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Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

Archivi tag: scrittura

La pubblicazione di un libro. Gli scrittori e il mondo editoriale. Parte Seconda: Gli editori indipendenti

07 mercoledì Giu 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, bibliodiversita, desertificazionelibraria, dossier, editoria, editoriindipendenti, PME, scrittori, scrittura, WMI

Il ruolo degli editori indipendenti nel panorama editoriale italiano e internazionale. Bibliodiversità e desertificazione libraria. Editori indipendenti e autori emergenti.

Gli editori indipendenti in Italia sono quelli che si dichiarano paladini della bibliodiversità, capaci di mantenere alta l’asta della libertà d’espressione grazie al fatto di essere liberi autonomi e sovrani nelle scelte editoriali.

Non rispondendo agli interessi di alcuno riescono a garantire ai lettori piena indipendenza. È veramente questo che accade? Gli editori non-indipendenti sono per contro tutti “dipendenti” da qualcuno? Le loro pubblicazioni sono quindi in un certo qual modo “falsate”?

I grandi editori producono molti titoli ma soprattutto stampano innumerevoli copie puntando al guadagno come ritorno per il numero di copie vendute. Un libro che ha venduto molto e che viene magari anche ristampato è identificato come best seller. Un “best seller” nell’immaginario collettivo diventa un “gran libro”, per l’editore è un “successo editoriale” ma nella realtà rimane semplicemente un titolo che ha venduto molto.

Gli editori indipendenti affermano di preoccuparsi più della bibliodiversità, ovvero di curare la diversità culturale applicata ai libri.

In un articolo pubblicato sull’Huffington Post lo scorso aprile e firmato da Leonardo Romei, venivano riportate tutte le risposte date dagli editori indipendenti presenti al Book Pride 2016 (la Fiera Nazionale dell’Editoria Indipendente) in merito al quesito: cos’è una casa editrice?

Le risposte sono molto varie e parlano di progetti culturali, di laboratori, di strumenti per interpretare lo spirito del tempo… nella gran parte dei casi si percepisce il tentativo di battere sull’aspetto culturale, a volte si palesa la concretezza dell’aspetto economico e la risposta data dalle Edizioni E/O sembra sintetizzare al meglio la complessa situazione. Una casa editrice è «una fabbrica di mondi che però deve fari tornare i conti».

Ecco allora che, almeno in qualcosa, gli editori indipendenti cominciano a somigliare di più ai grandi colossi dell’editoria. Nessuno di loro lavora a un progetto culturale per filantropia bensì tutti lo fanno con un fine economico. Permane l’obiezione che vede gli indipendenti paladini della bibliodiversità. Tuttavia spulciando i cataloghi dei grandi editori si trovano anche lì dei titoli bibliodiversi, certo meno sponsorizzati rispetto ai best seller ma pur sempre presenti. E allora dove sta la differenza, oltre ovviamente nelle dimensioni?

La differenza la dovrebbe fare l’utente che in questo caso coincide con il lettore.

I grandi editori possono giocare con i grandi numeri, con le poderose campagne pubblicitarie e con le “vantaggiose” campagne promozionali volte a invogliare i lettori all’acquisto. Cifre che sempre più spesso divengono per nulla competitive per gli editori indipendenti i quali, per tramite dell’Osservatorio degli Editori Indipendenti (ODEI), hanno presentato una proposta di legge «a favore della promozione della lettura, per il sostegno delle librerie di qualità, delle biblioteche e delle piccole e medie imprese editoriali» nella quale spiccano le richieste di fissare il tasso massimo di sconto al 5% e di una maggiore regolamentazione delle campagne.

Non si può sapere con certezza assoluta se fissando un tetto massimo di sconto si spingerà il lettore a guardarsi attorno con maggiore attenzione e magari se questi decida di acquistare, a parità di prezzo, libri meno sponsorizzati e pubblicizzati, ma di sicuro regolamentando i ribassi del prezzo di vendita si contribuirà a limitare la “svendita” di un libro.

