• Bio
  • Contatti
  • Curriculum

Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

Archivi tag: TheCorporation

PLUTONOMY vs DEMOCRACY: far vincere la Democrazia contro la Shock Economy è il vero potere del popolo

09 sabato Giu 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

≈ Lascia un commento

Tag

Capitalism, Democracy, Democraziadiretta, Europa, Italia, italiani, NWO, Occidente, Piigs, ShockEconomy, terrore, TheCorporation

«Questo è il Capitalismo: tutti cercano di guadagnare sulle disgrazie altrui.»

A dirlo è un agente immobiliare della Florida ai microfoni del documentarista Michael Moore per Capitalism: a love story, lavoro che risale all’anno 2009.

Ma se il Capitalismo è il male, come ha fatto a resistere così a lungo?

Il sistema sarebbe costituito e basato su quella che viene definita propaganda, ovvero l’abilità di convincere le persone, che restano quindi vittime dello stesso sistema, a sostenere il medesimo e a credere che sia buono, la scelta migliore.

Ma come si fa a convincere milioni di persone in tutto il mondo che l’unica scelta utile per il benessere collettivo sia il Capitalismo?

Naomi Klein in Shock Economy, pubblicato la prima volta nel 2007, racconta la privazione sensoriale. Tecniche di persuasione volte a indurre la monotonia, la perdita di capacità critica, il vuoto mentale. Ma che significa “perdita di capacità critica”?

Sostanzialmente si tratta dell’incapacità, troppo spesso indotta anche da istruzione, informazione e pubblicità pilotate, di porsi delle domande, di analizzare dati e fatti con spirito critico appunto, invece di immagazzinare passivamente notizie e, soprattutto, immagini stereotipate e artefatte.

«Se ti è stato ripetuto per un’intera vita che le cose stanno come ti dicono gli altri, iniziare a pensare di cambiarle è una cosa grossa.»

A dirlo è un’operaia della Republic in sciopero da giorni con i colleghi contro la repentina chiusura della fabbrica e la ferma volontà di non corrispondere ai lavoratori i salari e la liquidazione già maturata. La lotta civile da loro portata avanti si è conclusa con il riconoscimento dei propri diritti e il versamento di quanto dovuto.

Combattere, lottare, protestare, scioperare solo per vedere riconosciuti i«servizi basilari»o essenziali, che in realtà sarebbero diritti. Perché in fondo ha ragione Erri De Luca che in Piigs sostiene che, con il Capitalismo sfrenato e deregolato, «i diritti sono diventati servizi. E i servizi hanno un costo e quindi vi può accedere solo chi se li può permettere».

Ea coloro che non possono permetterseli che succede? Già.

Questa «corrente selvaggia del Capitalismo» nel quale viviamo, il Capitalismo senza limiti, «ha conquistato il pianeta». Ed è basato sulle idee di un economista di nome Milton Friedman, per il quale tutto deve essere privatizzato tranne «la spesa militare, i tribunali e alcune strade e autostrade». Ma quando i doveri a cui dovrebbe adempiere il governo, lo Stato, vengono delegati a società private, che hanno naturalmente scopo di lucro, che succede?

Nel Rapporto 2005 della Citibank, stilato per i suoi investitori più ricchi, gli operatori di uno dei gruppi bancari più grandi che opera e ha interessi praticamente in tutto il mondo, compresa l’Italia, giungevano alla conclusione che «gli Stati Uniti non erano più una Democrazia, ma erano diventati una Plutonomia». Una società controllata esclusivamente da e per l’1% dell’élite che dispone di ricchezze maggiori di quelle del 95% della popolazione. «I ricchi sono la nuova aristocrazia e non si vede la fine della miniera che stanno sfruttando». Tutto bello, dal loro punto di vista, se non fosse per un problema, un intoppo cui ancora non erano riusciti a trovare la soluzione. Secondo Citigroup la minaccia peggiore e a breve termine sarebbe stata la richiesta, da parte della società, di una suddivisione più equa della ricchezza. Citigroup lamentava il fatto che i non ricchi potessero anche non avere potere economico, ma avevano lo stesso potere di voto dei ricchi. Infatti ogni persona ha diritto a un voto, indipendentemente dal suo potere economico. «Ed ecco quello che davvero li spaventa: che i non ricchi possano ancora votare. E hanno il 99% dei voti».

C‘è qualcosa che non torna però in questo ragionamento. Se i non ricchi rappresentano il 99% e hanno quindi un potere di voto enorme perché il tutto non cambia e loro lo sopportano passivamente? Per la propaganda?

In parte è vero ma ciò sarebbe dovuto a un effetto indiretto di essa. L’emulazione. Secondo quanto si legge nel Rapporto Citigroup, i non ricchi sopportano tutto perché «la maggior parte di essi è convinta che un giorno potrà anch’essa diventare ricca».

