Per meglio comprendere cosa si intende oggi per letteratura d’evasione rispetto a quella che un tempo veniva definita “letteratura d’impegno” non si può prescindere dal fare un salto cronologico all’indietro e ricordare l’epoca che ha visto e al contempo originato il Risorgimento italiano. Manzoni, all’inizio dell’Ottocento, parlava di «generazioni armate contro il secolo precedente, diffidenti di fronte ai suoi miti». Era il tempo delle “rivolte” contro la ragione e del ritorno al sentimento, alla passione e alla fede. Con il termine Romanticismo si indicò il complesso di stati d’animo e i modi di cultura e di arte nei quali si espressero queste “reazioni”. Atteggiamenti sentimentali e morali molto diversi tra loro, ma tutte “risposte” ai problemi che quella situazione storica poneva.
Stretto fu il rapporto tra Romanticismo e Risorgimento anche sul piano sociale; la letteratura che si produsse fu espressione diretta di quella borghesia emergente che aspirava, in Italia, a una struttura statale unitaria e a una sua egemonia culturale, oltre che politica e sociale. La libertà politica fu indicata come condizione ineliminabile per uno sviluppo dell’uomo nella sua interezza. E da questo modo di vivere il sentimento nazionale nacquero pagine come Marzo 1821 del Manzoni o I profughi di Parga del Berchet, che contribuirono a definire un tipo umano ideale che, avendo come modello Jacopo Ortis, si concretizzò in uomini quali Mazzini, Mameli,Poerio, si espresse in tanti personaggi letterari, diede luogo a tanta pittura e si effuse in canto nelle musiche di Donizetti, Bellini eVerdi.
Non vanno certo dimenticati gli aspetti ideologici di quella letteratura, il “travestimento nobilitante” che essa si costruiva delle sue ragioni di classe. Va sottolineato che tanti uomini vissero ingenuamente la loro ideologia, allora come sempre, e se nel suo complesso quella cultura fu una cultura di classe, i singoli scrittori non ne ebbero sempre coscienza. L’unità e l’indipendenza italiane erano un’esigenza borghese, ma i giovani che crescevano educati all’amor di patria e leggevano Dante, Foscolo, Leopardi, quegli stessi giovani che scrivevano inni e romanzi patriottici, che cospiravano, combattevano e a volte morivano come Poerio e Mameli, beh per questi l’Italia era un sentimento, una passione e la vivevano con fervore sincero.
Intanto andava scomparendo la figura tradizionale del letterato, dello scrittore che lavora nelle corti o al servizio di un nobile, che fa il precettore e che, in cambio dei suoi scritti, riceve benefici e pensioni. Per contro aumentarono gli scrittori che per vivere esercitavano un’attività professionale, spesso non letteraria. Ma assai più importante è sottolineare come risultante di tutti questi fattori fu il fatto che la letteratura assunse i caratteri di una produzione non dissimile da quella dei beni materiali, delle merci, sicché al modificarsi del rapporto oggettivo tra scrittore e società corrispose un cambiamento altrettanto netto della consapevolezza che lo scrittore acquisì di sé stesso.
Fu Adam Smith, teorizzatore dell’economia politica borghese, a rendersi conto per primo che «presto le produzioni artistiche sarebbero state acquistate come si acquistano le scarpe o le calze, presso coloro la cui attività consiste appunto nel preparare per il mercato questa particolare specie di merce». Gli scrittori si trovarono quindi di fronte a una scelta:
- Produrre letteratura secondo la concezione aristocratica settecentesca, che la voleva come attività liberale, disinteressata, avente come fine il diletto e il perfezionamento interiore dell’uomo, rivolta ai pochi in grado di intenderla.
- Abbracciare la nuova concezione borghese per cui fare letteratura era un’attività pratica e manuale atta «a produrre beni utili al popolo, e quindi adattata ai bisogni, alla cultura e ai gusti di questo».
Scegliere il pubblico “borghese” comportava modifiche radicali nella struttura delle opere. L’arte veniva collegata a interessi patriottici e fini sociali. Manzoni nella Lettera sul Romanticismo ribadì che la poesia doveva avere «il vero come oggetto, l’interessante come mezzo, l’utile come fine». Molta attenzione fu rivolta alla poesia popolare o meglio al canto popolare di varia natura, sia in Italia che fuori. Basti pensare all’opera di raccolta e trascrizione di fiabe fatta in Germania dai fratelli Grimm. A promuovere questo interesse c’era senz’altro la volontà di ricercare i caratteri distintivi che facevano della comunità una nazione, ma anche l’opposizione alla letteratura tradizionale con la valorizzazione di ciò che fosse nato al di fuori di questa.
