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Irma Loredana Galgano

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“Le dipendenze tecnologiche. Valutazione, diagnosi e cura” di Giuseppe Lavenia (Giunti, 2018)

22 martedì Mag 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Giunti, GiuseppeLavenia, Ledipendenzetecnologiche, recensione, Rete, saggio

Quasi metà della popolazione mondiale utilizza internet. In Italia le connessioni da dispositivi mobili sono 80 milioni, pari al 134% della popolazione (stimata in quasi 60 milioni di persone), nella misura in cui in tanti dispongono di più dispositivi legati al medesimo account. È bene allora, e anche doveroso per certi punti di vista, rendersi conto di quanti accedono a esso, per quanto tempo e finalizzato a che cosa.

E questo è esattamente lo scopo della ricerca condotta da Giuseppe Lavenia e che ha portato alla scrittura di Le dipendenze tecnologiche. Valutazione, diagnosi e cura, edito da Giunti a gennaio 2018. Un saggio sulle potenzialità del cervello umano e delle tecnologiche, sull’uso di entrambi ma, soprattutto, sull’abuso nell’utilizzo della Rete e sulle sue patologiche e deleterie conseguenze.

L’immensa diffusione di internet può considerarsi a tutti gli effetti un fenomeno di massa che si estende a tutti i Paesi e «diviene realmente globale, coinvolgendo la popolazione mondiale al di là delle differenze di genere, razza, etnia, ceto, religione». Una vera e propria rivoluzione con tantissime sfaccettature positive, come sottolinea lo stesso Lavenia nel testo, ma che rischia di diventare un boomerang allorquando soprattutto, ma non in via esclusiva, per i “giovani adulti” l’uso del proprio smartphone è «diventato così essenziale da richiedere di controllarlo e utilizzarlo in qualsiasi momento». Una dipendenza. Ecco di cosa si tratta. Una patologia che colpisce sempre più persone e che ha sintomi, devianze e livelli di gravità molteplici.

Il linguaggio di internet è interattivo e ipertestuale, le comunicazioni sono veloci, velocissime, garantiscono facilmente l’anonimato e regalano ai produttori come anche agli stessi fruitori un tanto benefico quanto ambiguo «senso di infinitezza». La Rete ma soprattuto i social creano con una certa semplicità ciò di cui l’utente come persona ha sempre bisogno, ovvero un «supporto sociale», una rete fatta di esseri umani questa volta che gli danno il supporto cercato con like, commenti, emoticon, messaggi… Tutto ciò “fa stare bene” nell’immediato ma quanto è reale? E quanto invece è effimero e magari anche controproducente?

Navigando in internet attraverso computer, tablet o smartphone si compiono azioni ed esperienze sensoriali limitate che danno una percezione alterata della realtà, quella vera non virtuale. Si possono addirittura creare dei personaggi, gli avatar, che sono versioni edulcorate e autocelebrative di se stessi, modellate sugli ideali cui si fa riferimento oppure sui modelli che si pensa gli altri vorrebbero vedere. Solamente che spesso si finisce con l’identificarsi in tutto e per tutto con l’avatar, staccandosi dalla vita vera. La dipendenza da MUD o giochi di ruoli online può portare a quel fenomeno definito hikikomori, in base al quale i giovani «di fronte a molteplici disagi della crescita, al fenomeno del bullismo e della competizione imposta dalla società impiegano la modalità della fuga nella tecnologia».

Fenomeno pericolosamente in crescita, anche in Italia, come il blue whale, il «modello manipolatorio di gruppo» che, seguendo un preciso «iter di manipolazioni e sottomissione», mette progressivamente a repentaglio la vita della vittima. Processo per certo agevolato dal «meccanismo di condivisione virtuale» che «potenzia l’effetto di distacco dal mondo reale».

La gran parte delle patologie comunque, sottolinea Lavenia, sono presenti anche nella vita offline, solo che con internet divengono di più facile accesso e perciò più diffuse:

Sovraccarico cognitivo
Gioco d’azzardo
Trading
Shopping convulsivo
Porno-dipendenza

Si assiste sempre più di frequente a manifestazioni più o meno gravi di nomofobia, ovvero di paura di rimanere fuori dalla connessione mobile e questi sono atteggiamenti che non possono e non devono essere minimizzati. Piuttosto è necessario provvedere a una corretta prevenzione e una tempestiva diagnosi. Ed è in questa fase che il libro di Lavenia diventa ancora più tecnico, con la descrizione analitica dei sintomi dei vari disturbi e patologie come anche degli strumenti di valutazione, in particolare i test, e dei protocolli di intervento, rimanendo al contempo utile e accessibile.

