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Irma Loredana Galgano

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Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi (Tea, 2017)

15 venerdì Set 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Lagunanera, MauriSpagnol, MicheleCatozzi, recensione, romanzo, Tea, thriller, Venezia

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Uscito con Tea, del gruppo editoriale Mauri Spagnol, Laguna nera di Michele Catozzi è un giallo la cui storia, come sospesa nel tempo, ben si sposa con l’ambientazione. Venezia, la città «più bella del mondo», dove il tempo sembra essersi fermato… o almeno questo vorrebbero i nostalgici della bellezza della città lagunare. I tradizionalisti incalliti come il commissario Nicola Aldani, protagonista delle indagini sull’omicidio al centro della vicenda e veneziano doc che sembra smarrire un pezzo di sé ogni qualvolta per le calli apre un nuovo fast food o un qualsiasi altro store che non siano le antiche trattorie a lui tanto care.

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Una struttura particolare quella studiata da Catozzi in Laguna nera che si apre al lettore con un prologo nel quale l’autore rivela a chi legge indizi utili a conoscere e riconoscere l’identità dell’assassino. Così accade che al lettore sembra gli siano state fornite informazioni maggiori di quelle in possesso degli inquirenti. La sfida, che invoglierà comunque al prosieguo della lettura, sarà quindi determinata dall’ansia di conoscere le modalità che porteranno la squadra interforze a conoscere il mistero che si cela dietro l’omicidio dell’assessore Baldan. Un’esecuzione che in realtà è una vendetta, maturata per quasi trent’anni.

Il corpo centrale del testo è caratterizzato dal racconto del lavoro di indagine degli inquirenti, routine arricchita dalle riflessioni che Catozzi attribuisce al suo commissario Aldani sulla società “strozzata” dalla malavita organizzata ma anche dallo strozzinaggio, quello vero che a Venezia è tangibile lungo il molo di attracco dinanzi al Casinò del Lido. Il luogo simbolo delle contraddizioni di un’amministrazione che sostiene le campagne contro il gioco d’azzardo e, al contempo, gestisce la struttura. Specchio di uno Stato intero che sponsorizza le campagne pubblicitarie contro il gioco d’azzardo mentre organizza lotterie, gratta e vinci, totogol e autorizza l’apertura di sempre nuove sale slot.

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Apoteosi di una tale zona grigia è l’ingresso a pieno titolo nelle istituzioni di soggetti appartenuti o appartenenti alla criminalità organizzata, oppure alla Mala del Brenta. A dimostrazione della «vulnerabilità di Venezia alle infiltrazioni mafiose» e, aggiungerei, dell’Italia intera. Perché nei territori dove «mafiosi e camorristi» non riescono a «emergere con un’organizzazione propria» preferiscono «cooperare». E i legami tra “affari” e politica, inutile negarlo o fingere di non saperlo, divengono sempre più intensi, radicati e dannosi. La storia scritta da Catozzi, è bene ricordarlo, pur basandosi su accadimenti veri del passato, come le scorrerie dei membri della Mala del Brenta, è frutto solo della sua fantasia. Ma si sa che spesso, purtroppo, la realtà supera di gran lunga la fantasia di uno scrittore.

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Interessanti risultano anche i passaggi nei quali l’autore porta il protagonista a riflettere e chiosare sul precario stato delle forze dell’ordine, sui continui tagli che, inevitabilmente, vanno a ripercuotersi sull’esito stesso delle indagini. Quasi tenero l’epilogo, dove Catozzi porta Aldani a vincere le sue battaglie più dure, quelle condotte contro la spending review del governo che taglia fondi e mezzi e lo fa quasi a dispetto di chi ogni giorno combatte contro il Male e la Mala.

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Un giallo “lungo” Laguna nera di Michele Catozzi, che snocciola indizi e informazioni per oltre trecento pagine, ma che egualmente affascina il lettore per l’impostazione che l’autore ha dato alla storia, per l’attualità delle tematiche trattate e, non da ultimo, per la simpatia che suscitano i protagonisti, a partire dal commissario Aldani alle prese con crimini, delitti e deliri famigliari. Un libro promosso a pieni voti e una lettura di certo consigliata.