Di fronte a questi scrittori c’era un pubblico di lettori non letterati, misto e composito, e gli autori erano edotti sulle conseguenze. Tenca lo definì vortice nuovo, immenso: «Dobbiamo entrare in questo vortice… esplorare le tendenze, mettere in evidenza quanto ferve in lui dal moto, di indeterminato, dargli l’intelligenza di sé, del suo fine». Educare dunque il pubblico, ma intanto conoscerlo e assecondarlo, scrivere in modo da provocarlo e conquistarlo. Questi lettori iniziano con sempre maggiore insistenza a chiedere libri che catturino la loro attenzione non per le finezze di stile ma per la forza fascinatrice del tema, per l’interesse dell’intreccio, per l’evidenza del personaggio.
Dopo la parentesi positivistica, che ha volutamente messo da parte la figura del “poeta” per concentrarsi su quella dello “scienziato”, agli inizi del secolo scorso il processo di cambiamento della letteratura e dei suoi attori irrompe nuovamente, stravolgendo l’intero quadro di riferimento, ovvero:
- La condizione professionale dello scrittore e il posto che egli occupa nel contesto sociale;
- La sua cultura e i suoi rapporti con altre attività intellettuali e artistiche;
- Il pubblico al quale egli rivolge il suo discorso;
- I canali attraverso i quali raggiunge i lettori;
- Il concetto stesso che lui e i lettori hanno dell’attività letteraria.
È questo un processo di cambiamento attraversato da due grandi eventi: la prima e la seconda guerra mondiale. Basta l’aggettivo “mondiale” a rendere l’idea di ciò che ha rappresentato, per la prima volta nella Storia, una guerra che ha impegnato stati dell’intero pianeta, con ripercussioni politiche, sociali e culturali in ogni paese. La prima e fondamentale conseguenza è stata il progressivo unificarsi del mondo.
La società aristocratica del Rinascimento era estremamente chiusa e ancora nell’età del Romanticismo e del Risorgimento la società borghese, di uno spessore culturale più elevato, presenta rilevanti difficoltà a comunicare con la “plebe” così come la nascente classe operaia e i contadini non comprendono la lingua nella quale i “signori” si esprimono. A partire dal Novecento, la società che partecipa al progresso, materiale e intellettuale, è sempre più estesa. Alla base di questi cambiamenti si annoverano diversi fattori, primo fra tutti la cosiddetta Rivoluzione industriale, intesa come «la crescita, in progressione geometrica, dell’attività industriale e della tecnologia». Dalla prima “rivoluzione”, fondata sulla scoperta e l’impiego a scopo industriale del vapore, a quella basata sull’elettricità, fino ad arrivare a quella dell’elettronica. Lo spostarsi crescente della produzione dall’agricoltura all’industria e l’industrializzarsi della stessa agricoltura; il costituirsi di un proletariato e di un sottoproletariato sempre più estesi; la presa di coscienza da parte di queste masse e il loro organizzarsi in sindacati e partiti; le rivoluzioni che hanno modificato le strutture di Paesi quali l’ex Unione Sovietica e la Cina; le reazioni a questi fatti da parte del mondo capitalistico. Tutto il sistema di certezze della cultura positivistica si sfaldò e venne sostituito da sistemi e correnti di pensiero che arrivano fino a oggi.
Quella attuale viene identificata come “società di massa”, una definizione usata sia nell’accezione positiva che negativa ma il fatto certo, oggettivo, è che masse sempre crescenti di persone usufruiscono dei medesimi strumenti di istruzione e comunicazione. Il costituirsi di una cultura di massa ha provocato e continua a provocare modificazioni profonde anche nella letteratura. Tra l’altro si è assistito a un moltiplicarsi copioso dei generi. L’editoria è diventata un’industria, spesso in mano a multinazionali, e quindi si deve proporre il compito di orientare le scelte del pubblico, provocando da un lato la domanda di determinati libri e dall’altro la produzione degli stessi. Nel 1895 Ugo Ojetti, un giovane giornalista d’impegno, scriveva: «Verso il ’60 la Letteratura cominciò a essere pagata, e dapprima ciò parve quasi un’onta. Ora sottostà alle leggi delle altre industrie, sfruttata. Il pubblico c’è: bisogna attirarne l’attenzione, anche per moltiplicarlo, perché abbiamo ancora diciotto milioni di analfabeti da exploiter (sfruttare)».Murray Bookchin nel suo libro Democrazia diretta (Elèuthera, 1993) compie un’approfondita analisi storica e critica della società gerarchica e capitalistica nel suo insieme, sottolineando, tra l’altro, il fatto che «pirati e briganti consideravano intoccabili le proprie comunità mentre mercanti e industriali le considerano territorio di conquista».
Va sottolineato comunque che la cultura, al pari della società di massa è frutto di un complesso processo storico originato dal capitale, ma anche dal lavoro; dalla borghesia come dal proletariato; dal capitalismo e dal socialismo. «La scelta allora non è tra arte alta e arte di massa; ma tra arte di massa e commercio o industria dell’arte di massa; tra arte della società di massa e arte per la società di massa». In quest’ottica bisogna considerare nella letteratura di massa la produzione di opere letterarie che traducono le strutture mentali di quella particolare forma di organizzazione sociale definita “di massa”. Al suo interno poi si ritrovano anche esempi di letteratura di consumo, ossia «banalizzazione, a fini diversi, di generi, moduli, linguaggi».
