Proprio quando tutto e tutti spingono verso l’allineamento l’animo dell’artista e dell’intellettuale si sfila e rivendica la propria libertà. Ciavoliello ha indagato l’esser fuori dal coro delle voci del ’68. Ma cosa accade nell’arte e nella cultura oggi?
Il ’68, quel fenomeno sociale che si è soliti caratterizzare con questo numero, è stato non la causa ma l’effetto di un cambiamento molto più profondo che lo ha preceduto e di cui esso, in un certo senso, è stato al servizio. Il passaggio da un capitalismo di tipo produttivo-industriale a un capitalismo di tipo tecno-consumistico esigeva un “tipo d’uomo” conforme alla legge che governa l’universo consumistico, legge che può essere identificata nel “bisogna vendere tutto, bisogna vendere a tutti”. A tale scopo era necessario liberare i soggetti da tutte quelle regole tradizioni valori convincimenti fedi e quant’altro potesse in qualche modo ostacolare un libero e facile accesso al consumo. Ogni assoluto doveva essere relativizzato, ma non in nome di qualche relativismo o nichilismo teorico, piuttosto per preparare la discesa in campo di quel nuovo assoluto pratico che è diventato il consumo. L’idea tanto cara durante il ’68 di una libertà senza limiti trova così una strana concordanza con quel poter consumare senza limiti che costituisce il fondamento stesso della società dei consumi. Il consumismo, infatti, è libertario per sua intima natura, esso esalta a un tempo la libertà e il senzalimiti, così come esalta a un tempo il sogno e l’immaginazione, ben consapevole che sono proprio queste le strade maestre lungo le quali il consumo trova le ragioni più convincenti per trasformarsi in un’attività frenetica (Petrosino, 2018).
Gli anni Sessanta hanno visto i giovani costituirsi come gruppo sociale autonomo, che voleva dare un’identità collettiva trasgressiva e conflittuale ma, al contempo, i loro consumi e il condizionamento che su di essi veniva operato furono uno strumento per integrare i giovani nel contesto economico dell’Italia del boom economico. Si arrivò a identificare i giovani con la categoria di studenti. Le associazioni e i giornali scolastici e universitari volevano rappresentare la loro voce, un megafono indirizzato verso il mondo degli adulti. Si voleva dimostrare di avere non solo dei diritti ma anche un’opinione sui grandi temi di attualità: dalla libertà sessuale all’apartheid, dal rifiuto dell’autoritarismo e della guerra alla libertà di crearsi un’esistenza fuori dal nucleo famigliare. Negli anni Settanta il conflitto generazionale si legò a quello sociale. La situazione economica era mutata. La crisi finanziaria e quella del petrolio inasprirono i toni della protesta, il disagio giovanile non venne compreso dalla classe dirigente e ha per certo rappresentato una miccia incandescente per i successivi “anni di piombo”.
Le contestazioni che hanno caratterizzato il periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Ottanta hanno interessato anche la produzione letteraria e artistica. Il clima post-sessantotto chiedeva agli artisti la partecipazione a varie forme di azione sociale e politica. Da loro ci si aspettava un’adesione alle lotte studentesche e operaie, oltre che una sintonia su una generale messa in discussione di ordinamenti istituzioni autorità. Da parte di artisti e intellettuali è dato per scontato un coinvolgimento o quanto meno una corresponsabilità, propria di chi prende parte schierandosi politicamente. Ed è ciò che effettivamente accade in quegli anni. Si tratta del cosiddetto impegno. Fuori dal coro di Giulio Ciavoliello (Christian Marinotti Edizioni, 2023) è un libro dedicato a quegli artisti e a quegli intellettuali che si sono sottratti a urgenze del momento e a sollecitazioni esterne alla propria ricerca, per affermare con il loro operato un’autonomia dell’arte e dei saperi.
«Cittadini, consideratemi irresponsabile di quanto succede!» recitava una voce registrata passata in loop a una mostra nel Palazzo Ricci a Montepulciano nel 1970 alla quale l’artista Luciano Fabro partecipava proprio con questa opera. Il suo personale modo di esprimere il proprio disimpegno.
L’affermazione di un artista che respinge l’identificazione con una posizione collettiva, che rivendica un’estraneità rispetto a esigenze che non gli sono proprie. Sotto la pressione degli eventi, quando tutto e tutti sembrano spingere a schierarsi, l’artista pone al centro la sua libertà.
Ricorda Ciavoliello il caso di Pino Pascali, il quale sceglie di ritirare le proprie opere per la Biennale di Venezia del 1968 a causa della violenza e delle azioni intimidatorie poste in essere da studenti e polizia.
Vi è sempre l’impossibilità di separare completamente cultura e politica. Nello stesso tempo si pone l’esigenza di una distinzione fra le due, con l’irriducibilità dell’una rispetto all’altra, perché ognuna opera su un proprio terreno e secondo proprie dinamiche. È una cultura autonoma ad arricchire la politica, a giovare alla sua azione, mentre una cultura politicizzata, intesa come strumento di influenza, non può offrirle niente (Vittorini, 1947).
Radio e televisione sono stati a lungo i mezzi di comunicazione di massa più determinanti per il Paese. Con loro l’Italia è uscita da una dimensione ottocentesca, di unione più che altro amministrativa, per entrare in un’altra reale. Analizza a fondo Ciavoliello la relazione tra comunicazione e libertà.
Tra le esperienze che distinguono la socializzazione di persone appartenenti a diversi gruppi sociali, il consumo mediale ha rappresentato, nell’era dei media di massa, una base sostanzialmente condivisa. Individui appartenenti a gruppi sociali diversi, soprattutto se nella stessa fascia d’età, hanno esperito “diete mediali” in gran parte collimanti. In un certo qual modo, il consumo mediale è diventato, insieme a istruzione pubblica, servizio militare, feste nazionali, un fattore di coesione tra gruppi che hanno, al di fuori di questi ambiti, esperienze divergenti. Oggi, l’avvento dei media digitali espande le opportunità di ricezione di comunicazione ma anche di creazione e condivisione di questa. Al limite, ogni persona ha la possibilità di selezionare una “dieta mediale” che si sovrapponga in minima parte a quella di un altro, e che sia continuamente ristrutturata da nuove combinazioni di prodotti comunicativi. Siamo ancora lontani da un tale panorama estremo, nondimeno le tecnologie hanno già oggi permesso all’offerta di comunicazione di ampliarsi molto oltre le capacità ricettive dei singoli, e la prospettiva è di un’ulteriore moltiplicazione (Gui, 2005).
I media digitali, come anche i mass media tradizionali, stanno operando una trasfigurazione del banale in contenuto mediatico. Da “finestra sul mondo” i media si stanno trasformando in oblò sullo spazio intimo di vita delle persone (Codeluppi, 2023).
E allora ci si chiede: se i mass media delle origini hanno aiutato la popolazione a liberarsi di forme di cultura arcaiche, accompagnandola in una dimensione più moderna e reale, gli odierni mass media dove stanno conducendo le persone? Quanto è veramente profonda la costrizione della libertà dell’individuo una volta che la sua esistenza viene proiettata in live o in streaming? Gli artisti e gli intellettuali seguono anch’essi il flusso dei dati oppure operano, a modo loro, una resistenza per essere, ancora una volta, delle potenti voci fuori dal coro?
Articolo pubblicato sul numero di maggio 2024 della Rivista cartacea Leggere:Tutti
Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Marinotti Edizioni per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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