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© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Rolandina, la transgender condannata al rogo. Intervista a Marco Salvador

24 mercoledì Mag 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Fernandel, intervista, MarcoSalvador, Medioevo, omosessualità, ProcessoaRolandina, prostituzione, RolandinaRoncaglia, romanzo, saggio, transgender, Venezia

Rolandina, la transgender condannata al rogo. Intervista a Marco Salvador

Può una vicenda realmente accaduta nella Venezia del 1300 aiutarci a capire e superare alcuni preconcetti e pregiudizi riguardo omosessualità ed evoluzioni transgender? La storia di Rolandina Roncaglia, raccontata nel libro Processo a Rolandina. La storia vera di una transgender condannata al rogo nella Venezia del XIV secolo (edito da Fernandel), ha aiutato l’autore Marco Salvador a liberarsi di vecchie “incrostrazioni” perché conoscere le storie equivale a meglio comprendere le persone, qualunque sia il loro orientamento sessuale, e imparare a rispettarle come tali, per quello che semplicemente sono. Esseri umani.

Omosessualità, transgender, intersessualità sono termini che ancora oggi mettono paura, spaventano perché costantemente sovraccaricati di valenze negative che alla fine non hanno, al punto che quando vengono usati spesso sembra si stia parlando di “fenomeni” negativi e degenerativi e non semplicemente di persone, di sentimenti, di scelte d’amore e preferenze sessuali.

Ne abbiamo parlato con Marco Salvador nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.

La vicenda narrata nel libro si basa su un fatto realmente accaduto nella Venezia del secolo decimo quarto. Quanto è stato difficile reperire tutto il materiale necessario? E quanto invece è stato interessante spulciare tra i documenti di un’epoca passata da tempo?

I documenti riguardanti Rolandina Roncaglia sono riemersi casualmente mentre cercavo informazioni per un romanzo che sto scrivendo. Della vicenda di Rolandina mi sono innamorato subito, era una storia che bisognava raccontare a tutti i costi.

Reperire i documenti, soprattutto per il Medioevo e il primo Rinascimento, è comunque una faccenda sempre complicata, che necessita di esperienza e anche di un po’ di fortuna. Inoltre bisogna avere un’ottima conoscenza di un latino che non è quello classico, e della brachigrafia, cioè della scrittura abbreviata. Comunque la ricerca d’archivio è sempre una splendida avventura, nella quale si scopre che il passato, anche lontanissimo, non è altro che il presente in abiti e ambienti diversi. I sentimenti, le angosce, le ambizioni e i sogni sono sempre gli stessi.

Il tema principale di Processo a Rolandina comprende l’amore omosessuale, la prostituzione e l’evoluzione transgender di un giovane. Una vicenda che all’epoca venne affrontata con il carico di pregiudizi e ipocrisie tipiche di una società chiusa e bigotta. Stupisce ritrovare tutto ciò anche nella società odierna e assistere alle vere e proprie “inquisizioni” anche mediatiche cui vengono sottoposte queste persone. Perché secondo lei ci siamo trascinati per secoli tali zavorre fatte di pregiudizi e ipocrisie?

La particolarità del caso di Rolandina Roncaglia, lo si vede bene dal testo della sentenza pubblicato in appendice al libro, mette in crisi dei giudici pur usi alla durezza in ogni senso. In copertina si usa il termine “transgender” per favorire una maggior comprensione da parte del lettore medio, ma in realtà sarebbe più esatto definire Rolandina con il termine “intersessuale”. Gli stessi giudici sono costretti ad ammettere che, non fosse per gli organi genitali maschili, Rolandina sarebbe una donna a tutti gli effetti. Tutto ciò per dire che anche allora, come del resto oggi, la diversità, l’esistente non inquadrabile in uno schema fisso e semplificato, metteva paura.

Rolandina, la transgender condannata al rogo. Intervista a Marco Salvador

La storia di Rolandina ci mostra come l’odio e il rancore vengano dirottati verso i deboli e gli indifesi, mentre si cerca con ogni mezzo di difendere e preservare i potenti anche se principali rei della situazione. Spiace dover constatare che purtroppo anche questo principio oggi è ancora valido. Studiando il passato ha avuto modo di formulare qualche ipotesi sui comportamenti umani dell’epoca e di confrontarli con quelli di oggi?

