• Bio
  • Contatti
  • Curriculum

Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

Archivi tag: saggio

L’igiene decisionale contro il “Rumore”: il difetto del ragionamento umano

03 sabato Giu 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

bias, CassRSunstein, DanielKahneman, OlivierSibony, recensione, Rumore, saggio, Utet

Il rumore è la variabilità indesiderata dei giudizi, e la sua presenza è dilagante. Nonostante ciò si sente molto più spesso, quasi esclusivamente, parlare dei bias. 

Il tema del bias è stato affrontato in migliaia di articoli scientifici e decine di testi divulgativi. Nel libro invece si parla quasi esclusivamente del rumore.

In qualsiasi tipo di giudizio umano c’è, con ogni probabilità, un certo grado di rumore, cercare di debellarlo, così come eliminare il bias, è, per gli autori, l’unico modo per migliorare la qualità stessa del giudizio espresso. 

Se dieci critici cinematografici guardano lo stesso film, se dieci assaggiatori valutano lo stesso vino, se dieci persone leggono lo stesso romanzo, non ci si aspetta che tutti abbiano la stessa opinione. La diversità di gusto è benaccetta e del tutto prevista. Ma la stessa diversità può aiutare a spiegare gli errori che nascono quando il gusto personale viene confuso con il giudizio professionale. 

Per esempio, nelle cosiddette questioni di giudizio, il rumore sistemico è sempre un problema. Se due medici effettuano due diagnosi diverse, almeno uno avrà sbagliato. Se due giudici emettono una sentenza diversa per il medesimo caso, almeno in un caso il giudizio può risultare essere viziato. 

Il libro di Kahneman, Sibony e Sunstein pone il lettore difronte all’oggettiva diffusione del rumore e sulla necessità di porre in essere azioni concrete per la sua riduzione almeno, se non proprio per la sua eliminazione. 

Si provi a immaginare il danno che può causare un rumore nel giudizio di un investigatore in un caso di omicidio. O in un caso di sparizione.

L’investigatore portoghese che ha indagato sulla sparizione di Maddie McCann ha sempre sostenuto di nutrire forti sospetti sui famigliari della bambina, motivati dalle impressioni percepite dal racconto dei movimenti immediatamente successivi alla scoperta della scomparsa, durante i quali, la madre in particolare avrebbe agito in modo strano o, quantomeno, inusuale. Dopo quindici anni le indagini sul caso si sono intrecciate con quelle inerenti un cittadino tedesco detenuto per cinque delitti di violenza sessuale e già noto agli inquirenti per reati connessi a droghe e stupefacenti.1

Sono decenni ormai che Pietro Orlandi racconta quanto accaduto nelle ore immediatamente successive alla sparizione di sua sorella, Emanuela, allorquando i suoi genitori si affrettarono a denunciarne la scomparsa alle autorità le quali, sottovalutando l’accaduto, rubricarono la scomparsa come allontanamento volontario, incoraggiando i famigliari a non preoccuparsi in fondo la ragazza “non è neanche bella”, ragione per cui non dovevano esserci così tanti motivi di preoccupazione. 

Questi sono esempi di rumori molto forti e, purtroppo, non è così azzardato ipotizzare ce ne siano altri. Ma anche su quelli meno evidenti o incisivi conviene effettuare quantomeno una riflessione accurata. 

Per esempio, cosa accade quando un insegnante corregge e valuta il tema di un alunno con un rumore, dettato magari da una semplice opinione personale divergente o da un pregiudizio di qualsiasi natura? 

Ovvio, e gli autori lo sottolineano in diversi punti del testo, che non si riuscirà mai a eliminare tutto il rumore, ma imparare a riconoscerlo è già un ottimo punto di partenza per riuscire a meglio gestirlo. 

Ciò che essi auspicano e consigliano è mettere in atto una vera e propria igiene decisionale: 

  • Obiettivo del giudizio è l’accuratezza, non l’espressione individuale.
  • Pensare in termini statistici e assumere la visione esterna del caso.
  • Strutturare i giudizi in diversi compiti indipendenti.
  • Resistere alle intuizioni premature.
  • Ottenere giudizi indipendenti da più valutatori, per poi eventualmente aggregarli.
  • Preferire giudizi e scale relativi.

Iniziando la lettura del libro di Kahneman, Sibony e Sunstein non si riesce a focalizzare bene cosa ci si debba aspettare, man mano che si va avanti si comprende appieno l’interessante sviluppo dell’esposizione, frutto dell’attenta analisi degli autori. E si capisce anche l’importanza di una ricerca di tale portata. Un libro che riesce a eliminare anche il rumore del lettore nei confronti del libro stesso.

Il libro

Daniel Kahneman, Olivier Sibony, Cass R. Sunstein, Rumore. Un difetto del ragionamento umano, Utet, DeA Planeta Libri, Milano, 2021.

Traduzione di Eleonora Gallitelli.

Titolo originale: Noise: a flaw in human judgement.

Gli autori

Daniel Kahneman: professore emerito di Psicologia e Public Affairs alla Princeton University. Nobel per l’Economia nel 2002 e Presidential Medal of Freedom nel 2013.

Oliver Sibony: professore di Strategia all’HEC di Parigi e membro associato presso la Saïd Business School dell’Università di Oxford.

Cass R. Sunstein: professore di Harvard, fondatore e direttore del programma di ricerca in Economia comportamentale e Politica pubblica. Autore di numerosi articoli e libri. 


1https://www.rainews.it/articoli/2023/05/maddie-mccann-a-16-anni-riprendono-le-indagini-sulla-bimba-inglese-scomparsa-in-portogallo-1303f29d-90fe-4ae9-8fbb-03ac699fbd74.html


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa Utet DeA Planeta per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


Articolo pubblicato su Articolo21.org



LEGGI ANCHE

Le regole di condotta: il comportamento in pubblico tra impegno e partecipazione. “Il comportamento in pubblico. L’interazione sociale nei luoghi di riunione” di Erving Goffman (Einaudi, 2019)

Perché proprio questo è il secolo della solitudine? “Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni” di Morena Hertz (Il Saggiatore, 2021)

“Nella stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti” di Pietro Roberto Goisis (Enrico Damiani Editore, 2020)

Sars-Cov-2: la mutazione genetica della vita. “Lock-mine. Due diari della pandemia” di Goisis e Moroni (Enrico Damiani Editore, 2022)


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La riforma esterna liberal-capitalista che unisce la vecchia Inghilterra, gli Stati Uniti e la nuova Europa: “Riformare i vinti” di Giampaolo Conte

20 sabato Mag 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

capitalismo, economia, GiampaoloConte, GuerinieAssociati, GueriniScientifica, recensione, Riformareivinti, saggio

Le trasformazioni indotte nei paesi della semi-periferia dai paesi capitalisticamente avanzati, in associazione con le élite locali, hanno plasmato il mondo extraeuropeo nel corso del lungo diciannovesimo secolo e stanno, di fatto, trasformando il mondo europeo in questo nuovo secolo.

Tali riforme dimostrano che il processo di liberalizzazione economica non è frutto di una spontanea evoluzione del mercato, bensì è il risultato di un’azione diretta operata dagli attori economici che più ci guadagnano da tali grandi trasformazioni. 

Il problema non è il liberal-capitalismo in sé, che indubbi meriti in termini di prosperità è riuscito a ottenere in molti paesi, ma il principio secondo cui la sua replica istituzionale possa avere lo stesso successo in termini di benessere materiale in paesi che non hanno il medesimo background sociale, culturale ed economico. 

