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Irma Loredana Galgano

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Mario Sughi, Oscillazione

07 domenica Set 2025

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hoppípolla, MarioSughi, Oscillazione, recensione, romanzo

Oscillazione di Mario Sughi è un romanzo in tre atti, tre novelle brevi che sembrano seguire strade distinte, ma puntualmente si sovrappongono, si intrecciano, si richiamano, si rispondono. 

Il fragile equilibrio tra caso e destino, tra incontri fortuiti e scelte irreversibili, si dispiega in una narrazione circolare che lascia spazio al non detto, alle assenze, ai ricordi che affiorano e si dissolvono.

La scrittura in atti è, normalmente, tipica del teatro. Peculiarità di una sceneggiatura è proprio la suddivisione in atti. Quella in tre atti inoltre sembra essere ed essere stata la preferita perché consente meglio di fornire una struttura coesa e coinvolgente. Impostazione, confronto e risoluzione sono infatti i cardini di questo tipo di sceneggiatura.

Ma il libro di Sughi non è una sceneggiatura e i suoi “tre atti” non sono una suddivisione strutturale dell’opera. Le sue novelle brevi ricordano piuttosto una struttura simile, in versione ridotta, del Decameron per esempio. Sono storie a sé stanti eppure legate insieme da un sottile fil rouge. O meglio ancora, ricordano la configurazione tipica di alcune opere di Pirandello, strutturate inizialmente come novelle e poi, successivamente, trasformate in romanzo. Sughi ha cercato però di mantenerle separate, seppur facendole confluire in un’unico libro, giocando con il non detto, con i ricordi, con dei “vuoti” narrativi che il lettore è libero di riempire secondo volontà propria e personale. 

A legare la narrazione contribuiscono anche le illustrazioni di cui è pieno il libro. Rappresentazioni visive delle scenenarrate. 

La nascita del mercato del libro è coincisa con l’avvento dell’immagine riprodotta con mezzi meccanici e in particolare della stampa. Stampa che ha rappresentato il mutamento più profondo di tutto il periodo nel campo della comunicazione visiva, ampliando notevolmente la disponibilità di immagini.1 Produzione, lettura e circolazione delle opere letterarie sono anche un fatto visivo, leggere molto spesso vuol dire, e per larghe fasce della popolazione ha voluto dire talvolta soprattutto, guardare. E il discorso vale su ogni livello della produzione culturale.2

Illustrare una storia significa molto più che inserire immagini, perché vuol dire scegliere modelli, confrontare le fonti, e, soprattutto, comporre un nuovo corpo testuale, che diventa, anche rispetto alla sintassi dei capitoli, un organismo più dinamico, grazie agli effetti di campo e controcampo con cui si incontrano le illustrazioni finali e quelle iniziali dei capitoli.3

Il territorio della scrittura iconotestuale è ampio, complesso ed eterogeneo. Racchiude modalità molto diverse di relazione fra testi e fotografie presenti in un libro: i volumi illustrati, nei quali le immagini si sovrappongono e si accostano alle parole; i Photo-texts per i quali l’integrazione fra i due codici appare più stretta soprattutto nel caso in cui testi e fotografie sono espressioni diverse di un unico autore; i Photo-books, libri nati per lo più dalla collaborazione fra uno scrittore e un fotografo, in cui la dimensione più evidente della trama verbo-visiva è sostanzialmente dialogica e relazionale.4

Nel romanzo di Sughi le immagini, come nei Photo-texts, sono la rappresentazione della creatività dell’autore utilizzando due codici artistici differenti. Ciò che il lettore non riesce a ben comprendere e che rimane uno dei vuoti, presumibilmente voluti, lasciati dall’autore è se il testo narrativo sia stato scritto come supporto alle illustrazioni o viceversa. 

Le numerose illustrazioni presenti in Oscillazione sono immagini dal tratto semplice, con colorazioni che vanno dal pastello ai rossi intensi. In alcune immagini il colore scompare e rimane sono un tratto nero-grigio su sfondo bianco. Minimalista eppure molto intenso che cattura lo sguardo e l’attenzione dell’osservatore anche in misura maggiore delle immagini colorate. 

I colori fanno parte degli elementi attraverso i quali i sensi apprendono la realtà. Che l’uomo percepisca i colori attraverso l’occhio è indubbio; ma questi possiedono, esplicano e manifestano anche altre funzioni che non sono connesse soltanto all’ambito prettamente visivo e sensoriale, ma possono svolgere anche un ruolo “morale”, sensibile, estetico. Il “linguaggio” del colore si configura così come un linguaggio simbolico particolare, fatto anche di “suggestioni”, che non provengono dalla sola osservazione razionale. Per lungo tempo in Occidente ha prevalso una organizzazione ternaria dei colori, legata al bianco, al nero e al rosso. Per la cultura occidentale, quindi, i colori servono a designare gli orientamenti, i pianeti e gli elementi naturali, ma anche la dualità intrinseca dell’uomo che si esprime con il bianco e il nero. 

Comunemente questi simboleggiano la luce e le tenebre, la conoscenza e l’ignoranza. Ma il nero, oltre a questa accezione negativa, ne possiede anche un’altra, positiva, come simbolo del principio di fecondità. In ogni mito sulla formazione dell’universo, in fatti, il nero rappresenta l’indistinto primordiale, è un’interpretazione comune a molte cosmogonie.5

La medesima percezione si ha leggendo il libro di Sughi e, soprattutto, osservando le illustrazioni nelle quali il tratto maggiormente incisivo lo dà il nero. Come un inchiostro. Come l’inchiostro che ha trasformato i pensieri in parole. Le idee in caratteri, spazi, paragrafi, capitoli, atti. 

Anche la scrittura di Sughi mantiene le caratteristiche delle illustrazioni: colori accesi e vivaci che vanno a comporsi e prendere vita su una superficie piana. Eleganza, volume e profondità di intenti e significati.

Il libro

Mario Sughi, Oscillazione. Romanzo in tre atti, hoppípolla, 2025.


1Asa Briggs – Peter Burke, A Social History of the Media. From Gutemberg to the Internet, Polity Press, 2009.

2Claudia Cao – Giuseppe Carrara – Beatrice Seligardi, La narrativa illustrata fra Ottocento e Novecento, in Between, vol. XIII, n. 25 (maggio 2023).

3Daniela Brogi, Un romanzo per gli occhi. Manzoni, Caravaggio e la fabbrica del realismo, Carocci, 2018.

4Maria Rizzarelli, Nuovi romanzi di figure. Per una mappa del fototesto italiano contemporaneo, in Narrativa, n. 41 | 2019.

5Caroline Pagani, Le variazioni antropologico-culturali dei significati simbolici dei colori, in Leitmotiv – 1 – 2001.


Articolo pubblicato su LuciaLibri


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Maria Elisa Gualandris, Solo il buio

04 lunedì Ago 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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MariaElisaGualandris, MorelliniEditore, recensione, romanzo, Soloilbuio

Jasmine Faizal, dicissettenne di origini marocchine, viene trovata morta nella vasca di un vecchio lavatoio a Verbania. A indagare è Rosa Spini, giovane magistrata determinata a scoprire la verità. Ma il caso riapre una ferita profonda: la morte della sua migliore amica, Chiara, negli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Mentre l’indagine prende piede, il clamore mediatico travolge Rosa, mettendo a nudo il suo passato e facendola finire sotto accusa. Affiancata dalla medica legale Barbara e dal giornalista Berna, Rosa dovrà confrontarsi non solo con i propri demoni interiori, ma anche con le complesse dinamiche di una comunità lacerata dalla paura e dal pregiudizio.