Cosa succede quando realizza che non accadrà mai? Succedono le rivolte, le rivoluzioni, gli scioperi, gli scontri, le proteste… a volte pacifici e consumati nelle cabine elettorali, altre volte nelle piazzecon risultati più o meno tragici, ma sempre per i non ricchi. Il Cile di Pinochet, i Desaparecidos in Argentina, la Gran Bretagna della Iron Lady Margaret Thatcher, la Russia di Yeltsin e poi ci sono le rivolte in Grecia e in Spagna contro l’austerità dell’Unione Europea… Tutte duramente represse in nome del benessere del Capitalismo.

Il Capitalismo per poter funzionare necessita ancora del consenso e dell’appoggio incontrastato della popolazione, di quel 95% di cui scrivono i relatori della Citigroup che ha il diritto di voto e quindi il potere di mandare al governo esecutori o meno degli interessi degli investitori, degli operatori finanziari, delle Corporation, delle banche… Un metodo per aggirare l’ostacolo del diritto di voto, o quantomeno indirizzarlo verso la direzione voluta,però è stato trovato.

«Se ti servi della paura riesci a far fare alla gente ciò che vuoi».

Ancora Friedman, quando insegnava economia all’Università di Chicago, durante le sue lezioni affermava: «la terapia di shock economico può stimolare le società ad accettare la più pura forma di capitalismo deregolato». La Dottrina dello Shock, che la Klein ha studiato e analizzato nel suo libro, ovvero «il sistematico saccheggio della sfera pubblica dopo un disastro», quando le persone sono molto concentrate su un’emergenza, su una catastrofe che può essere un evento naturale o il risultato di politiche e tattiche, può essere un terremoto, un’alluvione, uno tsunami oppure una rivolta, un conflitto, un attentato terroristico… Non importa, perché sempre e comunque il Capitalismo, deregolato e senza limiti, per tramite dei suoi fautori e operatori, troverà il modo per trarne profitto, un grande profitto che finirà sempre e comunque nelle mani di quella élite dell’1% che da sola detiene in mano le ricchezze praticamente dell’intero pianeta. E per ricchezze non vanno intesi solo denaro e preziosi ma i beni, quelli sìdavvero preziosi, che il pianeta fornisce per la vita dei suoi abitanti, come l’acqua e l’aria pulite, per esempio.

L‘opinione di Michael Moore sul Capitalismo è molto drastica, per lui «è il male. Non si può regolamentare. Bisogna sostituirlo con qualcosa di buono. E questo qualcosa si chiama Democrazia». Ma per farlo è necessario, innanzitutto, che le popolazioni sviluppino la «resistenza allo shock» con la conoscenza, la lotta pacifica, la resilienza, lo sciopero, l’organizzazione e la solidarietà. Non da ultimo, e di pari passo con la conoscenza, il mantenimento della memoria collettiva, la rivalutazione degli insegnamenti del passato, della Storia, frutto di uno studio critico e diapprofondimento non di mnemonica assimilazione di contenuti e concetti preconfezionati. In maniera tale che i non ricchi smettano di desiderare, di sognare di diventare ricchi pensando che questo porti loro felicità e benessere e non avidità e insano potere, come invece accade, e ritrovino o trovino in prima istanza l’importanza, la sacralità della vita, degli esseri umani, delle risorse del nostro pianeta e smettano di idolatrare persone, come Phil Gramm, per esempio, ex-senatore Usa e vice-presidente di UBS Investment Bank, il quale ha dichiarato di considerare Wall Street «un luogo sacro».In realtà è tutt’altro che un luogo sacro. Somiglia piuttosto a «un folle Casinò, dove si scommette su qualunque cosa».Anche sulla vita umana.

Nel suo intervento durante il dibattimento in Senato precedente la votazione per il governo del cambiamento, Mario Monti ha detto: «Non il Presidente del Consiglio, ma l’intero vostro Governo nascerebbe oggi come governo dimezzato se altre forze politiche non avessero dato, in un momento difficilissimo della vita del Paese, prova di grande responsabilità». Ovvero l’appoggio al suo governo e alle misure di austerità imposte come “sacrificio necessario” per evitare al Paese, cioè all’Italia, la “vergogna” dellaGrecia, ossia la Troika. Ma attenzione, avverte ancora Monti, «non è escluso che l’Italia possa dover subire ciò che ha evitato allora, l’umiliazione della Troika». Shock Economy.

Le misure economiche poste in essere dall’allora Governo presieduto dallo stesso Monti e che egli dichiara hanno portato l’Italia «fuori dalla grave crisi finanziaria»hanno riguardato, soprattutto, e continuano a riguardare il taglio della spesa pubblica per diminuire il deficit di Bilancio.