Eppure lo schema che si è presentato sembra essere sempre lo stesso, egregiamente analizzato da Giampaolo Conte nel libro: prima gli inglesi, poi gli americani e infine gli europei capitanati dalla Germania hanno esportato, o tentato di farlo, attraverso l’azione pacifica di una proposta riformista, un modello, un contratto sociale, spesso sotto la retorica della modernizzazione, funzionale alla riproduzione del proprio sistema economico di ispirazione liberal-capitalista. 

Siffatte riforme, concentrate specialmente nel settore finanziario, rimescolano gli stessi equilibri sociali perfino all’interno dei paesi avanzati, che devono a loro volta subire i costi di esternalizzazione che in passato non hanno mancato di scaricare su paesi della semi-periferia. Non essendo funzionali al processo di accumulazione finanziaria, anche le società nei paesi avanzati diventano vittime della trasformazione del capitalismo sostenuta dall’ideologia neoliberista. 

Molti libri sul capitalismo e sulla sua crisi si sono rivelate essere interessanti letture per comprendere un fenomeno la cui portata va intesa come epocale, laddove incide sulla vita e sull’esistenza di intere popolazioni. Ma Riformare i vinti di Giampaolo Conte è un libro che non ti aspetti, per la profondità dell’analisi e la metodica applicata. Dati alla mano, l’autore compie un’indagine sincronica e diacronica sul capitalismo e le sue riforme, sul liberalismo e sull’ideologia neoliberista che ha ispirato gran parte di dette riforme, definite eterne proprio perché applicate in stati, imperi o entità territoriali non inglesi, non statunitensi o quantomeno non appartenenti al club esclusivo delle grandi potenze capitaliste. 

All’interrogativo sulla necessità di leggere un libro come quello di Conte si deve necessariamente rispondere che il punto di rottura di un sistema economico-finanziario, qual è stato ad esempio la crisi del 2007, non è l’inizio di un nuovo periodo bensì il punto di arrivo di tutto ciò che prima è stato. Per evitare l’insorgere di nuove gravi crisi è quello che bisogna indagare e comprendere, ed è esattamente ciò che l’autore ha fatto. Egregiamente.

Il libro

Giampaolo Conte, Riformare i vinti. Storia e critica delle riforma liberal-capitaliste, Guerini Scientifica, Edizione Angelo Guerini e Associati, Milano, 2022.

L’autore

Giampaolo Conte: docente di Storia economica e Storia del capitalismo presso l’Università Roma Tre. In precedenza ha insegnato il Olanda presso l’International Institute of Social Studies ISS. Inoltre, ha avuto incarichi di ricerca ed è stato fellow all’Università di Cambridge e alla London School of Economics LSE.


Articolo pubblicato su Articolo21.org


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Edizioni Angelo Guerini e Associati per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

Chi perde e chi vince nella nuova epoca storica? “Occidente e Oriente” di Kishore Mahbubani (Bocconi Editore, 2019)

L’Altra-Africa: come l’Afromodernità sta diventando una condizione globale. “Teoria dal sud del mondo” di Jean e John Comaroff (Rosenberg&Sellier, 2019)

Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri” di Shoshana Zuboff (Luiss University Press, 2019)

“Il capitalismo oggi e a sua incidenza su popoli ed economie”

© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Prossimità aumentata e pandemia: come gestire relazioni e isolamento nel Terzo Millennio

16 martedì Mag 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

Attraversareladistanza, FrancoAngeli, GabrieleGabrielli, recensione, saggio

“Attraversare la distanza” a cura di Gabriele Gabrielli

La pandemia, il lockdown, il distanziamento fisico, chiamato impropriamente sociale, hanno generato sofferenza e disorientamento, una inedita mancanza e un vuoto generato dalla sospensione.

Una sospensione inattesa e inaspettata. La nostra cultura non prevede fughe o sospensioni ed è, forse, questo uno dei motivi per cui si è andata a schiantare dritta contro la pandemia. 

Diverse culture predispongono “vie di fuga” come soluzioni indispensabili e salutari all’effetto “gabbia” che ognuna di esse tende a produrre. La megacultura occidentale, identificabile come dell’Antropocene, non ha previsto vie di fuga o alternative a se stessa. L’Ekyusidei BaNande del Nord Kivu – Congo e lo Shabbathdegli Ebrei sono “traumi” che una cultura impone a se stessa, auto-sospensioni mediante le quali una cultura si costringe a “mettere tra parentesi” se stessa e le proprie pretese di dominio. Un valido modo per riconoscere che, oltre a se stessa, vi sono altre realtà (la terra, la foresta, …) da cui gli esseri umani ricavano risorse e che potrebbero esistere benissimo anche senza il lavoro degli uomini. Il lockdown, questa sospensione tanto inattesa quanto destabilizzante, ha paurosamente arrestato gli ingranaggi di una poderosa macchina economica che siamo abituati a pensare non solo come inarrestabile ma anche come universale, come un qualcosa di sacro e di intoccabile. Ciò che manca alla nostra civiltà è esattamente l’idea del limite, del proprio limite. La nostra cultura, così piena di lumi forniti dalla scienza, è priva dell’illuminazione che proviene dalla pratica dell’auto-sospensione, dalla pratica del suo arresto. Questa brama, anche definita “il male dell’infinito”, è la fonte dei problemi che affliggono la società moderna: sregolata, anomica, patogena. Le auto-sospensioni traumatiche introducono, nelle culture che le praticano, un forte senso del limite. Le obbligano a ritornare alla natura, fanno loro vedere la fine, fanno accettare l’arresto, fanno incorporare la morte. Ma non è una morte di desolazione, una desertificazione: la morte delle imprese culturali coincide con il riconoscimento dei diritti della natura. Siamo talmente intrappolati nelle maglie fitte di questa ipercultura e, come afferma Fred Vargas, non facciamo altro che avanzare alla cieca, inconsapevoli e sprovveduti.1

All’avvento della pandemia da Covid-19 tutto è cambiato: il mondo con il quale avevamo organizzato la vita, la scuola, l’economia, il lavoro. E ora va ripensato anche il futuro. 

Per Gabrielli, tutto ciò è servito a capire che l’esperienza umana non è tale senza le relazioni che la sospensione dell’isolamento ha tolto quasi per intero. 

Molti interrogativi si pongono ora che tutto sta ritornando alla tanta agognata “normalità” perché mai bisogna dimenticare che la pandemia ha accelerato dei processi in atto e che, forse, anche se più lentamente, si sarebbero manifestati comunque.

L’isolamento è stata una necessità e il digitale uno strumento oppure la pandemia è stata un accelerante per “rifugiarsi” ancora di più nel mondo virtuale? Inoltre, come rimettere al centro del palcoscenico organizzativo le relazioni senza buttar via i benefici della tecnologia? La digitalizzazione come sta cambiando le relazioni tra umani? Come ci fa guardare l’altro? Come ci fa guardare e sentire noi stessi?

Da molto tempo prima della pandemia la quarta rivoluzione, ovvero quella legata alla diffusione di un’infosfera, sempre più delocalizzata, sincronizzata e correlata, ha aperto la strada alla nuova esperienza onlife, con il quale si sta mescolando.2

Si sta andando sempre più velocemente verso un mondo intero a portata di click, dove tutto è più semplice, veloce e immediato. Una realtà virtuale sempre più mescolata al reale piena, però, di insidie e di lati oscuri. Una vera e propria “prossimità aumentata” nel campo delle relazioni, anche nel mondo del lavoro, che possono svilupparsi sia attraverso la compresenza fisica sia mediante la compresenza digitale. 