Nel romanzo di Maria Elisa Gualandris ci sono tante storie di donne che si incontrano, si intersecano, si tagliano e si stagliano come rette su di un piano. Sono esistenze che nascondono segreti, misteri, dolori, sentimenti, desideri, aspirazioni, ambizioni. Destini che si intrecciano alla vita. Vite spezzate dal destino. Un destino spesso deviato dall’agire umano. Come per la morte di Jasmine e Chiara. 

Il fulcro dell’intero romanzo è la protagonista, Rosa, una donna forgiata dalle difficoltà che ha dovuto affrontare, dai dolori e dalle perdite che ha dovuto superare, dai sensi di colpa e da quelli di inadeguatezza che derivano, per la maggiore, dalla madre. Donna forte e sicura di sé non è riuscita a trasmettere la stessa sicurezza nella figlia, che invece sembra arrancare nel tentativo di mantenere il passo. I danni emotivi sono evidenti nel comportamento come nei pensieri di Rosa. Angoscia esistenziale che si trasforma in bulimia alimentare. 

Un ulteriore e potentissimo trauma che Rosa deve affrontare è l’aggressione subita durante l’attentato al Bataclan di Parigi. Sopravvissuta si ritrova a dover convivere con i sensi di colpa per la morte della sua migliore amica. Il dover indagare sull’omicidio di Jasmine e avvicinarsi quindi alla comunità degli immigrati musulmani è una ulteriore durissima prova. Il lavoro richiede che rimanga distaccata e professionale, la mente è tormentata da emozioni e ricordi. I sentimenti contrastanti diventano pugni in faccia e allo stomaco per la giovane magistrata. 

Durante le indagini per l’omicidio di Jasmine, Rosa dovrà fare i conti con i propri fantasmi ma anche con numerosi ostacoli derivanti, o comunque dipendenti, dal comportamento delle persone che la circondano, inondandola di paure e timori che in lei diventano ricordi, ingerenze che la fanno vacillare ma non cadere. 

Il libro scritto da Gualandris è un noir psicologico. L’autrice lascia la protagonista indagare sul delitto ma l’intero libro sembra costruito sull’analisi della psiche della stessa Rosa. La narrazione di un crimine violento attraverso il filtro sensibile di una mente umana provata da traumi plurimi. La magistrata riesce a trovare la giusta strada per la risoluzione del caso ma questo, a tratti, sembra addirittura secondario rispetto all’indagine che l’autrice deve aver compiuto per creare il personaggio di Rosa Spini. 

La paura è un’emozione. E il trauma derivante da una forte paura è una forte emozione per l’animo umano. Rosa è una traumatizzata in questo senso e, prima ancora di risolvere il delitto, deve fare i conti con il proprio essere. Sarà poi proprio la consapevolezza del delitto a porla dinanzi a delle scelte che apriranno un varco anche all’interno del proprio trauma, dentro se stessa. 

Indagando all’interno della comunità marocchina, Rosa riesce ad aprire uno squarcio anche per la comprensione del proprio trauma. Ciò naturalmente non potrà mai cambiare quanto accaduto ma la aiuterà a comprendere alcune dinamiche che le torneranno utili anche nell’indagine per l’omicidio di Jasmine. Soprattutto, l’aiuteranno a riscoprire una forza che credeva di non possedere o di non possedere più. Una determinazione che sarà determinante, per l’indagine certo ma anche per il suo essere. 

A tratti, il libro di Gualandris si mostra al lettore quasi come una sorta di manifesto per la libertà femminile, in tutte le sue forme e contro tutte le forme di oppressione e limitazione. Una sorta di inno alla rivoluzione. 

Il libro

Maria Elisa Gualandris, Solo il buio, Morellini Editore, Milano, 2025.


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


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Placido Di Stefano, GAP

25 venerdì Lug 2025

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GAP, NeoEdizioni, PlacidoDiStefano, recensione, romanzo

Fedor ha sedici anni, in giro lo chiamano il River Phoenix di Inganni, quartiere della periferia ovest di Milano. Insieme ai suoi amici, il Moro e Leo, si preparano a girare un video hip-hop per una rapper loro coetanea. Si esercitano, sperimentano, s’improvvisano attori sotto la regia marziale del Moro, in fissa con il cinema e la recitazione. Fedor, però, ha anche una vita che nessuno conosce: mentre accudiva la madre ha scoperto il Fentanyl, e ne è diventato dipendente. Sempre a corto di soldi, viene introdotto in un giro di appuntamenti dove uomini adulti pagano giovani adolescenti per inscenare incontri in cui possono diventare altro da sé.

Il libro di Placido Di Stefano è davvero il racconto spietato di cosa significhi diventare adulti crescendo ai margini del mondo contemporaneo.

I grandi cambiamenti che hanno attraversato la società a partire dagli anni Ottanta hanno profondamente alterato il percorso biografico “standard”. A seguito delle numerose e profonde trasformazioni dell’assetto sociale, il corso di vita – l’ordine e la durata con cui le fasi della vita si susseguono – è stato interessato da un progressivo processo di “fluidificazione”, che ha reso meno netto il passaggio da una fase all’altra. Il passaggio dalla gioventù all’età adulta, in particolare, ha assunto caratteristiche del tutto nuove. Quelle che erano le tappe tradizionali del percorso che conduce dalla condizione di giovane a quella di adulto (conclusione degli studi, inserimento stabile nel mercato del lavoro, autonomia abitativa, matrimonio e genitorialità), infatti, oggi non solo sono più distanti fra loro, ma seguono un ordine cronologico irregolare e sono spesso caratterizzate da un’alternanza di passi in avanti e passi indietro.1

Anche Fedor è una vittima di drastici cambiamenti, familiari più che sociali, che lo hanno costretto ad abbandonare il suo essere giovane e spensierato. Responsabilità e dolore lo hanno trascinato in un vortice troppo forte da gestire da solo. Il brutale e precoce passaggio all’età adulta porta Fedor non tanto all’effetto yo-yo tra le fasi della vita quanto alla creazione di tanti sé. Ruoli da interpretare nei vari momenti della sua esistenza. 

Il Fentanyl è un oppiode sintetico cento volte più potente e tossico della morfina, conosciuto anche come “droga degli zombie”. Negli Usa è stato responsabile di 74mila morti nel 2023. È un problema che riguarda anche Europa e Italia. Dal 12 marzo 2024 è scattata l’allerta di terzo grado in Italia per la sempre maggiore diffusione nelle piazze di spaccio di questa sostanza.2

L’essersi avvicinato alla droga e la tossicodipendenza che ne è derivata, con la conseguente sempre maggiore necessità di soldi, trascina Fedor in profondità sempre più buie della marginalità sociale. 

Sono numerosi gli aspetti contorti e complessi della società odierna che l’autore indaga nel libro, e lo fa attraverso il racconto delle storie dei protagonisti. Di Fedor ma anche dei suoi amici. Le varie sfaccettature dell’adolescenza, soprattutto quelle più cupi e tristi, vengono mostrate al lettore in tutta la loro brutale realtà. E verità. Perché il mondo racconto da Di Stefano è reale. O realistico. Nel senso che esiste davvero, anche se i suoi personaggi sono inventati. 

Fedor porta questo nome per ovvia volontà di sua madre, nome scelto anche per omaggiare uno dei più grandi autori di ogni epoca letteraria. 