Detto in parole più semplici, il taglio della spesa pubblica diviene quasi sempre un taglio alle spese sociali, che equivalea diretaglio dei servizi.

In Italia, stando ai dati diffusi dal Censis, i finanziamenti dati alle Regioni e legati ai servizi sociali si sono ridotti di circa l’80% dal 2007 al 2014 (da 1.600milioni di euro a 297milioni di euro). Per quantificare un esempio, ma i tagli dal 2007 a oggi hanno riguardato anche la scuola pubblica e quindi l’istruzione, la sanità e quindi la salute dei cittadini e la loro assistenza. E via discorrendo…

Sempre del Censis i dati relativi all’indebitamento di oltre 7milioni di italiani per pagare le cure mediche. Ci sono poi anche quelli che non si indebitano ma, semplicemente, rinunciano a curarsi perché i soldi non li hanno. E questa è l’amara realtà conseguenza diretta dell’austerità, di quel “sacrificio necessario” richiesto da Monti, dal suo governo e da quelli successivi.

Una domanda però bisogna porsela: perché c’è stata la cosiddetta esplosione del debito pubblico italiano che ha reso necessario gli interventi di riordino dei conti pubblici pena la Troika?

Sul sito della Consob, l’Autorità italiana per la vigilanza dei mercati finanziari, si legge che la crisi finanziaria del 2007 ha avuto inizio, in realtà, negli Stati Uniti già a partire dal 2003, allorquando «cominciò ad aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui ad alto rischio», ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito perché «non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie». Ciò è stato reso possibile dalla cosiddetta bolla immobiliare, favorita dalla Federal Reserve che ha consentito al prezzo degli immobili di salire mantenendo tassi di interesse bassi. Ma, soprattutto, dalla cartolarizzazione, ovvero dalla possibilità per gli istituti di credito, le banche, di trasferire i mutui, dopo averli “trasformati” in titoli, a soggetti terzi e recuperare così buona parte del credito vantato. In questo modo le istituzioni finanziarie «poterono espandere enormemente le attività in rapporto al capitale proprio», realizzando profitti molto elevati, ma esponendosi anche al «rischio di perdite ingenti».

«I titoli cartolarizzati sono stati sottoscritti da molti investitori sia negli Usa che in Europa».

Bill Black, uno dei supervisori bancari americani, ricorda, intervistato in Capitalism di Moore, che l’FBI «iniziò ad allertare l’opinione pubblica nel settembre del 2004 sul fatto che ci fosse un’epidemia di frodi sui mutui messa in atto dalle banche». Ma l’amministrazione Bush destinò centinaia di agenti specializzati in crimini finanziari ad altre mansioni, nonostante «stavamo entrando, durante tutto il periodo dell’amministrazione Bush, nella più grande ondata di crimini finanziari del Paese ma, in realtà, della storia mondiale».

Ritornando all’analisi della crisi fatta dalla Consob, si legge che le operazioni di cartolarizzazione generavano prodotti strutturati molto complessi, poco standardizzati e poco liquidi. I prodotti strutturati, inoltre, venivano scambiati prevalentemente over the counter (OTC), ossia «al di fuori dei mercati regolamentati, e in assenza di prezzi significativi, cioè di prezzi utilizzabili per una loro valutazione condivisa dagli operatori di mercato». In quella circostanza fu palese che le agenzie «avevano assegnato rating troppo generosi (anche per effetto di conflitti di interessi che creavano incentivi in tale direzione) e si erano dimostrate troppo caute nel rivedere il proprio giudizio sugli emittenti che incominciavano a manifestare i primi segnali di crisi».

«Le istituzioni finanziarie coinvolte nell’erogazione dei mutui subprime registrarono pesanti perdite».Tali titoli, ormai ampiamente diffusi sul mercato, persero ogni valore e diventarono illiquidabili. La banca di investimento Lehman Brothers avviò le procedure fallimentari il 15 settembre del 2008 e questo innescò un ulteriore processo di «tensione e incertezza sui mercati».

La crisi apparve sempre più nella sua «natura sistemica», con “turbolenze” senza precedenti che si estesero dal mercato dei prodotti strutturati ai mercati azionari e, progressivamente, all’intero sistema finanziario evidenziando un «elevato grado di interconnessione».

In breve tempo la crisi dei mutui si trasferì all’economia reale statunitense ed europea provocando «una caduta di reddito e occupazione». Sempre sul sito della Consob si legge che, nel complesso, gli aiuti erogati alle banche dei rispettivi sistemi nazionali in Europa ammontano a 3.166miliardi di euro, sotto forma di «garanzie (2.443miliardi), ricapitalizzazioni (472miliardi) e linee di credito e prestiti (251miliardi)». La Consob dichiara di far riferimento a dati MBRES del dicembre 2013.