Ed è proprio sulle relazioni che indagano a fondo gli autori, scrutandone i diversi aspetti, sociali e professionali. Un’indagine che parte dell’essere umano e ad esso ritorna, evidenziandone così il ruolo, che deve restare centrale, anche nelle connessioni virtuali. 

Il libro

Gabriele Gabrielli (a cura di), Attraversare la distanza. Per una nuova prossimità nella società, nelle imprese, nel lavoro, Franco Angeli, Milano, 2022.

Con contributi di: Luca Alici, Maurizio Franzini, Gabriele Gabrielli, Raoul C.D. Nacamulli, Luca Pesenti e Silvia Pierosara.

Il curatore

Gabriele Gabrielli: ideatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona, è imprenditore, executive coach e consulente. Professore a contratto di Organizzazione e gestione delle risorse umane alla Luiss Guido Carli. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative. 


1M. Aime, A. Favole, F. Remotti, Il mondo che avrete. Virus, antropocene, rivoluzione, Utet, Milano, 2020.

2L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano, 2017.


Articolo pubblicato su Articolo21.org


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Franco Angeli per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

La solitudine dell’esistente: il tempo di ritrovare se stessi. “Il tempo e l’altro” di Emmanuel Levinas

Virus Antropocene e Reincantamento del Mondo: “Il mondo che avrete” di Aime Favole e Remotti


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Il nuovo Illuminismo nelle City School de “L’impresa enciclopedia” di Gianfranco Dioguardi

11 giovedì Mag 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

GianfrancoDioguardi, GuerinieAssociati, gueriniNext, Limpresaenciclopedia, recensione, saggio

L’impresa per Dioguardi non è un sistema solo per generare profitti ma un’istituzione che produce ricchezza e benessere sociale per il Paese, che si prende carico degli interessi di tutti i propri stakeholder – azionisti, dirigenti, lavoratori, consumatori, territori -, che opera in termini di sostenibilità ambientale e sociale.

L’imprevedibile e turbolenta complessità del Terzo Millennio ha capovolto la tradizionale dinamica dell’impresa. Non è più possibile impostare, come prima, una strategia imprenditoriale definita e su quella costruire, poi, una struttura imprenditoriale in grado di portarla avanti. Per Dioguardi, si tratta di un cambiamento epocale, che rende necessario realizzare strutture organizzative just in time e, quindi, attuare conseguenti strategie operative che tengono sempre conto delle esigenze emergenti di sostenibilità e resilienza. 

Ragioni per cui è necessario puntare sulla ricerca, da rendere priorità per le organizzazioni complesse – istituzioni, imprese città – valorizzando soprattutto i giovani, vettori di cambiamento. 

I principali protagonisti di questo Terzo Millennio dovranno necessariamente riscoprire valori fondamentali – fra i quali un nuovo modo di acquisire cultura – oggi assopiti se non addirittura annullati, sottolinea l’autore con un velo di tristezza misto a incoraggiamento e determinazione. 

Ed ecco allora che entra in gioco il concetto di impresa enciclopedia, che importa ed esporta conoscenze, soluzioni, benessere, in una continua permeabilità con il territorio, anch’essa città-impresa. L’organizzazione va concepita non come un sistema di gerarchie e di divisione dettagliata del lavoro come nei modelli novecenteschi, ma come una “organizzazione reale”, un organismo vivente composto da reti multiple di soggetti collettivi che combinano e integrano insieme strutture formali, regole, tecnologie digitali, sistemi professionali, comunità di pratiche, prassi, culture, valori, sistemi sociali e, soprattutto, persone in vista di scopi e permeabile con l’ambiente esterno. 

L’impresa enciclopedia di Gianfranco Dioguardi, il cui riferimento alla più grande opera scientifica del Settecento prodotta da Diderot e D’Alambert e dall’esperienza illuminista è trasparente, connota l’impresa come un organismo, un soggetto vivente che importa ed esporta con il territorio e con il mondo esterno conoscenze, pratiche, soluzioni, artefatti di prodotti e servizi, valore economico e sociale, benessere. Quindi, come conclude Butera nella prefazione, non solo adattamento, agilità ma anche capacità di plasmare l’ambiente esterno. Organizzazione come strategia, appunto. 

I burrascosi tempi che stanno vivendo le imprese oggi sono iniziati, per l’autore, tra la fine del Novecento e gli inizi del Terzo Millennio. Una vera e propria bufera provocata da innovazioni tecnologiche divenute di giorno in giorno sempre più preponderanti e di troppo rapido utilizzo, tanto da venire definita come «distruptive innovation» – innovazione dirompente in grado di provocare un “cambiamento turbolento”, assolutamente difficile da programmare e causa di una generale complessità di difficile governabilità che ha finito per diventare endemica. 

Tutto questo ha cambiato ogni regola in ambito organizzativo imprenditoriale e, per questo, Dioguardi sottolinea la necessità di una nuova forma di impresa, l’impresa enciclopedia appunto, più impegnata culturalmente e più adatta alle attuali condizioni di operatività. 

Questa nuova forma di impresa si inserisce nell’evoluzione storica che dall’impresa castello tayloristica è approdata via via nelle varie forme di impresa flessibile, macroimpresa, impresa rete e via discorrendo. 

Si impone quindi la necessità di realizzare strutture organizzative just in time sempre tenendo presente il territorio, reso sistema complesso, nel quale un ruolo fondamentale svolgono le città che si stanno nuovamente imponendo, per l’autore, come i luoghi più idonei alla convivenza in quest’epoca. Necessarie si rendono allora le City School, nuove istituzioni di formazione manageriale da immaginare, progettare e realizzare per fornire un’educazione urbana adeguata alle attuali esigenze. 

L’impresa è fuor di dubbio centrale nel sistema socioeconomico, deve allora imparare a diventare strumento fondamentale per la conquista della frontiera culturale, e deve farlo, per Dioguardi, diffondendo il sapere e stimolando creativamente la curiosità per la conoscenza sia nel proprio ambiente sia, sul territorio, nei confronti delle organizzazioni con le quali interagisce. 

Deve diventare un veicolo importante, addirittura il principale per l’autore, di diffusione della conoscenza rendendosi capace di stimolare, in parallelo all’istruzione relativa alle singole professionalità, anche un sapere di carattere più generale, tale da promuovere un neo Illuminismo culturale. Un nuovo Illuminismo che deve però generare anche un nuovo Rinascimento, per un ritorno dell’individuo come protagonista della città e dell’impresa. 

L’analisi di Dioguardi è assolutamente condivisibile laddove insiste sulla necessità di aprire le imprese a una cultura generale e profonda, non più meramente settoriale e professionale, in modo tale da agire da stimolo e da monito per l’intera società. Un’impresa al servizio dell’individuo e del territorio, che rispetti l’uomo e l’ambiente. Una necessità per la quale l’autore delinea interessanti linee guida applicabili per ogni forma di impresa. 

Il libro

Gianfranco Dioguardi, L’impresa enciclopedia. Organizzazione come strategia per il Terzo Millennio, GueriniNext, Milano, 2022.

Prefazione di Federico Butera.

L’autore

Gianfranco Dioguardi: ingegnere e professore di Economia e organizzazione aziendale presso il Politecnico di Bari. Svolge attività imprenditoriale e consulenziale nei settori dell’edilizia, dell’engineering, dell’innovazione tecnologica, della comunicazione e della formazione professionale. È inoltre presente in diversi consigli di amministrazione, riviste, organizzazioni culturali, istituzioni pubbliche e private. Cavaliere al merito del Lavoro dal 1989 e Cavaliere della Legion d’Onore dal 2004. Autore di numerose pubblicazioni. 