E allora la mente non può non andare a L’adolescente di Fëdor Dostoevskij. Pur nella differenza della costruzione delle rispettive storie, dello stile e delle motivazioni che hanno portato gli autori a scrivere, si ritrova in GAP la medesima narrazione di una gioventù inquieta e sradicata. Egualmente si ritrova nel libro di Di Stefano quella vertiginosa sequenza di fatti, quel turbine di avvenimenti intensi e, per certi versi assurdi, che si leggono nell’opera di Dostoevskij. Entrambi i libri, entrambe le storie per certo rispecchiano l’epoca in cui sono state scritte. I due protagonisti agiscono in mondi diversi e in maniera differente ma sono entrambi mossi da una comune volontà di riscatto. Meno evidente nel libro di Di Stefano perché Fedor sembra annichilito dalla droga, interessato solo a procacciarsi i soldi per la dose di Fentanyl. Ma è finzione. Una messa in scena. Una recita. Tutti stanno recitando. Anche i suoi amici. E lo fanno non soltanto sul set del video che stanno registrando. Lo fanno nella quotidianità perché è l’unico modo che sono riusciti a trovare per “inventarsi” la vita che desiderano, che immaginano, che vorrebbero. L’autore racconta di una generazione che volentieri butterebbe la maschera che, in un certo qual modo, è costretta a indossare. Ne farebbe volentieri a meno se riuscisse a trovare la soluzione. Se avesse una guida. Esattamente come accade nel romanzo di Dostoevskij: se avesse avuto la guida sicura del padre tanto cercato forse Arkadij non avrebbe commesso gli errori e le imprudenze che ne hanno determinato il cammino. O, forse, le avrebbe commesse egualmente. 

Ed è proprio questo il punto su cui il libro di Placido Di Stefano sembra voler far convergere l’interesse del lettore: la difficoltà di ridurre semplicisticamente la condizione esistenziale di coloro che crescono ai margini della società in un riduttivo o tutto bianco o tutto nero. Mostrandogli invece il grottesco adolescenziale periferico in tutta la sua complessità.

Il libro

Placido Di Stefano, GAP. Grottesco Adolescenziale Periferico, Neo. Edizioni, Castel Di Sangro (Aquila), 2025.


1A. Spanò, Gioventù e adultità nella società contemporanea: riflessioni sul dibattito suscitato dai cambiamenti del corso di vita, in Quaderni di Sociologia, n. 80 | 2019. 

2Allarme Fentanyl anche in Italia: da Consulcesi Club gli strumenti per riconoscere e contrastare le nuove droghe, in quotidianosanita.it, 6 dicembre 2024.


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


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Domenico Conoscenti, Manomissione

25 venerdì Lug 2025

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DomenicoConoscenti, IlRamoelaFogliaEdizioni, Manomissione, recensione, romanzo

Con Manomissione Domenico Conoscenti accompagna il lettore a conoscere e indagare non solo il delitto compiuto nel suo romanzo ma un intero trentennio di un paese che ha visto più volte vacillare la sua democrazia, la libertà e le conquiste sociali che si credevano ormai radicate. 

Si riconoscono nel testo diversi eventi realmente accaduti. Ma il libro di Conoscenti non è una rievocazione storica in senso stretto. Non viene compiuta un’indagine sui fatti reali bensì si parte dalle personali riflessioni dell’autore per immaginare un mondo, un paese in cui questi fatti potrebbero accadere, o sono accaduti, e se ne raccontano gli sviluppi. 

L’autore sembra aver compiuto un cammino del tutto analogo a quello che il flâneur faceva per la città, ma adattandolo al sistema paese. Attraverso l’indagine critica dei contesti urbani, il flâneur riusciva a elevarli a simbolo della complessità dei fenomeni antropologici1, esattamente come ha fatto Conoscenti, il quale, attraverso il racconto delle vite dei protagonisti, racconta la storia di un paese intero. E viceversa. Raccontando il globale, l’autore riesce a illuminare il particolare. E così l’intreccio delle vicende risulta essere quello che deriva dall’incontro / scontro tra le varie esistenze individuali e i grandi sistemi che vanno a comporre, a muovere, a deviare la democrazia.

Alla base di tutto ci sono le relazioni umane, sentimentali, tra i protagonisti. Un intreccio che parte dei sentimenti, abbraccia la sfera professionale e arriva fino alle profondità più oscure dell’animo umano. La relazione tra Leonardo e il compagno, tra Diego e la fidanzata, il rapporto padre-figlio di Demetrio fanno da preludio al racconto dell’indagine sul crimine commesso ma, soprattutto, sono l’input per il racconto sociale e politico di un intero paese soggiogato dalla violenza. 

Kerr ne La notte di Praga scrive: «quando la legge e il male sono una cosa sola, la ricerca della verità è un valzer lento con la follia»2. La pagina di storia recente che il libro di Conoscenti riporta alla mente è molto triste. Una manifestazione, una ribellione, una rivolta, la carica della polizia. Tanta violenza. Il tema è molto delicato. Conoscenti ha scelto di raccontarlo attraverso l’esperienza diretta di alcuni dei suoi protagonisti che hanno partecipato alla manifestazione. Persone che hanno vissuto e subito un forte impatto con la violenza. E questo li ha cambiati. Esattamente come accade anche sul fronte opposto. Militari, soldati, forze di polizia che, quotidianamente, affrontano situazioni di violenza, anche estrema, non possono non subirne le conseguenze. Si trasformano. Avviene forse una sorta di processo di disumanizzazione, che è anche un meccanismo di autodifesa. Per andare avanti. Per poter andare avanti. Nietzsche diceva: «Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro»3.

È evidente che l’aver guardato l’abisso, rappresentato dagli eventi accaduti nel trentennio storico considerato, ha cambiato i protagonisti del libro ma deve aver lasciato il segno anche sull’autore che ha scelto un meccanismo non molto usato, ovvero la discronia. Gli eventi narrati da Conoscenti hanno avuto luogo in un arco temporale lungo eppure egli sceglie di “avvicinarli” tutti lungo la linea del tempo in modo tale che risultino prossimi ai suoi protagonisti e alle loro personali vicende., il tutto con un realismo immaginario davvero notevole. È evidente la volontà dell’autore di inserirli nel testo perché importanti, in qualche modo. Conoscenti è riuscito poi anche a farli sembrare necessari, in quanto la narrazione delle vicende personali dei protagonisti, potendo includere in questo anche il delitto, non avrebbero lo stesso significato senza la contestuale narrazione di questi eventi “globali”. 

Non si riesce agevolmente a inserire il libro di Conoscenti in un genere ben definito. Ma questo, in realtà, non ha alcuna importanza. Romanzo, distopico, noir, thriller, poliziesco: Manomissione non ha i tratti di nessuno di questi generi eppure è tutto questo messo insieme. Non un melting pot ma un qualcosa che va oltre il genere singolo. Quasi come se per esistere avesse contaminato tutti i generi, li avesse “manomessi”. Esattamente come accade alle vite dei protagonisti del libro. 

Per certo ad essere “manomessa” è stata l’esistenza di Gaetano, compagno di Leonardo, brutalmente malmenato durane la Manifestazione da Diego, il cui cadavere verrà rinvenuto proprio accanto a Leonardo. Durante il periodo in cui ha prestato servizio in polizia, Diego si è sempre distinto per la violenta omofobia. Una maschera costruita per nascondere la sua repressa attrazione per gli uomini. Leonardo, invece, è un insegnante che non si nasconde dietro una maschera. Degradato sul posto di lavoro proprio per la sfrontatezza nel non voler tenere segreto il suo essere. Due aspetti del medesimo degrado sociale indagati a fondo da Conoscenti. Ed ecco allora che il lettore si chiede se sia mai davvero accettabile per una società civile tutto questo. 

