogni mystery che si rispetti.

Eppure il titolo è stato rifiutato perché la linea editoriale sarebbe stata dirottata verso “argomenti più commerciali”. L’autrice non si arrende e partecipa in incognito, utilizzando uno pseudonimo maschile, alla sesta edizione del Torneo Letterario IoScrittore indetto dal Gruppo Editoriale Mauri Spagnol e ne esce vincitrice.

La sua voglia di festeggiare tuttavia è smorzata dal continuo lottare cui sono costretti gli autori italiani che, come lei, non vogliono arrendersi e sottostare alle rigide leggi di mercato, all’abbandono e alla noncuranza degli editori, alle tante pecche della malata editoria italiana.

Ne abbiamo parlato nell’intervista che gentilmente mi ha concesso.

Simonoir, Nostra Signora del thriller, una delle Signore della suspense… quasi non si contano più i nomignoli che le sono stati attribuiti. D’altronde non è poi così raro per gli scrittori di noir l’essere indicati con soprannomi. Perché secondo lei si sente la necessità di rimarcare il suo ruolo di scrittrice con questi epiteti?

Non saprei, forse per accostarci a qualcuno o a qualcosa che ci “etichetti” visto che le ramificazioni del genere sono tante. Per ciò che mi riguarda, devo ammettere che alcuni sono carini, in effetti rendono bene l’idea di chi sono e cosa scrivo. E, considerando la mia tendenza a una certa autoironia, direi che no, non mi dispiacciono affatto.

I thriller e i noir, pur avendo i loro lettori spesso anche forti, vengono sempre additati come generi di troppo. Secondo lei per quali motivi questa produzione libraria viene considerata così ingombrante?

Sottostimata, direi. Già il fatto di intendere la cosiddetta “letteratura di genere” un elemento secondario nel panorama mi fa imbestialire. Molti grandi capolavori classici vengono dalle menti di scrittori “di genere” come Mary Shelley, Edgar Alla Poe, Bram Stoker… E perché no, vogliamo aggiungerci Kafka (ditemi se non è disturbante la sua Metamorfosi) oppure il Sommo Dante col suo Inferno, e magari pure la Bibbia (antesignana dei Wu Ming) che in quanto a suspense non scherza mica…

Il caso di Seguimi nel buio è alquanto singolare e merita di essere raccontato. Inizialmente il libro ha subito un rifiuto da parte dell’editore ma è stato poi pubblicato in quanto vincitore del Trofeo Ioscrittore. Parliamo dello stesso testo, possiamo quindi supporre che ci sia una sorta di pregiudizio nei confronti di questo genere letterario?

Più che un rifiuto, la Tre60 (marchio GeMS) con cui avevo pubblicato il precedente romanzo, Io Vi Vedo, mi disse che avrebbe virato su argomenti più commerciali, quindi il thriller non avrebbe più trovato spazio. E comunque “il thriller non vende, ha subito una flessione”: me lo sono sentita dire da almeno altri tre editori. Così ho iniziato a dubitare di me e delle mie storie. Ecco perché ho deciso di partecipare a un torneo in incognito, IoScrittore appunto; sapevo che sarei stata giudicata senza paraocchi, solo per la qualità del mio romanzo. La risposta dei lettori/scrittori (che notoriamente sono spietati verso i colleghi) invece è stata molto positiva, ed eccomi qua. Deduco quindi che qualcosa mi sfugge, o sfugge a loro.

I thriller stranieri invece sembrano sempre essere ben voluti dagli editori, forti del fatto forse che arrivano in Italia quando sono già dei best seller da milioni di copie vendute. Al di là dell’oggettivo limite costituito dalla lingua che impedisce di vendere così tanto prima delle traduzioni, i thriller italiani davvero sono peggiori degli stranieri?

Ma per carità, non bestemmiamo. L’editoria importa sedicenti fenomeni stranieri perché qui basta una fascetta che decanti vendite record, seppure in Papuasia, per essere comprato sulla fiducia. Invece di promuovere gli scrittori italiani che non hanno nulla, e sottolineo nulla, da invidiare al resto del mondo.

Credo che la rovina sia data anche dal fatto che si pubblica molto senza convinzione; un romanzo (di quelli seri, scritti con sudore e sangue) è frutto di un lavoraccio e, una volta vista la stampa dovrebbe essere promosso come merita. Invece qui siamo al fai-da-te, ti pubblicano e ti abbandonano, e lo fanno anche i grandi marchi. È un’editoria malata, con visioni distorte da meccanismi di marketing.