3.166miliardi di euro.

«I salvataggi bancari accrebbero in modo significativo il debito pubblico dei paesi coinvolti, gettando i presupposti per la cosiddetta crisi del debito sovrano».

La crisi del debito sovrano dei paesi europei è dovuta quindi alla crisi finanziaria partita da Wall Street ed estesasi fino agli istituti finanziari europei che hanno poi ricevuto, in complesso, 3.166miliardi di euro di aiuti.

Ora la domanda che viene da porsi è: perché per far rientrare il debito pubblico non è stato richiesto un sacrificio alle banche invece che ai cittadini?

Ma sorgono anche altri interrogativi. Ipotizzando anche e volendo dare per buona la versione che sostiene l’effetto sorpresa della crisi del 2007, ovvero che ha avuto un effetto domino perché inaspettata, allora ci si chiede cosa in concreto sia stato fatto per evitare che accada di nuovo. I mercati finanziari deregolati sono stati regolamentati? Se gli aiuti a sostegno delle banche hanno come conseguenza l’esplosione dei debiti pubblici degli Stati è stato previsto un piano differente di intervento in caso di nuova crisi? Invece di darli alle banche tutti quei miliardi di euro non potrebbero essere destinati direttamente all’economia reale? Al welfare? Al pubblico impiego? Al sociale? All’istruzione? Alla sanità? Cosa hanno poi fatto le banche con quei soldi pubblici? Contano di restituirli?

Ripensando alle parole di Mario Monti sembrerebbe proprio di no. Piuttosto pare ci sia una qualche tanto grave quanto incomprensibile responsabilità dei cittadini e dell’allora opposizioni incapaci di comprendere fino in fondo la serietà della “vergogna della Troika”. Con il 92% del consenso in Parlamento il governo Monti sarebbe riuscito a portare l’Italia fuori dalla crisi finanziaria e ad avviare una «seppur lenta, ripresa». Forza Italia, Partito Democratico, Fratelli d’Italia… li nomina tutti come sostenitori tranne la Lega, unica forza politica di opposizione nel Parlamento di allora, e Movimento Cinque Stelle come esterno alle istituzioni. All’epoca c’erano solo il blog di Grillo e i meetup.

Uno dei punti chiave su cui si è tanto insistito, lo ha fatto il governo Monti e lo ha fatto anche il governo Renzi, era il precetto del 3%. Se il deficit restava al di sotto di questa percentuale la ripresa e con essa la crescita dell’Italia sarebbero arrivate più fervide che mai. In più sedi istituzionali e conferenze Matteo Renzi ha sottolineato la coerenza del suo esecutivo nel rispettare questa direttiva.

Restare al di sotto del 3% significa mantenere la politica di tagli alla spesa pubblica.

Ma da dove viene fuori questo 3%? Funziona davvero?

Guy Abeille, ex funzionario del Ministero delle Finanze francese, ai microfoni dei giornalisti di PresaDiretta, intervista poi ripresa anche nel documentario Piigs, dichiara che, una sera del 1981, l’allora Presidente Mitterrand lo chiama perché necessita di una norma che fissasse il tetto del debito pubblico. «Il Presidente voleva qualcosa di semplice, di pratico. Non cercava una teoria economica ma uno strumento a uso interno». Siccome tutte le soluzioni sembravano complicate, Abeille e colleghi hanno pensato di rapportare il deficit al Pil. Il risultato di questa elementare operazione matematica è stato 3. Ed ecco il 3%. «Nessun criterio scientifico».

Qualche anno più tardi, quando a Maastricht bisogna trovare una regola per l’unione monetaria, Trichet disse: «Noi abbiamo un numero che ha funzionato benissimo in Francia». Da quando il 3% è diventato una regola, continua Abeille, «tutti hanno dovuto legittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica, della gente che vota», gli economisti hanno elaborato mille spiegazioni scientifiche, ma «io posso garantire che le cose sono andate esattamente come ho raccontato».

Sembra una barzelletta ma in realtà è molto triste. Sarà per questo motivo, forse, che alla prima votazione utile il popolo italiano ha premiato proprio quelle forze politiche che hanno scelto, nel tempo, di rimanere fuori da quel 92% che ha preferito invece imporre “sacrifici” alla popolazione tra cui proprio la regola del 3%.