Articolo pubblicato su Articolo21.org


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Guerini&Associati per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

Sostenibilità e Profitto sono davvero incompatibili? “Profitto” di Simon e Fiorese (GueriniNext, 2022)

Obeya: conoscenza, innovazione, successo” di Tim Wiegel (GueriniNext, 2021)


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Accessibilità alla conoscenza e società civile: “L’università a modo mio” di Nanetti e Monteduro

08 sabato Apr 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

CentroStudiErickson, GiuseppeMonteduro, Luniversitàamodomio, recensione, saggio, SaraNanetti

L’approccio dei giovani rispetto all’emergenza Covid-19 è stato, ed è, un nodo-chiave per capire l’impatto della malattia, le sue conseguenze e le sue implicazioni mediche, economiche e sociali anche nel medio-lungo termine. La pandemia, per le nuove generazioni, non è stata solo la minaccia alla salute, ma anche una chiamata importante a un senso condiviso di responsabilità.

In grande prevalenza giovani, gli studenti universitari rappresentano la futura classe dirigente e la “prima linea” sul fronte del progresso. Sono giovani impegnati nello studio e nella ricerca, cioè in quegli ambiti che hanno fatto i conti con la pandemia e che dovranno affrontarne le conseguenze nel tempo, misurandosi con il rischio di nuove possibili emergenze sanitarie, ora una ipotesi non più tanto remota e astratta. 

Per Messa, la società si adatta e cambia con efficacia se l’università riesce ad avere un ruolo guida, e se di questa duttilità sa esserne consapevole interprete. 

Tornare indietro al periodo pre-Covid non è un’opzione tanto semplice: alcune delle opportunità/vincoli vissute in pandemia ci accompagneranno ancora. Soprattutto daranno, o hanno dato, forma a nuove radicate abitudini mentali. Per esempio, immaginare di non poter partecipare a una riunione collegandosi da casa sarà quantomeno visto come “fuori tempo”. 

L’università chiusa, o meglio l’università anche digitale non è stata per tutti un danno o per tutti un beneficio. Per certo però, durante i due anni di lockdown alternato, la frequenza alle lezioni è andata aumentando in proporzione significativa. 

Ne hanno giovato gli studenti lavoratori e quelli economicamente più fragili, i fuori sede e quelli con vari carichi di impegno. Ma l’università non è solo luogo del sapere scientifico, è anche un luogo di formazione delle coscienze individuali e collettive. 

La società civile deve molto a chi afferisce al mondo universitario perché in esso gli individui interagiscono condividendo idee, progetti, speranze e orizzonti valoriali comuni o in costruzione comune. 

È doveroso, sottolineano gli autori, riflettere sul concetto di parità di condizioni per l’accesso al diritto allo studio. Mentre il diritto allo studio tradizionale si pone l’obiettivo di permettere a un numero più ampio di persone di essere uguali all’interno del sistema universitario, la didattica a distanza prelude alla creazione di un doppio sistema, in realtà fortemente classista, in cui gli spazi universitari – di crescita umana e sociale, oltre che professionale – il rapporto con i colleghi e con i docenti e la vita delle città universitarie sarebbero riservati solo a chi può permettersi le spese per frequentare in presenza. 

Lo scopo è quello di allargare la concettualizzazione del diritto allo studio per garantire l’accesso all’università in termini di sostegno economico e anche nei termini di accessibilità tout court.

Per Chiapparino, si tratta di valutare e costruire una rete di trasporti locali adeguata e funzionale, di riconoscere i carichi di cura degli studenti che hanno responsabilità come caregiver famigliari, e di offrire servizi bibliotecari/spazi di studio che siano funzionali agli orari didattici e alle esigenze degli studenti. 

Il tutto nell’ottica di ridurre il divario che separa l’Italia dal resto d’Europa, che vede la prima con una percentuale di laureati ferma a quota 28 contro la media europea che sfonda la soglia del 40. 

L’università a modo mio è un’opera collettiva che mira a dare uno sguardo panoramico della condizione degli studenti universitari italiani anche oltre l’emergenza sanitaria della pandemia da Covid-19. Un lavoro destinato e programmato per continuare, con l’intento di monitorare l’andamento della situazione. Una ricerca davvero interessante che invita alla riflessione sul mondo universitario e sui giovani che lo animano. 

Il libro

Sara Nanetti e Giuseppe Monteduro (a cura di), L’università a modo mio. Esperienze e stili di vita degli studenti universitari, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 2022.

Prefazione di Maria Cristina Messa (già Ministro dell’Università e della ricerca).

Postfazione di Luigi Leone Chiapparino (Presidente del Consiglio Nazionale Studenti Universitari – CNSU).

Gli autori

Sara Nanetti e Giuseppe Monteduro (curatori), Michele Bertani, Matteo Moscatelli, Daria Panebianco, Livia Petti, Davide Ruggeri.


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Edizioni Centro Studi Erickson per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

“Giovani del Sud: Limiti e risorse delle nuove generazioni nel Mezzogiorno d’Italia” di Del Pizzo Leone e Sironi (Vita e Pensiero, 2020)

Virus Antropocene e Reincantamento del Mondo “Il mondo che avrete” di Aime Favole e Remotti (UTET, 2020)

Che futuro ha una società che non investe sulle nuove generazioni? “La parola ai giovani” di Umberto Galimberti (Feltrinelli Editore, 2018)

Il dossier “UNDER. Giovani mafie periferie” curato da Danilo Chirico e Marco Carta per illuminare i suburbi di periferia (Giulio Perrone Editore, 2017)


Articolo pubblicato su Articolo21.org


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Un singolare esempio di politica dell’oblio: “Gli spettri del Congo” di Adam Hochschild

04 martedì Apr 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

AdamHochschild, Garzanti, GlispettridelCongo, recensione, saggio

Nel momento esatto in cui Adam Hochschild scopre l’esistenza del movimento mondiale contro la schiavitù in Congo – di cui ha fatto parte, tra gli altri, lo scrittore Mark Twain – si chiede come sia stato possibile che ne fosse rimasto tanto a lungo all’oscuro. Una pratica che aveva mietuto da cinque a otto milioni di vittime. Le statistiche sugli stermini sono spesso difficili da confermare. Se la cifra esatta fosse anche solo la metà il Congo sarebbe comunque stato il teatro di una delle maggiori stragi dell’epoca moderna. Eppure non ha mai fatto “tanta notizia”. 

Gli spettri del Congo di Adam Hochschild è la storia di quel movimento, del selvaggio crimine che ne rappresenta il bersaglio, del lungo periodo di esplorazioni e conquiste che lo precedette e del modo in cui il mondo ha dimenticato, o ignorato, una delle grandi stragi del recente passato. 

Dietro l’entusiasmo europeo si celava non di rado la speranza che l’Africa diventasse una fonte di materie prime per la Rivoluzione industriale. Ma agli europei piaceva pensare di avere motivazioni più nobili. In particolare, i britannici credevano fermamente di dover portare la “civiltà” e il cristianesimo agli indigeni. 

L’autore sottolinea come una delle esperienze più inquietanti per chi si recava nell’allora Unione Sovietica era passeggiare lungo le ampie gallerie del Museo della rivoluzione in via Gorky, a Mosca. Vi erano esposte centinaia di fotografie e dipinti di rivoluzionari con il colbacco che facevano capolino da dietro barricate coperte di neve, innumerevoli fucili, mitragliatrici, bandiere e vessilli e una vasta collezione di altre reliquie e documenti, senza che vi fosse alcuna traccia dei venti milioni di cittadini sovietici morti nei sotterranei delle esecuzioni, durante carestie provocate dall’uomo e nei gulag.