Una delle principali pulsioni di ogni essere vivente è la riproduzione. In senso biologico, di conservazione della specie. Nell’essere umano a questa pulsione si sono associate infrastrutture culturali, religiose, sociali ed economiche che a seconda delle epoche l’hanno incrudelita o mitigata. Restando pur sempre, oggi come ieri, una pulsione che prevede la possibilità di una lotta per trasmettere il proprio DNA. Ovviamente le prime vittime di questa lotta per la supremazia sono i più deboli.

Restando ancora sull’attualità, con le linee ancora fresche e da rifinire della legge sui diritti delle coppie di fatto è ritornata in auge l’accusa di omofobia della politica con il lancio, poi subito revocato, del Fertility Day. Campagna che l’associazione LGBT Italia ha definito «leggerezza affatto trascurabile perché promuove e veicola l’omofobia». Perché secondo lei da un lato si accusano società, come quella musulmana, di applicare pene ingiuste verso gli omosessuali e dall’altro si pongono in essere certe politiche?

Gran bella domanda. Complicata e profonda, al punto che non so se riuscirò a dare una risposta abbastanza articolata. Semplifichiamo, e diciamo che un certo mondo musulmano è rimasto al tempo di Rolandina e, cosa peggiore, giustificandosi e nascondendosi dietro un libro sacro. Con poca disponibilità a un’analisi critica dello stesso. Ciò vale anche per alcuni ebrei fondamentalisti o cristiani, che fanno riferimento più all’antico testamento che ai Vangeli. Inevitabilmente si ritorna all’istinto di riproduzione a ogni costo, usando la religione come arma.

Per quanto riguarda la politica italiana con i suoi interminabili dibattiti sulle coppie gay e i family day, stenderei un velo pietoso che mi evita l’insulto. Le coppie di fatto, non importa di che sesso, devono avere tutte gli stessi diritti e doveri; è persino banale asserirlo. Per l’omofobia temo che il problema sia un po’ più complicato, perché il suo superamento sottintende il superamento di un’ignoranza che si nutre di incrostazioni culturali-religiose molto stratificate e resistenti.

Rolandina, la transgender condannata al rogo. Intervista a Marco Salvador

Ritornando invece al romanzo, colpisce e coinvolge molto la storia di Rolandina, ma anche il contesto in cui si svolge. Da un lato una Venezia provata dalla peste, con i suoi abitanti particolarmente incattiviti dalle avversità affrontate, e dall’altra i capricci e lo sfarzo. Che impressioni le ha lasciato lo studio della trecentesca Serenissima?

Per lungo tempo Venezia era stata tollerante con l’omosessualità. O quanto meno aveva girato lo sguardo da un’altra parte. Era lo Stato più laico d’Europa, non per nulla era sempre in conflitto con il papato.  Ma aveva pur sempre al comando un’aristocrazia chiusa e di tipo ereditario. Così torniamo al tema della riproduzione. La peste del 1348, così come quelle successive e ricorrenti, mette in pericolo l’ordine politico, la conservazione di privilegi e poteri nell’ambito delle famiglie che sedevano in Maggior Consiglio. Da qui la reazione violenta contro lo “spreco di sperma”. Che non colpisce la prostituzione femminile solo perché giustificata dalla convinzione che distogliesse i malintenzionati dalle femmine delle stesse famiglie.

Comunque Venezia non era una realtà peggiore di altre, perché il comportamento diviene regola comune. Firenze, per esempio, pur non bruciando gli omosessuali, li priva comunque dei beni e li rinchiude nel carcere dei pazzi.

Cosa l’ha più colpita del Processo a Rolandina e cosa vorrebbe impressionasse maggiormente i suoi lettori?

Anch’io, ahimè, avevo e ho qualche “incrostazione”. Il processo a Rolandina una l’ha sciolta. Rolandina, con il suo comportamento processuale, non si può che amare e ammirare. E come si ama Rolandina inevitabilmente si ama qualsiasi essere abiti un corpo sbagliato, e lo si rispetta e supporta nella sua ricerca di equilibrio. Spero che Rolandina aiuti molti lettori a liberarsi al pari di me almeno di un pregiudizio.

http://www.sulromanzo.it/blog/rolandina-la-transgender-condannata-al-rogo-intervista-a-marco-salvador

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città. Intervista a Roberto Ferrucci

11 mercoledì Nov 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Feltrinelli, intervista, Italia, italiani, racconto, RobertoFerrucci, Venezia, Veneziaelaguna

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

La laguna non è mare. È questo il grido, uno dei tanti, che Roberto Ferrucci rivolge al mondo intero, ma ai veneziani in particolare, affinché venga arginato e pian piano scongiurato il rischio di compiere uno scempio irreparabile alla città di Venezia e alla sua laguna.