Leggi anche: Chi è lo scrittore più bravo al mondo?

Lei ha dedicato Seguimi nel buio a quelli che “basta thriller”, «a coloro che mi hanno messo i bastoni tra le ruote e sbattuto le porte in faccia». Conserva ancora qualche sassolino nella scarpa di cui vuol liberarsi?

No, i miei sassolini me li tengo perché fanno parte di un cammino di crescita ed esperienza. Però l’ho fatto con polemica consapevolezza, proprio per portare avanti una battaglia iniziata tanti anni fa a favore degli scrittori italiani. Ho cominciato (e lo faccio ancora oggi) scrivendo horror, immaginate la ghettizzazione… Ma noi, proprio qui in Italia, abbiamo dei fior di scrittori horror: Alessandro Manzetti, ad esempio, è stato il primo italiano a vincere quest’anno il prestigioso Bram Stoker Award indetto dalla Horror Writers Association di cui mi pregio di far parte, e a cui concorrono nomi come Sthephen King, Peter Straub, Ramsey Campbell, Jack Ketchum… Eppure qui i media non hanno dato il doveroso risalto alla cosa. Disturba, certo, ma noi esistiamo, e insieme stiamo facendo movimento. Perché prima o poi, questa battaglia la vinceremo.

Il buio può essere incarnato da numerose sfaccettature, in questo libro come in altri suoi scritti lei sceglie di identificarlo con il lato oscuro del male che alberga nella mente e nella psiche delle persone. La follia, intesa come tutto ciò che si distacca dalla normalità, spaventa più del crimine razionale?

Be’, certo, il buio richiama il lato oscuro, tenebre che nascondono verità che la luce nasconde. E la follia alberga laggiù, dove nessuno può vederla ma lei c’è, esiste, in ognuno di noi, e può scattare da un momento all’altro.

Il crimine comune ci indigna, ci spaventa perché mina la nostra integrità, ma della follia ci terrorizza l’imprevedibilità, il suo legame con l’irrazionale, e quell’inquietante senso di appartenenza che ce la fa sentire così… troppo, vicina. Incontriamo il nostro dirimpettaio ogni giorno, gli sorridiamo e saliamo con lui in ascensore. Ma se qualcuno (o qualcosa) ci inculcasse il tarlo del dubbio, state certi che non lo guarderemmo più come prima. E forse eviteremmo di prendere lo stesso ascensore.

Simonetta Santamaria: Scrittrice italiana. Ha pubblicato vari libri, tra cui i saggi illustrati Vampiri, da Dracula a Twilight e Licantropi, i figli della luna (Gremese), tradotti in Francia e Spagna; i romanzi Dove il silenzio muore (CentoAutori) e Io vi vedo (Tea/Tre60), la raccolta di racconti Donne in noir (Il Foglio), gli e-book Black Millennium e Il segreto della janara. Suoi racconti sono apparsi in antologie di prestigio, tra cui Eros e Thanatos (Giallo Mondadori) e The Beauty of Death (Independent Legions), insieme ad autori del calibro di Ramsey Campbell e Peter Straub.

Ha ricevuto il Premio Lovecraft XI e Fantastique/I Fantasy Horror Award. È membro della Horror Writers Association. È stata definita una delle «signore della suspense made in Naples» (la Repubblica) e «lo Stephen King napoletano» (Corriere del Mezzogiorno).

(Fonte Trama e Biografia autrice: www.simonettasantamaria.net)

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Intervista a Maria Masella per “Testimone”

06 giovedì Ott 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

≈ Lascia un commento

Tag

FratelliFrilli, intervista, MariaMasella, racconto, Testimone, thriller

nmk«Sono le calde giornate del solstizio d’estate: un giovane navigante sbarca a Bari, pensando di restare a terra per pochi giorni. Antonio Mariani e la sua vita cambierà, prendendo una strada che nessuno avrebbe ritenuto possibile…»

Sette storie per un uomo che “vive ogni indagine come un caso personale”. Un libro, Testimone, scritto per accompagnare il commissario Antonio Mariani e le sue vicende, umana e professionale.
Ne abbiamo parlato con l’autrice Maria Masella in un’intervista.

I racconti con protagonista Antonio Mariani sono stati, nel tempo inseriti in romanzi. Qual è il motivo alla base di questa sua scelta?