In effetti lo scrivevano anche i relatori del Rapporto Citigroup in America che il diritto di voto equanime può essere un grande problema, perché i non ricchi non hanno potere economico ma sono in tanti, tantissimi, e siccome ogni persona ha diritto a un solo voto, il loro complessivamente supera di gran lunga quello delle élite, ovvero di coloro che, da questa immensa crisi finanziaria che ha investito l’economia reale di praticamente tutti i Paesi, sono riusciti forse anche a guadagnarci. Ho scritto forse ma penso di sicuro.

La Consob segnala che, nel novembre 2012, è stato adottato il nuovo Regolamento europeo come contromossa della crisi che ha messo in discussione anche «la capacità di tenuta di quasi tutti i comparti della regolamentazione del sistema finanziario», per l’attitudine a «creare un sistema di incentivi distorto e deresponsabilizzante». Gli eventi occorsi hanno messo in evidenza «la necessità di una riforma degli assetti istituzionali della supervisione finanziaria in Europa e negli Usa» e di rivedere «l’approccio tradizionalmente improntato all’autodisciplina» in alcuni settori del mercato finanziario, tra i quali «quello relativo ad agenzie di rating, fondi speculativi e mercati cosiddetti over the counter». In Europa è stata disegnata una nuova «architettura istituzionale» volta a promuovere «regole armonizzate e prassi uniformi di vigilanza e applicazione delle norme».

Sulle politiche di austerity invece permane la visione condivisa di governi locali e comunitari.

Riacquistare la capacità critica, la forza di volontà, creare gli anticorpi alla dottrina della shock economy, riappropriarsi degli strumenti utili a dar voce alle popolazioni e ai loro diritti, lo sciopero, la piazza, la cabina elettorale… Ecco la vera forza del popolo, della Democrazia.

Michael Moore sostiene che, nonostante i contenuti, le case di produzione e distribuzione cinematografica scelgano di produrre e distribuire egualmente i suoi documentari perché convinte che forniranno comunque un incasso e che la gente, anche se li guarderà, poi non farà nulla di così rivoluzionario da mettere in bilico il sistema. Moore è convinto del contrario e continua a lavorare a sempre nuovi documentari-inchiesta. Chi ha ragione? Solo il popolo, le scelte e le decisioni che prenderà potranno dirlo.

Le parole dell’operaia della Republic in sciopero per far valere i propri diritti di lavoratrice e cittadina sintetizzano alla perfezione il mix di meraviglia ed entusiasmo che accompagna la scoperta della possibilità di liberarsi della privazione sensoriale cui si viene costantemente sottoposti: «Se ti è stato ripetuto per un’intera vita che le cose stanno come ti dicono gli altri, iniziare a pensare di cambiarle è una cosa grossa». Immaginate riuscirsi cosa sarà.


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

The Corporation e Piigs: fin dove si spingono i tentacoli del libero mercato? È questa l’Europa che vogliamo? 

Stampa di Palazzo e fake news. Fermare gli “Stregoni della notizia”. Intervista a Marcello Foa 

“È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016) 

Guerre dichiarate e guerre segrete. Analisi geostrategica della guerra delle informazioni combattuta nel conflitto civile siriano 


 

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

The Corporation e Piigs: fin dove si spingono i tentacoli del libero mercato? È questa l’Europa che vogliamo?

05 martedì Giu 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

≈ Lascia un commento

Tag

articolo, Europa, Italia, italiani, NWO, Piigs, TheCorporation, USA

La questione in fondo si riduce a due semplici quesiti: fin dove sono disposti ad arrivare i business men per raggiungere il loro tanto agognato profitto? Fino a che punto cittadini e governi sono disposti a rinunciare a doveri e diritti pur di rispettare le impunite leggi del libero mercato?

Originariamente il ruolo e lo scopo delle Corporation era tutt’altro rispetto a quello attuale e somigliava più a una cordata di persone o società che appaltavano un grosso lavoro dallo Stato, il quale stabiliva rigidamente tempi, costi e regole. Così sono stati costruiti la gran parte dei ponti americani e le immense ferrovie che attraversano il Paese.
Oggi sono persone giuridiche cui vengono riconosciuti tutti i diritti delle persone e anche più, in quanto sono indicate come particolari. Per legge hanno il solo scopo di tutelare gli azionisti e non la comunità o la forza lavoro. «Non hanno un’anima da salvare o un corpo da incarcerare» e sono prive di «coscienza morale» come sottolinea Noam Chomsky, uno dei tanti intervistati del documentario The Corporation appunto, prodotto da Jennifer Abbott, Mark Achbar e Joel Bakan nel 2003.