I personaggi pirandelliani spesso sono sconfitti dall’alterità, perché nell’altro essi vedono riflessa la propria inconsistenza, il divario tra ciò che pensavano di sé e ciò che sono. La comprensione di sé e degli altri è un processo continuo, contraddittorio e intrinsecamente conflittuale, ma in Pirandello ha un carattere assolutamente distruttivo, perché la forma cerca di imbrigliare la vita attraverso le maschere, le quali non lasciano mai impunito chi si ribella a esse, ma lo ripagano con la reificazione o la pazzia.4 Nel libro di Conoscenti le maschere sembrano assumere un significato differente e la vita, nonostante tutto, vince sulla forma. 

Manomissione è un invito a indagare oltre, sempre più in profondità, tra le pieghe del male e delle ingiustizie, non tanto per ritrovare un’umanità che deve pur esserci stata in passato, bensì per crearne una nuova, che diventi la coscienza collettiva della società di oggi.

Il libro

Domenico Conoscenti, Manomissione, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2025.


1F. Governa, M. Memoli, Geografia dell’urbano. Spazi, politiche, pratiche della città, Carocci Editore, Roma, 2011.

2P. Kerr, La notte di Praga, Piemme, Milano, 2013.

3F.W. Nietzsche, Detti e Intermezzi, quarto capitolo di Al di là del bene e del male.

4C. Gnoffo, Pirandello e la disintegrazione del sé sociale come ribellione alle maschere, in Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024.


Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


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Luca Giommoni, Nero. Il complotto dei complotti

16 mercoledì Lug 2025

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effequ, LucaGiommoni, Nero, recensione, romanzo


E se tutte le teorie del complotto servissero solo per nascondere l’esistenza di un unico, grande complotto? E se il viaggio nel tempo fosse possibile, e i centri per l’impiego trovassero il modo di rimandare nel passato i disoccupati per trovare loro lavoro? Questi sono gli interrogativi da cui Luca Giommoni è partito per costruire la storia di Nero, un giovane disoccupato e grande esperto di complotti il quale, nel tentativo di rimediare alle storture del presente dovrà affrontare le kafkiane difficoltà degli organi di controllo burocratici. 

La quasi totalità dell’opera di Kafka è incentrata sul senso dell’esistenza dei singoli uomini e della società. E dunque sull’ideale di giustizia, contrastato dall’ingiustizia reale, spesso ammantata di strutture legali. L’opera di Luca Giammoni sembra rifarsi proprio a questa volontà di narrare le storture del proprio tempo che portano i protagonisti in un multiverso contorto e deformato dove tutto viene controllato, revisionato, distorto. Una forma di controllo che rimanda il lettore a scenari cinematografici visti in opere quali Matrix.

Nel ‘900 narrato da Kafka la solitudine è una categoria esistenziale privilegiata. Forte è il senso di solitudine degli individui ormai catapultati in una “società di massa” dentro la quel perdono ogni riferimento. 

Lo stesso accade agli uomini del romanzo di Giommoni. Individui persi in una società consumistica e capitalistica nella quale tutti sembrano correre sempre più velocemente verso il nulla più profondo. Chi non è produttivo agli occhi della società scompare ma non Nero, no, lui scompare davvero. 

La prima parte del romanzo è di un tale realismo da apparire quasi crudele. Giommoni accompagna il lettore in un percorso a metà tra la conoscenza e la tortura e gli mostra un lato oscuro della società di oggi, quello che più fa paura ai “persi”, ovvero i nuovi vinti di verghiana memoria. I centri per l’impiego, la disoccupazione a trent’anni, i disagi di un mondo del lavoro che lavoro non riesce a dare. Ma il percorso è solo all’inizio. L’autore trasforma la scena continuamente con drastici cambi e l’uso copioso di analessi e flash-forward che, letteralmente, trascinano il lettore nello spazio e, soprattutto, nel tempo. Il tutto a tratti appare quasi un gioco al massacro ma non è così, si tratta solo e semplicemente di fantascienza. 

Attraverso scenari e situazioni fantascientifiche l’autore compie un’accurata critica all’odierna società, toccando sia il piano sociale che quello politico. In particolare, tutto l’impianto narrativo sembra costruito intorno a un aspetto peculiare della narrazione attuale: i complotti. Oggigiorno questi sono tanto odiati quanto amati e, soprattutto, impiegati per deviare il flusso di idee e consensi. Nel romanzo di Giommoni il complotto è parte della stessa società, è assoluzione, autoassoluzione, conforto per i personaggi. L’esistenza dei complotti li aiuta a deresponsabilizzarsi, perché la colpa di ciò che accade non può essere imputata a loro, bensì a quell’entità astratta che tira le fila del viver di tutti. 

Le tante storie narrate nel libro, unite dal filo conduttore della storia di Nero, pur nell’irrealismo del fantascientifico, finiscono per diventare il grandangolo che indaga l’attualità e la mostra al lettore illuminandone pregi ma, soprattutto, difetti, carenze, oscenità. 

Nero di Luca Giommoni è per certo un romanzo con una struttura e una scrittura particolari, ma ben architettato. Che funziona soprattutto perché l’autore ha saputo trasportare nel presente tutti gli insegnamenti di grandi maestri del Novecento, Kafka in primis, ma anche grandi esponenti della letteratura d’oltreoceano come Kurt Vonnegut, rendendoli non solo attuali ma necessari. 

Il libro

Luca Giommoni, Nero. Il complotto dei complotti, effequ, 2024.


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


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Andrea Mauri, Poison

14 lunedì Lug 2025

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AndreaMauri, ExtemporaEdizioni, Poison, recensione, romanzo

Cosa accade quando una veggente non riesce a vedere né comprendere quello che le accade intorno? Si tratta di un’incapacità reale oppure è un meccanismo di autodifesa? E se la persona che cerca di far luce su questa oscurità sia incapace di mostrare realmente se stessa? I lati oscuri della personalità di una persona vincono anche la forza di poteri soprannaturali? E se fosse tutta una strategia?

Il libro di Andrea Mauri cerca non solo di rispondere a questi interrogativi ma di ingenerarne altri, sempre nuovi, per andare più in profondità nella ricerca della vera essenza dell’esistenza e delle persone.

Beatrice è una veggente, da anni ricoverata in clinica. Suo figlio Antonello si prende cura di lei e della sua evanescente memoria. Beatrice ama cospargersi letteralmente di profumo, uno in particolare: Poison. Un profumo certo ma con un nome che simbolicamente vuol far riflettere il lettore: qual è il veleno che quotidianamente Beatrice cosparge sul suo capo? Che significato potrà mai avere questo gesto? È una forma di penitenza? Per quello che ha dimenticato? Per ciò che non ha compreso? Per ciò che nasconde?

Antonello cerca di curare la memoria di sua madre raccontandole tutti i momenti belli trascorsi assieme ma entrambi sanno benissimo che ce ne sono altri, bui, che nulla potrà cancellare. Momenti dolorosi che hanno segnato la vita di entrambi. Sarà l’incontro con il neurologo Gabriele a dare la forza ad Antonello di far emergere il proprio vero io, se stesso in tutte le sue contraddizioni, aspirazioni. Con tutta la forza che solo le emozioni e la passione possono dare. Eppure anche un sentimento positivo, come l’amore, può nascondere un lato oscuro. Una stortura della mente che solo una madre può comprendere fino in fondo. Anche una madre che non ricorda. Che ignora. Che non comprende. Che sembra tutto questo. Ma parliamo di una madre veggente. 

