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Irma Loredana Galgano

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Mistero e misoginia in “Sempre più vicino” di Raul Montanari

11 giovedì Mag 2017

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BaldiniCastoldi, misoginia, RaulMontanari, recensione, romanzo, Semprepiuvicino, stroncatura, violenza

Mistero e misoginia in “Sempre più vicino” di Raul Montanari

Esce quest’anno con Baldini & Castoldi Sempre più vicino di Raul Montanari, un libro con un ritmo narrativo simile a quello di un romanzo d’appendice su cui pesano come macigni le continue divagazioni e descrizioni che distolgono, o almeno ci provano, l’attenzione del lettore dalla vicenda principale ripresa, in maniera avvincente e incalzante, all’incirca alla pagina duecentocinquanta per essere poi nuovamente marginalizzata già a pagina duecentosessanta. Anche se appare chiaro fin da subito che l’obiettivo dell’autore è quello di creare una struttura labirintica all’interno della quale tessere la trama dell’intricata vicenda, il ripetere enne volte ad esempio che lo zio Willy è stato misteriosamente assassinato e che svolgeva una professione e dei riti occulti in odore di satanismo non aiuta a mantenere alto l’interesse di chi legge, il quale ha già letto di questo e vorrebbe saperne di più. Non si viene purtroppo accontentati, in quanto la risoluzione del mistero sull’uccisione del povero zio Willy è rimandata a data da destinarsi. L’arcano che viene svelato in Sempre più vicino invece riguarda il tesoro da questi lasciato e mai ritrovato, almeno così si pensava. Sarà proprio la brama di impadronirsi dei milioni nascosti da Willy a generare l’intero filone principale della vicenda.

Il protagonista è un giovane ragazzo che vive a Milano e cerca la sua indipendenza da un padre pressante che si è costruito da solo, dopo essersi trasferito dall’Abruzzo insieme al fratello. Valerio ha “ereditato” l’appartamento dello zio Willy e, per arrotondare, lo subaffitta a turisti e viaggiatori, lasciandosi ospitare in quei giorni dall’amico di sempre. Un personaggio, Valerio, che è stato definito “vero e tenerissimo”. Sul fatto che una persona come lui possa essere ritenuta “vera”, nel senso che in giro ci sono o ci possono essere tanti come lui, nulla da obiettare ma sul “tenerissimo” qualche precisazione va fatta. Come si fa a considerare tenero un giovane uomo che si reca di nascosto nell’appartamento dato in affitto a donne e uomini sconosciuti e si masturba sfregandosi con la loro biancheria intima? Come si fa a scrivere in un libro diffuso sull’intero territorio nazionale e su tutti gli store online che “in fondo tutti hanno i propri vizi”, quando sulle pagine del medesimo testo le donne sono state indicate con tutti gli epiteti negativi immaginabili?

Quasi come se si volesse far quadrare un cerchio che perfetto non potrà mai essere, l’autore si sofferma ripetutamente sul racconto delle voluttuose richieste intime dell’amante di Valerio che desidera con fervore essere sottomessa e trattata al pari di una schiava o di una geisha. In tutta questa dilagante misoginia quasi si perde la linea del racconto, il mistero sul tesoro accumulato dallo zio, la trappola in cui cade Valerio, il tradimento da parte di coloro che amava, l’amicizia inattesa con l’investigatore Velardi e il nuovo inizio insieme al padre al quale è servito il buio di una nuova separazione per riuscire a vedere e riconoscere il proprio figlio.

