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Fin dalla sua apparizione il termine “utopia” presenta un carattere volutamente ambiguo e polisemico.1 “Utopia” è, in effetti, la forma contratta che si riferisce tanto a eu-topos, luogo della felicità e della perfezione, che a ou-topos, luogo che non esiste in nessun luogo.2

Duilio Scalici ne L’educazione sbagliata sembra fare propri entrambi i significati del termine utopia. Egli immagina un Eden artificiale quale rifugio per l’umanità che, nella realtà, non esiste in nessun luogo e che deve rappresentare un modello di perfezione e purezza. 

Nell’opera di More, il narratore racconta di un paese e un popolo immaginari le cui istituzioni differiscono, più o meno radicalmente, da quelle delle società esistenti: essi non conoscono l’infelicità di queste ultime e perciò offrono un modello di Città felice. Nelle due isole denominate Colonne d’Ercole che vanno a comporre l’Eden immaginato da Scalici ogni regola è studiata per prevenire il male e scongiurare gli errori che avevano portato alla rovina del pianeta. 

Il paradigma utopistico non nasce dal nulla: le rappresentazioni utopistiche costruiscono le comunità della felicità realizzate nello spazio simbolico già occupato dal mito del paradiso perduto. Gli autori non sono né profeti né indovini. Non sognano di ritrovare il paradiso ma, attraverso il loro lavoro intellettuale, creano qualcosa di artificiale. Le utopie sono costruzioni moltiplicabili e modificabili. Il sogno di felicità che esse offrono è opera puramente umana e profana.3L’utopia generata dalla creatività intellettuale di Duilio Scalici sembra rientrare appieno in quest’ottica. 

Per Italo Calvino l’utopia non è sistemica né teologica, non consiste in un modello completo e ideale da perseguire in un altrove “assoluto”, bensì piuttosto discontinua e pulviscolare, fatta della stessa materia della realtà.4 La città, luogo umano per eccellenza e, per tradizione culturale, luogo di proiezione ideale, sfugge alla primaria percezione sensoriale, la vista, e diviene un luogo non visibile, di cui è difficile constatare l’esistenza, diviene un luogo altro, possibile, ideale.5 Le Colonne d’Ercole di Scalici sono state progettate proprio per rimanere invisibili al caos e alla corruzione del vecchio mondo. Eppure, esattamente come nell’analisi di Calvino, esse finiscono per diventare un altrove, discontinuo e pulviscolare, fattodella stessa materia della realtà, da cui hanno tanto cercato, invano, di nascondersi. 

Fratelli protagonisti del romanzo hanno entrambi il nome di un fiore: Anemone e Calendula. Trascorrono le loro giornate lavorando la terra in un legame quasi simbiotico con essa al punto da assorbirne anche il colore che diventa il loro colorito “naturale”. Anemone e Calendula hanno un’indole diversa che li porta ad affrontare l’esperienza all’Eden in maniera diametralmente opposta, con risultati che rispecchiano il loro essere e che sembrano quasi scritti nel loro destino, incisi nei loro stessi nomi: il fiore anemone simboleggia speranza e perseveranza, al contrario la calendula è associata a tristezza e pene d’amore. È ricorrente nel testo di Scalici che le persone abbiano il nome di un fiore. È presente anche Ginestra, il nome di un fiore che, nella simbologia, rappresenta la rinascita, l’ottimismo, l’amore e il desiderio. Ma, pensando alla ginestra, non si può non ricordare i versi a essa dedicati da Leopardi.6 La ginestra soccomberà ancora, come ha fatto da che se ne ha memoria, dinanzi alla furia del Vesuvio. Piegherà ancora il suo capo innocente quando il fiume di lava la inonderà per l’ennesima volta. Ma lo farà senza suppliche inutili e codarde alla Natura che ha armato il vulcano contro di lei. Il vero nemico, per Leopardi, in questo caso non è l’uomo ma la Natura, considerata dai suoi contemporanei madre benigna e dal poeta, razionalista e materialista, matrigna.7

Gli utopiani vivono secondo natura e la natura prescrive all’essere umano la ricerca di una vita pacifica e piacevole. L’uomo è per l’altro uomo aiuto e conforto, è questo il principio stesso dell’umanità: nessuna virtù è più connaturata all’uomo che quella di addolcire il più possibile le pene altrui, di far scomparire la tristezza, di far conoscere a tutti la felicità e la gioia di vivere.8 Ma è davvero questa la natura degli uomini? Oppure è altra l’indole degli umani e questi finiranno o finirebbero per distruggere anche il loro Eden artificiale esattamente come hanno mandato in rovina il mondo tradizionale? Ne L’educazione sbagliata Scalici immagina un Eden ipotecato dal peso di verità proibite e bugie ben celate. Ed ecco allora riproporsi anche l’antico quesito: la natura dell’uomo è buona o cattiva? E la Natura cui l’uomo utopico vuol ritornare è buona o cattiva? 

Leopardi considera la Natura come la personificazione delle forze, dei fenomeni, perennemente in contrapposizione all’uomo. Fonte di illusioni, incurante degli uomini. L’uomo deve rendersi conto di questa realtà di fatto e contemplarla in modo distaccato e rassegnato. È la sofferenza che Leopardi reputa la condizione fondamentale dell’essere umano nel mondo. 

Nel libro di Duilio Scalici, gli artefici delle Colonne d’Ercole, nella loro ricerca di purezza assoluta, hanno ignorato la complessità dell’animo umano, esponendo i protagonisti a un conflitto che minaccia di far riemergere le stesse colpe dei loro antenati. Anemone e Calendula, sospesi tra desideri e dilemmi, scopriranno quanto anche un “paradiso”, laddove ignora o rifiuta le proprie ombre, più trasformarsi in una “prigione”. E così, nell’inconsapevole ripetizione degli errori del passato, il sogno utopico delle Colonne d’Ercole si trasforma in un fragile equilibrio pronto a spezzarsi in qualsiasi momento. A polverizzarsi e mescolarsi alla stessa materia di cui si compone: la realtà. 

Il libro

Duilio Scalici, L’educazione sbagliata, Capponi Editore, Ascoli Piceno, 2025


1T. More, UTOPIA, 1516.

2Etimologia di “utopia/utopie” in Treccani Enciclopedia.

3ib.

4G. Gribaudo, Utopia e illusione in immagine nella letteratura di Italo Calvino, in Italies – littérature, civilisation, sociétén°25, 2021.

5I. Calvino, Le città invisibili, 1972.

6G. Leopardi, La ginestra, o fiore del deserto, 1836.

7G. Patota, Il fiore di Bella Ciao e La Ginestra di Leopardi, in Treccani100, 25 gennaio 2019.

8Etimologia di “utopia/utopie” in Treccani Enciclopedia.

Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


Source: Si ringraziano l’autore e l’Ufficio Stampa per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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