Antonella Orefice, storica e scrittrice partenopea, è il direttore del «Nuovo monitore napoletano», collaboratrice del gruppo investigativo per il recupero dei beni culturali InvestigArte, nonché grande cultrice di Storia moderna. Le abbiamo rivolto cinque domande per meglio comprendere il suo mondo e quello dei personaggi della nostra Storia oggetto dei suoi studi.
«Nuovo Monitore Napoletano» è fuor di dubbio un omaggio alla carismatica figura di Eleonora de Fonseca Pimentel di cui tanto ti sei occupata nei tuoi studi e ricerche storiche. A oggi ti è capitato di rivederla, nello spirito e nella determinazione, in qualche personaggio contemporaneo, italiano e no?
Eleonora è stata una donna che ha precorso i tempi, che seppe attuare la “rivoluzione” prima in se stessa e poi in ambito sociale(basti pensare alla separazione legale dal marito, il tendenzialmente violento Pasquale Tria, che a quei tempi suonava come uno scandalo!). Era troppo intelligente per non comprendere i rischi della sua partecipazione alla Repubblica del 1799 e non penso che abbia mai avuto esitazioni a mettere in gioco la propria vita per la causa rivoluzionaria. Ciò che l’ha resa unica, ma in effetti è la peculiarità di tutti i protagonisti del ‘99, è stata la lungimiranza. La forza di spirito, la determinazione, il desiderio di indipendenza e l’amore per la libertà sono quegli elementi che oggi una donna forte dovrebbe possedere per definire il suo ruolo nella società e operare in maniera costruttiva. Molte ci provano, sicuramente combattono, ma non hanno tempi da precorrere. Eleonora guardava a 200 anni di distanza. Oggi si vive qui e ora. E spesso è una lotta per la sopravvivenza. Credo che Eleonora sia stata unica nel suo genere. Ma in fondo ogni essere umano ha una personalità unica e irripetibile.
I temi principali oggetto di dibattito ai tempi della rivoluzione francese erano: rinnovamento istituzionale, riforma amministrativa ed elettorale, riforma economica e questione religiosa. Non si parla delle stesse cose ascoltando i dibattiti politici? È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda, o dobbiamo considerare veritiera la teoria di Vico dei corsi e ricorsi storici? In questo caso, però, le riforme via via attuate sono meri palliativi, lontane dall’essere curative e allora si insinua il sospetto che dietro ci sia dell’altro. Qual è la tua opinione in proposito?
Credo molto ai corsi e ricorsi storici di Vico. Seppur in atmosfere diverse le problematiche sociali tornano sempre perché tutto tende a superare se stesso una volta che si compie, ma poi c’è sempre un ritorno al precedente perché magari la “riforma” ha dimostrato di non essere valida, o peggio, ha fatto scaturire problematiche ancora più gravi. E allora il cane si morde la coda. C’è sempre qualcosa sotto i giochetti politici, ma questa è una verità antica come il mondo. Tutti i leader si propongono come Ottaviano Augusto, fautori di grandi riforme. Poi il tempo dimostra chi sono e cosa realmente sono riusciti a fare.
Tu collabori con il gruppo investigativo per il recupero dei beni culturali InvestigArte. Qual è esattamente lo scopo di questa istituzione?
Uno scopo molto semplice: recuperare opere d’arte rubate, che spesso vengono anche contraffatte, per evitare il riconoscimento. Ho prestato e volentieri presto, qualora necessiti, la mia consulenza quando si tratta di risalire all’identità di personaggi raffigurati, ma anche autori di manoscritti o altro.

Il «Nuovo Monitore Napoletano» verte quasi interamente su analisi e testimonianze del periodo storico definito rivoluzione giacobina, culminato con la proclamazione della repubblica partenopea nel 1799. In concreto, secondo te, cosa ha rappresentato tutto ciò per il popolo napoletano dell’epoca e, se hai riscontrato degli strascichi, in quello odierno?