Mistero e misoginia in “Sempre più vicino” di Raul Montanari

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Una storia, quella da raccontata da Raul Montanari in Sempre più vicino che sembra racchiudere in sé diversi generi letterari. Un testo di narrativa che a lungo si sofferma sulla situazione dei giovani di oggi, sulla loro mancanza di certezze e punti di riferimento. Un romanzo di formazione che cerca di tirare le somme su una generazione maturata negli anni del boom economico del secolo scorso e che si è “fatta” con le proprie mani, riuscendo a guadagnarsi una posizione economica e sociale superiore rispetto ai propri genitori, per la gran parte braccianti e agricoltori. Una generazione che rischia il sorpasso anche sui propri figli. Un giallo che sconfina nell’investigativo su scala internazionale allorquando la scena si sposta, nel resoconto dell’investigatore Velardi, dalle strade di Milano alle favelas e alle foreste brasiliane. Un libro che abbraccia tanto, forse troppo, e che di sicuro senza alcune forzature sessiste avrebbe avuto agli occhi del lettore un aspetto anche migliore.

http://www.sulromanzo.it/blog/mistero-e-misoginia-in-sempre-piu-vicino-di-raul-montanari

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Le donne erediteranno la terra” di Aldo Cazzullo

06 martedì Dic 2016

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AldoCazzullo, Ledonneerediterannolaterra, Mondadori, recensione, saggio, stroncatura

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Aldo Cazzullo in Le donne erediteranno la terra (Mondadori, 2016) esordisce affermando che «il nostro sarà il secolo del sorpasso». Inizia così una nutrita serie di postulati, che l’autore elenca fin dall’introduzione al testo, volti a rafforzare la sua tesi, o meglio la sua ipotesi.
Cazzullo evoca il genio femminile, racconta di battaglie contro le ingiustizie e le violenze, contro il masochismo che «ancora le induce a sacrificarsi e a darsi all’uomo sbagliato» e va avanti con questo registro narrativo per oltre cento pagine.
La domanda che viene in mente fin da subito al lettore è: dove vuole andare a parare l’autore quando sostiene che le donne erediteranno la terra?

«Comincia il tempo in cui le donne prenderanno il potere. Perché sanno sacrificarsi, guardare lontano, prendersi cura; ed è il momento di prendersi cura della terra e dell’uomo.»

Quindi, in buona sostanza, le donne devono continuare a svolgere il ruolo che è sempre stato riservato loro, volenti o nolenti, solo che ora possono e devono farlo in grande. Devono “accudire” l’intero pianeta, per “rassettare” e riassettare il caos creato dagli uomini.
Sembra incredibile eppure è proprio questo il ragionamento che segue l’autore.
Cazzullo dedica il libro a sua figlia e a «tutte le ragazze nate nel 2000 che erediteranno la terra». Perché proprio le ragazze nate nell’anno 2000? Il voler rimarcare un grosso cambiamento in atto o solamente sperato individuando una data certa ricorda una certa prassi, tra l’altro anche un po’ superata, di inquadrare fenomeni ed eventi entro precisi limiti temporali. Così è stato fatto per la storia, per la letteratura… e così l’autore vuol fare per il “sorpasso” delle donne sugli uomini.
In realtà leggendo il libro di Cazzullo sembra più che quanto scrive siano mere speranze, desideri di un padre cresciuto secondo i dettami della ideologia “antica” che si sforza di trovare le ragioni del cambiamento più in se stesso, per il “bene” e per il futuro della propria figlia.

L’autore mette nel piatto della bilancia qualche dea romana e alcuni miti greci, le arcinote vicende di Giovanna d’Arco e Santa Caterina da Siena, qualche attrice famosa, Rita Levi Montalcini che oltre a essere stata una brava scienziata era anche ebrea. Lo sterminio è sempre un argomento che prende e infatti l’autore cita svariati esempi di donne che sono scampate alla furia nazista. Sarebbe stato interessante poter leggere anche di altri esempi, che riguardavano altri popoli, gente diversa, differenti colori ma che narravano sempre del coraggio delle donne.
Quando lo fa, elencando le donne europee che hanno scalato la piramide del potere politico, scivola in inutili commenti che demarcano una visione troppo partitica della società. «Persino l’arrembante destra populista si affida alle donne», dice parlando di Marine e Marion Le Pen, Frauke Petry e Beata Szydlo.