Oggi quel museo moscovita ha subito cambiamenti che i suoi creatori non avrebbero mai immaginato. All’altro capo dell’Europa, invece, ce n’è uno che non è cambiato affatto: il Museo reale dell’Africa centrale e Bruxelles. In nessuna delle venti ampie gallerie del museo ci è traccia dei milioni di congolesi rimasti vittime di una morte crudele. E Bruxelles non è la sola. 

A Berlino non vi sono musei o monumenti in ricordo degli herero massacrati, mentre a Parigi e Lisbona nulla rievoca il terrore della gomma che decimò metà delle popolazioni di alcune zone dell’Africa francese e portoghese. 

Il Congo diventa nel libro di Hochschild un esempio di politica dell’oblio. Un simbolo, un faro che va a illuminare anche le altre innumerevoli “dimenticanze”. 

Dopo aver letto Gli spettri del Congo viene naturale chiedersi quanto siamo diversi noi occidentali oggi, rispetto agli inglesi convinti di dover civilizzare il mondo. 

Quella compiuta da Adam Hochschild è un’approfondita e dettagliata analisi di un sostanzioso periodo storico, che inizia sul finire del 1800, e riguarda molteplici popoli dislocati in varie parti del mondo, uniti da una linea rossa che li lega insieme e, al contempo, li divide. Un libro che racconta la Storia che molti non hanno mai voluto vedere e altri hanno preferito dimenticare. Un libro tanto cruento e brutale quanto veritiero e necessario.

Il libro

Adam Hochschild, Gli spettri del Congo. La storia di un genocidio dimenticato, Garzanti, Milano, 2022.

Titolo originale dell’opera: King Leopold’s Ghost.

Traduzione dall’inglese di Roberta Zuppet.

L’autore

Adam Hochschild: è uno scrittore, giornalista e storico statunitense. Con Gli spettri del Congo ha vinto il Duff Cooper Prize.


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Garzanti Editore per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


Articolo pubblicato su Articolo21.org


LEGGI ANCHE

Guerre selettive, droghe e strategie: “Killer High” di Peter Andreas

La Grande guerra africana: dallo Zaire al Congo

Guerre, radicalismo e jihad nell’Africa contemporanea

Ruanda: il genocidio con tanti responsabili e pochi complici


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La mancanza dell’aborto legale uccide: “Aborto senza frontiere” di Alessandro Ajres

30 giovedì Mar 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

Abortosenzafrontiere, AlessandroAjres, recensione, RosenbergSellier, saggio

Nonostante la Polonia sia stata tra i primissimi paesi al mondo a regolamentare l’aborto per legge, ancora oggi continuano le proteste. Conseguenze delle continue limitazioni nonché delle richieste di divieto assoluto di aborto.

La legge attuale, intorno alla quale si discute e si combatte quotidianamente, rappresenta un’ulteriore limitazione a quella approvata nel 1993, frutto di un compromesso tra Stato e Chiesa intervenuto dopo la caduta del Muro, che però finì per scontentare entrambe le parti. 

Lo #StrajkKobiet e tutta la gestione del movimento fa parte di una rinascita globale del movimento per i diritti, ispirandosi alle sue pratiche, forme organizzative e comunicative, ai suoi simboli e immaginari e, al tempo stesso, arricchendoli di nuovi elementi. 

Le proteste contro il divieto d’aborto in Polonia non sono una vicenda principalmente polacca. C’è un legame forte con le proteste dei paesi vicini, la Bielorussia e l’Ucraina – il movimento contro Lukasenko e l’Euromaidan – , ma le donne polacche e i moltissimi uomini, soprattutto giovani, che le hanno affiancate nelle piazze, grandi e piccole, di tutto il paese, hanno attinto anche alle esperienze di altri movimenti: Primavere arabe, caceroladas argentine, proteste degli ombrelli a Hong Kong, #OccupyGeziPark, #OccupyWallStreet, proteste degli Indignados spagnoli, contestazioni greche di piazza Syntagma. 

Le statistiche ufficiali relative agli aborti legalmente avvenuti in Polonia nel 2020 indicavano, su 1074 casi complessivi, 1053 interventi in seguito a indagine prenatale, che indicava un’alta probabilità di compromissione fetale grave e irreversibile, o una malattia incurabile pericolosa ai fini della stessa sopravvivenza; in 21 casi la gravidanza è stata interrotta in quanto rappresentava una minaccia per la vita della madre. 

Rendere l’aborto completamente illegale, ucciderebbe più essere umani. Oltre al fatto che veicolerebbe sempre più donne verso interventi illegali o da effettuarsi in paesi stranieri. Come già accade. Stando ai dati forniti da Aborga bez granic – Aborto senza confini, le donne polacche, malgrado le dure restrizioni imposte dalla nuova legge, continuano a esercitare una scelta grazie alle associazioni che le seguono e alla mobilità europea. 

Frida Kahlo, Ospedale Henry Ford – Il letto volante, 38×30.5 cm, olio su metallo, 1932, Collezione di Dolores Olmedo, Città del Messico.

La Polonia contemporanea è un paese in cui la lotta per la modernità si svolge a spese delle donne. Per la prima volta, in seguito alla battaglia scatenatasi intorno alla legge sull’aborto, queste hanno l’opportunità di fermare e ribaltare il meccanismo arrugginito dall’usura del patriarcato. 

Leggendo della capillarità della protesta, dell’inventiva delle organizzatrici e dei suoi sviluppi, si palesa tutta la sua innata forza, generata dalla “paura” di non essere ascoltate, di essere calpestate come i diritti conquistati, di essere zittite, di essere dimenticate. È la forza che può generare solo la disperazione, o la speranza. 

L’analisi condotta da Alessandro Ajres riguarda principalmente il linguaggio e la comunicazione della protesta, che passa attraverso suoni, parole, immagini, e riguarda gli slogan, i comunicati, i post sui social, i cartelli e i simboli utilizzati. Un linguaggio e una comunicazione che hanno indagato a fondo anche musica, letteratura e arte, focalizzando su alcuni aspetti stereotipati che lanciano messaggi obsoleti o deleteri. Oppure obsoleti e deleteri. Immagini inadeguate e lontane dalla vita reale che attraversano trasversalmente tutti i campi della cultura. Basti pensare ai leitmotiv di molta comunicazione, letteratura, cinema, pubblicità, musica e arte. 

L’autore, attraverso l’indagine sulle proteste, svolge un approfondito lavoro di studio al riguardo, mostrando al lettore aspetti poco noti dell’interpretazione artistico-letteraria di simboli e motivi. 

Frida Kahlo, L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xolotl, 70×60.5 cm, olio su tela, 1949, Collezione Jacques&Natasha Gelman, Città del Messico.

Il libro

Alessandro Ajres, Aborto senza frontiere. Il movimento polacco e i suoi modelli, Rosenberg&Sellier, Lexis Compagnia Editoriale, Torino, 2022.

L’autore

Alessandro Ajres: professore a contratto di Lingua polacca alle Università di Torino e Bari. Si occupa principalmente di letteratura polacca moderna e contemporanea.


Articolo pubblicato su Articolo21.org


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Rosenberg&Sellier per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Immagine in evidenza: Caravaggio, Giuditta e Oloferne (particolare), 145×195 cm, olio su tela, 1599, Palazzo Barberini, Roma.