Nel corso della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria Più libri Più liberi, tenutasi lo scorso dicembre a Roma, sono stati presentati i dati dell’indagine Nielsen sul mercato generale del libro di carta. Nei primi dieci mesi del 2016 si è registrato un aumento dello 0,2% del mercato del libro di carta corrispondente a circa 2,1 milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2015. Ma il problema di fondo ruota proprio intorno ai quesiti: siamo sicuri che dati col segno più siano segnali positivi dell’editoria? Il mercato del libro è davvero come qualsiasi altro settore della commercializzazione dove chi più vende più guadagna e se così è non ci troviamo dinanzi a una situazione simile al casinò dove è il banco a vincere sempre?

In tutta questa vorticosa giostra fatta di numeri dati vendite e guadagni in che posizione si collocano rispettivamente autori e lettori?

Gianluca Ferrara, saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni, in un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano parla delle difficoltà incontrate come conseguenza della scelta di voler restare dalla parte dei lettori. «Il mercato editoriale è un settore delicato, la “fabbrica del consenso” nasce proprio con i libri, infatti sono i pochi gruppi editoriali che controllano la quasi totalità del settore. Posseggono le tipografie dove si stampano i libri, la distribuzione con cui li veicolano, le librerie dove se li vendono e i giornali dove si pubblicano le recensioni.» Gli spazi che rimangono liberi secondo il sistema appena descritto sono pochi ma al giorno d’oggi, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie e nuovi strumenti, le possibilità offerte agli indipendenti sono in aumento e loro dovrebbero approfittarne presentando sempre pubblicazioni lodevoli.

Secondo quanto riportato da Jon Sealy in un articolo per Literary Hub, negli Stati Uniti una serie sempre crescente di piccoli editori indipendenti cerca di aggirare gli ostacoli relativi alla distribuzione e alla vendita dei canali tradizionali aprendo dei propri punti vendita, librerie che siano al tempo stesso centri di commercio al dettaglio e aggregazione culturale. In Italia questo ruolo sembra sia stato assegnato alle fiere di settore.

In buona sostanza quindi l’obiettivo dell’editoria indipendente sembrerebbe ben sintetizzato nelle parole di Carlos Fuentes: «Bisogna creare lettori, non dar loro quello che vogliono». Gli indipendenti sognano di creare dei lettori mentre i colossi sognerebbero di creare dei buoni clienti.

I sogni però devono prima o poi scontrarsi con la realtà e, impossibile negarlo, l’Italia è il Paese dei pochi lettori ma soprattutto dei pochi lettori forti. Ciò significa che le persone che leggono regolarmente, che sono appassionate dalla lettura, che vanno a cercarsi dei titoli che esulano dalle classifiche dei best seller, dalla narrativa di genere, dai libri-tormentone… sono in numero ancora più esiguo e che, per contro, coloro che comprano la narrativa o altro genere a prezzo ribassato nei grandi store commerciali o online forse comprerebbero di meno o non comprerebbero affatto se venisse meno la convenienza economica. Lettori che acquistano libri né più né meno di come fanno la spesa al supermercato, dove le offerte speciali e i tre per due vanno per la maggiore.

È già da un po’ che in Italia si parla di ‘desertificazione libraria‘ in riferimento alle librerie storiche o più o meno recenti che chiudono i battenti per vari motivi ma principalmente ciò va considerato una diretta conseguenza della ‘desertificazione progressiva dei lettori’, frutto a sua volta della ‘desertificazione culturale’ che ormai sta diventando strutturale. Persone, famiglie, coppie, giovani e meno giovani, occupati e inoccupati disposti e addirittura bramosi di accollarsi anche un cospicuo numero di rate pur di ‘possedere’ un’auto, un televisore o uno smartphone di ultima generazione ma che storcono il naso dinanzi una pila di libri che sonnecchia in una pressoché invisibile vetrina. E allora sì che in quest’ottica l’impresa portata avanti dagli editori indipendenti diventa ancora più titanica.