La Corporation è ormai un’istituzione dominante nella realtà contemporanea. Grandi, enormi società di capitali con poteri altrettanto sconfinati e controlli sempre più limitati.
Le Corporation oggi sono globali ed essendo tali, in sostanza, i governi hanno perso qualsiasi forma di controllo su di loro. A dirlo è l’ex amministratore delegato della Goodyear, una delle Corporation che si scoprì aveva preso parte al complotto ordito per spodestare il presidente Roosevelt. Oggi queste azioni, questi complotti sono inutili perché «il Capitalismo è il padrone incontrastato». Rappresenta ormai a tutti gli effetti «l’Oligarchia regnante del nostro sistema».

Un sistema che nel 2008 ha portato il mondo intero ad affrontare una delle crisi economiche più terribili mai presentatesi dove, ancora una volta, a rimetterci sono stati i deboli e i meno furbi. In Europa, per esempio, a farne le spese sono stati i Paesi additati come deboli o peggio come piigs. Infelice acronimo che voleva sottolineare le porcine economy dei Paesi con un’economia debole e un debito pubblico insostenibile, «i Paesi maiali sono Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna». Un acronimo che è diventato anche il titolo del documentario di Adriano Cutraro, Federico Greco, Mirko Melchiorre girato nel 2017.

Come il documentario The Corporation anche Piigs risulta essere molto illuminante per quello che si scopre e non si conosceva e per quello che viene invece confermato da chi, magari, in altre sedi tende a negare o minimizzare.

Stefano Fassina sostiene che la distinzione tra economie forti e deboli all’interno dell’eurozona, e che dà adito a stereotipi e luoghi comuni duri da scalfire, sia in realtà «una lettura strumentale» fatta, «come sempre avviene nella Storia, da chi è più forte, da chi orienta la comunicazione, da chi orienta l’interpretazione» e lo fa per «scaricare su una parte problemi che invece erano sistemici». E va avanti sottolineando il fatto che i Paesi virtuosi erano tali proprio per i problemi dei Paesi periferici: «la Germania cresceva per le esportazioni e la Grecia, che era in debito, riceveva dei prestiti perché qualcuno premeva per importare Mercedes dalla Germania».

Chi esercitava dette pressioni? Gli interessi di chi stanno tutelando in questo modo gli Stati e l’UE?
Possiamo ipotizzare che anche in Europa le Corporation, che chiamiamo Multinazionali o Società di Capitali, si beffano dei diritti dei cittadini e delle leggi per raggiungere i loro tanto amati profitti? Ma laddove i Governi accettano e acconsentono il loro “gioco” non vengono minati i principi fondamentali della Democrazia?

Yanis Varoufakis sostiene che, in realtà, «la Democrazia non è mai stata la caratteristica principale dell’Unione Europea». E racconta nel dettaglio le risposte che si è sentito dare nel momento in cui vi si è recato per contrattare i termini di una eventuale soluzione per il suo Paese. Soluzione che per molti versi poteva sembrare una vera e propria punizione, per un popolo, quello greco, che aveva osato alzare la testa e la voce contro i ferrei diktat dell’austerity. Per esempio, l’Europa nello «spostare le perdite delle banche sulle spalle dei contribuenti più deboli ha rivelato il suo autoritarismo».

Sergio Mattarella lo scorso 26 maggio ha sottolineato come la funzione e il ruolo del Presidente della Repubblica sia di garanzia e non può quindi né deve subire imposizioni di alcun tipo, dichiarando di poter accettare tutte le nomine proposte tranne quella del Ministro dell’Economia. «La designazione del Ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato di fiducia o di allarme per gli operatori economici e finanziari». L’incertezza della nostra posizione nell’euro «ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori italiani e stranieri che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende».

Paolo Barnard, sempre all’interno del documentario Piigs, afferma che il debito pubblico è un problema quando uno stato contrae passivi con una moneta non sua. Gli fanno eco Stephanie Kelton e Paul De Grawe. «I Paesi eurozona riscuotono le tasse in euro, spendono in euro ma non hanno sovranità monetaria». Il risultato di questo è che «i mercati possono mettere in sofferenza lo Stato italiano, vendendo in massa i titoli sapendo che il governo non ha euro per ripagare i detentori dei titoli».

Federico Rampini invece sottolinea la necessità di «riprendere l’economia perché è il nostro futuro». E rimarca «l’analfabetismo economico» di cui soffrono gli italiani. Che non suona tanto come un’offesa quanto come una mera constatazione del fatto che si stenta a capire i concetti base di economia. Si continua a credere che tutto ciò che riguarda l’economia rimanga «nel mondo magico» della stessa. Bisogna invece iniziare a riflettere sul fatto che «tutto è economia»: le guerre, lo sfruttamento, l’abbandono dello stato sociale, della sanità, dell’istruzione…

Per i broker di Wall Street l’Undici Settembre è stata una «benedizione camuffata». Tutti quelli che non erano nelle Torri Gemelle e si sono salvati hanno immediatamente investito in oro e hanno raddoppiato il capitale. A raccontarlo alla telecamera degli operatori di The Corporation è un broker di Wall Street.
Quando l’America bombardò l’Iraq nel 1991, tutti i broker tifavano affinché Saddam Hussein continuasse a dare problemi, a incendiare pozzi, così il prezzo del petrolio sarebbe continuato a salire e loro a guadagnare. «Noi speravamo in una pioggia di bombe su Saddam». Quella, al pari dell’Undici Settembre, era una tragedia, una vera e propria catastrofe con bombardamenti, guerre, morti… il broker si rende conto di questo ma ammette che anche «la devastazione crea opportunità».

