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Premio Strega 2014 – Intervista a Giuseppe Catozzella
Leggendo Non dirmi che hai paura (edito da Feltrinelli) erano tante le domande che mi balenavano in mente, ma appena ho terminato il libro, ho deciso che la prima cosa che le avrei chiesto era di parlarmi dei sentimenti e delle emozioni provate nel periodo di ricerca sul campo, di indagine e soprattutto di ascolto che sono state presumibilmente le fasi preliminari, propedeutiche e fondamentali della stesura del testo. Con le lacrime agli occhi e un nodo in gola le chiedo quindi di raccontarmi le sensazioni, le emozioni di quei giorni…
È stato un percorso molto profondo, molto coinvolgente che mi ha cambiato intimamente. Sia come autore sia proprio come essere umano, come uomo. È stato un processo lungo in quanto era necessario entrare in contatto con i familiari di Samia, con qualcuno che mi potesse affidare la storia, potente e al contempo delicata, di questa ragazza. Ci sono voluti tanti mesi, circa sette, per entrare in contatto con quella che poi è diventata la fonte principale, sua sorella Hodan, e l’aiuto di una mediatrice culturale, bravissima, che si chiama Zahra Omar, senza la quale non avrei potuto fare niente perché non parlo il somalo. L’incontro principale è stato proprio quello con Hodan ed è stato davvero molto intenso. All’inizio lei non aveva accettato di incontrarmi anche se io volevo raggiungerla a Helsinki, dove lei vive. Poi mi ha concesso una settimana di tempo, ma una volta arrivati ho capito che in realtà non aveva ancora deciso di affidarmi la storia perché quando abbiamo cominciato a parlare lei non riusciva a farlo… piangeva e la voce era continuamente rotta dai singhiozzi. In quel momento ho pensato di aver sbagliato tutto e che non fosse possibile raccontare la storia di Samia. Ho temuto che nessuno sarebbe mai riuscito a farlo. Perché loro, la famiglia, pur volendo gridarla al mondo non avevano i mezzi per poterlo fare e affidarla a qualcuno sembrava impossibile perché generava troppo dolore in chi le era stato vicino. Ho detto a Hodan che ce ne saremmo andati ma prima di farlo ho deciso di confidarle quale era il motivo per cui volevo raccontare la storia di sua sorella. Le ho detto di averlo deciso nel momento stesso in cui ne sono venuto a conoscenza, mentre mi trovavo in Africa, lungo il confine somalo, e subito mi sono sentito responsabile, da italiano, per la morte di questa giovane ragazza. Questa cosa ha fatto cambiare del tutto prospettiva a Hodan. Da quel momento in poi è cominciato tutto il percorso di affidamento di questa storia.
Samia Yusuf Omar. Se fosse stata di nazionalità italiana probabilmente qualcuno già si sarebbe adoperato per far intestare a suo nome una via, una piazza, una rotonda… cosicché il suo ricordo sarebbe rimasto per sempre anche se poi tutto ciò che ne sarebbe rimasto, abbiamo avuto modo di constatarlo innumerevoli volte, è un’iniziale puntata seguita da un cognome. Samia invece meritava e merita ben altro e come lei tutti i bambini a cui vengono strappati i sogni in nome di leggi, regole e regolamenti che nulla hanno a che vedere con il bene dei popoli. «L’importanza della libertà è il potere dei sogni». Tanto più vero e bello quando questi sogni non includono il successo o il denaro. Che idea si è fatto dei danni prodotti dalle guerre ai sogni?
Le guerre causano infiniti danni, infiniti problemi. Sono le principali responsabili della perdita del sogno. Tutti noi in verità viviamo “una guerra personale” da quando siamo nati. La questione del sogno personale sta propri lì: nel riuscire a vincere o meno la propria guerra personale. Le guerre che vorrebbero che la paura avesse il sopravvento, che ci spingono a seguire delle strade conosciute, che ci vorrebbero costringere a non seguire la nostra via, il nostro sogno, la nostra indole personale. È chiaro che per chi nasce in un Paese in guerra, con la guerra vera, è tutto molto più complicato. Dopo l’uscita e la diffusione del libro stanno succedendo dei piccoli miracoli: il Comune di Milano ha deciso di intitolare una pista di atletica a Samia Yusuf Omar e abbiamo fatto una cerimonia di inaugurazione con 650 ragazzi che gareggiavano in varie discipline in ricordo di Samia. Un comune in Provincia di Messina ha deciso di intitolare un intero centro sportivo a Samia Yusuf Omar… qualcosa si sta muovendo anche a quel livello lì. Ma la cosa più bella di tutte… qualche giorno fa mi ha contattato l’ONU di stanza in Somalia perché hanno letto il libro, conosciuto la storia di Samia, e hanno deciso che tutti gli anni il 19 di agosto, che è una ricorrenza per i rifugiati, a partire da quest’anno, indiranno una gara di 5 km all’interno del recinto dell’aeroporto dell’ONU a Mogadiscio, non possono fuori perché c’è la guerra, perché c’è Al-Shabaab, tutto in onore di Samia Yusuf Omar. In qualche modo il libro è riuscito a riportare Samia da vincitrice a casa sua. Quest’anno ci saremo io, che volerò con l’aereo dell’ONU, che sarò ospite dell’ONU, e Hodan, la sorella di Samia, con i figli. Partiremo insieme e tra l’altro sarà la prima volta che Hodan potrà riabbracciare la madre e ritornare in Somalia dopo il viaggio. È una cosa incredibile… eccezionale.
