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Il Nakhichevan ha avuto a lungo un ruolo molto importante nella storia e nella cultura dell’Armenia, in particolare nell’ambito della nascita del commercio armeno in epoca moderna. Attualmente, però, la millenaria presenza armena è stata completamente cancellata in questa regione che costituisce una repubblica autonoma dell’Azerbaigian. Non solo, infatti, gli armeni hanno completamente cessato di vivere nel Nakhichevan, ma il loro imponente patrimonio artistico è stato completamente distrutto dalle autorità azere negli ultimi decenni. Ed è altissimo il rischio che lo stesso possa avvenire nel Nagorno-Karabakh, ormai anch’esso privo della sua popolazione armena.
Un genocidio culturale di cui si parla veramente troppo poco, forse anche per l’importanza crescente dell’Azerbaigian nell’approvvigionamento energetico di molti paesi, a partire dal nostro.
In seguito al crollo dell’Unione Sovietica e al conflitto con gli armeni, l’Azerbaigian aveva perso il controllo di un’ampia area situata all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti: a partire dal 1994 gli armeni locali erano riusciti a stabilire un governo che de facto controllava non solo l’area dell’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh, una enclave in cui gli armeni erano storicamente maggioranza, ma anche ampi territori adiacenti abitati prevalentemente da azeri. Nel 2020 l’Azerbaigian è riuscito a riprendere il controllo dei territori adiacenti Nagorno-Karabakh nonché parte dei territori storicamente abitati da armeni con una guerra-lampo durata 44 giorni. Un cessate-il-fuoco raggiunto con la mediazione di Mosca prevedeva il dispiego di forze di pace russe che avevano il compito di garantire la sicurezza della popolazione armena locale e proteggere il corridoio di Lachin, ovvero la principale linea di comunicazione tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia. A dicembre 2022 il corridoio di Lachin fu bloccato dall’Azerbaigian senza che ciò comportasse un reale intervento dei peacekeeper russi o dei principali attori internazionali. L’impotenza dell’Armenia in questo contesto è in parte dovuta alla sua stessa vulnerabilità. L’Azerbaigian ha infatti preso iniziativa per far capire che, in caso di nuova guerra, a rischio non sarebbe solo la popolazione armena del Nagorno-Karabakh ma anche l’Armenia stessa.
Secondo accordi bilaterali e multilaterali in vigore, la Russia avrebbe l’obbligo di accorrere in aiuto dell’Armenia in caso di minacce alla sua integrità territoriale. Ciononostante, non è intervenuta quando l’Azerbaigian ha condotto attacchi contro l’Armenia nell’autunno 2022 e neanche per quelli del settembre 2023. I peacekeeper si sono limitati a registrare le numerose violazioni del cessate il fuoco e facilitare l’evacuazione di migliaia di civili locali dalle zone più esposte a pericolo dall’intervento militare.
Da parte dell’Unione Europea si è cercato di mantenere un tono circospetto e sostanzialmente privo di critiche esplicite alla leadership di Baku. Nelle dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo non ci sono state condanne ferme per Baku ma solo un impersonale riferimento alla necessità di riaprire il corridoio di Lachin e procedere con i negoziati.1
Molto chiara invece invece è stata la condanna espressa dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2022 sulla distruzione del patrimonio culturale nel Nagorno Karabakh, a proposito del fatto che «negli ultimi 30 anni l’Azerbaigian ha causato la distruzione irreversibile del patrimonio religioso e culturale, in particolare nella Repubblica autonoma del Naxçivan, dove sono state distrutte 89 chiese armene, 20mila tombe e oltre 5mila lapidi». Inoltre il Parlamento europeo collega che questa politica distruttiva di Baku posta in essere nel Nakhichrvan possa ripetersi anche nel Nagorno-Karabakh.