«Nel 2015 Venezia, città d’arte mondiale, patrimonio dell’Unesco, non ha un assessore alla Cultura».

Ferrucci, nell’introduzione di Venezia è laguna, non manca di ricordare quanto la cultura «per certi politici, per certi uomini di potere, è un nemico assoluto, in grado di marcarli stretti, di ostacolarli, di smentirli e, alla fine, di smascherarli» e che Venezia non è solo «città della cultura, Venezia è cultura». Il rischio, che egli sottolinea, è che «forse oggi Venezia è in mano a qualcuno che la vuole trasformare in un grande contenitore commerciale, di consumo».

Ciò che Ferrucci teme, quasi quanto il passaggio delle grandi navi lungo i canali della laguna veneziana, è l’apatia dei suoi abitanti. Nutre forte il timore che i veneziani si abbandonino agli accadimenti, smettano di combattere o peggio si lascino abbindolare dalla politica dei posti di lavoro.

«Solo se si ritornerà a pensarla e a rispettarla come città di laguna, accettando la sua preziosa e unica fragilità, Venezia potrà continuare a essere la città più bella e amata al mondo».

È da pochi giorni disponibile in ebook Venezia è laguna (Zoom Feltrinelli, 2015). Un racconto breve che riesce a rendere comunque un’idea precisa di cosa significhi per la città, per il paesaggio, per l’arte e per i residenti il transito delle grandi navi lungo i canali.

Abbiamo rivolto all’autore, Roberto Ferrucci, alcune domande su Venezia è laguna ma anche sui recenti accadimenti che hanno visto incontrarsi e scontrarsi «potere e indignazione, politica e rassegnazione».

Il passaggio delle grandi navi per i canali di Venezia diventa un racconto che lascia al lettore una profonda amarezza. Tra le righe del testo invece si percepisce una grande rabbia propositiva. Cosa pensa accadrà alla Serenissima se non si ferma tutto ciò?

Mi sono accorto che nessuno si era mai avventurato a raccontarla da dentro, la violazione delle grandi navi dentro la laguna di Venezia. Lo avevo già fatto nel romanzo Sentimenti sovversivi (Isbn, 2011) e in Venezia è laguna ho approfondito il percorso narrativo di allora, cercando di raccontare attraverso dei personaggi veneziani che cosa provoca quella violenza non solo alle fragili acque e alle delicate pietre di Venezia, ma anche nell’intimo più profondo di quei cittadini che – come il resto del mondo intero – credono che la scelta di perseverare con questa violenza sia una scelta criminale. I “truffatori del buon senso” e i “sabotatori del paesaggio”, come definisco nel libro le lobby che lucrano su queste crociere, provocano sconquassi non soltanto ambientali, ma anche intimi, sentimentali. Solo la poesia, la narrativa, possono provare a raccontare queste emozioni tanto profonde, invisibili ma dolorose.

Non so se dal libro traspaia una rabbia propositiva. Se è così ne sono soddisfatto, perché in realtà la mia visione è del tutto pessimista. La città è in mano ad affaristi senza scrupoli, alcuni dei quali già protagonisti dello scandalo del Mose (che tratterò in un nuovo libro). Ma ai veneziani non è bastata quella pagina orrenda e vergognosa, e pochi mesi fa hanno votato per un imprenditore. Sia chiaro, lui non c’entra nulla con quello scandalo. Ma ho sempre pensato e scritto, fin dal 1994, che gli imprenditori in politica siano una sciagura. Una sciagura tutta italiana, perché altrove, giustamente, è impedito loro di far politica per via degli inevitabili conflitti di interesse che la storia recente ci ha già detto dove possono portare.

Il nuovo sindaco non ha alcuna intenzione di opporsi o quanto meno di arginare l’ingresso di questi mostri in laguna, al contrario, il suo obiettivo è di aumentarne le entrate, in piena contraddizione con l’altra sua “visione”, cioè quella di limitare, giustamente e ovviamente, il turismo di massa. Idee poche e confuse, direbbe qualcuno. E se nel racconto di Venezia è laguna lascio aperte delle speranze di ravvedimento, se in quelle pagine si respira qua e là un sano ottimismo, io, cittadino e non scrittore, sono del tutto pessimista. Lo dico senza giri di parole: la fine di Venezia è già incominciata, ed è sotto gli occhi di tutti.