Fin dove si spingono questi operatori dei mercati, mediatori o investitori che siano? Esiste un limite oltre il quale si rifiutano di pescare nel torbido?

Stando ai dati forniti da un Rapporto del Dipartimento del Tesoro, in una sola settimana 56 Corporation americane sono state multate per aver commerciato con nemici ufficiali degli Stati Uniti, «compresi terroristi, tiranni e regimi dittatoriali». Le Corporation sono in grado di produrre grande ricchezza ma anche «enormi danni, molto spesso taciuti».

Le politiche governative e statali non possono e non devono piegarsi sempre e comunque agli umori del libero mercato, in considerazione anche e soprattutto del fatto che a guadagnarci, come anche a rimetterci, sono sempre gli stessi. Da un lato le grandi società di capitali, gli investitori e i broker e dall’altro i piccoli investitori e le popolazioni.
Ancora il Presidente Mattarella, sempre nel corso dell’intervento per motivare la bocciatura di Paolo Savona a Ministro dell’Economia, sottolinea come la manifesta volontà di uscire dall’euro è cosa ben diversa «da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione Europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano». E i cambiamenti necessari da porre in essere sarebbero davvero tanti.

A chiusura del documentario Piigs c’è la lunga e amara analisi di Giuliano Amato sulla sovranità monetaria e su quella economica dei Paesi membri e dell’intera Unione Europea. Egli stesso ammette che la soluzione da loro trovata e poi posta in essere è stata sconsigliata da molti economisti, specie americani. «La vostra Banca Centrale se non è la Banca Centrale di uno Stato non può assolvere alla stessa funzione a cui assolve la Banca Centrale di uno Stato che, quando lo Stato lo decide, diventa il pagatore senza limiti di ultima istanza». Che poi è quanto affermato anche da Paolo Barnard. Ma gli “architetti” ideatori dell’eurozona, tra cui appunto lo stesso Amato, non hanno voluto dar retta a questi economisti, stabilendo addirittura nei Trattati dei «vincoli che impedissero di aiutare chi era in difficoltà». L’Unione Europea in sostanza non si assume la responsabilità degli impegni dei singoli stati e la Banca Centrale Europea non può comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli stati. Non sono previste agevolazioni creditizie e finanziarie per i singoli stati… insomma, moneta unica dell’eurozona ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso. «Era davvero difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi», chiosa Giuliano Amato.

«Certo che ci saranno trasferimenti di sovranità. Ma non sarebbe intelligente da parte mia richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo» (Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea, Europe Agency, 24 giugno 2007).

I problemi, che già sapevano esserci in potenza, sono aumentati notevolmente dopo la crisi del 2008 ma, soprattutto, in conseguenza delle misure intraprese per “superarla”. Politiche che, nell’opinione di Stefano Fassina, «hanno aggravato i problemi invece di risolverli».
Si pensi, per esempio, al Fiscal Compact. Il Patto di Pareggio di Bilancio. L’anticristo del Bilancio di un’istituzione pubblica che, paradossalmente, può garantire maggiore benessere ai cittadini lavorando in sofferenza. Perché l’istituzione pubblica è l’unica società esistente al mondo che non ha scopo di lucro, quindi non opera per il profitto ma per i servizi ai cittadini. Basti pensare al New Deal lanciato dal Presidente americano Roosevelt che, forse anche per politiche come questa, si inimicò le Corporation che tramarono per destituirlo.
«Il pareggio di Bilancio dà priorità alla stabilità dei prezzi mettendo in secondo piano il diritto al lavoro, alla salute e a un salario dignitoso… per esempio».

Ma se tutti sapevano l’inutilità, o meglio la nocività di questi provvedimenti per i singoli Stati e, soprattutto, per i cittadini, perché sono stati posti in essere comunque? Sono stati imposti a reale beneficio di chi? Del mercato? Delle Corporation, che in Europa diventano le Multinazionali?