In un’intervista rilasciata per Il Giornale, Matteo Chiavarone, direttore editoriale delle Edizioni Ensemble, afferma che essere “indipendente” è bello ma solo se fai dei bei libri, in numero limitato, mantieni una costante attenzione verso esordienti e autori di Paesi poco esplorati, partecipi assiduamente a eventi culturali e fiere di settore.

Per Gino Iacobelli, già editore e presidente di ODEI, la casa editrice indipendente è «un’azienda che parla con lo scrittore ma anche con il tipografo. Lavora a stretto contatto con tutta la filiera. Gli indipendenti scelgono sempre in virtù di una passione, pur non vergognandosi di gioire dei successi economici ed editoriali».

Se da un lato l’Italia è il Paese dei pochi lettori dall’altro è il regno degli scrittori in erba. Tutti gli editori, grandi e piccoli, indipendenti e non, dichiarano di ricevere decine o centinaia di manoscritti, quotidianamente. Iacobelli sostiene che questo va sempre e comunque visto come un qualcosa di positivo e che ogni editore è libero di scegliere se puntare sulla scrittura oppure sulle idee, magari in questo caso ritornando a lavorare sulla scrittura insieme con l’autore.

E ci sono stati molti casi di “grandi successi” letterari portati avanti da editori indipendenti. Nuovi autori scoperti o scrittori riscoperti, stranieri valorizzati oppure ancora “idee” in cui si credeva fermamente. Il “successo” riscosso dagli editori indipendenti sembra essere quasi sempre legato alle rigide scelte editoriali e all’accurata selezione preventiva dei titoli da inserire nel proprio catalogo per cui è lecito pensare che un autore emergente e non che intende rivolgersi a un indipendente per sottoporre un proprio manoscritto debba preventivamente visionare tutta la linea del catalogo e riflettere, con una quanto maggiore gli riesce obiettiva autocritica, valutare la propria scrittura oppure, quantomeno, la qualità delle proprie idee.

Articolo originale apparso sul numero 49 di Writers Magazine Italia – La Rivista di riferimento per chi scrive diretta da Franco Forte.

Leggi anche – La pubblicazione di un libro. Gli scrittori e il mondo editoriale. Parte Prima: Piccola e Media Editoria

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

L’agente letterario oggi. Intervista a Silvia Meucci

06 sabato Ago 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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intervista, scrittori, scrittura, WMI

Silvia Meucci, titolare dell’Agenzia Letteraria Meucci Agency. Ripercussioni in campo editoriale della crisi economica. La figura dell’agente letterario in Italia e all’estero. Le caratteristiche strutturali di un buon manoscritto. Gli errori da evitare quando ci si rivolge a un agente letterario. Esistono i generi letterari evergreen? Il consiglio dell’agente allo scrittore emergente.

Silvia Meucci è nata a Milano. Si è laureata in Lingua e Letteratura Tedesca. Ha lavorato prima in Italia per Feltrinelli e poi in Spagna per Ediciones Siruela e per l’Universidad de Salamanca. Nel 2007 è stata insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana, Onorificenza della Stella della Solidarietà Italiana per il lavoro di diffusione della cultura italiana all’estero. Rientra in Italia e dopo un anno di collaborazione con l’Agenzia Berla & Griffini decide, nel 2012, di fondare la Silvia Meucci Agenzia Letteraria.

Ha accettato di rispondere ad alcune domande sul suo lavoro come agente letterario, dando anche qualche consiglio pratico a chi, ultimato il suo scritto, voglia sottoporlo al vaglio di un’agenzia o degli editor di case editrici.

È un periodo particolare quello che stiamo vivendo, dal punto di vista economico ma anche sociale. Quali sono le ripercussioni più evidenti che ha riscontrato in campo editoriale?

