Gli esploratori sono passati alla storia per la maggiore con l‘immagine stereotipata dell’avventuriero conquistatore e portatore di civiltà e progresso. L’iconografia popolare racconta le gesta di uomini alla conquista di immensità sconosciute, con in testa il casco coloniale e nelle mani una mappa, un sestante e un fucile. Marco Valle definisce gli esploratori come un’espressione contraddittoria di un’epoca e di una cultura. Raccogliendo le sue considerazioni per l’intervista, ha sottolineato quanto essi, per i critici del colonialismo, «avessero una precisa funzione sociale e politica: informare i contemporanei sullo stato del mondo, portar loro informazioni su luoghi arcani e inaccessibili, cercare risorse ricchezze mercati, rappresentare e ribadire la primazia dell’Occidente». Ma, come ricorda egli stesso nel libro, dai loro diari traspaiono i caratteri di uomini inquieti, a disagio se non in totale rottura con le società da cui provengono. Nelle terre incognite gli esploratori cercavano non solo fama e ricchezze, anche la possibilità di dare un senso alla propria esistenza. «Appena abbandonato l’ultimo avamposto, il protagonista – ormai fabbro del proprio destino – poteva riscrivere regole ritmi comandamenti, conquistare regni e popoli. Una sensazione di assoluta libertà che valeva ogni rischio: il viaggiatore straordinario poteva ammalarsi o cadere prigioniero, languire e spegnersi in modo atroce in qualche angolo sperduto, ogni spedizione poteva trasformarsi – per una micidiale roulette russa – in un disastro, eppure ogni imprevisto, anche il più tragico, era preferibile alle atmosfere asfittiche e mediocri della madrepatria».
Nell’immaginario europeo, il continente africano in particolare è stato per lungo tempo avvolto da un alone di mistero e di paura in quanto luogo inaccessibile, indicibile, spazio tenebroso e oscuro, abitato da popolazioni selvagge e primitive. Ciò che viene visto e descritto dal viaggiatore-narratore non diventa soltanto fonte di un sapere geografico, ma, attraverso la capacità del linguaggio di fissare nei luoghi e nei paesaggi dei significati “pensati”, si configura come coscienza territoriale che diffonde nell’immaginario collettivo una serie di messaggi. Storici e critici letterari hanno ampiamente dimostrato come l’esplorazione e la colonizzazione dell’Africa abbiano fatto circolare nella cultura europea una serie di immagini e temi che, richiamandosi a una evidente matrice romantica, si manifestano attraverso una serie di moduli narrativi e letterari ormai collaudati, quali l’esaltazione dei paesaggi lontani e pittoreschi, il fascino della caccia, delle donne, il godimento di sensazioni straordinarie provocate dal contatto con una natura selvaggia, brutale. Lo spazio geografico diventa così il luogo nel quale si esprime e si manifesta la capacità dell’europeo di dominare il terreno, sia soggiogando le forze della natura che mettendone in risalto i valori positivi, poiché in questa prospettiva il paesaggio non è più incomprensibile, Altro da sé, ma leggibile in quanto trasformato (E. Ricci, Paesaggi africani: dalla seduzione esotica al discorso colonialista, EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2017).
Cronache di viaggi, reportages, romanzi di ambientazione africana, si svolgono così generalmente secondo modalità che ricorrono esplicitamente ai moduli del pittoresco e dell’esotismo per evocare mondi lontani, ignoti, connotati dai segni di un Altrove mitico (E. Ricci, op.cit.). È chiaro che il discorso si sviluppa secondo una retorica nella quale la realtà deve essere considerata fondamentalmente come diversa ma le problematiche che ne scaturiscono sono sempre in funzione del sapere e delle considerazioni dell’osservatore (B. Mouralis, Les contre-littératures, Presses Universitaires de France, Parigi, 1975). L’avventura si manifesta, per definizione, agli antipodi del quotidiano, del conosciuto, del banale. Valle descrive i viaggiatori italiani come «personaggi estremi, molto inquieti (e talvolta anche un po’ matti) che percorsero dal Settecento in avanti le zone più sconosciute e inesplorate dei cinque continenti per spingersi, in anni meno lontani, fino ai due Poli del globo».
In relazione all’evoluzione del contesto socio-culturale europeo e al diffondersi delle dottrine letterarie coloniali tendenti a valorizzare un nuovo tipo di letteratura avente per oggetto e non solo per sfondo i territori d’oltremare, l’esotismo tende a trasformarsi, assimilando concetti e procedimenti narrativi improntati a una visione nazionalistica, imperialista che legittima il progetto politico, economico e militare degli stati europei (R. Ricci, op. cit.). L’autore ci tiene però a sottolineare che gli italiani hanno sempre mostrato un atteggiamento differente: «troviamo puntuale in ognuno il disgusto profondo verso la piaga dello schiavismo e la diffidenza se non il pieno rifiuto verso ogni forma di colonialismo predatorio».
Gli italiani in effetti si sono avventurati per terre inesplorate senza neanche sapere bene il perché. In Africa, per esempio, bisognava restarci non per diffondere civiltà, dato che gli abissini non erano selvaggi e idolatri ma per far posto alla colonizzazione contadina immigrata – o che sognava di immigrare – dall’Italia, come molti credevano utile e possibile (P. G. Solinas, Coscienza coloniale e affari indigeni. L’Africa italiana da Ferdinando Martini a Giacomo De Martino, La Ricerca Folklorica, n° 18, ottobre 1988). Una visione. Esattamente come la galleria di esistenze tratteggiata da Valle: «una piccola, grande epopea scritta e vissuta da scienziati visionari, da coraggiosi missionari, da pionieri scalcagnati, da soldati allergici alle caserme, da tormentati aristocratici, da squattrinati esuli».
Il libro
Marco Valle, Viaggiatori straordinari. Storie, avventure e follie degli esploratori italiani, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2024.
Articolo pubblicato sul numero cartaceo di aprile della rivista Leggere:Tutti
Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Neri Pozza Editore e l’autore per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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