È presunzione e opinione diffusa nella cultura occidentale la superiorità e la supremazia delle nostre conoscenze. Leggendo il suo libro però si ha ancora una volta conferma del fatto che molti di noi occidentali dovrebbero recarsi in Africa come anche in altri posti dove sono sopravvissuti i popoli autoctoni non per insegnare qualcosa bensì per imparare, per apprendere il potere reale dei doni che la vita ci offre e che non hanno nulla a che vedere con il potere o con il denaro. Samia insieme ai suoi genitori ci regala una grande lezione di vita e di coraggio…
È verissimo. A me piace molto viaggiare e dai viaggi cerco una sola cosa: un arricchimento personale, cercare di scoprire delle cose di me che non conoscevo attraverso la conoscenza di altre popolazioni. E l’Africa non è terra da conquista, non è terra per prenderci il petrolio, per prenderci i diamanti o il coltan, l’Africa per me è essenzialmente una terra in cui imparo chi sono. Sarebbe meraviglioso se questa fosse l’impostazione generale, purtroppo il mondo ha scordato molto tempo fa l’idea assestandosi su standard molto più materialistici che portano l’uomo a compiere azioni malvagissime, con il rischio di una fine tragica dell’umanità.
«La gara era un evento, a me sembrava che fosse un giorno addirittura più importante del primo luglio, la data della liberazione dai coloni italiani, la nostra festa nazionale». Noi italiani siamo sbarcati da conquistatori in Somalia. È storia. E quant’anche lo si voglia circoscrivere come un fatto accaduto in passato è successo, eppure i Somali, tranne forse rare eccezioni, non provano rancore e come i loro fratelli africani vedono il nostro Paese e l’Europa intera con un luogo dove poter coltivare i loro sogni, che nella gran parte dei casi coincidono con il donare ai propri figli un futuro dignitoso, un’istruzione adeguata e la possibilità di vivere senza respirare l’aria delle granate. Se avessero la possibilità di fare tutto ciò nel loro Paese non si sognerebbero minimamente di partire e lasciarlo. Come trova l’atteggiamento dei governi e della popolazione in merito agli sbarchi dei clandestini di cui invece tanto si parla?
Li trovo assolutamente inadeguati e poco lungimiranti, poco comprensivi rispetto a quello che accade e che è accaduto in passato nel mondo. Noi esseri umani siamo sempre migrati, ci siamo sempre spostati. È la natura stessa che ci ha sempre spinto verso una condizione migliore, altrimenti non ci saremmo mai evoluti. È un fenomeno quello degli spostamenti che non si può fermare. Alzare barriere, alzare muri non serve a niente. Un uomo troverà sempre il modo per forare un muro o per scavalcarlo. Quello che bisognerebbe fare, a mio avviso, è intraprendere delle serie e responsabili decisioni politiche di “accoglimento” di questi ragazzi e queste ragazze che sono costretti a scappare dai loro Paesi… proprio mentre parliamo, proprio in questo momento, alla stazione Termini, sono passati davanti ai miei occhi due ragazzi presumibilmente del centro-africa. È assurdo tanto più perché questa cosa è unidirezionale. Chi viene dalla parte ricca del mondo ha piena facoltà di spostarsi mentre a chi appartiene alla povera gli viene impedito di farlo. Lo trovo di un’ingiustizia talmente evidente…
«A nessuno al mondo, per la breve durata di una vita, doveva essere consentito passare per quell’inferno». Eppure Samia cede e alla fine lascia che si formi una crepa nella corazza della determinazione che l’aveva portata fino a Pechino. Pensava di riuscire a resistere a tutto ma non è riuscita a superare il tradimento di Alì.
Sì, è stato proprio questo che l’ha fatta vacillare. Un colpo inferto in maniera troppo intima. Un colpo troppo profondo che ha bucato ogni tipo di resistenza, ha aperto una voragine… in quel momento della sua vita Samia ha capito, ha ammesso per la prima volta che il suo Paese le aveva tolto più di quanto le avesse dato. Ha deciso di chiudere i conti col suo Paese.
Il suo libro ha un compito importantissimo che non è solo quello di far conoscere la storia di Samia e della sua famiglia ma anche quello di portare avanti il sogno di suo padre di vederla guidare «la liberazione delle donne somale dalla schiavitù in cui gli uomini le hanno poste».
Samia sarebbe stata completamente differente se suo padre fosse stato diverso. Samia e Hodan devono tantissimo al fatto che Yusuf fosse un “rivoluzionario”, non nel senso che è andato a ingrossare le fila dei miliziani, ma rivoluzionario nel senso che ha deciso di insegnare ai figli l’importanza della libertà intellettuale. È stato fondamentale suo padre nel suo sviluppo. Anche la madre ma lei, come spesso accade nelle culture e nelle tradizioni di stampo più arcaico, ha giocato un ruolo più passivo ma egualmente determinante. Mentre gli uomini prendono le decisioni in maniera attiva, o almeno così pare, poi in realtà alle spalle di tutto ci sono sempre le donne. Anche la madre di Samia ha giocato il suo ruolo determinante con il suo silenzio, con il suo appoggio, e dopo la morte del padre il suo ruolo diviene fondamentale. È la guida della famiglia, il suo punto fermo.
Come si sta preparando per la serata finale del Premio Strega 2014?
Sono tranquillo. Nel senso che sono davvero felicissimo di avere vinto il Premio Strega Giovani, il premio più importante d’Italia ma conferito da una Giuria Popolare e forse dalla più bella delle giurie perché composta dai giovani, 40 scuole in tutta Italia, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia. Hanno scelto Non dirmi che hai paura a grandissima maggioranza. Sono felicissimo di questo. È chiaro che sarei felice di vincerlo, vorrebbe dire una cosa importante… un libro di letteratura civile che vince il Premio più importante in Italia… vorrebbe dire tanto, sarebbe bellissimo… però, insomma cerco di viverla in maniera tranquilla.
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