Ripercussioni? In parte positive, sembra paradossale. Oggi gli editori sono più prudenti, più scrupolosi nelle scelte. Quando mi parlano di crisi mi permetto di esortarli a “fare meno ma a fare meglio”, a riappropriarsi di una propria linea editoriale, ferrea, che torni a caratterizzarli. Fino a oggi, troppi editori volevano fare gli “stessi” libri, senza più distinzioni tra marchi, profili editoriali, origini, ma solo per rispondere a logiche di mercato, mode, fenomeni sociologici…

Il lettore non è stupido. A un certo punto si stanca. I bei libri vincono sempre. Crisi o non crisi. E la crisi sul lettore si fa sentire sul poter acquisitivo. Se ho quindici euro, voglio portare a casa un libro, un mondo, una storia che resti, non un prodotto usa e getta. L’editore non è uno stampatore, e ultimamente si era perso di vista, a parer mio, il “mestiere”, quel buffo e strano mestiere che sfida tutte le leggi dell’Economia, e che fa anticipare tutti i costi di produzioni, prima ancora di capire se un prodotto funzionerà o meno. Per questo, bisogna tornare a calibrare bene, anzi benissimo, le proprie scelte editoriali e appoggiare il libro, nel momento del lancio, con un editing accurato, una veste grafica ben studiata, campagne di marketing e messaggi chiari.

Più lavoro, più professionalità, più attenzione. Ecco, secondo me, il lato positivo. Quello negativo è purtroppo un aspetto pesante che non ha che a vedere con la crisi della lettura, ma della vita in sé. Si è ridotta enormemente la fascia di acquirenti. Come diceva Brecht: “prima il cibo, e poi la morale”.

Cosa rappresenta oggi e quanta importanza riveste la figura dell’agente letterario all’interno del business editoriale italiano? E in quello internazionale?

Un agente è importante perché è garanzia per l’editore che il manoscritto che viene proposto è stato già vagliato, è frutto di una selezione, di un’analisi, forse anche di una prima e sommaria correzione, ed è garanzia per l’autore che la propria opera raggiunga effettivamente l’interlocutore adeguato e venga letta. La stessa identica cosa vale per l’estero.

Quali caratteristiche (strutturali, narrative, letterarie, e via discorrendo) deve avere un manoscritto per catturare la sua attenzione di agente letterario?

La voce. L’angolo da cui l’autore spia la realtà. L’originalità. Ma soprattutto, l’onestà. È la storia, il mondo nuovo, i personaggi che devono catturare, rapire, il lettore. E questo rapimento non avviene se la scrittura non è efficace.

Qual è l’errore più comune che riscontra nelle proposte editoriali che le giungono in redazione?

Molti scrivono non leggendosi dentro, non capendo realmente di cosa vogliono parlare e scrivono pensando al successo, al mercato, ai generi di moda. Bisogna scrivere di quello che si sa, di quello che si conosce o che non si conosce personalmente ma che è oggetto di una passione forte, frutto di curiosità, di interesse…

Stare aderenti alla propria mappatura interiore. E non voler andare a creare qualcosa di “artefatto”. I lettori (gli editori) capiscono subito quando un’opera è frutto di uno sterile lavoro a tavolino e quando invece è il risultato di un’esperienza reale o immaginata, ma sentita. Scrivere è scavare dentro e fuori, fa male. Non è un’operazione delicata.

Quali sono i generi letterari che potremmo definire evergreen, ovvero la cui richiesta e commercializzazione non passa mai di moda?

Non amo parlare di generi ma di libri. Bei libri. Il buon libro non passa mai di moda. Indipendentemente dal genere a cui appartiene: mainstream, poliziesco, thriller, storico, sociale o romanzo d’amore. Basti pensare ai Classici o ai capolavori del Novecento. Sono tali perché hanno resistito all’impatto di mode e del tempo. Perché? Perché sono ‘storie’ prodigiose.

C’è un consiglio che sente di dare a un aspirante scrittore in cerca di un agente letterario?