All’inizio del 2016 l’editore Frilli mi ha proposto di scrivere un Mariani estivo, un po’ più breve del solito autunnale. Parlandone insieme abbiamo pensato a una raccolta di racconti.
Mi piace scrivere racconti e mi piace leggerli, ma non apprezzo che non ci sia un filo conduttore comune. Ne ho scelti due: il primo è stato quello di inserirli in momenti lasciati liberi dai romanzi, non momenti casuali, ma significativi per l’evoluzione umana del protagonista. C’è quindi il racconto in cui Antonio decide di diventare “questurino”, in un altro metto in scena l’arrivo di Iachino e così via.
Non è stato semplice dal punto di vista tecnico, è stato difficilissimo dal punto di vista emotivo: all’inizio è giovane, alla fine è un uomo maturo. Da un racconto all’altro doveva “cambiare e non cambiare”, come una persona vera.
Il secondo filo conduttore è la parola “testimone”, notate che non ho messo alcun articolo, può essere riferito a una donna o a un uomo. O a un oggetto. In ogni storia c’è un testimone chiave, ma è soprattutto il testimone, l’oggetto che ci si passa nella staffetta. Antonio riceve simbolicamente il testimone dall’ispettore di Bari.

Il commissario Mariani è un personaggio che nasce all’incirca nel 2001 e che lei ha portato avanti in tutti questi anni. Era una decisione preventiva oppure ha scelto poi di coltivarlo in questo modo?

Nel 2000 ho scritto un romanzo “Morte da domicilio”, il cui protagonista e io narrante era un commissario genovese, Antonio Mariani. Pensavo che non ci fosse seguito, invece ho scritto un breve racconto “Aspetto”, di nuovo con lui, e mi è venuta la voglia di continuare. Voglia che non si è ancora esaurita.

I suoi libri in genere sono ambientati a Genova. In Testimone invece la scena si amplia con uno sguardo anche al sud-Italia. Ci sono delle motivazioni particolari per questa scelta?

In molti romanzi del ciclo, il protagonista “si muove”. Ne cito alcuni, a caso: “Mariani allo specchio” – Malaga, Celtique – Carrara, “Mariani e le mezze verità” – Lecco. Senza contare che “Mariani e il caso irrisolto” si conclude a Palermo. Motivazioni? Seguo la storia, se la vicenda richiede che lui si muova, allora si muoverà, altrimenti resterà a Genova. Di certo non c’è alcun desiderio di accattivarmi la simpatia di lettori non genovesi, ambientando parte dei romanzi in altre città. Se si muove va in posti che conosco e funzionali alla vicenda.

Lei scrive anche romance ma in questo caso parliamo di noir. In più di un’occasione nei suoi gialli si possono trovare nodi non sciolti completamente. Sono indizi legati alla sua volontà di perpetrare la figura principale della narrazione?

Tutti i romanzi e i racconti sono al cento per cento autonclusivi come indagine. All’ultima pagina chi legge ha le risposte alle tre domande fondamentali: chi, come e perché. Ma ogni romanzo e ogni racconto è qualcosa di più, è un frammento della vita di un uomo di nome Antonio. Quindi alcuni nodi possono essere messi in scena in un romanzo ed essere risolti (non sempre) in uno dei seguenti. Sarebbe innaturale se anche i problemi “di essere umano” trovassero risposta in duecentoquaranta pagine, la mia dimensione usuale.

Il suo protagonista invece è un personaggio che colpisce senza remore. Si è ispirata a qualche persona o personalità in particolare nel crearlo?

No, non mi sono ispirata a nessuno. Anzi Antonio sta lievitando, a ogni romanzo scopro qualcosa di lui che non sapevo.

Qual è il racconto di Mariani a cui è più legata? E perché?

Non lo so. Forse perché non riesco a vedere il ciclo spezzettato, per me è un unico grande (nota: grande come dimensioni! Nessuna allusione alla qualità) romanzo. Alcuni romanzi mi hanno fatto dannare, uno è legato a un momento tristissimo, un altro a mesi difficili… Li amo come gli altri. Insomma, lui mi accompagna da sedici anni, certi matrimoni durano meno.

Maria Masella: Genovese. Scrittrice italiana. Ha pubblicato racconti e romanzi. Testimone è il diciassettesimo titolo pubblicato con Fratelli Frilli Editori. Suoi libri sono usciti anche con Corbaccio e Rizzoli. Alcuni suoi romanzi sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio La Vie en Rose.