La crescente complessità dei nuovi problemi che ci troviamo davanti è dovuto al fatto che ormai non ci si muove più sulla superficie allargata di un mondo macroscopico, bensì in un mondo microscopico di strutture invisibili. Per arrivare a queste, nella ricerca scientifica, abbiamo bisogno di una strumentazione che, sia pure di poco, disturba l’esperimento. Lo stesso vale per l’uomo, nella complessità del suo essere, fatta di corpo e di mente: in letteratura è necessario scavare sotto l’apparente compostezza e compattezza dell’individuo.1

Ed è esattamente ciò che Mauri fa compiere al suo protagonista: un lungo e tortuoso cammino introspettivo di relazione del sé con se stesso e con gli altri. 

Se consideriamo il dualismo maschile / femminile come costitutivo di ogni cultura occidentale, è implicito in questo dualismo un potenziale simbolico che va dalla direzione della sua continua ripresa, affermazione, revisione, ridefinizione, sovvertimento. In altre parole, è proprio il dualismo che se da una parte afferma la differenza, dall’altra implicitamente spinge a modi di superamento della stessa differenza. La letteratura del Novecento è piena di opere nelle quali il maschile e il femminile intrattengono un rapporto fondato non sulla separazione ma sulla mescolanza, sull’avvicinamento, sull’ibridazione. Basti pensare a Carlo del romanzo di Pasolini, o a Ernesto di Saba. Ma la domanda da porsi è: possiamo ricondurre al corpo e in particolare alla sessualità un discorso intorno alla “verità” su cui si impostano le strutture retoriche del testo? Questi testi vanno interpretati con una logica invertita: servono a farci capire che all’interno della modernità si muovono forze che, pur non venendo esplicitamente alla luce, rendono sismico il campo su cui si costruisce il discorso letterario.2 E sono esattamente queste forze che muovono il romanzo di Mauri.

Il protagonista è e rimane combattuto, quasi schiacciato, tra il legame, a volte morboso, con una madre davvero singolare e quello con se stesso, l’unico che può offrirgli la forza di costruire un’unione con Gabriel, per esempio. Ma gli ostacoli non risiedono solo fuori dal sé, ovvero nell’ingerenza materna. No, sono dentro di lui. E sono questi i più pericolosi, deleteri, oscuri. A tratti perversi. 

Poison di Andrea Mauri è un libro molto introspettivo. Molto profondo. Una storia che illumina i lati oscuri che si celano in ognuno di noi, i traumi irrisolti, i contrasti mai sopiti, le emozioni mai affiorate, i sentimenti di amore che si trasformano in odio e viceversa. Una lettura impegnativa che scuote e sorprende. Intriga e rinnega. Affascina e rattrista. Reazioni per certo previste dall’autore perché trasmesse attraverso Antonello e la sua storia, volutamente costruita da Mauri per sortire questo effetto choc in chi la legge, odiandola mentre se ne innamora. 

Il libro

Andrea Mauri, Poison, Extempora Edizioni, Siena, 2025.


1M. Bresciani Califano, Con gli occhi della mente. Letteratura e scienza: l’estetica dell’invisibile, Firenze University Press, Firenze, 2024.

2M.A. Bazzocchi, Il codice del corpo. Genere e sessualità nella letteratura italiana del Novecento, R. Gasperina Geroni (a cura di), Edizioni Pendagron, Bologna, 2016.


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© 2025, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Rosalia Alberghina, Diletta

29 giovedì Mag 2025

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Diletta, recensione, romanzo, RosaliaAlberghina, RossiniEditore

Diletta, protagonista del romanzo di Alberghina, non ha girato il mondo eppure, in qualche modo, è stato il mondo ad andarle incontro. Lei lavora come addetta allo scalo aeroportuale, ovvero come hostess di terra e di persone, provenienti da ogni angolo del pianeta, ne ha incontrate e incrociate davvero tante. 

Sin dall’antichità, spedizioni fantastiche verso un altrove reale o immaginario, discese agli inferi e voli estatici nell’ottavo cielo, viaggi al limite del mondo conosciuto, sulla luna o giù negli abissi, oltre i confini del cosmo e del tempo, hanno stimolato l’immaginazione poetica della letteratura mondiale. Sono itinerari di conoscenza attivati dalla curiositas e dal senso di meraviglia dell’eroe, oppure sono percorsi utopici che sondano le possibilità di miglioramento del vivere collettivo. Possono, a volte, assumere la forma di viaggi allegorici, di pellegrinaggi oltremondani o di tragitti mistici, arcani, sacri.1

Il viaggio, dunque, come struttura originaria di ogni opera narrativa è una nozione che evoca un ampio orizzonte antropologico, in grado di spiegarne la straordinaria molteplicità e longevità. Un tema di lunga durata, che attraversa la letteratura dal mondo antico a oggi, e si manifesta in sentieri immaginari come nelle frontiere più tangibili degli spazi geografici, a rappresentare la vocazione umana all’erranza.2

La conoscenza del mondo attraverso il passaggio di tutti i viaggiatori dall’aeroporto dove lavora, rappresenta, in un certo senso, il viaggio allegorico di Diletta. Questa infatti non solo riflette sulle informazioni apprese dalle persone conosciute ma le utilizza per immaginare anche la sua esistenza oltre il viaggio non-viaggio di tutti gli anni trascorsi in aeroporto. 

Scrivere e viaggiare sono entrambe attività che hanno origine da un atto di straniamento e “defamiliarizzazione” che disorienta lettore ed esploratore insieme. Essere testimoni di realtà mai viste prima, meravigliose e sconosciute, favorisce anche una nuova e diversa consapevolezza e ridefinizione dei limiti del linguaggio. In tutte le sue varianti, il viaggio è un’esperienza che mette in discussione visione del mondo e identità abituali, grazie alle conseguenze trasformative dello spostamento in terre incognite e dell’incontro con l’altro. Può essere una ricerca con effetti negativi o positivi, risultare in un guadagno o in una perdita, portare a una nuova conoscenza di sé, e un’espansione della propria coscienza, oppure alla dissoluzione. Dall’idea convenzionale del viaggio come distacco motivato da necessità ed esigenze di vario tipo, si arriva a formulazioni postmoderne e postcoloniali che celebrano, invece, l’erranza nomadica e senza mete stabilite, l’opportunità, insomma, di girare il mondo abbandonandosi alla corrente di modalità dinamiche più relazionali e reciproche di dialogo e scambio, al di là di gerarchie statiche, categorie immutabili e ruoli prefissati.3

Nell’andirivieni di passeggeri viaggiatori si insinua e si incunea anche l’esistenza, un po’ reale e un po’ immaginata, di Diletta la quale prova a costruire, o solo immaginare, anche la sua vita sentimentale rimanendo ferma, a tratti immobile, mentre tutto il mondo sembra girarle vorticosamente intorno. 

L’amore scritto è espressione di una necessità degli uomini (e delle donne), quella di raccontare la tensione verso la propria identità per coglierne il senso e il valore; attraverso il linguaggio si svela la narrazione del sé, si ricerca l’Io mediante la rappresentazione delle sue forme. Scrivere sull’amore sembra allora permettere/promettere un ricongiungimento del soggetto con la natura dialettica dell’identità che la vuole composta dall’alterità, nel momento in cui il sentimento amoroso spinge verso e oltre sé, indicando l’origine e la fine di una ricerca.4

E Diletta ha condotto quasi in maniera spasmodica la sua personale ricerca non tanto e non solo dell’amore in sé quanto, piuttosto, della persona che potesse rispondere a tutte le aspettative, prevalentemente non sue ma di sua madre e che rientrasse appieno nei canoni standard voluti da società e famiglia. Ovviamente queste aspettative hanno ingenerato non poche pressioni nella ragazza. Pressioni che hanno poi influito su scelte, decisioni e indecisioni, ribellioni, emozioni, sentimenti e comportamenti. 