Quello che dico sempre a tutti: un agente non è un critico letterario. È solo un interlocutore, una persona che deve, assolutamente deve, entrare in sintonia con l’opera presentata. Quindi non bisogna avvilirsi se un agente dice “no”, perché ciò che non entra nelle corde dell’uno, può entrare nel sentire di un altro. Succede costantemente.

Articolo pubblicato sul numero 40 della rivista WritersMagazine Italia diretta da Franco Forte

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Chi è lo scrittore più bravo al mondo?

29 venerdì Lug 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, scrittori, scrittura, WMI

Criteri di classificazione degli scrittori più bravi o più venduti. I classici e la Letteratura di genere. I gusti del grande pubblico e i consigli di scrittura degli autori celebri. Riflessioni sul Premio Nobel per la Letteratura e la ‘direzione ideale’ degli scrittori premiati.
Lo scrittore più bravo al mondo, la qualità della scrittura e quella del narrato.

“Chi è lo scrittore più bravo al mondo?” Spesso il concetto di più bravo viene associato a quello di più noto o peggio di più ricco.

Sono tante le classifiche che si trovano anche in rete e che stilano la lista degli scrittori più venduti al mondo.

Stando agli annuali elenchi della rivista «Forbes» a farla da padrone è l’americano James Patterson che finisce nella top ten degli artisti più ricchi al mondo. Patterson ha venduto oltre 300 milioni di copie. Perché?

I libri oggi sono commercializzati al pari di una qualsiasi altra merce e come tali per rendere devono essere inseriti nel sistema mediatico della promozione. Gli americani, il popolo che ha inventato la cosiddetta ‘fabbrica dei sogni‘, in questo sono dei veri maestri.

Numerose opere di Patterson sono state trasposte cinematograficamente, ma non tutti i libri che diventano film vendono milioni di copie. Quindi dev’esserci dell’altro.

Patterson viene «considerato uno dei più importanti autori di thriller del nostro tempo». Al ‘nostro tempo’ infatti il thriller, come il giallo, il poliziesco e il noir acquistano sempre maggiore consenso e diffusione.

Generi letterari nati nell’accezione negativa di produzioni ‘commerciali’ o ‘di massa’ hanno faticato non poco per trovare una congrua collocazione nel panorama letterario. Ancora non troppo ben visti dai cultori della Letteratura vengono sempre più considerati come scritti che non si limitano a raccontare un crimine e relative indagini ma opere di narrativa che denunciano i mali sociali e la violenza, o quantomeno ne parlano.

Ma perché il pubblico è sempre più attratto da un qualcosa da cui nella vita reale si cerca di fuggire?

Stephen King è un altro scrittore e sceneggiatore statunitense che ha all’attivo una prolifica e fortunata carriera, con libri entrati regolarmente nelle classifiche dei più venduti e una vendita complessiva di oltre 500 milioni di copie. King entrò a far parte della giuria composta da 125 scrittori celebri che nel 2013 stilò l’elenco dei 10 libri più belli di tutti i tempi. Non è presente in esso nessuno dei libri e quindi degli autori attualmente ‘produttivi’, neanche Patterson o lo stesso King, mentre figurano nomi del calibro di Tolstoj, Flaubert, Twain, Cechov, Eliot… autori che non hanno cercato o studiato il modo di scrivere un libro che piaccia al pubblico, che venda milioni di copie e che sia rappresentato cinematograficamente o meglio, visto il periodo, nei teatri.

Leggendo Tolstoj, Flaubert, Twain, Cechov, Eliot non ti chiedi com’è o come sarebbe il film, non ripercorri mentalmente le scene qualora ne avessi già visto la trasposizione in video, bensì ti figuri il mondo nel quale affrontano la vita i personaggi, protagonisti di storie intense, uniche, straordinarie come solo la vita vera può esserlo. Impari, senza neanche rendertene conto, tutto sulla società, sui luoghi che ospitano le vicende con, spesso, riferimenti e collegamenti ai grandi eventi che hanno caratterizzato il corso della Storia.