LEGGI ANCHE

La voce delle donne per sconfiggere la misoginia: “Donne medievali” di Chiara Frugoni

“Crescere uomini. Le parole dei ragazzi su sessualità, pornografia, sessismo” di Monica Lanfranco

Superare le disuguaglianze di genere è anche una responsabilità intellettuale: “Disuguaglianze di genere nelle economie in via di sviluppo” di Bina Agarwal

“Madri” di Marisa Fasanella


Frida Kahlo, Radici, 30.5×49.9 cm, olio su tela, 1943, Collezione privata.

© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La corruzione è un fenomeno culturale: “Giustizia. Ultimo atto” di Carlo Nordio

17 venerdì Mar 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

CarloNordio, GiustiziaUltimoAtto, GuerinieAssociati, Italia, recensione, RinnovamentoCulturaleItaliano, saggio

A trent’anni da Tangentopoli siamo ben lontani dal progetto di ripristinare, ove ci sia mai veramente stata, la legalità nelle istituzioni. La corruzione non è diminuita. Ma per Nordio l’effetto più pernicioso è stato portare la magistratura al controllo dei partiti e alla tutela del Paese, fino al punto di sovvertire il responso delle urne e modificare gli equilibri parlamentari. 

In Italia, il rapporto tra magistratura e politica è stato, negli ultimi venticinque anni, del tutto anomalo. In uno Stato democratico che, come tutti gli ordinamenti moderni, si fondi sul principio della divisione dei poteri, questa conflittualità dovrebbe essere esclusa in radice. 

Occorre quindi, per l’autore, una rivoluzione copernicana del sistema giudiziario, perché il tempo sta per scadere. Siamo all’ultimo atto.

Tangentopoli è stata la malattia e Mani Pulite la cura. Eppure, per Nordio, quest’ultima si è rivelata essere più dannosa della prima, sul lungo termine. 

Da un lato la corruzione è continuata e continua, sia pure sotto forme assai diverse. Dall’altro l’accumulo di prestigio e quindi di potere da parte della magistratura ha determinato sia la subordinazione della politica, sia la degenerazione della stessa corporazione giudiziaria.

Il primo fallimento della cosiddetta rivoluzione del 1992-1994 è stato il ripetersi di crimini che alcuni speravano tramontati, o comunque diminuiti. I processi e le sentenze sui vari episodi hanno dolorosamente dimostrato l’estensione e l’intensità di questo fenomeno pernicioso, che offende la legalità, umilia la concorrenza, aumenta i costi e gli sprechi, e si insinua in modo tentacolare persino tra gli organi di controllo che dovrebbero impedirlo e combatterlo. 

Il secondo fallimento riguarda i rimedi impiegati: inutili. Rimedi che Nordio sintetizza in una dissennata proliferazione normativa, un’enfatizzazione burocratica, un’innocua severità. Dal 2012 in poi, soprattutto, i provvedimenti anticorruzione si sono succeduti con «periodica e minuziosa bigotteria ammonitoria», nel senso che a ogni legge si attribuiva un intento insieme etico e risolutivo. 

L’autore sottolinea come spesso si tende a dimenticare che, quando la corruzione assume proporzioni estese e infiltrazioni capillari, contagiando allora come oggi tutti i settori della vita civile e germinando dai settori più modesti dell’impiegato comunale a quelli più elevati dell’alta amministrazione, subisce una trasformazione genetica. Non perde il suo connotato criminoso, ma lo altera e lo decompone. Diventa, in definitiva, un fenomeno culturale. 

Più uno Stato è corrotto, più le leggi sono numerose, e più le leggi sono numerose, più alimentano la corruzione. Per cambiare questo sistema corroso e obsoleto occorre modificare la Costituzione, ormai «vecchia culturalmente» secondo Nordio, perché basata sul compromesso di due ideologie – la comunista e la cattolica – che hanno subito, negli ultimi decenni, profonde trasformazioni. Bisogna inoltre ridurre e semplificare le leggi esistenti, perché il corrotto, prima ancora di essere punito o intimidito, va disarmato. È questo il succo fondamentale della rivoluzione copernicana invocata dall’autore. 

Carlo Nordio analizza a fondo il problema della corruzione nelle istituzioni e il modo in cui è stato affrontato dalla politica e dalla magistratura negli ultimi quarant’anni. Anche riguardo la magistratura, come per la politica, consiglia di non generalizzare mai troppo né, per contro, tentare di ridurlo a eventi legati solo a singoli individui, magari in vista, i quali finirebbero per diventare inutili capri espiatori di un fenomeno che non sarebbe comunque risolto, anche in seguito a una eventuale condanna. 

L’autore è un liberale, e non tenta certo di nasconderlo. Si può concordare o meno con le sue posizioni e anche con alcune delle sue vedute, ma non si può certo obiettare quando egli compie una dettagliata ricognizione dello stato dell’arte. Un’analisi attenta, lucida e, tutto sommato, obiettiva. Sicuramente competente in materia. 


Il libro

Carlo Nordio, Giustizia. Ultimo atto. Da Tangentopoli al crollo della magistratura, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2022.

L’autore

Carlo Nordio: editorialista ed ex magistrato. Ha condotto le indagini sulle Brigate rosse venete e quelle sui reati di Tangentopoli, ha poi coordinato l’inchiesta sul Mose. È stato consulente della Commissione parlamentare per il territorio e presidente della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale. Dal 2018 fa parte del Cda della Fondazione Luigi Einaudi. Collabora con numerose testate nazionali ed è autore di diversi volumi sul tema della giustizia. Attuale ministro della giustizia nel governo Meloni.


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Guerini e Associati per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com



LEGGI ANCHE

Riflessioni sparse sul sistema giudiziario italiano in “La tua giustizia non è la mia” di Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo (Longanesi, 2016)

Il maxiprocesso di Palermo ha davvero messo in ginocchio la mafia? Intervista ad Antonio Calabrò


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La bellezza non basta. L’amore del Rinascimento che ha cambiato il mondo. 

24 venerdì Feb 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

Amarsi, GiulioBusi, IlMulino, Italia, recensione, Rinascimento, saggio, SilvanaGreco

“Amarsi” di Giulio Busi e Silvana Greco

Se bastasse la bellezza, il Rinascimento non sarebbe mai nato. 

La bellezza non basta. È questa, nell’analisi di Busi e Greco, la grande scoperta del Rinascimento. 

Gli artisti e gli scrittori rinascimentali scavano il marmo, stendono la pittura, infilano collane di parole. Ma il loro segreto non è fatto di pietra, di colori, d’inchiostro. Assieme alla bellezze, impastano emozioni. E le mettono per iscritto. Le dipingono. Le disegnano. Le modellano.  E l’enorme quantità di scritti, schizzi, dipinti, affreschi, statue rendono omaggio al loro amore, vissuto, immaginato, sognato, desiderato, subito. 

Il Rinascimento esplora il desiderio, lo trasforma in forme che si librano nello spazio, si torcono, si congiungono, si amano. Si amano di un amore diverso, sperimentale, egregiamente indagato dagli autori il cui scopo è portare alla luce proprio il nuovo modo di dire, vedere e fare l’amore. E la ragione principale per la quale lo hanno fatto è che i modelli amorosi del Rinascimento, i percorsi di seduzione, l’affinamento psicologico dei sentimenti messi a fuoco in Italia in quest’epoca inimitabile sono ancora dominanti oggi. 

Incisioni e libri a stampa divulgano posizioni erotiche, liberano la sessualità, la portano dal chiuso delle alcove sotto gli occhi di molti, se non di tutti. Questa libertà, contro cui si schierano ben presto le autorità ecclesiastiche, ha naturalmente anche i suoi lati oscuri. Il Rinascimento escogita nuove forme di mercificazione del desiderio. 