La storia di Diletta diventa così l’itinerario di un lungo viaggio con tanti scali e cambi di destinazione inaspettati, ritardi, cancellazioni, chiusure e riaperture. Un viaggio che la conduce e la fa impattare contro l’emoticon di un cuore rosso fasciato da una benda bianca e la sua mente subito lo raffronta con il kintsugi, l’antica arte giapponese di riparare le rotture e fare in modo che anche le sue cicatrici diventino qualcosa di prezioso.

Il libro

Rosalia Alberghina, Diletta, Rossini Editore, Milano, 2024


1F. De Cristofaro, R. Antonangeli, Introduzione. Il viaggio immaginario: le terre incognite della scrittura tra epica, fantastico ed ecofemminismo, in StatusQuestions : Language Text Culture, n° 24, 2023.

2D. Capodarca, Viaggi e pellegrinaggi tra storia e letteratura, in Annali Online di Ferrara, Unife – Università di Ferrara, 2012.

3F. De Cristofaro, R. Antonangeli, op.cit.

4A. Taglioli, Fenomenologia dell’amore scritto, in SocietàMutamentoPolitica, vol. 2, n° 4, Firenze University Press, Firenze, 2011.

Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


Source: Si ringrazia l’autrice per la disponibilità e il materiale.

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Philippe Forest, Il romanzo, il reale e altri saggi

Il romanzo che l’autore non voleva scrivere: “Piano americano” di Antonio Paolacci (Morellini Editore, 2017)

Silvia Giagnoni, Alabama Hunt

Duilio Scalici, L’educazione sbagliata

Sara Mesa, La famiglia

“Proiezioni. Una storia delle emozioni umane” di Karl Deisseroth

Mattia Morretta, Non fu l’amore

La bellezza non basta. L’amore del Rinascimento che ha cambiato il mondo 


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Liana Zimmardi, L’urlo dei gattopardi

23 venerdì Mag 2025

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Giunti, LianaZimmardi, LurlodeiGattopardi, recensione, romanzo

Il romanzo di Zimmardi conduce il lettore all’autunno 1847, a una manciata di mesi prima lo scoppio dei moti insurrezionali del ’48. Una rivoluzione nella quale in molti hanno creduto ma per ragioni diverse. Isabella di Cabrera, protagonista delle vicende narrate, ci vuol vedere un’opportunità di rivalsa per le donne, una grande opportunità per far valere anche i loro diritti. 

I movimenti rivoluzionari del 1848 rappresentano l’apice di una trasformazione, di un’evoluzione di lungo periodo della società europea, che non si adattava più al quadro istituzionale e territoriale stabilito nel 1814-15 dalle grandi potenze, immediatamente dopo la caduta dell’impero napoleonico. L’assetto deciso dal Congresso di Vienna non aveva, infatti, tenuto conto delle sempre più vive aspirazioni dei popoli all’indipendenza, alla libertà, all’identità nazionale. 

La Sicilia apre l’anno classico del rivoluzionarismo europeo e italiano e la sua insurrezione può essere considerata come il sintomo concreto che darà inizio alla “stagione” delle rivoluzioni del 18481, che da questo estremo lembo d’Europa si sarebbero estese a macchia d’olio, confermando l’esistenza di un comune spirito europeo.2

I riflessi degli eventi rivoluzionari che avverranno a Parigi a partire dal febbraio 1848 saranno recepiti in Sicilia quale occasione rilevante per dare vita a un nuovo sfondo politico in seno all’isola. Si delineò un concetto diverso di autonomia, concepita non più come separatismo ma opposizione al centralismo napoletano e istanza all’autogoverno3 in funzione di un idoneo inserimento del Regno meridionale nel contesto unitario italiano, allora concepito in termini federalistici. 

Muovendosi con disinvoltura all’interno del campo di forze creato dall’esperimento della monarchia amministrativa borbonica, i ceti dirigenti isolani saranno in grado di sfruttare e massimizzare le risorse materiali e simboliche che il nuovo Stato metteva loro a disposizione. L’accumulazione di questo modernissimo capitale politico permetterà alla Sicilia di sfidare i Borboni su posizioni sempre più avanzate passando dal costituzionalismo al nazionalismo, sino alla guerra civile e all’estinzione della monarchia.4

La spinta al cambiamento, generata dalla rivoluzione, avrà una ricaduta sulle donne intellettuali, sulle poetesse e sulle giornaliste, specie tra quante si trovarono schierate con l’ala democratico-repubblicana e laico-socialista: tale componente finì poi per polemizzare aspramente con coloro che ne avevano monopolizzato gli esiti in senso moderato.5 Era opinione ampiamente diffusa che la religione, priva di dogmatismi, intolleranze e violenze, se aperta alle istanze di rinnovamento sarebbe potuta divenire simbolo e modello di unità e di rigenerazione dell’intera collettività, grazie al quale la giustizia sociale avrebbe potuto trarre ispirazione dalla saggezza dell’ordine divino.6 Alla spinta religiosa le donne culturalmente più impegnate univano l’educazione familiare, il senso morale, l’amore per la patria.7

La nobildonna Isabella, protagonista del libro di Zimmardi, sembra incarnare tutti questi aspetti dimostrando il suo impegno non solo nella lotta contro il dominio borbonico ma anche, e soprattutto, per la libertà di tutte le donne. Una libertà che va conquistata nei vari aspetti della società fino ad allora preclusi alla partecipazione femminile come nella sfera privata, emotiva, sentimentale. È l’amore infatti il vero perno intorno cui ruota la narrazione. Storie di amore e passione costruite e modellate sugli eventi di quel periodo storico, di quei giorni, intensi e convulsi che hanno per certo determinato le scelte dei protagonisti. 

Personaggi delineati dall’autrice in modo da rappresentare il duplice e spesso opposto significato del termine: Gattopardo è colui che appartiene o è appartenuto al ceto dominante o agiato in un precedente regime ma è anche colui che si mostra promotore o fautore del cambiamento, anche se in realtà lo fa solo per poter conservare potere e privilegi. Idea basata sull’affermazione di Tancredi, nipote del principe di Salina: se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.8 Eppure, il principe Fabrizio Corbera di Salina ipotizzava che nulla sarebbe davvero rimasto come prima allorquando affermava: noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene. Borghesia senza radici e senza educazione. 

Il romanzo di Liana Zimmardi è una tormentata storia d’amore immersa in un tubolento periodo storico, un libro che riporta il lettore anche ai problemi legati al ceto sociale e alle classi di appartenenza. Si sofferma sugli intrighi di potere, sugli ideali e sulla volontà di inseguirli. Sugli interesse personali che prevalgono sul bene collettivo. Diventa così inevitabile il raffronto con il presente e la constatazione di quante cose siano cambiate da allora. Sembra quasi che tuttosia cambiato. Ma è cambiato davvero, oppure i cambiamenti ci sono stati affinché tutto restasse immutato?

Il libro

Liana Zimmardi, L’urlo dei gattopardi, Giunti, Milano, 2025.


1P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Einaudi, Torino, 1962.

2M. Morello, Per la storia delle costituzioni siciliane. Lo Statuto fondamentale del Regno di Sicilia del 1848, in Studi urbinati, 2006, fasc. 3.

3C. Valenti, L’adesione dei Comuni dell’Isola allo Stato Costituzionale di Sicilia nel 1848, in Atti del Convegno di Studi 150° Anniversario della Rivoluzione del 1848 in Sicilia (a cura di M. Ganci, R. Scaglione Guccione). 

4A. Blando, La guerra rivoluzionaria di Sicilia. Costituzione, controrivoluzione, nazione 1799-1848, in Meridiana: 81, Viella Editrice, Roma, 2014.