Articolo originale qui

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Guardare dentro per vedere oltre. “Storie sbagliate” di Maria Teresa Casella

12 venerdì Ago 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ 2 commenti

Tag

MariaTeresaCasella, racconto, recensione, StorieSbagliate, thriller

Pubblicato tramite StreetLib Selfpublish, il trittico noir Storie sbagliate di Maria Teresa Casella cattura il lettore e lo trascina nelle gole più profonde della vita e della mente umane. È un libro breve ma di una tale intensità da farsi letteralmente divorare. Non è la prima volta che l’autrice regala ai suoi lettori la possibilità di guardare dentro per vedere oltre.

Carmen è una ragazza in aspro conflitto con la vita. La fase adolescenziale è, per lei, particolarmente traumatica e causa una frattura tale con i suoi genitori da indurla a fuggire di casa. Ci vorrà un po’ ma poi capirà che non potrà in alcun modo sfuggire a se stessa.
La sua storia racconta la ribellione giovanile, la voglia di lasciarsi andare, di ostacolare e di opporsi al mondo degli adulti.

«Cercai di tenere duro, di credere che prima o poi qualcosa sarebbe successo e l’incubo sarebbe finito, invece notte dopo notte ci sprofondavo dentro.»

Melody è una transessuale che sembra avere un unico obiettivo: sottoporsi all’intervento chirurgico che la farà diventare definitivamente donna. Ma lei è innanzitutto una persona, un essere umano, con tante storie da raccontare, molta sofferenza e troppo dolore causato il più delle volte dall’ipocrisia di chi, quelle come lei, le schernisce di giorno e le ‘ama’ di notte.

«Era più facile aprirsi, soddisfare, a volte anche godere, se si convinceva che a subire fosse il maschio che era in lei, l’intruso.»

Joanna è una figura liberamente ispirata ad Aileen Wuornos, la killer seriale giustiziata in Florida nel 2002. Personaggio molto discusso, la Wuornos è stata definita da Nick Broomfield, l’ultimo a intervistarla prima dell’iniezione letale, “una persona che ha completamente perso la propria mente in preda alla rabbia”.
Maria Teresa Casella immagina invece che a muovere le azioni di Joanna non sia la rabbia ma l’amore. Un amore deviato, sbagliato? E chi può giudicarlo.

È amore quello che provano due adulti che tentano in ogni modo di adottare un figlio? Oppure è egoismo? È giusto dire la verità ai bambini oppure è meglio mentire? Perché? Cosa provano dei genitori adottivi quando poi la natura decide che possono avere anche loro un figlio naturale?
Tutte le domande che il lettore di Storie sbagliate si pone non sono semplici o scontati interrogativi su vari aspetti o comportamenti, sono dei muri che possono essere costruiti o abbattuti, sono delle scelte che possono risultare giuste o sbagliate ma sempre e comunque necessarie se a volerle è l’anelito di libertà.

Storie sbagliate di Maria Teresa Casella è un trittico noir dove la conclusione non è una fine e neanche un inizio, è una svolta. La direzione verso cui scelgono di andare Carmen e Melody, le cui storie si sono sfiorate, intrecciate per un solo istante ma che è bastato a legare insieme due esistenze, le loro. Vite che per tanti non valevano niente, persone volutamente ignorate, maltrattate, denigrate in nome di… nulla, non c’è nulla che giustifichi certi comportamenti ed è per questo che Carmen e Melody hanno scelto di donare “il loro impegno a beneficio delle vittime delle discriminazioni”. Ed è bello anche che Maria Teresa Casella abbia scelto di raccontarlo.

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città. Intervista a Roberto Ferrucci

11 mercoledì Nov 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

≈ Lascia un commento

Tag

Feltrinelli, intervista, Italia, italiani, racconto, RobertoFerrucci, Venezia, Veneziaelaguna

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

La laguna non è mare. È questo il grido, uno dei tanti, che Roberto Ferrucci rivolge al mondo intero, ma ai veneziani in particolare, affinché venga arginato e pian piano scongiurato il rischio di compiere uno scempio irreparabile alla città di Venezia e alla sua laguna.

«Nel 2015 Venezia, città d’arte mondiale, patrimonio dell’Unesco, non ha un assessore alla Cultura».

Ferrucci, nell’introduzione di Venezia è laguna, non manca di ricordare quanto la cultura «per certi politici, per certi uomini di potere, è un nemico assoluto, in grado di marcarli stretti, di ostacolarli, di smentirli e, alla fine, di smascherarli» e che Venezia non è solo «città della cultura, Venezia è cultura». Il rischio, che egli sottolinea, è che «forse oggi Venezia è in mano a qualcuno che la vuole trasformare in un grande contenitore commerciale, di consumo».