Nonostante i molteplici aspetti tecnici, Le dipendenze tecnologiche permane un saggio interessante e di facile comprensione anche per un lettore comune. Una lettura piena di informazioni teoriche ma soprattutto pratiche, con esempi concreti che agevolano l’immissione o meglio la re-immissione di problemi seri nel contesto della vera vera, reale. Perché è proprio questo il punto su cui invita a riflettere il saggio di Giuseppe Lavenia. Per quanto possano essere virtuali le realtà create e usate online ricadono inevitabilmente in quella che è la vita reale, offline. Sembra un’affermazione ovvia ma poi, guardando i numeri delle ricerche, non lo è, come il testo di Lavenia può sembrare il resoconto su un argomento di cui tanto, forse troppo, si parla ma ci si rende conto fin dalle prime pagine che non lo è, nell’impostazione come nel contenuto. Un libro necessario ecco cosa in realtà è. Assolutamente da leggere.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Giunti Editore per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte biografie e trama libro www.giunti.it



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© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Cosa accadrebbe se la Rete fosse distrutta? “L’ultimo angolo di mondo finito” di Giovanni Agnoloni (Galaad, 2017)

07 lunedì Ago 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Tag

distopico, fantascientifico, fantasy, GalaadEdizioni, GiovanniAgnoloni, internet, Lacasadeglianonimi, Lultimoangolodimondofinito, Partitadianime, recensione, Rete, Sentieridinotte, Trilogia

È una domanda che in tanti si fanno: cosa accadrebbe al mondo se improvvisamente internet non fosse più accessibile? Nel giro di pochi anni la Rete è diventata uno strumento indispensabile. Perché?

Giovanni Agnoloni di domande di questo genere se ne deve essere poste molte.

Esce a marzo di quest’anno il capitolo conclusivo della serie a sua firma dedicata proprio alla fine di internet.

L’ultimo angolo di mondo finito, preceduto da La casa degli anonimi, Partita di anime e Sentieri di notte, pubblicati tutti dalla casa editrice Galaad è, come gli altri, un romanzo distopico nel quale l’Apocalisse non riguarda una distruzione di facile individuazione, come un bombardamento o una qualsiasi altra catastrofe naturale, non per questo però meno devastante per gli abitanti della Terra.

Il progetto editoriale di Agnoloni è imponente e complesso e gli sono voluti ben quattro libri per portarlo avanti come si era evidentemente prefisso, quasi come un cammino necessario affinché il suo lettore comprendesse l’importanza del passare da una visione e una cognizione esteriore a un’altra, più profonda e meditativa, che emerge con tutta la sua ‘potenza’ ne L’ultimo angolo di mondo finito dove è innegabilmente l’interiorità di ognuno e di tutti il filo conduttore della narrazione.

I protagonisti sono gli stessi degli altri capitoli ma in questo libro conclusivo sono diversi. Più coscienti ma al tempo stesso più smarriti. La soluzione alle vicende narrate l’autore la offre, i lettori che ne sono in cerca non resteranno scontenti, ma sembra una soluzione ‘scenica’ quando, in realtà, le considerazioni che fuoriescono dalla lettura inducono in riflessioni non semplici e di non facile risoluzione. Pensieri che rimandano all’origine del problema, ai motivi che hanno indotto alla volontà di eliminare la Rete. Un gesto che aveva trasformato il mondo, rivoluzionandolo, eppure la cui utilità era evanescente. La gente che sembrava «stesse recuperando l’umanità che aveva smarrito» in realtà sembrava quasi fin troppo smarrita e bisognosa di attaccarsi ad altro, qualsiasi altra cosa le desse il ‘sostegno’ ricevuto fino ad allora da internet e ha finanche creduto di poterlo trovare negli ologrammi. Non era bastato oscurare la Rete perché «la gente voleva essere schiava» e credeva di poter sostituire i social network con gli ologrammi perché «riflettendosi in quegli specchi fittizi, le persone avrebbero creduto di essersi finalmente trasformate in ciò che non erano mai riuscite a essere».

Il desiderio più o meno inconscio che da sempre sembra accompagnare ‘le masse’ di ottundere sensi e volontà, rifiutare di conoscere se stessi e di migliorarsi, scegliere di affidarsi a chiunque prometta la soluzione ‘migliore’ contribuendo a generare e mantenere «un modello di società diretto dall’alto e privo di elementi di dissenso».