E non si può tacere neanche la situazione disperata del patrimonio artistico armeno in Turchia, dove al genocidio fisico è seguito e continua a seguire quello culturale.2
La cultura riveste una notevole importanza per ogni gruppo umano, etnia o nazione. L’espressione genocidio culturale indica proprio quei fenomeni di annichilimento della cultura che diventano lo strumento con cui distruggere un gruppo umano. Esso è attuato senza attacchi diretti, fisici o biologici, alle persone.3 Il patrimonio culturale è la parte visibile della cultura e il suo valore risiede nel significato. La cultura è simbolica e rappresenta cose intangibili.4 Il patrimonio culturale, pertanto, è costituito dal valore che i beni culturali e del paesaggio assumono in seno alla società e alla comunità cui appartengono. Essi riflettono l’identità di una comunità. Rappresentano tutto il carico simbolico di una comunità, gli stili di vita, le abitudini e lo stesso modo di essere delle persone che compongono tale comunità. Il patrimonio culturale può essere identificato come espressione di quella identità culturale propria di un popolo. Esso diviene la stessa rappresentazione di un popolo, del modo di agire, dell’interiorità composta da affetti, della concezione etica ed estetica e, più in generale, manifesta l’essere di tale comunità e degli individui che sono e si sentono parte della medesima comunità.5
Il Nakhichevan è una regione piccola, circa 5mila kmq, compresa amministrativamente nell’Azerbaigian ma geograficamente e culturalmente nell’Armenia nelle cui regioni storiche occupa una posizione centrale. In Nakhichevan ha avuto luogo, tra il 1998 e la fine del 2005, la completa distruzione di tutti i manufatti armeni: a cominciare dal vasto cimitero medievale di Giulfa nell’omonima città la quale, pur essendo in rovina e ormai disabitata da tempo, all’inizio del XX secolo era ancora ricca di diciotto chiese, un caravanserraglio, un ponte, un mercato coperto, case e soprattutto conservava la straordinaria necropoli medievale, ricca di pietre-croci, quasi tutte finemente intagliate con il caratteristico motivo della croce-albero della vita. Queste pietre vi erano state poco a poco elevate tra il V e il XVI secolo, durante la fioritura economica e culturale della città, e molte di esse erano dotate di iscrizioni storicamente rilevanti. Nel 1998, le autorità azere decidono di cancellare totalmente Giulfa e, nonostante le proteste inoltrate all’Unesco, il processo procede, a fasi alterne, fino al 2005.
È legittimo domandarsi come mai tanto accanimento distruttivo abbia avuto luogo per così dire “a freddo”, in un momento apparentemente qualunque, lontano dalla guerra.6
«Le prime cose che un armeno costruisce in un paese sono la chiesa e la scuola. È la difesa della propria identità attraverso la religione e la cultura. Uno dei segreti dell’unità è proprio l’unità religiosa, ma non fanatica, e la difesa della cultura e del libro.»7
Nei territori dell’Armenia storica rimasti in Turchia ci si muove sostanzialmente in uno spazio “vuoto”, creato da un genocidio e ormai centenario, che purò essere solo parzialmente riempito ricostruendo con strumenti culturali di vario genere – opere storiografiche di autori armeni e non armeni, libri di viaggio, memorie, fotografi e via discorrendo – un mondo vitale sino al 1915 e poi completamente spazzato via. Alla politica di distruzione premeditata dei primi decenni è seguita una fase di sostanziale disinteresse da parte delle autorità turche nei confronti del patrimonio artistico di un popolo la cui memoria storica è stata ampiamente deformata o rimossa.8 Se si esclude la capitale Istanbul, dove ancora esiste una comunità armena consistente anche se molto ridotta rispetto all’epoca ottomana, e il villaggio di Vakif, l’unico dei sette del Mussa Dagh ancora esistente e abitato da Armeni, la popolazione che ha profondamente segnato il territorio anatolico, soprattutto orientale, è stata quasi completamente cancellata, anche topograficamente.9 Del vasto territorio abitato per millenni dagli Armeni oggi solo una piccola parte è inserita all’interno della repubblica indipendente. Persino il principale simbolo della terra armena si trova interamente in territorio turco. L’Armenia, infatti è anche il paese dell’Ararat, il Monte di Noè, il Monte dell’Arca, dal quale la vita riprese dopo il Diluvio Universale.