Ciò che Ferrucci teme, quasi quanto il passaggio delle grandi navi lungo i canali della laguna veneziana, è l’apatia dei suoi abitanti. Nutre forte il timore che i veneziani si abbandonino agli accadimenti, smettano di combattere o peggio si lascino abbindolare dalla politica dei posti di lavoro.

«Solo se si ritornerà a pensarla e a rispettarla come città di laguna, accettando la sua preziosa e unica fragilità, Venezia potrà continuare a essere la città più bella e amata al mondo».

È da pochi giorni disponibile in ebook Venezia è laguna (Zoom Feltrinelli, 2015). Un racconto breve che riesce a rendere comunque un’idea precisa di cosa significhi per la città, per il paesaggio, per l’arte e per i residenti il transito delle grandi navi lungo i canali.

Abbiamo rivolto all’autore, Roberto Ferrucci, alcune domande su Venezia è laguna ma anche sui recenti accadimenti che hanno visto incontrarsi e scontrarsi «potere e indignazione, politica e rassegnazione».

Il passaggio delle grandi navi per i canali di Venezia diventa un racconto che lascia al lettore una profonda amarezza. Tra le righe del testo invece si percepisce una grande rabbia propositiva. Cosa pensa accadrà alla Serenissima se non si ferma tutto ciò?

Mi sono accorto che nessuno si era mai avventurato a raccontarla da dentro, la violazione delle grandi navi dentro la laguna di Venezia. Lo avevo già fatto nel romanzo Sentimenti sovversivi (Isbn, 2011) e in Venezia è laguna ho approfondito il percorso narrativo di allora, cercando di raccontare attraverso dei personaggi veneziani che cosa provoca quella violenza non solo alle fragili acque e alle delicate pietre di Venezia, ma anche nell’intimo più profondo di quei cittadini che – come il resto del mondo intero – credono che la scelta di perseverare con questa violenza sia una scelta criminale. I “truffatori del buon senso” e i “sabotatori del paesaggio”, come definisco nel libro le lobby che lucrano su queste crociere, provocano sconquassi non soltanto ambientali, ma anche intimi, sentimentali. Solo la poesia, la narrativa, possono provare a raccontare queste emozioni tanto profonde, invisibili ma dolorose.

Non so se dal libro traspaia una rabbia propositiva. Se è così ne sono soddisfatto, perché in realtà la mia visione è del tutto pessimista. La città è in mano ad affaristi senza scrupoli, alcuni dei quali già protagonisti dello scandalo del Mose (che tratterò in un nuovo libro). Ma ai veneziani non è bastata quella pagina orrenda e vergognosa, e pochi mesi fa hanno votato per un imprenditore. Sia chiaro, lui non c’entra nulla con quello scandalo. Ma ho sempre pensato e scritto, fin dal 1994, che gli imprenditori in politica siano una sciagura. Una sciagura tutta italiana, perché altrove, giustamente, è impedito loro di far politica per via degli inevitabili conflitti di interesse che la storia recente ci ha già detto dove possono portare.

Il nuovo sindaco non ha alcuna intenzione di opporsi o quanto meno di arginare l’ingresso di questi mostri in laguna, al contrario, il suo obiettivo è di aumentarne le entrate, in piena contraddizione con l’altra sua “visione”, cioè quella di limitare, giustamente e ovviamente, il turismo di massa. Idee poche e confuse, direbbe qualcuno. E se nel racconto di Venezia è laguna lascio aperte delle speranze di ravvedimento, se in quelle pagine si respira qua e là un sano ottimismo, io, cittadino e non scrittore, sono del tutto pessimista. Lo dico senza giri di parole: la fine di Venezia è già incominciata, ed è sotto gli occhi di tutti.

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

In Venezia è laguna lei compie una sorta di parallelismo/gemellaggio tra la città lagunare e Saint-Nazaire con il suo estuario e il suo cantiere navale. Vuol rappresentare una sorta di destini incrociati o più un sentiero circolare che viene chiuso?

Volevo semplicemente sottolineare un’assurdità assoluta. Le grandi navi, i paquebot, come le chiamano i francesi, di una compagnia italiana sono costruite a Saint-Nazaire, dove, di fronte al porto, c’è una residenza per scrittori dove anni fa sono stato invitato. È stata un’esperienza davvero istruttiva ed emozionante visitare quei cantieri, parlare con alcuni ingegneri e operai che ci lavorano. E, soprattutto, con i nazairien, che vivono collettivamente la costruzione dei paquebot, ne seguono le tappe passo passo e ne celebrano il risultato finale. Un rituale meraviglioso, condiviso da tutti, in particolare il giorno del varo finale, durante il quale tutta la città saluta il prodotto di anni di lavoro, e lo guarda dalle rive avviarsi in direzione dell’oceano. L’oceano, il mare, non la laguna.