5S. Soldani, Donne e nazione nella rivoluzione italiana del 1848, in Passato e Presente, n° 46, 1999.

6P. Rosanvallon, Le sacre du citoyen. Histoire du suffrage universel en France, Gallimard, Parigi, 1992.

7S. Orazi, Giornalismo al femminile nel Quarantotto francese e italiano, in Cahiers de la Mediterranee, n° 104, 2024.

8G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1958.


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


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Silvia Giagnoni, Alabama Hunt

11 domenica Mag 2025

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AlabamaHunt, AlterEgoEdizioni, recensione, romanzo, SilviaGiagnoni

Un tragico incidente di caccia è il motore che innesca una terrificante escalation caratterizzata da estremismo politico e fanatismo religioso. L’asfittica campagna dell’Alabama pre e post 11 settembre, in cui persistono razzismo e xenofobia, rappresenta il teatro nel quale si svolgono le vicende che portano alla traumatica separazione di Markus e Jeff, due cugini cresciuti come fratelli. Il progressivo e volontario allontanamento dalla famiglia condurrà Jeff verso una pericolosa deriva, la parabola di uno spaventoso antieroe, un uomo che nella solitudine emotiva, sociale e psicologica raccoglierà i frutti dell’odio covato per anni, sfogando il proprio disprezzo verso i suoi nemici per eccellenza: i musulmani. 

Alternando flashback che ne ricostruiscono la storia, l’autrice racconta di un uomo che cerca nella violenza la propria redenzione scivolando inesorabilmente verso una fine annunciata.

Tra il romanzo e l’America esiste un nesso intimo e tutto particolare. Nuova forma letteraria quello, nuova civiltà questa. I loro inizi coincidono con gli inizi dell’epoca moderna e invero contribuiscono a definirla.1

Che essere uomo, donna, bambino di colore negli stati schiavisti americani del diciannovesimo secolo equivalesse a occupare l’ultimo gradino della scala sociale dell’epoca è cosa certa. Ciò che non è poi così scontato è la condizione di questi schiavi: sia la letteratura che la cronaca dell’epoca abbondano di testimonianze che mostrano le differenze nel loro stile di vita a seconda di numerosi fattori, tra cui lo stato in cui risiedevano, le mansioni a cui erano addetti e la bontà, o crudeltà, dei loro padroni. Il romanzo americano che, forse più di tutti, analizza le mille sfaccettature dei padroni buoni e di quelli crudeli è l’opera di Harriet Beecher Stowe.2

In Alabama Hunt il periodo dello schiavismo, almeno sulla carta, è ormai lontano. Eppure l’America raccontata da Giagnoni mostra tutti i nodi ancora irrisolti di una società che sa essere tanto buona quanto crudele, esattamente come i suoi padroni.

Oltre 150 anni dopo che il 13° emendamento abolì la schiavitù negli Stati Uniti, la maggior parte degli adulti statunitensi afferma che l’eredità della schiavitù continua ad avere un impatto sulla percezione della comunità afroamericana nella società di oggi.3 Erede del colonialismo europeo, il razzismo degli Usa nasce anche da una volontà di separazione identitaria e culturale con il Vecchio Continente. Lo schiavismo viene da sempre definito il “peccato originale” degli Stati Uniti, un peccato che gli deriva certamente dall’Europa, ma di cui il Vecchio Continente si è purificato molto prima e che, negli Usa, una volta dichiarato illegale, è comunque continuato in altre forme, prima con la segregazione, poi con l’attuale situazione delle comunità afroamericane, che continuano a vivere in ghetti dove il tasso di criminalità è altissimo, come pure quello della disoccupazione, e dove i problemi abitativi e di salute pubblica restano gravissimi.4

L’Alabama è lo Stato simbolo della nascita della battaglia per i diritti civili ma è, al contempo, dove storicamente si è fatta la storia dello schiavismo dei neri dall’Africa e del razzismo più feroce. Ed è proprio in Alabama che, forse simbolicamente, Silvia Giagnoni sceglie di ambientare il suo romanzo il quale non solo tocca ma approfondisce tematiche quali razzismo e xenofobia. 

L’incipit del libro è un trauma, un incidente di caccia che scatena una serie di eventi inaspettati e deleteri, non solo per la vittima diretta ma anche per il cugino, vero protagonista dell’intera vicenda. 

È proprio nel momento dell’impatto traumatico che la realtà si dà al soggetto esperiente prima di qualsiasi tipo di concettualizzazione. Il discorso della letteratura oggi riflette e al contempo costruisce nuovi modi di percepire ed esperire una realtà tardo-postmoderna che spesso è “realfittizia” a causa dell’osmosi di realtà e fiction ma che comunque non si lascia ridurre a rappresentazione o a schemi simbolici e interpretativi. In tale prospettiva, non sorprende che il focussull’esperienza traumatica e sulla sua trasposizione estetica costituisca, a partire dagli anni Novanta, uno dei filoni maggiormente produttivi della letteratura e della teoria letteraria vicina a quei Cultural Studies entro cui si posiziona sempre più saldamente lo studio della letteratura.5 Un filone che Giagnoni sembra aver pienamente abbracciato, cercando, con risultati soddisfacenti, di non precipitare nel paradigma vittimario che caratterizza molta letteratura contemporanea.

L’idea di trauma oggi gode di una fortuna senza precedenti.6 L’epoca in cui viviamo è segnata da una contraddizione paradossale: da un lato le vite scorrono senza alcuna reale possibilità di esperire il trauma, dall’altra, al contempo e proprio in ragione di questa condizione, le persone sembrano non riuscire a occuparsi d’altro. Non vivendo traumi, li immaginiamo ovunque. Come se l’assenza di traumi reali traumatizzasse al punto da costringere a inseguirli in ogni situazione immaginaria possibile. Il punto è che dal trauma immaginario (ovvero dall’immaginario traumatico) attingiamo incessantemente le categorie con cui dar forma a un’esperienza, che in generale di traumatico ha ben poco. Rappresentiamo il non traumatico sotto le spoglie del trauma.7

In Alabama Hunt il trauma rappresenta l’innesco per la serie concatenante di eventi che andranno a determinare non soltanto l’esistenza del protagonista ma anche e soprattutto il suo essere interiore.

Il trauma diventa violenza e la redenzione si pensa debba venire attraverso di essa. È questa la vicenda narrata da Giagnoni ma è questa, in sostanza, la storia americana e, in particolare, quella dell’Alabama dove religione e segregazione su base razziale continuano ancora oggi a essere tratto distintivo. Sono queste tematiche particolari e, a tratti, particolarmente ostiche. Temi sensibili che l’autrice ha cercato di trattare in maniera il più aderente possibile alla realtà eppure traspare, soprattutto nella parte finale del libro, una vena di speranza sul futuro ma anche sul presente. Una nota di ottimismo che si sparge lungo tutto il mare di pessimismo ingenerato dal racconto e dal resoconto del Male, di tutto il male che gli umani riescono a perpetrare ai propri simili, appartenenti alla medesima razza – umana. Operati e posti in essere proprio in nome di questa razza. Della classificazione su base razziale della società. In passato come adesso. 

La speranza di Giagnoni sembra quasi la visione di un mondo quale potrebbe essere la Terra. Ma si tratta pur sempre di un mondo immaginato. Immaginario. 

E se è vero che l’immaginazione non è reale lo è pure che non si riesce proprio a pensare una realtà senza immaginazione.


Il libro

Silvia Giagnoni, Alabama Hunt, Alter Ego, Viterbo, 2024.


1L.A. Fiedler, Amore e morte nel romanzo americano, Longanesi, Milano, 1963. Traduzione di C. Izzo e V. Poggi.