Secondo Cazzullo, oggi una donna per emergere «deve troppo sovente comportarsi come un uomo, muoversi come un uomo, quasi “diventare” un uomo». Lui si augura invece che «le nostre figlie potranno valorizzarsi esprimendo appieno la loro femminilità». Ritorna poi sull’argomento parlando di chirurgia estetica e sconsigliando alle donne di effettuare ritocchini in quanto il più delle volte le rendono «meno invitanti» agli occhi maschili.
Ci sono molti buoni motivi per provare a far desistere una donna dalla volontà di sottoporsi a interventi di chirurgia estetica non legati al proprio stato di salute, fisico o mentale, ma quello addotto dall’autore proprio non convince, per non dire che è irritante.
La libertà di una donna non sta anche nel fare scelte indipendenti e non condizionate dall’idea di essere o meno invitante per gli uomini?

L’ipotesi di Aldo Cazzullo si basa in prevalenza sugli esempi di “donne che hanno fatto storia”. Scrittrici, attrici, protagoniste di romanzi, studiose e scienziate, vittime… ma in tutta onestà affermare che le donne erediteranno la terra sulla base di detti esempi è una costruzione un po’ labile. Chiunque può scrivere un libro similare elencando esempi maschili, che pure ci sono, e affermare in base a questo che “gli uomini custodiscono l’eredità della terra”.
Le donne erediteranno la terra di Aldo Cazzullo sembra una sorta di canovaccio per la stesura di una lettera, non un libro, indirizzata a qualcuno in particolare non un pubblico generico, dal quale emerge con chiarezza che l’idea portata avanti dall’autore è quella di una rivincita delle donne, in particolare quelle nate nell’anno 2000, come sua figlia. Un desiderio di rivincita e di rivalsa che però è ben lontano dal concetto di rispetto parità e collaborazione necessario affinché vero cambiamento sia.

Aldo Cazzulllo è nato ad Alba, in provincia di Cuneo, il 17 settembre del 1966. Figlio di un bancario, inizia la sua carriera giornalistica a soli 17 anni, quando comincia a collaborare con un quotidiano locale di sinistra, “Il Tanaro”. Passa poi alla redazione di un’altra testata locale, il settimanale diocesano “La Gazzetta d’Alba”. Successivamente si trasferisce a Milano, dove frequenta la scuola di giornalismo. Nel 1988 inizia a lavorare, in un primo momento come praticante, alla redazione del quotidiano “La Stampa”. Nel 1998 si trasferisce a Roma e nel 2003, dopo quindici anni di lavoro con il quotidiano torinese, passa alla redazione del “Corriere della Sera” in qualità di inviato speciale ed editorialista. Nella sua lunga carriera giornalistica ha raccontato le Olimpiadi Atene, gli attentati dell’11 settembre, il G8 di Genova, gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi, l’elezione di Benedetto XVI, la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 2006 e molti altri eventi significativi della storia recente. E’ autore di numerose opere. Ha esordito nel 1996 con il volume dal titolo “Il mal francese. Rivolta sociale e istituzioni nella Francia di Chirac”. Ha due figli, Francesco e Rossana.

Source: ebook inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Anna dell’Ufficio Stampa Mondadori.

Articolo originale qui

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Il mondo parallelo delle guerre segrete in “Prigionieri dell’Islam” di Lilli Gruber

11 mercoledì Mag 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Il mondo parallelo delle guerre segrete in "Prigionieri dell'Islam" di Lilli Gruber

Prigionieri dell’Islam (Rizzoli, 2016) della giornalista Lilli Gruber è un libro ambizioso, che si propone di creare un po’ di ordine nel caos delle informazioni, che circolano in un Occidente in piena crisi, riguardo quanto sta accadendo nel mondo arabo «in pieno naufragio».

Un libro che accoglie in sé: la cronistoria degli attacchi terroristici all’Occidente, a partire dall’11 settembre 2001; un’analisi geopolitica della situazione occidentale, mediorientale, delle primavere arabe, dell’Iran, della Turchia, della Siria… il resoconto dettagliato delle esperienze dirette dell’autrice come inviata; la trascrizione delle interviste fatte come giornalista; riferimenti diretti alla trasmissione televisiva che conduce; episodi e riflessioni legati alla propria vita privata e sentimentale.