Credo sia risaputo che la rivoluzione del 1799 non nacque in seno al popolo, bensì agli intellettuali affascinati da quelle idee di libertà ed eguaglianza che arrivavano d’oltralpe. La definizione “rivoluzione giacobina” la lascio ai controrivoluzionari borbonici e sanfedisti, con tutto il suo corredodi disprezzo. Amo parlare di rivoluzione repubblicana. Non ci furono tagliatori di teste durante la repubblica. Sicuramente qualcuno venne fucilato (per l’esattezza 28 in sei mesi, almeno da quanto riportano i registri dei Bianchi della Giustizia); e tanti finirono massacrati da una parte e dall’altra, soprattutto durante l’avanzata dei francesi. Ma tutte le rivoluzioni hanno contato vittime, molte delle quali innocenti. I numeri non fanno la differenza, anche perché spesso in questo caso ci si dimentica che Ferdinando IV di Borbone, almeno un mese prima che arrivassero i francesi, lasciò Napoli in balia dell’anarchia, tra stragi, miseria e saccheggi. Per sette secoli il popolo napoletano era passato da un dominio all’altro: dai normanni agli svevi, dagli angioini agli aragonesi. Poi sono arrivati i francesi, gli spagnoli, gli austriaci, fino alla volta dei Borbone. Monarchie, padroni, sudditanze e servilismo. La repubblica era troppo innovativa per essere compresa da un popolo abituato a essere dominato. La libertà implica delle grosse responsabilità. E da allora gli strascichi ancora si fanno sentire nell’incapacità di tanti nel comprendere la macchina politica, la lestofanzia di chi la usa, per non parlare di chi cerca nella Storia… o meglio usa la Storia per cercare le cause di problemi che andavano risolti secoli fa e non ora, rimpastando e confondendo le idee di chi cerca un dio che non ha. Se solo si pensa al becero revisionismo storico che taluni stanno cercando di proporre, manipolando verità storiche comprovate, riproponendo il regno delle Due Sicilie come un’epoca paradisiaca e di primati, omettendo di parlare di centinaia e centinaia di condanne capitali, le spettacolarizzazioni delle esecuzioni precedute dagli “strascini a coda di cavallo”, delle teste, delle lingue e delle mani mozzate e lasciate esposte nelle gabbie di ferro come monito; delle scene di cannibalismo che si verificarono durante la controrivoluzione del 1799 per mano della plebe assetata del sangue dei repubblicani, per non dire delle origini del brigantaggio quale strumento di controllo dei Borbone, e quelle decine di migliaia di lazzari che languivano per le strade nella miseria più nera.
Tornando al «Nuovo Monitore Napoletano»: al suo interno è presente una sezione dedicata alla cultura della legalità. Quanto interconnesse sono a tuo parere la cultura e la legalità nella società attuale e quanto lo sono state in passato?
Legalità è libertà e la cultura rende le persone libere. Oggi come ieri la cultura rappresenta l’unico elemento capace di aprire la mente delle persone sulla propria condizione, i propri diritti e gli strumenti per ribellarsi a quelle prigioni oscure date dai soprusi e dall’ignoranza. La gente ignorante è facile da manipolare. Questo spiega l’uso e l’abuso che certi governi, in passato come nel presente, hanno fatto della cultura per limitarla. Partiamo dall’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa nel 1500, fino agli attuali roghi del mondo islamico. Comprendere, studiare, capire consente all’individuo la capacità di esprimere un giudizio e muoversi in direzione del bene comune, nel rispetto di quelle norme che regolano i rapporti tra i cittadini liberi e consapevoli del proprio ruolo nella società. Se un cittadino è consapevole dei suoi diritti e doveri, partecipa alla vita del paese da persona libera e si ribella quando questi diritti non sono rispettati; se ne assume invece la responsabilità venendo meno ai suoi doveri. Ma tutto questo avviene nell’ambito della conoscenza e la conoscenza è cultura.
Stai lavorando a qualche progetto in particolare in questo periodo?
Sto lavorando a diverse cose, ma soprattutto a delle ricerche storiche, stavolta non concentrate sui sei mesi della repubblica Napoletana ma che abbracciano un secolo e mezzo di Storia. È un progetto molto ampio che richiede un po’ di tempo prima della pubblicazione, ma già sta dando dei risultati inediti, sorprendenti e impensabili, che offriranno sicuramente nuovi elementi per studi futuri più approfonditi. Ovviamente per motivi di riservatezza al momento non posso dire di più, ma come tutti i miei lavori storici già pubblicati anche il prossimo sarà arricchito di documenti inediti.
Ascoltare le parole di Antonella Orefice, le sue ricostruzioni del passato, i collegamenti con il presente e il futuro, riflettere sui retroscena della Storia, sui tanti perché aiuta sicuramente a comprendere meglio ciò che è stato ma anche ciò che sarà. Einstein sosteneva che la follia si ha quando pur comportandosi sempre allo stesso modo ci aspetta di ottenere dei risultati diversi«Insanity: doing the same thing over and over again and expecting different results».
http://www.sulromanzo.it/blog/le-indagini-storiche-di-antonella-orefice
© 2014, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).