2H. Beecher Stowe, Uncle Tom’s Cabin (La capanna dello zio Tom), 1852. 

3Report: Race in America 2019, Pew Research Center. 

4A.M. Cossiga, I peccati originali d’America hanno radici in Europa, in Limes, 16 luglio 2020.

5M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Bari, 2012.

6D. Giglioli, Senza trauma. Scrittura dell’estremo e narrativa del nuovo millennio, Quodilibet, Macerata, 2011.

7A. Scurati, Letteratura dell’inesperienza. Il romanzo della Dopostoria, Enciclopedia Treccani, 2017.

Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


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Duilio Scalici, L’educazione sbagliata


© 2025, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Duilio Scalici, L’educazione sbagliata

02 venerdì Mag 2025

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CapponiEditore, DuilioScalici, Leducazionesbagliata, recensione, romanzo

Fin dalla sua apparizione il termine “utopia” presenta un carattere volutamente ambiguo e polisemico.1 “Utopia” è, in effetti, la forma contratta che si riferisce tanto a eu-topos, luogo della felicità e della perfezione, che a ou-topos, luogo che non esiste in nessun luogo.2

Duilio Scalici ne L’educazione sbagliata sembra fare propri entrambi i significati del termine utopia. Egli immagina un Eden artificiale quale rifugio per l’umanità che, nella realtà, non esiste in nessun luogo e che deve rappresentare un modello di perfezione e purezza. 

Nell’opera di More, il narratore racconta di un paese e un popolo immaginari le cui istituzioni differiscono, più o meno radicalmente, da quelle delle società esistenti: essi non conoscono l’infelicità di queste ultime e perciò offrono un modello di Città felice. Nelle due isole denominate Colonne d’Ercole che vanno a comporre l’Eden immaginato da Scalici ogni regola è studiata per prevenire il male e scongiurare gli errori che avevano portato alla rovina del pianeta. 

Il paradigma utopistico non nasce dal nulla: le rappresentazioni utopistiche costruiscono le comunità della felicità realizzate nello spazio simbolico già occupato dal mito del paradiso perduto. Gli autori non sono né profeti né indovini. Non sognano di ritrovare il paradiso ma, attraverso il loro lavoro intellettuale, creano qualcosa di artificiale. Le utopie sono costruzioni moltiplicabili e modificabili. Il sogno di felicità che esse offrono è opera puramente umana e profana.3L’utopia generata dalla creatività intellettuale di Duilio Scalici sembra rientrare appieno in quest’ottica. 

Per Italo Calvino l’utopia non è sistemica né teologica, non consiste in un modello completo e ideale da perseguire in un altrove “assoluto”, bensì piuttosto discontinua e pulviscolare, fatta della stessa materia della realtà.4 La città, luogo umano per eccellenza e, per tradizione culturale, luogo di proiezione ideale, sfugge alla primaria percezione sensoriale, la vista, e diviene un luogo non visibile, di cui è difficile constatare l’esistenza, diviene un luogo altro, possibile, ideale.5 Le Colonne d’Ercole di Scalici sono state progettate proprio per rimanere invisibili al caos e alla corruzione del vecchio mondo. Eppure, esattamente come nell’analisi di Calvino, esse finiscono per diventare un altrove, discontinuo e pulviscolare, fattodella stessa materia della realtà, da cui hanno tanto cercato, invano, di nascondersi. 

I Fratelli protagonisti del romanzo hanno entrambi il nome di un fiore: Anemone e Calendula. Trascorrono le loro giornate lavorando la terra in un legame quasi simbiotico con essa al punto da assorbirne anche il colore che diventa il loro colorito “naturale”. Anemone e Calendula hanno un’indole diversa che li porta ad affrontare l’esperienza all’Eden in maniera diametralmente opposta, con risultati che rispecchiano il loro essere e che sembrano quasi scritti nel loro destino, incisi nei loro stessi nomi: il fiore anemone simboleggia speranza e perseveranza, al contrario la calendula è associata a tristezza e pene d’amore. È ricorrente nel testo di Scalici che le persone abbiano il nome di un fiore. È presente anche Ginestra, il nome di un fiore che, nella simbologia, rappresenta la rinascita, l’ottimismo, l’amore e il desiderio. Ma, pensando alla ginestra, non si può non ricordare i versi a essa dedicati da Leopardi.6 La ginestra soccomberà ancora, come ha fatto da che se ne ha memoria, dinanzi alla furia del Vesuvio. Piegherà ancora il suo capo innocente quando il fiume di lava la inonderà per l’ennesima volta. Ma lo farà senza suppliche inutili e codarde alla Natura che ha armato il vulcano contro di lei. Il vero nemico, per Leopardi, in questo caso non è l’uomo ma la Natura, considerata dai suoi contemporanei madre benigna e dal poeta, razionalista e materialista, matrigna.7

Gli utopiani vivono secondo natura e la natura prescrive all’essere umano la ricerca di una vita pacifica e piacevole. L’uomo è per l’altro uomo aiuto e conforto, è questo il principio stesso dell’umanità: nessuna virtù è più connaturata all’uomo che quella di addolcire il più possibile le pene altrui, di far scomparire la tristezza, di far conoscere a tutti la felicità e la gioia di vivere.8 Ma è davvero questa la natura degli uomini? Oppure è altra l’indole degli umani e questi finiranno o finirebbero per distruggere anche il loro Eden artificiale esattamente come hanno mandato in rovina il mondo tradizionale? Ne L’educazione sbagliata Scalici immagina un Eden ipotecato dal peso di verità proibite e bugie ben celate. Ed ecco allora riproporsi anche l’antico quesito: la natura dell’uomo è buona o cattiva? E la Natura cui l’uomo utopico vuol ritornare è buona o cattiva? 

Leopardi considera la Natura come la personificazione delle forze, dei fenomeni, perennemente in contrapposizione all’uomo. Fonte di illusioni, incurante degli uomini. L’uomo deve rendersi conto di questa realtà di fatto e contemplarla in modo distaccato e rassegnato. È la sofferenza che Leopardi reputa la condizione fondamentale dell’essere umano nel mondo. 

Nel libro di Duilio Scalici, gli artefici delle Colonne d’Ercole, nella loro ricerca di purezza assoluta, hanno ignorato la complessità dell’animo umano, esponendo i protagonisti a un conflitto che minaccia di far riemergere le stesse colpe dei loro antenati. Anemone e Calendula, sospesi tra desideri e dilemmi, scopriranno quanto anche un “paradiso”, laddove ignora o rifiuta le proprie ombre, più trasformarsi in una “prigione”. E così, nell’inconsapevole ripetizione degli errori del passato, il sogno utopico delle Colonne d’Ercole si trasforma in un fragile equilibrio pronto a spezzarsi in qualsiasi momento. A polverizzarsi e mescolarsi alla stessa materia di cui si compone: la realtà. 

Il libro

Duilio Scalici, L’educazione sbagliata, Capponi Editore, Ascoli Piceno, 2025


1T. More, UTOPIA, 1516.

2Etimologia di “utopia/utopie” in Treccani Enciclopedia.

3ib.

4G. Gribaudo, Utopia e illusione in immagine nella letteratura di Italo Calvino, in Italies – littérature, civilisation, société, n°25, 2021.

5I. Calvino, Le città invisibili, 1972.

6G. Leopardi, La ginestra, o fiore del deserto, 1836.

7G. Patota, Il fiore di Bella Ciao e La Ginestra di Leopardi, in Treccani100, 25 gennaio 2019.

8Etimologia di “utopia/utopie” in Treccani Enciclopedia.

Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


Source: Si ringraziano l’autore e l’Ufficio Stampa per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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