È in quest’epoca che si afferma il fenomeno delle «cortigiane oneste». Eredi delle etère dell’antichità classica, le cortigiane rinascimentali uniscono l’avvenenza a una conversazione brillante, uno stile di vita sofisticato e a talenti artistici. Hanno spesso un’ottima educazione, superiore alla media, e la loro compagnia, unità a disponibilità sessuale, è ambita dagli esponenti dell’élite. Chiamarle prostitute d’alto bordo, sottolineano gli autori, non rende ragione del loro ruolo, che ha profonda influenza culturale. 

Se il modo di concepire l’amore cambia, è anche grazie alle donne che entrano, in maniera prima impensabile, nel discorso pubblico e che sanno colloquiare alla pari con gli esponenti del mondo umanistico. Non soltanto cortigiane, di solito impegnate in un’ascesa sociale che, da condizioni relativamente modeste, le porta a contatto con il potere economico e politico. Parecchie scrittrici e qualche artista visiva, spesso di estrazione alto borghese o nobiliare, interpretano seduzione e desiderio con accenti nuovi, ed evocano un altro eros, più ricco di sfumature, di quello che viene dall’universo maschile. 

Correggio, Giove e Io, 1532-1533, olio su tela, 163,5x72cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Il femminile acquista, nel Rinascimento, maggiore profondità, una più nitida consapevolezza psicologica. Non è ancora la piena autonomia a cui punterà l’età moderna, ma il passaggio è comunque fondamentale. L’amore, il desiderio, la passione che sembrano esplodere oppure implodere allorquando si scontrano con le recrudescenze del passato, del maschilismo, dei dogmi della religione. Allora come ora. 

Pietro Bembo è stato uno dei paladini più determinati dell’amore platonico, della dicotomia: amore infelice-amore fisico vs amore felice-amore ideale. E lo è stato nei suoi scritti, nei suoi libri. Nei salotti, in camera, in tante lettere eleganti e in spiegazzati, frettolosi bigliettini, fu invece amatore seriale di donne in carne, ossa, occhi, volti e corpi. Con alterne fortune, naturalmente, ma con una melodica arte di seduzione, che non gli impedì di giungere fino al cardinalato. 

Vicende che riportano alla mente le tante analogie tra il periodo rinascimentale e quello attuale. Ai tanti “scandali” che riempiono le cronache con la stessa facilità e velocità con la quale finiscono nel dimenticatoio generale. 

Il grande Michelangelo Buonarroti sempre schivo nel raccontarsi ha lasciato uno dei più suggestivi esempi di pathos amoroso rinascimentale. Un messaggio composto per «Tomao», ovvero Tommaso Cavalieri, il giovane che Michelangelo incontra a Roma, nell’autunno-inverno 1532-33 e per il quale prova ammirazione, attrazione, imbarazzata affinità. Più che parlar d’amore, quello michelangiolesco è amore in parole, e in immagini. 

Caravaggio, Amor Vincit Omnia, 1602-1603, olio su tela, 156x113cm, Berlino, Staatliche Museen.

Accanto al bello, il Rinascimento scopre l’emozione, la vicinanza dei corpi, persino le loro imperfezioni. Nelle relazioni fra donne e uomini, in quelle omoerotiche, tra ceti diversi, la rivoluzione amorosa del Rinascimento cambia per sempre la società. Per certi versi la sconvolge, di turbamenti i cui strascichi sono, in parte, ancora irrisolti. 

Anziché un Rinascimento dell’individuo, che vuole affermarsi contro tutti, Busi e Greco immaginano una trasformazione guidata dai sensi, un modo nuovo di orizzontarsi nel reale. Gli uomini e le donne del Rinascimento sono, come vuole Burckhardt, più individualisti dei loro predecessori, ma sono anche immersi in una sensorialità diversa. Si mostrano in maniera più tangibile, si muovono nello spazio con migliore consapevolezza dei loro corpi, affinano con maggiore cura il loro sentire. 

Analizzano a fondo scritti e dipinti gli autori, guidando il lettore attraverso letteratura e arte rinascimentale. Un’immersione in un mondo dall’oggi non così distante così si può ipotizzare o sperare. Un percorso che elude critiche e pregiudizi, abbracciando invece la sete di conoscenza e comprensione del lettore e degli stessi autori. Comprendere come le persone si rapportano con le proprie pulsioni intime per certo aiuta a capire il loro modo di comportarsi in pubblico. Esiste una stretta interrelazione tra il modo in cui una persona ama se stessa, ama un altra persona e la maniera in cui poi esse si ameranno tra loro. Ed è su questo punto affatto scontato che il libro di Busi e Greco svela tutta la sua grandiosità. 


Il libro

Giulio Busi, Silvana Greco, Amarsi. Seduzione e desiderio nel Rinascimento, ilMulino, Bologna, 2022.

Gli autori

Giulio Busi: esperto di mistica ebraica e di storia rinascimentale, professore alla Freie Universität di Berlino. Collabora alle pagine culturali de «Il Sole 24 Ore».

Silvana Greco: studiosa di sociologia della cultura e dell’arte, professoressa alla Technische Universität di Dresda.


Articolo disponibile anche qui


Sandro Botticelli, Venere e Marte, 1482-1483 circa, tecnica mista su tavola, 69,2×173,4cm, Londra, National Gallery.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de ilMulino per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: immagine di copertina: Tiziano Vecellio, Amor Sacro e Amor Profano, 1515, olio su tela, 118x279cm, Roma, Galleria Borghese.


LEGGI ANCHE

La voce delle donne per sconfiggere la misoginia. “Donne medievali” di Chiara Frugoni

“L’eroe negato. Omosessualità e letteratura nel Novecento italiano” di Francesco Gnerre (Rogas Edizioni, 2018)

Le regole di condotta: il comportamento in pubblico tra impegno e partecipazione

“Tattilismo e lo splendore geometrico e meccanico” di Filippo Tommaso Marinetti (FVE, 2020)


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

È la decolonizzazione mentale l’arma vincente contro il razzismo. “Insegnare comunità” di Bell Hooks

15 mercoledì Feb 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

BellHooks, InsegnareComunità, Meltemi, recensione, saggio

Insegnare, per Bell Hooks, è condividere la crescita intellettuale e spirituale degli studenti. Impegnarsi per porre fine al razzismo nell’istruzione è l’unico cambiamento realizzabile a beneficio degli studenti neri e, in generale, di tutti gli studenti.

Se i neri americani hanno dovuto, e devono ancora, lottare contro la discriminazione e la segregazione, di fatto i neri d’Italia, pur trovandosi in scuole libere, pubbliche e aperte a tutti, spesso sono stigmatizzati come stranieri, anche se nati e cresciuti qui. Altre volte sono etichettati come alunni con «bisogni educativi speciali» solo perché non parlano ancora la lingua italiana o sono traumatizzati per i trascorsi, per la fuga da paesi in guerra o povertà estrema.

A differenza della generazione di Bell Hooks, che ha comunque avuto nelle scuole segregate insegnanti-modello a cui ispirarsi e che spronavano a impegnarsi e a eccellere, nelle scuole italiane non ci sono ancora insegnanti con lo stesso retroterra degli alunni. Ovviamente ciò non vuol dire che si auspica la realizzazione di scuole segregate, tutt’altro. La creazione di una scuola multietnica e multiculturale a ogni livello.

L’educazione funziona e favorisce l’autostima degli studenti bianchi, neri e di colore (intesi come “non bianchi”) solo se chi educa è antirazzista nelle parole e nei fatti.