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

In Venezia è laguna lei compie una sorta di parallelismo/gemellaggio tra la città lagunare e Saint-Nazaire con il suo estuario e il suo cantiere navale. Vuol rappresentare una sorta di destini incrociati o più un sentiero circolare che viene chiuso?

Volevo semplicemente sottolineare un’assurdità assoluta. Le grandi navi, i paquebot, come le chiamano i francesi, di una compagnia italiana sono costruite a Saint-Nazaire, dove, di fronte al porto, c’è una residenza per scrittori dove anni fa sono stato invitato. È stata un’esperienza davvero istruttiva ed emozionante visitare quei cantieri, parlare con alcuni ingegneri e operai che ci lavorano. E, soprattutto, con i nazairien, che vivono collettivamente la costruzione dei paquebot, ne seguono le tappe passo passo e ne celebrano il risultato finale. Un rituale meraviglioso, condiviso da tutti, in particolare il giorno del varo finale, durante il quale tutta la città saluta il prodotto di anni di lavoro, e lo guarda dalle rive avviarsi in direzione dell’oceano. L’oceano, il mare, non la laguna.

La saggezza e l’amore dei nazairien si trasforma nella scelleratezza e nel cinismo di alcuni veneziani privi di scrupoli, che ci abbindolano con la demagogia dei posti di lavoro. Che non subirebbero alcun ritocco quando e se un giorno si decidesse di fare entrare in laguna solo navi da crociera dalle dimensioni ridotte. I francesi – ma non soltanto loro – non si sognerebbero mai di far entrare quei mostri dentro una delle loro lagune.

Raccontando dei piccoli gesti quotidiani del protagonista e di Teresa sembra voler rendere partecipe il lettore del profondo cambiamento che comporta per Venezia anche se appare impercettibile, al pari dell’acqua smossa dalle balene bianche di acciaio. I veneziani sono consapevoli di ciò che sta accadendo?

Attraverso i personaggi del mio racconto ho voluto far passare l’indignazione, il dolore, la rabbia, l’incredulità e – ahimè – la rassegnazione dei veneziani di fronte a questo scempio. La maggior parte dei veneziani non ha idea di quel che sta accadendo o, peggio, lo sa ma se ne infischia, perché troppi dei veneziani rimasti sono connessi in un modo o nell’altro nel grande business delle crociere e del turismo in generale. E porta schei, e con questo mettono quel che resta del loro animo in pace.

Nell’introduzione cerca di focalizzare l’attenzione del lettore sulle decisioni politiche prese dal sindaco e sulle scelte che lei indica motivate «dagli schei, dai soldi». C’è realmente il rischio di vedere Venezia «trasformarsi come l’interno di una nave da crociera»?

Venezia è già e da tempo una slot machine diffusa. I veneziani proprietari di appartamenti preferiscono affittare per brevi periodi ai turisti, e a prezzi folli, anziché a qualche famiglia. Anche per questo lo spopolamento è incessante, e i politici non fanno che assecondare questa attitudine suicida e moralmente sudicia. Bar e ristoranti spesso si guardano bene dal rilasciare scontrini e ricevute, oltre a proporre due listini prezzi: uno per i turisti e uno per i veneziani. Una discriminazione in atto da molto tempo. Da troppo tempo è presente un commercio incontrollato e quasi selvaggio, che viene edulcorato ultimamente attraverso la repressione degli ambulanti nordafricani e indiani, facendo credere all’opinione pubblica che quello e solo quello sia il male.

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

Per chi non è veneziano, resta l’immagine stridente di un mostro enorme di ferro che si staglia contro la delicatezza della città. Ma, per un veneziano come lei, cosa rappresenta tutto questo?

Rappresenta l’idiozia umana. Presente in ciascuno di noi. La mia mi sforzo di incanalarla in direzioni più innocue, che danneggino il meno possibile gli altri, come le mie risposte a questa intervista, magari. Loro la utilizzano contro un tesoro inestimabile dell’umanità e della storia passata presente e futura. Senza scrupoli. Per far schei.