Quindi mentre il grande pubblico sembra apprezzare sempre più libri che rispondano alle sue precise richieste, opere di narrativa studiate a tavolino e lanciate nel mercato con vere operazioni di marketing, gli scrittori più famosi, tra i quali figurano gli autori dei libri sopra descritti, preferiscono i classici.

Ma cosa cerca il grande pubblico in un libro?

Stando alla classifica stilata lo scorso anno da «MetalliRari» tra i 10 scrittori più ricchi al mondo troviamo 5 autori di thriller e noir, 3 autori di romanzi rosa e 2 autori di fantasy. Si può dedurre che la prima cosa che i lettori cercano in un libro sia l’evasione, al pari del grande pubblico televisivo e cinematografico.

Studi psicologici ipotizzano l’ambivalente piacere che ci procura la sofferenza altrui, che diviene in parte compensatorio della nostra aggressività repressa. Quindi il costante aumento di consenso ottenuto dai libri gialli, thriller, polizieschi, noir e horror potrebbe in qualche misura essere dovuto anche a questo ‘ambivalente piacere‘.

Raggiunta a un convegno sul tema delle “grandi storie romantiche” Lidia Ravera affermò: «Sì, però le lettrici non sono ingenue, sanno bene che il principe azzurro non esiste». Lo sanno quindi che nella vita reale non ha senso attendere l’arrivo di una carrozza e che il ‘vivere per sempre felici e contenti’ ha un significato differente ma leggono comunque con passione e costanza i romanzi rosa che ruotano intorno alla figura del grande amore da sogno.

Per quanto concerne il fantasy poi alcuni sostengono di leggerlo «perché non è soltanto evasione», ma anche avventura, thriller, horror… il tutto condito da una buona dose di Storia, più o meno fantasiosa.

Ma il bravo scrittore è colui che sa adattarsi alle richieste dei lettori o colui che sa meglio trasmettere il proprio messaggio, la propria eredità letteraria?

«Se lo fai solo per soldi o per fama, non farlo. Se lo fai perché vuoi delle donne nel letto, non farlo. Se devi startene lì a scrivere e riscrivere, non farlo. Se è già una fatica il solo pensiero di farlo, non farlo. Se stai cercando di scrivere come qualcun altro, lascia perdere.» Scriveva Charles Bukowski, lo scrittore che per molti “derise l’umanità”, lui che in fondo ha solo cercato di descriverla questa umanità, senza filtri né belle parole.

Nel suo libro On Writing, uscito in Italia nel 2010 per la Sperling&Kupfer con il sottotitolo Autobiografia di un mestiere, Stephen King elenca oltre venti consigli diretti agli aspiranti scrittori utili per diventare delle ‘buone penne’.

I suoi in realtà sono più consigli da manuale che segreti del mestiere. Suggerisce di essere costanti, chiari nella scrittura, di leggere molto, di limitare l’uso degli avverbi, di fare attenzione a dialoghi e personaggi e poi ritorna anche lui sulla questione economica: «Non scrivere per denaro, ma per il piacere di farlo, perché se puoi farlo per piacere, puoi farlo per sempre».

Il nostrano Umberto Eco invece in La bustina di Minerva, edito da Bompiani nel 2000, elenca ben 40 regole da seguire per scrivere bene. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a suggerimenti sulla tecnica di scrittura che Eco ha ammesso di aver ‘ricopiato’ dalla rete.

«Ho trovato in internet una serie di istruzioni su come scrivere bene. Le faccio mie, con qualche variazione, perché penso che possano essere utili a molti, specie a coloro che frequentano le scuole di scrittura.»

Eco suggerisce, tra l’altro, di scrivere in maniera semplice e poco ridondante, di usare con parsimonia le figure retoriche e le citazioni, di fare attenzione alla punteggiatura e ai congiuntivi. Ma i suoi consigli, dispensati tra il serio e il faceto, si fermano all’aspetto manuale della scrittura lasciando intendere che ‘il mestiere di scrivere’ è, al pari di qualsiasi altro lavoro, basato soprattutto su tecnica ed esperienza.