Una delle situazioni più ricorrenti, sottolineata da Hooks nel testo, riguarda proprio il fatto che la gran parte di coloro che si dichiarano antirazzisti, nel loro quotidiano, non frequentano persone nere o di colore. Non hanno grandi rapporti con loro. La loro cerchia si compone, alla fin fine, di persone bianche. 

L’insegnamento può essere un’attività gioiosa e inclusiva, ma deve essere assolutamente ripensato per affrontare in maniera risolutiva le discussioni su razza, genere, classe e nazionalità. Hooks sostiene che l’insegnamento può avere luogo in diverse e molteplici situazioni quotidiane di apprendimento: nelle case, nelle librerie, negli spazi pubblici e ovunque le persone si riuniscano per condividere idee capaci di influenzare la loro vita.

Per Bell Hooks, gli insegnanti imparano mentre insegnano e gli studenti imparano e condividono la conoscenza e, in tale conoscenza, tutti si riconoscono come membri di una comunità. 

Nella prefazione, Rahma Nur condivide con Hooks la presa di coscienza dell’assenza di altre donne nere negli ambienti di lavoro frequentati e ricorda che, se negli ambienti accademici vissuti dall’autrice si era arrivati a sdoganare i discorsi su razza e razzismo, in Italia si è ancora ben lontani da ciò. Nel senso che sono discorsi ripresi e sviluppati dagli stessi neri, in svariati luoghi, ma l’opinione pubblica e i mezzi di comunicazione fanno ancora molta fatica ad accettare certi argomenti.

Invece bisogna far capire che il «modello suprematista bianco plasma le nostre percezioni quotidiane» in ogni momento, e questo succede negli Stati Uniti come in Italia. Necessita un lavoro di decolonizzazione e auto-decolinazzione mentale. 

L’Italia è stato un paese colonizzatore e certi pensieri e atteggiamenti suprematisti fanno parte di questo retaggio. Se le persone bianche non possono liberarsi dal pensiero e dall’azione suprematista bianca, le persone nere e di colore non saranno mai veramente libere: questo vale anche per noi e per chi ha dimenticato o non conosce le violenze impartite ai popoli del Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia) che l’Italia ha colonizzato. 

La cultura dominante ha paura ad approcciarsi a nuove idee e nuovi modi di vedere il mondo. Eppure è importante sostenere la giustizia sociale trasformando il sistema scolastico ed educativo in modo che la scuola non sia il luogo in cui chi studia subisce un vero e proprio indottrinamento volto a sostenere il patriarcato capitalista imperialista e suprematista bianco o qualsiasi altra ideologia, ma piuttosto dove impara ad aprire la mente, a impegnarsi nello studio rigoroso e a pensare in modo critico. Generando in tal modo una vera e propria «pedagogia della speranza». 

Mentre il mondo accademico diventa sempre più un luogo in cui le aspirazioni umanitarie possono realizzarsi attraverso l’educazione come pratica della libertà e la pedagogia della speranza, il mondo esterno insegna ancora, purtroppo, la necessità di mantenere l’ingiustizia, la paura e la violenza. La critica al concetto di alterità, capeggiata dall’educazione progressista, non è potente quanto l’insistenza dei mass media conservatori sul fatto che tale alterità debba essere riconosciuta, braccata e distrutta. 

L’odio incarna un complesso insieme di paure che riguardano la differenza e l’alterità. Rivela ciò che alcune persone temono in sé stesse, le proprie differenze. Inoltre, sottolinea ancora Hooks, l’odio si forma intorno all’ignoto, alla differenza percepita come alterità. 

I cittadini di tutto il mondo sono attraversati dal cinismo mortale che normalizza la violenza, che fa la guerra e sussurra che la pace non è possibile, che non può esistere pace tra individui diversi, che non si assomigliano né parlano allo stesso modo, che non mangiano lo stesso cibo, non adorano gli stessi dei o non parlano la stessa lingua. 

Bell Hooks sottolinea come spesso chi insegna si dimostra riluttante a riconoscere fino a che punto il pensiero suprematista bianco informa ogni aspetto della nostra cultura, comprese le modalità di apprendimento, il contenuto di ciò che si apprende e il modo in cui viene insegnato. E ciò vale anche per tutti gli altri che insegnanti non sono.

Ricorda l’autrice un test che somministrava durante le sue conferenze: quale identità sceglieresti se potessi reincarnarti? Le opzioni sono: maschio bianco, femmina bianca, maschio nero, femmina nera. 

Ogni volta andava per la maggiore l’opzione “maschio bianco” e per ultima “femmina nera”.

Perché? La gran parte delle risposte dava come motivazione il privilegio basato sulla razza. E sul genere. 

Chiunque compirà questo test con sé stesso dovrà ammettere che è un dato di fatto. 

Nella nostra cultura quasi tutti, indipendentemente dal colore della pelle, associano la supremazia bianca al fanatismo conservatore ed estremo, ai naziskin che predicano tutti i vecchi stereotipi razzisti della purezza. Eppure, sottolinea Hooks, questi gruppi estremisti raramente minacciano il quotidiano. Sono le credenze e i pregiudizi suprematisti della compagine bianca “moderata”, più facili da nascondere e dissimulare, che sostengono e perpetuano il razzismo quotidiano come forma di oppressione di gruppo. 

Diventare razzisti o meno è una scelta che facciamo. Nel corso della nostra vita siamo costantemente chiamati a scegliere da che parte stare rispetto al razzismo. 

La cultura dominante ci vuole spaventati e desiderosi di scegliere la sicurezza al posto del rischio, l’identità invece della diversità. Superare la paura, scoprire cosa ci unisce e saper apprezzare le differenze è il grande messaggio che dona al lettore il libro di Hooks. Un movimento che ci avvicina e ci offre un mondo di valori condivisi, e un senso significativo di comunità.

Un messaggio intenso e potente come il libro che lo racchiude e lo diffonde. 

Il libro

Bell Hooks, Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, Meltemi, Milano, 2022. Prefazione di Rahma Nur. Traduzione di Feminoska. Titolo originale: Teaching community: a Pedagogy of Hope.

L’autrice

Bell Hooks: è stata una studiosa femminista afroamericana. Il suo lavoro esamina l’intersezionalità di razza, capitalismo e genere e il modo in cui questa contribuisce a perpetuare i sistemi di oppressione e il dominio di classe.


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Meltemi Editore per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

Teoria e pratica del lavoro sociale: “Interculturale e social work”

Quanto incide la scuola su crescita ed economia?

Ognuno guarda il mondo convinto di esserne il centro: Razzismi e Identità

È il bianco l’unico colore possibile? Le giustificazioni per la schiavitù: la costruzione di un immaginario razzista


© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

← Vecchi Post

Sostieni le Attività di Ricerca e Studio di Irma Loredana Galgano

Translate:

Articoli recenti

  • L’igiene decisionale contro il “Rumore”: il difetto del ragionamento umano
  • “Corpo a corpo” di Elena Mearini
  • La poesia come espressione della forza delle emozioni: “Il giardino di Sophia” di Sophia de Mello Breyner Andresen
  • La riforma esterna liberal-capitalista che unisce la vecchia Inghilterra, gli Stati Uniti e la nuova Europa: “Riformare i vinti” di Giampaolo Conte
  • Prossimità aumentata e pandemia: come gestire relazioni e isolamento nel Terzo Millennio

Archivi

Categorie

  • Articoli
  • Interviste
  • Recensioni
  • Senza categoria

Meta

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Proudly powered by WordPress