Nonostante il testo sia strutturato in tre differenti contestualizzazioni narrative, il registro narrativo utilizzato dall’autore risulta sempre chiaro e la narrazione scorrevole e piacevole, con un crescendo di suspense e aspettativa man mano che ci si avvicina all’epilogo. E anche se al lettore pare già di conoscere la storia che, in L’ultimo angolo di mondo finito, è, per ovvi motivi, meno auto-conclusiva rispetto agli altri capitoli della serie, comprende fin da subito che la vera novità di questo libro è l’ottica verso cui Agnoloni cerca di ‘indirizzare’ i propri lettori, o quantomeno la strada che sceglie di illuminare per essi. Apparentemente sembra un’angolazione, un semplice punto di vista mentre, in realtà, è una fase, quella principale, del percorso che l’autore ha immaginato e fortemente tracciato per i lettori. Porsi degli interrogativi, cercare le risposte, osservare il mondo, vedere se stessi, ritrovarsi in un contesto, compiere delle scelte, avanzare o arrendersi.

Senza pretese e privo di qualsiasi manifestazione stilistica o narrativa di arroganza Giovanni Agnoloni ha egregiamente completato il suo progetto editoriale che potrà essere condiviso e apprezzato oppure no ma, di sicuro, non potrà essere sminuito nella sua importanza e completezza.

Un buon libro, L’ultimo angolo di mondo finito, che fa parte e conclude l’ottima serie di romanzi dedicati alla fine di internet ma che contengono molto, molto altro ancora. Testi da leggere che non deludono gli amanti del fantascientifico ma per il cui valore letterario possono facilmente essere apprezzati anche da chi il genere non lo preferisce.

Source: si ringrazia l’autore Giovanni Agnoloni per la disponibilità e il materiale

Disclosure: fonte trama libro e biografia autore www.galaadedizioni.com

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© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Muoversi tra gli specchi per indagare il mondo e se stessi. “Il logista” di Federica Fantozzi

21 martedì Mar 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Tag

Darknet, FedericaFantozzi, Illogista, internet, intervista, Italia, Marsilio, Occidente, Oriente, paura, Rete, romanzo, terrore, Terrorismo

Muoversi tra gli specchi per indagare il mondo e se stessi. “Il logista” di Federica Fantozzi

Da poco pubblicato da Marsilio, Il logista di Federica Fantozzi è un romanzo dal ritmo incalzante, dalla narrazione forte che alterna suspence e descrizione, azioni statiche e scene di immediato impatto emotivo e sensoriale… elementi tutti che concorrono a definire l’ottima struttura di un libro che può servire al lettore a dare grandi input di riflessione sulla società, sulla malvagità, sulla criminalità e il terrorismo, sulle relazioni con il mondo esterno e con se stessi.

Ne abbiamo parlato con l’autrice nell’intervista che gentilmente ci ha consesso.

Il logista sembra contrapporre due mondi, quello arabo e quello occidentale, e due realtà, quella del benessere e quella della disperazione. Perché ha deciso di scrivere questo libro?

In realtà la disperazione è ovunque, tra i ricchi come tra i poveri. Il benessere può mascherarla ma non eliminarla. A me non interessava contrapporre il mondo arabo a quello occidentale bensì indagare i motivi che attirano sempre più persone giovani nella rete del terrorismo. E non sono convinta che la ragione principale sia la povertà: è il vuoto dentro. La solitudine, l’assenza di prospettive, lo sfilacciarsi dei legami familiari e sociali. Un cocktail micidiale che rende la vita priva di significato e, dunque, inutile. Infatti il jihadismo, come il terrorismo degli anni ’70, comincia a fare presa anche sui ceti sociali più elevati.

Agli occhi degli Occidentali, dai tempi delle Crociate contro gli infedeli, il mondo arabo e l’Islam vengono caricati continuamente di simboli misteriosi e negativi. Nel testo lei riprende l’immagine dello scorpione e il lettore viaggia attraverso il tempo e i continenti dalla Gran Bretagna all’antico Egitto, passando per l’Italia e il Medio Oriente. Il suo scopo è rimarcare il filo conduttore che lega insieme popoli e culture oppure quello di delineare le peculiarità che hanno contraddistinto i vari popoli e che ancora lo fanno?

Lo spunto è stato quello a cui lei fa riferimento: l’Islam è stato associato allo scorpione, a sua volta simbolo del maligno e dell’oscurità, all’epoca delle Crociate. Quando i cristiani, immersi nella sfolgorante luce di Dio, combattevano gli infedeli musulmani. Come fa notare Adam a un certo punto del romanzo, nella storia le prospettive cambiano e adesso è la Jihad a dare la caccia a chi non conosce né pratica il Corano. Credo che ogni lettore debba trarre le proprie conclusioni, io ho solo voluto raccontare una storia. Ma certo, nel nome delle diverse religioni attraverso i secoli sono state perpetrate molte nefandezze.