La saggezza e l’amore dei nazairien si trasforma nella scelleratezza e nel cinismo di alcuni veneziani privi di scrupoli, che ci abbindolano con la demagogia dei posti di lavoro. Che non subirebbero alcun ritocco quando e se un giorno si decidesse di fare entrare in laguna solo navi da crociera dalle dimensioni ridotte. I francesi – ma non soltanto loro – non si sognerebbero mai di far entrare quei mostri dentro una delle loro lagune.

Raccontando dei piccoli gesti quotidiani del protagonista e di Teresa sembra voler rendere partecipe il lettore del profondo cambiamento che comporta per Venezia anche se appare impercettibile, al pari dell’acqua smossa dalle balene bianche di acciaio. I veneziani sono consapevoli di ciò che sta accadendo?

Attraverso i personaggi del mio racconto ho voluto far passare l’indignazione, il dolore, la rabbia, l’incredulità e – ahimè – la rassegnazione dei veneziani di fronte a questo scempio. La maggior parte dei veneziani non ha idea di quel che sta accadendo o, peggio, lo sa ma se ne infischia, perché troppi dei veneziani rimasti sono connessi in un modo o nell’altro nel grande business delle crociere e del turismo in generale. E porta schei, e con questo mettono quel che resta del loro animo in pace.

Nell’introduzione cerca di focalizzare l’attenzione del lettore sulle decisioni politiche prese dal sindaco e sulle scelte che lei indica motivate «dagli schei, dai soldi». C’è realmente il rischio di vedere Venezia «trasformarsi come l’interno di una nave da crociera»?

Venezia è già e da tempo una slot machine diffusa. I veneziani proprietari di appartamenti preferiscono affittare per brevi periodi ai turisti, e a prezzi folli, anziché a qualche famiglia. Anche per questo lo spopolamento è incessante, e i politici non fanno che assecondare questa attitudine suicida e moralmente sudicia. Bar e ristoranti spesso si guardano bene dal rilasciare scontrini e ricevute, oltre a proporre due listini prezzi: uno per i turisti e uno per i veneziani. Una discriminazione in atto da molto tempo. Da troppo tempo è presente un commercio incontrollato e quasi selvaggio, che viene edulcorato ultimamente attraverso la repressione degli ambulanti nordafricani e indiani, facendo credere all’opinione pubblica che quello e solo quello sia il male.

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

Per chi non è veneziano, resta l’immagine stridente di un mostro enorme di ferro che si staglia contro la delicatezza della città. Ma, per un veneziano come lei, cosa rappresenta tutto questo?

Rappresenta l’idiozia umana. Presente in ciascuno di noi. La mia mi sforzo di incanalarla in direzioni più innocue, che danneggino il meno possibile gli altri, come le mie risposte a questa intervista, magari. Loro la utilizzano contro un tesoro inestimabile dell’umanità e della storia passata presente e futura. Senza scrupoli. Per far schei.

Nel suo intervento agli Stati generali del turismo sostenibile, il ministro Franceschini ha detto: «Il turismo delle grandi navi è benvenuto ma va governato». Mentre per il governatore Zaia questa è una decisione «parente della politica e non del buon senso e dell’economia. Migliaia di posti di lavoro e il 20% del Pil della città di Venezia ringraziano il Partito democratico per questa scelta che uccide un pezzo di economia sana». Ma se c’è il rischio che il passaggio delle grandi navi a Venezia arrechi anche un danno economico alla città lagunare perché, secondo lei, si insiste in questa direzione?

Perché è un arricchimento di pochi, pochissimi, e però potenti, potentissimi. Inoltre vorrei fosse chiara una cosa provata scientificamente: non c’è il rischio che il passaggio provochi danni alla città e alla laguna e ai suoi cittadini. No, c’è la certezza assoluta.

Franceschini, nel già citato intervento, ipotizzava un possibile dirottamento delle grandi navi al porto di Trieste. Potrebbe essere una valida alternativa a parer suo?

È la sola alternativa saggia, intelligente e da praticare al più presto prima che sia troppo tardi. Prima che magari si inizi a scavare un nuovo canale, che comprometterebbe definitivamente il fragilissimo equilibrio delle acque lagunari. Il governo si dia una mossa e prenda una decisione radicale e coraggiosa.