Un intreccio di informazioni e stili che a volte funziona altre meno. La struttura del testo è circolare, l’autrice ritorna spesso sullo stesso punto o argomento, arricchendo di volta in volta quanto detto di nuovi particolari oppure analizzando il tutto da un’angolazione diversa.

Il discorso che la Gruber vuole portare avanti in Prigionieri dell’Islam sembra chiaro fin dal principio: non si possono incolpare tutti i musulmani per quanto sta accadendo nel mondo arabo e in Occidente, dobbiamo riconoscere le responsabilità dello stesso Occidente. La situazione in oggetto è molto complessa, colpe ed errori vanno imputati a entrambe le parti in causa (Occidente e anti-Occidente) e naturalmente l’autrice non ha una soluzione ai problemi in corso né per quelli prospettati dal prosieguo o dalla degenerazione delle attuali circostanze.

Ma il vero limite di un libro come questo è l’ostinazione al voler definire una situazione globale analizzandola dal solo punto di vista occidentale. Ammettere in qualche modo le responsabilità delle grandi potenze ma fermarsi nell’esatto momento in cui ci si rende conto che un mondo diverso equivale anche a un Occidente diverso, alla rinuncia dei tanti, troppi, privilegi accaparratisi da chi il mondo lo ha sempre conquistato non solo abitato.

Nel Prologo di Prigionieri dell’Islam la Gruber racconta di aver assistito alla conversione di una giovane ragazza napoletana presso la comunità islamica di viale Jenner a Milano. «Non passa giorno senza che bussi alla porta un nuovo aspirante musulmano», le dicono.

Perché l’Islam attrae sempre più nuovi proseliti? Questo quanto si connette alla diffusione del terrorismo islamico?

Per l’autrice «nel caos di un mondo arabo in pieno naufragio e nelle incertezze di un Occidente in crisi, l’Isis rappresenta un’alternativa concreta».

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Nell’Introduzione al libro l’autrice si sofferma sul resoconto dettagliato di come gli eventi di Parigi del 13 novembre 2015 siano entrati con irruenza nel suo privato lasciando esterrefatti lei e il compagno, il quale proprio mentre gli attacchi avevano luogo era su un volo diretto a Roma e partito da Parigi.

Racconta di come tutto ciò l’abbia riportata indietro nel tempo, all’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 e a due giorni dopo l’accaduto, quando l’allora presidente degli Stati Uniti d’AmericaGeorge W. Bush «accende la fiaccola che darà fuoco al mondo: quella della “guerra al terrore”».

Viene da chiedersi se quindici anni di “guerra al terrore” non abbiano portato solo altra guerra e terrore.

La Gruber ipotizza, timidamente, che faccia tutto parte di una sorta di piano, organizzato e giostrato per il potere e il denaro. «Nulla è impossibile nel mondo parallelo delle guerre segrete» “combattute” tra governi e servizi di spionaggio, fatte di embarghi, destabilizzazioni, minacce dirette o indirette, palesi o latenti, infiltrazioni e corruzioni varie… In punta di piedi allude a come il potere decisionale, in fin dei conti, sia sempre e solo nelle mani delle grandi potenze e che a muovere i loro gesti non sia sempre il mero desiderio di proteggere i popoli.

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I limiti di queste “guerre segrete” si sono visti già nel marzo 2011, quando «le capitali occidentali sperano che Assad alzi bandiera bianca», come Ben Ali e Mubarak, ma «gli occidentali sono molto meno influenti in Siria che in Tunisia o in Egitto. L’esercito è corrotto, ovvio, ma l’infiltrazione da parte di potenze straniere è meno capillare che in altri Paesi arabi».

Le operazioni di ingerenza occidentale nel mondo arabo sembrano essersi rivelate dei fallimenti sia dove l’estirpazione del regime è riuscita, come in Tunisia ed Egitto, sia dove non è andata a buon fine, come in Siria. Allora il lettore si chiede il motivo per cui si portano avanti azioni e politiche già rivelatesi fallimentari oppure se nel “mondo parallelo” si sono registrate delle vittorie che non è dato a tutti conoscere.