Raramente le agenzie internazionali, gli organismi di controllo e di pace, hanno reagito riportando l’attenzione ai fatti accaduti, sull’annichilimento dell’eredità culturale e artistica armena. A cominciare dall’UNESCO, rappresentato nell’area del Naxijewan dalla moglie del presidente azero, Mehriban Aliyeva, designata UNESCO Goodwill Ambassador nel 2004 e mai sollevata dall’incarico.10
Dopo la resa da parte delle forze separatiste armene in Artsakh e l’ormai esodo quasi totale da parte della popolazione locale armena del Nagorno-Karabakh, in Caucaso, le paure, in particolare per quanto riguarda Yerevan, non sembrano tuttavia essere cessate. In aggiunta al problema dell’ondata di “profughi connazionali” in Armenia, con la necessità di reperire ingenti risorse finanziarie, c’è la questione della futura collocazione della popolazione scappata dall’Artsakh e la questione relativa alla Repubblica del Nagorno-Karabakh e che cosa ne sarà di questa, o ancora meglio cosa ne sarà del patrimonio culturale armeno in Karabakh e dei leader separatisti arrestati dal governo di Baku. Che la fine dell’Artsakh fosse alle porte era intuibile ed era ormai anche pacifico, tuttavia non lo sono le conseguenze e, soprattutto, è difficile da giustificare il silenzio assordante da parte della comunità internazionale. In uno scenario in cui l’Azerbaigian non intravede e non percepisce alcuna possibilità di intervento deciso da parte della comunità internazionale o possibilità di una qualche interruzione o rottura dei rapporti con i paesi occidentali, lo stato del Caucaso meridionale adotta una politica tesa a perseguire i propri obiettivi geoeconomici in uno stile di realpolitik che ha sempre caratterizzato il modus operandi del governo di Aliyev.
La Russia sta sostanzialmente osservando passivamente e non sembra intenzionata ad aggravare i rapporti con Baku. Il Cremlino ha firmato un accordo con l’Iran per la costruzione di una ferrovia che passerà lungo la costa del mar Caspio e aiuterebbe a collegare i porti russi sul mar Baltico con i porti iraniani nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico.
Il Parlamento Europeo ha firmato una risoluzione che chiede sanzioni all’Azerbaigian a causa dell’operazione in Karabakh. Dal punto di vista economico, però, quasi due terzi delle importazioni dell’Azerbaigian provengono dall’Unione Europea e quindi sarà difficile pensare che verrano adottate vere e proprie sanzioni.11
Il libro
Antonia Arslan e Aldo Ferrari (a cura di), Un genocidio culturale dei nostri giorni. Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2023
1G. Comai, Conflitto Armenia-Azerbaigian: la fine di Nagorno Karabakh, Osservatorio Balcani Caucaso, 21/09/2023.
2A. Ferrari, L’Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo, Salerno Editrice, Roma, 2019.
3L. Perra, Il genocidio culturale, Il Sileno Edizioni, Lago (CS), 2022.
4J. Santacana Mestre, F.X.H. Cardona, Museologia Critica, Ediciones Trea, Gijón, 2006.
5L. Perra, op.cit.
6M. Corgnati, Anche le pietre muiono. La distruzione di monumenti, siti storici e memorie culturali armene in Naxijewan: un modello per il Nagorno-Karabakh passato sotto il controllo dell’Azerbaigian?” in A. Arslan, A. Ferrari (a cura di), Un genocidio culturale dei nostri giorni.
7B. Sivazliyan, Del Veneto dell’Armenia e degli Armeni, Regione Veneto, Edizioni Canova, Dosson di Casier – TV, 2000; C. Aznavour, I giorni prima, Rizzoli Editore, Milano, 2004.
8A. Ferrari, Viaggio nei luoghi della memoria armena in Turchia e Azerbaigian, LEA – Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, UNIVE – Università Cà Foscari, Venezia, n° 5 2016.
9L. Sahakyan, Turkification of the Toponysm in the Ottoman Empire and the Republic of Turkey, Arod Books, Montreal, 2010.
10M. Corgnati, op.cit.
11C. Busini, Oltre il Nagorno-Karabakh, a rischio l’integrità armena, Eάst Journal, 14 ottobre 2023.
Articolo pubblicato su Satisfiction.eu
Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa delle Edizioni Angelo Guerini e Associati per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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