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

Due anni fa Gabriele Muccino con una lettera indirizzata a Matteo Renzi lanciava una petizione online per fermare il transito delle grandi navi a Venezia. Iniziativa sostenuta da oltre 110.000 firme e chiusa al grido di “Vittoria!”. Il 1 novembre 2014 fu approvato dal governo un piano che stabiliva tra l’altro «precluso il transito delle navi crocieristiche superiori a 96.000 tonnellate di stazza lorda e una riduzione del 20% del numero di navi da crociera di stazza superiore alle 40.000 tonnellate abilitate a transitare per il canale della Giudecca». Cosa è successo in quest’anno?

Ovviamente non è successo nulla. Quelle firme sono state del tutto ignorate. Ma Gabriele Muccino è anche quello che in questi giorni ha avuto la bella pensata di dire che i film di Pier Paolo Pasolini hanno impoverito la sua epoca, che ha girato dei film inutili. E lo dice lui, Muccino, che ha diretto pellicole “memorabili” di bacetti e altri sentimentalismi al rosolio. Lo lascerei perdere, sinceramente. Non saranno certo i Muccino o i Celentano a salvare Venezia. Solo noi veneziani abbiamo la possibilità di farlo, ma tutti i segnali vanno in senso contrario, com’è sotto gli occhi di tutti. Allora, toccherà alle istituzioni internazionali, l’Unione Europea, l’Unesco, che è già molto attenta e dura nei confronti della gestione della città più bella e amata del mondo. E la meno rispettata da noi stessi.

In Venezia è laguna esordisce parlando delle azioni intraprese dal «nuovo sindaco che, appena insediato, ha censurato la mostra fotografica Mostri a Venezia di Gianni Berengo Gardin» motivando la decisione come un tentativo di evitare «una brutta immagine della città». La mostra fotografica di Berengo Gardin a suo parere danneggiava l’immagine di Venezia?

Certo che la danneggia. Ma non nel senso banale e assurdo cui faceva riferimento il sindaco. La danneggia perché mostra lo scempio in atto a Venezia, condiviso anche dal nuovo sindaco. Quella di Berengo Gardin è una visione impietosa e vera, che quotidianamente è sotto gli occhi di tutti quelli che la vogliano vedere anziché fingere per difendere gli interessi di cui ho già parlato. È lo sguardo di un grande maestro che soffre nell’assistere impotente a uno degli atti più distruttivi in atto a Venezia.

Cosa che del resto il sindaco ha implicitamente ammesso quando ha proposto che le navi paghino per entrare in laguna. Vuol dire che anche lui prende atto dei danni che provoca il loro ingresso. Solo che al contempo dice al mondo che Venezia è in vendita. Fatene quel che vi pare, dice, basta che paghiate. Come si fa in certe pratiche che vi lascio immaginare. Questa è Venezia, oggi. E viene da piangere, perché Venezia è laguna, fragile e meravigliosa.

http://www.sulromanzo.it/blog/venezia-e-le-grandi-navi-l-inesorabile-distruzione-di-una-citta

 

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Reality Crime” di Lafani e Renault (Sperling&Kupfer, 2014)

27 mercoledì Ago 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

FlorianLafani, GautierRenault, racconto, RealityCrime, recensione, SperlingKupfer, thriller

“Reality Crime” di Florian Lafani e Gautier Renault

Reality Crime
La casa editrice Sperling & Kupfer con Reality Crime di Lafani e Renault lancia la nuova collana di “thriller a puntate”, disponibile solo in formato e-book. In lingua italiana è reperibile nella versione tradotta da Claudia Lionetti. Il primo episodio della serie è gratuito, gli altri tre sono acquistabili online a € 1,99 ciascuno, prezzo accattivante anche se va tenuto presente che parliamo di testi brevi che hanno una lunghezza media di trenta pagine.

È un esperimento, quello tentato da Sperling & Kupfer, che tutto sommato si presenta come la trasposizione digitale dei romanzi cartacei a puntate del secolo scorso. Infatti Reality Crime #1 e #2 non danno informazioni sufficienti per comprendere appieno lo sviluppo e soprattutto l’epilogo della vicenda: per avere il quadro chiaro il lettore interessato dovrà per forza comprare gli altri e-book. Vista la lunghezza complessiva dell’opera, che supera di poco il centinaio di pagine, chi vi scrive avrebbe di gran lunga preferito leggerlo in versione integrale piuttosto che a spizzichi e bocconi.