Il mondo parallelo delle guerre segrete in "Prigionieri dell'Islam" di Lilli Gruber

In Prigionieri dell’Islam si legge che, in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno intrapreso la guerra contro il terrorismo per annientare al-Qaeda ma anche «per trasformare il mondo musulmano al grido di “esportare la democrazia”».

Con quali risultati? A costo di sacrificare cosa?

In seguito all’uccisione di Osama Bin-Laden e allo smantellamento di gran parte delle cellule che componevano l’organizzazione tutto l’Occidente ha creduto, su input di capi di stato, di governo e organi di stampa, che il terrorismo di matrice islamica fosse stato sconfitto. L’Isis e non solo hanno dimostrato al mondo intero che non è così.

Per la Gruber dall’inizio di aprile 2016 i miliziani dell’Isis sono in difficoltà, le operazioni speciali americane stanno eliminando uno dopo l’altro tutti i capi e ciò lo si può interpretare come l’inizio della fine di questo “mostro” che ha preso il posto di al-Qaeda come nemico numero uno degli Occidentali. Ma c’è poco da esultare perché ci si deve aspettare che, da un momento all’altro, possa «resuscitare altrove e tornare a seminare paura.»

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La Gruber conclude il suo Prigionieri dell’Islam con l’esortazione alla disobbedienza, ma non quella di Gandhi bensì quella di Obama.

«Le dimostrazioni più evidenti della sua disobbedienza sono il riavvicinamento con l’Iran e il rifiuto di muovere guerra alla Siria».

Parla anche dell’umiltà di papa Francesco, dell’ultimo sermone del profeta Maometto nel quale invitava i suoi fedeli a trasmettere il proprio messaggio, di Gesù Cristo e del fatto che cacciasse i mercanti dal tempio, dell’ingresso di nuovi attori (Cina e Russia) pronti a dire la loro sugli squilibri del pianeta, ma soprattutto tiene a sottolineare che «il Medioriente, il Golfo e i loro tormenti non devono minacciare le relazioni tra i colossi del mondo globalizzato».

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Con le sue 352 pagine il libro di Lilli Gruber si presenta al lettore carico di informazioni, di nozioni, di citazioni… ma la situazione analizzata è talmente complessa che tanti sono i dubbi e gli interrogativi che restano.

Ci si chiede chi siano i veri prigionieri dell’Islam: gli arabi o gli occidentali? È l’Islam l’unico vero carceriere di cui aver paura? Che relazione c’è tra il terrorismo di matrice islamica e le “guerre segrete” combattute nel “mondo parallelo” di governi e servizi di spionaggio?

Per la Gruber terrorismo, Islam e immigrazioni «congiungendosi in un triangolo, formano una trappola mortale» che «cambia la nostra vita». Ma chi ha fatto scattare questa trappola? Se i tre vertici del triangolo sono una conseguenza dell’ingerenza occidentale nel mondo arabo non dovrebbe essere l’Occidente il primo a invertire la rotta?

La verità è che l’Occidente è “prigioniero” anche di sé stesso, come ricorda pure l’autrice parlando della disobbedienza del presidente degli Stati Uniti d’America: «Mi colpisce il fatto che l’uomo più potente del mondo abbia il coraggio di riconoscere che è lui stesso prigioniero delle convenzioni, dei preconcetti, dei diktat dell’ideologia».

La morsa che stringe l’Occidente e il mondo intero sembra essere alimentata quindi da molto altro oltre il terrorismo, le migrazioni e l’integrazione, ovvero i vertici del triangolo che per la Gruber ci rendono tutti “prigionieri dell’Islam”.

http://www.sulromanzo.it/blog/il-mondo-parallelo-delle-guerre-segrete-in-prigionieri-dell-islam-di-lilli-gruber

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Nel mare del tempo” di Elisabetta Cametti (Giunti, 2014)

22 sabato Nov 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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ElisabettaCametti, Giunti, Nelmaredeltempo, recensione, romanzo, stroncatura, thriller

Elisabetta Cametti, Nel mare del tempo

Dopo I guardiani della storia  Elisabetta Cametti ritorna in libreria con K –Nel mare del tempo, sempre con la casa editrice Giunti; ancora una volta un thriller contemporaneo che parla di etruschi. Nuove avventure per Katherine Sinclaire, il suo fidanzato Jethro e la cagnetta Tremilla. La storia riprende il filo del primo romanzo; mentre la protagonista cerca di riprendersi dalle vicissitudini precedenti, si ritrova a dover affrontare nuovi ostacoli e intrighi che causeranno la morte o il ferimento di praticamente tutti coloro che le stanno intorno.