Nel suo intervento agli Stati generali del turismo sostenibile, il ministro Franceschini ha detto: «Il turismo delle grandi navi è benvenuto ma va governato». Mentre per il governatore Zaia questa è una decisione «parente della politica e non del buon senso e dell’economia. Migliaia di posti di lavoro e il 20% del Pil della città di Venezia ringraziano il Partito democratico per questa scelta che uccide un pezzo di economia sana». Ma se c’è il rischio che il passaggio delle grandi navi a Venezia arrechi anche un danno economico alla città lagunare perché, secondo lei, si insiste in questa direzione?

Perché è un arricchimento di pochi, pochissimi, e però potenti, potentissimi. Inoltre vorrei fosse chiara una cosa provata scientificamente: non c’è il rischio che il passaggio provochi danni alla città e alla laguna e ai suoi cittadini. No, c’è la certezza assoluta.

Franceschini, nel già citato intervento, ipotizzava un possibile dirottamento delle grandi navi al porto di Trieste. Potrebbe essere una valida alternativa a parer suo?

È la sola alternativa saggia, intelligente e da praticare al più presto prima che sia troppo tardi. Prima che magari si inizi a scavare un nuovo canale, che comprometterebbe definitivamente il fragilissimo equilibrio delle acque lagunari. Il governo si dia una mossa e prenda una decisione radicale e coraggiosa.

Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

Due anni fa Gabriele Muccino con una lettera indirizzata a Matteo Renzi lanciava una petizione online per fermare il transito delle grandi navi a Venezia. Iniziativa sostenuta da oltre 110.000 firme e chiusa al grido di “Vittoria!”. Il 1 novembre 2014 fu approvato dal governo un piano che stabiliva tra l’altro «precluso il transito delle navi crocieristiche superiori a 96.000 tonnellate di stazza lorda e una riduzione del 20% del numero di navi da crociera di stazza superiore alle 40.000 tonnellate abilitate a transitare per il canale della Giudecca». Cosa è successo in quest’anno?

Ovviamente non è successo nulla. Quelle firme sono state del tutto ignorate. Ma Gabriele Muccino è anche quello che in questi giorni ha avuto la bella pensata di dire che i film di Pier Paolo Pasolini hanno impoverito la sua epoca, che ha girato dei film inutili. E lo dice lui, Muccino, che ha diretto pellicole “memorabili” di bacetti e altri sentimentalismi al rosolio. Lo lascerei perdere, sinceramente. Non saranno certo i Muccino o i Celentano a salvare Venezia. Solo noi veneziani abbiamo la possibilità di farlo, ma tutti i segnali vanno in senso contrario, com’è sotto gli occhi di tutti. Allora, toccherà alle istituzioni internazionali, l’Unione Europea, l’Unesco, che è già molto attenta e dura nei confronti della gestione della città più bella e amata del mondo. E la meno rispettata da noi stessi.

In Venezia è laguna esordisce parlando delle azioni intraprese dal «nuovo sindaco che, appena insediato, ha censurato la mostra fotografica Mostri a Venezia di Gianni Berengo Gardin» motivando la decisione come un tentativo di evitare «una brutta immagine della città». La mostra fotografica di Berengo Gardin a suo parere danneggiava l’immagine di Venezia?

Certo che la danneggia. Ma non nel senso banale e assurdo cui faceva riferimento il sindaco. La danneggia perché mostra lo scempio in atto a Venezia, condiviso anche dal nuovo sindaco. Quella di Berengo Gardin è una visione impietosa e vera, che quotidianamente è sotto gli occhi di tutti quelli che la vogliano vedere anziché fingere per difendere gli interessi di cui ho già parlato. È lo sguardo di un grande maestro che soffre nell’assistere impotente a uno degli atti più distruttivi in atto a Venezia.

Cosa che del resto il sindaco ha implicitamente ammesso quando ha proposto che le navi paghino per entrare in laguna. Vuol dire che anche lui prende atto dei danni che provoca il loro ingresso. Solo che al contempo dice al mondo che Venezia è in vendita. Fatene quel che vi pare, dice, basta che paghiate. Come si fa in certe pratiche che vi lascio immaginare. Questa è Venezia, oggi. E viene da piangere, perché Venezia è laguna, fragile e meravigliosa.

http://www.sulromanzo.it/blog/venezia-e-le-grandi-navi-l-inesorabile-distruzione-di-una-citta

 

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