Con l’aumento dei lettori e il miglioramento del tenore di vita, la letteratura diventa «un bisogno sociale» che genera una domanda crescente di libri e scritti di vario genere (copioni teatrali e cinematografici, articoli di giornale, eccetera.), lettori che chiedono a gran voce l’evasione dalla quotidianità, di essere trasportati in mondi irreali, di lusso e passione, dove trovano facilmente tutto ciò che nella vita reale non hanno. L’evoluzione degli strumenti di comunicazione di massa (mass media), che fondono in sé informazione, distrazione e cultura, altera il modo di conoscere e di pensare il mondo, originando una civiltà dell’immagine più che della parola. Tra Ottocento e Novecento si ha la quasi totale scomparsa dello scrittore autore solo di libri. Questi spesso è anche un giornalista, autore teatrale o cinematografico, professionista nel settore editoriale… il che significa che si abitua ad adoperare più tecniche mescolandole nella pratica.
Cesare de Michelis, presidente di Marsilio e docente universitario, ha intitolato la sua ultima lezione di letteratura italiana all’ateneo padovano Ascesa e caduta della grande letteratura italiana. Un titolo che la dice lunga su quanto è accaduto a partire dalla metà del secolo scorso. «La Letteratura non è uno strumento scientifico per interpretare la realtà, ma un luogo in cui la parola si incontra con la memoria e la riflessione, da cui nasce il giudizio. Gli autori ormai scrivono un romanzo ogni due anni. Manzoni scrisse un romanzo solo perché sapeva che lì dentro c’era tutto.»
De Michelis invita tutti a un’attenta riflessione sullo stile certo ma anche e soprattutto sui contenuti della letteratura di oggi. «Libri che non sono fatti per durare» e neanche per “educare”, troppo spesso il loro scopo è mero intrattenimento, come il cinema dai cui produttori vengono acquistati come fossero copioni pronti per essere sceneggiati e il “successo di pubblico” ne decreta l’importanza letteraria. Niente di più sbagliato.
Esistono tanti bravi autori e vengono scritti dei buoni libri, nessuno lo nega, ma bisogna interrogarsi su cosa rappresenta la letteratura oggi per i lettori, per gli scrittori e per tutti gli altri operatori del settore editoriale. Barthes sosteneva che la «letteratura non permette di camminare, ma permette di respirare». Oggi ci troviamo di fronte a un’offerta che è superiore alla possibilità della domanda, è impossibile poter leggere tutti i libri prodotti. Ma il punto focale è il motivo per cui vi è una tale sovrabbondante produzione. Se fosse per diffondere idee, principi, valori, anche storie non sarebbe tanto sbagliato ma se ciò è motivato solo dal profitto, potenziale o reale, da leggi di mercato e guadagni cercati allora lo schema andrebbe certamente cambiato.
Antonio Gramsci in Quaderni dal carcere sottolineava come in Italia «gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla “nazione”, e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento politico popolare e nazionale dal basso. L’intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese e siciliano».Leggendo le novelle di Pirandello o di Verga in realtà l’impressione che si ha è tutt’altra. Piuttosto bisognerebbe interrogarsi su quanto interessi al grande pubblico la storia di un contadino pugliese o siciliano rispetto agli intrighi di corte di un nobile principe o di un valoroso condottiero.
Non dirmi che hai paura (Feltrinelli, 2014) di Giuseppe Catozzella è stato selezionato tra i finalisti del Premio Strega. L’autore in un’intervista si è dichiarato felicissimo per il fatto che i giovani di 40 scuole in tutta Italia avessero scelto a grande maggioranza «un libro di letteratura civile». Per Noo Saro-Wiwa, figlia di Ken, «scrivere è una forma di attivismo, un modo per incoraggiare la gente a riflettere su alcune questioni e per suscitare il dibattito». E questo è fuor di dubbio un nobile fine per la letteratura del Terzo millennio che certo non può essere pura esercitazione di stile e impegno ma neanche votata a diventare tutta produzione letteraria di evasione e consumo.
Bibliografia di riferimento
G. Petronio, V. Masiello, Produzione e Fruizione. Antologia della Letteratura italiana, Vol. 3 Parte Prima e Seconda, Palumbo, 1989.
G. Floccia, Storia della Letteratura italiana, Loffredo, 1987.
F. Benigno, C. Donzelli, C. Fumian, S. Lupo, I. Mineo (a cura di), Storia Contemporanea, Donzelli, 1998.
A. Granese, Sociologia della Letteratura. La produzione culturale nella società di massa, EdiSud, 1990.
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