LEGGI ANCHE – L’Isis, versione ultravioletta e macabra dell’Occidente. Intervista a Francesco Borgonovo

Ne Il logista lei racconta, attraverso gli occhi della protagonista, una Roma decadente. Quali ragioni l’hanno spinta a rappresentare in questo modo la Capitale d’Italia?

La cosa divertente è che non avevo intenzione di rappresentare Roma in quel modo: sporca, insicura, decadente. È semplicemente uscita così, pagina dopo pagina. Me l’ha fatto notare per prima una persona a cui avevo fatto leggere le bozze e ho deciso di renderlo un elemento forte della narrazione. Il punto è che, da romana, evidentemente percepisco così la mia città. È un dato apolitico, non attribuisco la colpa esclusivamente a questo sindaco piuttosto che al precedente, ma resta la spiacevole sensazione che tale degrado si trascinerà a lungo.

Muoversi tra gli specchi per indagare il mondo e se stessi. “Il logista” di Federica Fantozzi

Il Male nascosto dietro lo scorpione è l’estremismo islamico di matrice jihadista. Ma l’Isis è il Male assoluto oppure viene considerato tale perché irrompe con la forza nel mondo occidentale?

È vero, e profondamente ingiusto, che noi tendiamo a considerare l’Isis come il Male assoluto solo quando tocca le nostre società. Mentre le stragi di donne e bambini in Iraq, Afghanistan, Sri Lanka o Somalia passano spesso inosservate. È altrettanto vero che il dolore, le emozioni potenti, la solidarietà, difficilmente attraversano il video del piccolo schermo. Personalmente, ho deciso di scrivere il romanzo dopo essere stata inviata dal mio giornale, «l’Unità», a Parigi nei giorni successivi al massacro del Bataclan. Una settimana durissima e commovente. Senza quell’esperienza vissuta dal vivo forse non avrei avuto la spinta necessaria per raccontare Il logista.

C’è stato un tempo e neanche troppo lontano in cui gli jihadisti erano considerati, da americani e occidentali, “i nostri eroi” perché combattevano per sconfiggere “l’Impero del Male” rappresentato dai sovietici che avevano invaso l’Afghanistan. Poi sono diventati i “barbari” che hanno portato il terrorismo nel cuore dell’Occidente. Quanta responsabilità occidentale c’è, secondo lei, nell’esplosione dello “scorpione jihadista”?

L’Occidente ha responsabilità fortissime, basti pensare anche a Bin Laden e Saddam Hussein. Non c’è dubbio che l’espansionismo politico, lo sfruttamento da parte di pochi delle risorse globali, le crescenti diseguaglianze che la Rete rende immediatamente percepibili siano alla base di moltissimi conflitti del nostro tempo. Si tratta però di temi che servirebbe un’enciclopedia e non un romanzo per sviscerare. E io, invece, ho voluto creare alcuni personaggi lasciando al lettore il compito – e, spero, il piacere – di indagare se hanno o meno un cuore di tenebra.

Muoversi tra gli specchi per indagare il mondo e se stessi. “Il logista” di Federica Fantozzi

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Ne Il logista la protagonista Amalia Pinter da cacciatrice si scopre preda in un vorticoso andirivieni di azioni e suspense che caratterizzano e definiscono il ritmo incalzante del libro. La sua idea sembra essere stata quella di creare un gioco degli specchi. Si può ipotizzare una situazione simile anche per l’attuale scenario geopolitico euro-occidentale e medio-orientale?

Ma certo. Siamo tutti cacciatori e prede allo stesso tempo. Ci illudiamo di controllare il gioco, ma il rischio di venire usati, incastrati o manipolati è dietro l’angolo. Questo vale in ambito geopolitico (pensiamo ai sospetti che la Russia abbia condizionato le elezioni americane o al potere dell’Fbi rispetto alla Casa bianca), economico (lo scandalo Dieselgate o i Panama Papers) e personale. Quest’ultimo è l’aspetto che mi fa più paura: i falsi profili che creano identità parallele, le foto rubate e divulgate in oscuri gruppi Facebook, l’esistenza stessa di Darknet.


http://www.sulromanzo.it/blog/muoversi-tra-gli-specchi-per-indagare-il-mondo-e-se-stessi-il-logista-di-federica-fantozzi

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