L’incipit di Reality Crime #1 ci porta a conoscere la vita apparentemente ordinaria di Colin, professore universitario di origini inglesi ma trapiantato in Giappone, e di sua moglie Yukio. Una relazione extraconiugale dell’uomo sembra innescare una serie di eventi nefasti che lo condurranno in una specie di prigione in mezzo al nulla, ostaggio delle sue paure prima che dei suoi carnefici. Colin Stearl si ritroverà, suo malgrado, recluso in qualche punto imprecisato nel Territorio del Nord del bush australiano che invece era stato il luogo prescelto da George, un altro personaggio, per cercare di salvarsi dalla malattia che lo aveva colpito e la cui causa, il proprio lavoro, poteva essere annientata solo con un totale isolamento in un luogo non contaminato dagli eccessi della “civilizzazione selvaggia”.

Se da un lato Colin sarà costretto a fare i conti col fatto che la vita può essere altrettanto dura e crudele quanto la guerra da cui ha cercato per anni, inutilmente, di fuggire, Georgescoprirà che, purtroppo, anche i luoghi più remoti non sono sfuggiti all’ingordigia dei fomentatori del “progresso a ogni costo” che nella realtà si concretizza con un’estesa cementificazione e con l’inquinamento del suolo, dell’aria e delle falde acquifere circostanti.

Reality Crime

Sull’intera vicenda incombe minacciosa la figura enigmatica di Alban M., titolare dell’account social prima e del sito internet poi su cui viene postato il video incriminante della segregazione e dell’uccisione dei prigionieri, tra i quali c’è Erasmus, amico di Tom, community manager di una società londinese, il quale è tra i primi a lanciare l’allarme di quanto sta accadendo proprio perché contattato dal suo amico. Nel momento in cui sarà tragicamente chiaro a tutti che non si tratta di uno scherzo, entrerà in gioco anche la GCHQ, l’unità operativa inglese contro la cybercriminalità.

Il ritmo della narrazione di Reality Crime è molto incalzante; in poche sequenze Lafani e Renault riescono a catturare l’attenzione del lettore e a mantenerla per l’intera sezione. Disorienta un po’, invece, il continuo e repentino altalenare da una scena all’altra, da un capo all’altro del mondo. A chi legge viene dato appena il tempo di entrare nella scena, figurarsi i protagonisti, assaporare la storia che già il tutto viene interrotto in modo brusco per essere trasportato altrove o perché la sezione del libro è terminata. Questo dispiace perché la vicenda e la capacità espositiva degli autori hanno un potenziale altissimo.

Nel libro di Florian Lafani e Gautier Renault la realtà virtuale diventa teatro di un crimine reale e il social Facebook la piattaforma del macabro lancio pubblicitario dello stesso. Tutto ciò induce il lettore a porsi degli interrogativi sulla funzione sociale delle community e sul fatto che si possano postare video integrali di delitti commessi o in atto senza che un preventivo controllo tuteli magari dei minori che vi incappino, anche in maniera accidentale. Spinge a riflettere sulla distanza virtuale dagli autori di detti crimini che può corrispondere o meno a una distanza fisica. Ma soprattutto porta chi legge a chiedersi fin dove possa arrivare la crudeltà degli uomini verso i propri simili e quanto gravi possano diventare le conseguenze.

Gli argomenti assolutamente attuali, la capacità narrativa e le riflessioni sulla società contemporanea rendono la scrittura degli autori interessante. Di sicuro una valida alternativa al fantasy o al giallo nell’accezione classica del termine, essendo indirizzata a un pubblico giovane questa nuova sequenza narrativa a puntate: Reality Crime di Lafani e Renault.

http://www.sulromanzo.it/blog/reality-crime-di-florian-lafani-e-gautier-renault

 

© 2014 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Translate:

Articoli recenti

  • Teoria e pratica del lavoro sociale: “Intercultura e social work”
  • “Tattilismo e lo splendore geometrico e meccanico” di Filippo Tommaso Marinetti (FVE, 2020)
  • “Daphne Caruana Galizia. Un omicidio di stato”
  • “La terra del sogno” di Mariana Campoamor (Mondadori, 2020)
  • “Lezioni per il futuro” di Ivan Krastev (Mondadori, 2020)

Archivi

Categorie

  • Articoli
  • Interviste
  • Recensioni
  • Senza categoria

Meta

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Proudly powered by WordPress

Questo sito utilizza i cookie per migliorarne l'esperienza d'uso. Continuando la navigazione l'utente ne accetta l'uso in conformità con le nostre linee guida.OKMaggiori informazioni sui cookie