La mole del testo, come di quello precedente, è imponente: 576 pagine per un giallo sono davvero tante; a tratti sembra di essere incappati in un mistero senza fine, aggravato da nuovi, tetri sviluppi e omicidi ripetuti. È impensabile una lettura continuativa per un libro di queste dimensioni, così va a finire che l’adrenalina ricercata dagli appassionati del genere scema di pagina in pagina e ci si ritrova sospinti verso la fine, solo per correttezza, dalla volontà di ultimare la lettura. Troppe interruzioni, troppi cambi di registro appesantiscono il testo. Ne sono un esempio lampante le ripetute dissertazioni sul popolo etrusco, sulla magia, sul passato collegato al presente, su delucidazioni tecniche e teoriche che non servono alla lettura né alla risoluzione del mistero.

In Nel mare del tempo i buoni e i cattivi si intuiscono facilmente, come l’epilogo. Troppo romanzato, per un thriller, un lieto fine che finisce per irritare il lettore. Una protagonista trattata alla stregua di una principessa da troppe persone, finanche da coloro che un attimo prima hanno dichiarato di odiarla e di volerla uccidere. Non si può dire che non sia una bella storia quella raccontata da Elisabetta Cametti, che non siano interessanti le narrazioni sugli etruschi; traspare certamente il lavoro di ricerca compiuto dalla stessa autrice, ma quello che non funziona è l’aver assemblato tanto materiale e averlo offerto al lettore per esteso.

Il testo ricorda molto, per struttura, le opere di Dan Brown, ma gli americani in generale hanno una maggiore propensione alla spettacolarizzazione, con la capacità di rendere interessanti anche cose scontate. Gli italiani non sono così e quando cercano di somigliare ai cugini d’oltreoceano, l’esito finale risulta un po’ artefatto. La stessa protagonista è forzatamente una persona normale, banale. Si notano tutti gli sforzi dell’autrice per renderla una persona comune, anche se poi gli atteggiamenti cozzano, a volte, con le parole, l’abbigliamento con il guardaroba, la professione con la quotidianità.

Fin dalle prime pagine si intuisce che Katherine non è solo la prescelta dai “guardiani del tempo” ma anche il birillo che deve assolutamente rimanere in piedi; tutti gli altri personaggi, come l’intera vicenda, sembrano costruiti per raggiungere questo scopo. Gli argomenti affrontati nel libro sono molteplici e spaziano dalla storia all’architettura, dalla religione alla spiritualità, dalla geo-morfologia dei terreni all’astronomia, dal racconto di drammi familiari a quello di gravi patologie psichiche; eppure nel lettore non resta nulla.L’autrice si limita a un’esposizione asettica dei contenuti e situazioni anche gravi scorrono in maniera neutra. A fine lettura restano le medesime sensazioni di quando si legge uno scrittore che potrebbe essere Dan Brown o un autore analogo per stile e tematiche: una grande quantità di immagini, anche cruente, di atmosfere, di luoghi, di persone e poche sensazioni, emozioni, riflessioni.

Abbandonando il tentativo di emulare altri e tralasciando i timori di svelare se stessa, unitamente alla forza delle conoscenze relative all’antico popolo degli etruschi e alla passione per il mistero, Elisabetta Cametti potrebbe orientarsi verso un tipo di scrittura più spontanea di quella impiegata per Nel mare del tempo.

http://www.sulromanzo.it/blog/k-nel-mare-del-tempo-di-elisabetta-cametti

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