Opinione simile ha espresso il regista e scrittore italiano Biagio Proietti, il quale in un’intervista ha definito l’attività di un buon scrittore come un «oneroso lavoro da bravo artigiano».

In maniera sempre più ricorrente nell’immaginario collettivo lo scrittore più bravo al mondo viene identificato con il ricevente il Premio Nobel per la Letteratura.

Secondo le disposizioni testamentarie di Alfred Nobel il Premio è assegnato all’autore «nel campo della letteratura mondiale che si sia maggiormente distinto per le sue opere in direzione ideale».

La gran parte degli autori a cui è stato assegnato il Nobel per la Letteratura erano sconosciuti al grande pubblico e tali sono rimasti anche dopo, fatta eccezione per il fatto di saperli individuare come vincitori del prestigioso premio. In rarissimi casi i premi Nobel sono letti dal grande pubblico e leggendo le motivazioni per cui sono stati candidati o hanno vinto il premio se ne comprende anche la ragione.

“Perché nelle sue commedie [egli] scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione”; “Perché nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami fra diverse culture”; “Cantrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, fuoco e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”; “Autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante”; “Con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati”; “Per la sua cartografia delle strutture del potere e per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo”; “Attraverso le sue immagini dense e nitide, ha dato nuovo accesso alla realtà”; “Che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”; “Per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione”.

Quelle appena elencate sono alcune delle motivazioni per cui sono stati scelti e premiati i più recenti nobel per la Letteratura, espressioni che racchiudono la direzione ideale delle opere scritte da questi autori che poco o nulla hanno in comune con gli scrittori più venduti o più ricchi al mondo mentre tanto sembrano averne con i grandi classici, autori dei libri selezionati dai 125 scrittori celebri.

Non è cosa facile stabilire chi sia lo scrittore più bravo al mondo, forse addirittura impossibile ma la via indicata da Alfred Nobel anche se opinabile e imperfetta è sicuramente indicativa di una particolare tipologia di autori che si vuol premiare per il loro ‘ideale’, ovvero per l’impegno con cui hanno raccontato i mali sociali, i soprusi, hanno narrato degli oppressi, denunciando a volte situazioni di estremo disagio. È innegabile che questo tipo di opere letterarie abbia una immensa eredità che trasmette al lettore, svolgendo al contempo l’impagabile funzione di informare, educare e fungere da monito.

Oscar Wilde diceva che «non esistono libri buoni o libri cattivi, esistono solo libri scritti bene o scritti male» e questo potrebbe anche essere vero ma la differenza non è solo la qualità della scrittura a farla, è il narrato che può anche arrivare a diventare un esempio al pari dei grandi personaggi.

Pensiamo alla forza e alla determinazione che contengono i testi del premio nobel 1997 Dario Fo. In ogni sua opera la sopraffazione dei poveri, degli analfabeti, dei deboli è il tema fondamentale e l’occasione da cui partono le critiche, ora satiriche ora rabbiose, a chi di queste sopraffazioni è responsabile. Ce n’è per tutti, perfino per il concetto stesso di democrazia, ritenuto la maschera sorridente di una élite finanziario-capitalista aggressiva e cinica.

Scritti che rispecchiano le azioni di denuncia dei grandi uomini che hanno lottato, pagando con la propria vita, contro i soprusi e le ingiustizie: Malcon X, Martin Luther King, Mahatma Gandhi, per citarne alcuni.

Forse non si riuscirà mai a stabilire con certezza assoluta chi è il più grande scrittore al mondo e forse non si riuscirà neanche a stabilire quale sia il libro migliore ma di sicuro esistono, e si spera ce ne saranno tanti altri ancora, testi e autori straordinari per il loro operato e i loro scritti… in poche parole per la loro eredità letteraria.

Articolo pubblicato sul numero 44 della rivista WritersMagazine Italia diretta da Franco Forte.

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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