A seguito del veto del Presidente Mattarella, il capo politico del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio diffonde un video nel quale sottolinea che il governo del cambiamento sia stato stoppato non per Paolo Savona e l’impossibilità di trovargli un sostituto, bensì perché chiunque, nel corso della sua carriera, fosse stato in qualche misura critico sull’euro non andava bene. Non poteva andare bene. «Se siamo in queste condizioni non siamo in una Democrazia libera». Nel Contratto di Governo non c’è l’uscita dall’euro, è prevista la modifica dei Trattati, la rivisitazione di alcune regole europee. Il veto quindi si basava su opinioni non su reali intenzioni. Eppure il tutto andava fermato o cambiato. Perché?

Nel momento stesso in cui Luigi Di Maio ha palesato l’eventualità di procedere con l’iter per la messa in stato di accusa del Presidente il dibattito sui media ma, soprattutto, sui social si è infervorato generando due aperte fazioni che, prontamente, si sono schierate a favore o contro Sergio Mattarella. Gli interventi vertevano tutti o quasi sul diritto costituzionale o meno che aveva o che ha il Presidente della Repubblica di opporsi alla nomina di un singolo Ministro e su quali motivazioni detta scelta debba basarsi. Nessuno però o quasi si è posto l’unico interrogativo utile, ovvero: i mercati e gli investitori sono una motivazione valida?
La risposta è arrivata, qualche giorno più tardi le dichiarazioni di Mattarella, da Günther Oettinger, commissario UE al Bilancio: «I mercati insegneranno agli italiani a votare nella giusta direzione» (“The markets will teach the Italians to vote for the right thing”). Il giornalista Bernd Thomas Riegert ha poi rimosso questo tweet e lo ha sostituito adducendo come motivazione il fatto di non aver riportato fedelmente la citazione di Oettinger. Il succo di quanto scrive in seguito non si discosta poi tanto dalla prima versione. Si tratta semplicemente di un messaggio meno chiaro, meno esplicito ma di eguale sostanza.
Un modo meno “aggressivo” di dire la stessa cosa, diciamo nei termini usati anche dal Presidente Mattarella.

Gli italiani però si sono offesi per le sue parole, quelle del commissario UE, e questi allora si è pubblicamente scusato. Va bene, scuse accettate ma la sostanza non cambia. È vero oppure non lo è che i mercati influenzano i governi? È vero oppure non lo è che se un Ministro dell’Economia non piace ai mercati il ministro non lo può fare? È vero oppure non lo è che, se i singoli Paesi mantengono la responsabilità sui debiti pubblici pur avendo abbandonato la sovranità monetaria, è necessario quantomeno rinegoziare i Trattati?

Nell’intervista rilasciata per il documentario Piigs, Noam Chomsky evidenzia quanto sia «interessante osservare le reazioni in Europa quando qualche politico suggerisce che forse la gente dovrebbe avere voce su ciò che la riguarda». Citando, per esempio, i Referendum popolari indetti in Grecia nel 2015. «La reazione è stata di incredulità: Come osate chiedere alla gente cosa deve accadergli? Non sono affari loro. Devono seguire gli ordini. Prendiamo noi le decisioni…».
Yanis Varoufakis ricorda che al primo Eurogruppo cui ha presenziato propose un accordo, un compromesso tra la Troika e il Governo greco, «a metà tra le loro imposizioni e il mandato elettorale». Wolfgang Schauble rispose: «Le elezioni non possono essere permesse se modificano il programma economico della Grecia».

«La Grecia è stata selvaggiamente punita per aver osato chiedere un Referendum e i tecnocrati europei hanno imposto misure ancora più dure, per togliere loro dalla testa l’idea folle che la democrazia possa avere un qualche valore». (Noam Chomsky)

Fin dove si spingono i tentacoli del libero mercato? È questa l’Europa che vogliamo?


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

“Chi sono i padroni del mondo”, il lato oscuro delle potenze democratiche nell’analisi di Noam Chomsky 

“È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016) 

Perché la sinistra ha fallito? Ecco i motivi… Intervista a Maurizio Pallante 

“Il collasso della modernizzazione: dal crollo del socialismo di caserma alla crisi dell’economia mondiale” di Robert Kurz (Mimesis, 2017 a cura di Samuele Cerea) 


 

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Sostieni le Attività di Ricerca e Studio di Irma Loredana Galgano

Translate:

Articoli recenti

  • Liana Zimmardi, L’urlo dei gattopardi
  • Luisa Passerini, Artebiografia. Percorsi di artiste tra Italia e Africa
  • Jorge Luis Borges, il Mestiere della Poesia
  • Silvia Giagnoni, Alabama Hunt
  • Il ruolo delle scam city nella società di oggi: truffe, lavoro e relazioni sociali

Archivi

Categorie

  • Articoli
  • Interviste
  • Recensioni
  • Senza categoria

Meta

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Proudly powered by WordPress