Che cos’è l’Africa per l’Italia e per l’Europa? La si dipinge alternativamente come terra delle opportunità o come mostro demografico pronto a schiacciarci, giacimento a cielo aperto o antro di malattie e pandemie, partner per gli aiuti internazionali o socio nel commercio internazionale, lions on the move i o bottom billion ii. Cosa sono l’Italia e l’Europa per l’Africa? Di fronte ai mutamenti indotti dalla deglobalizzazione e dalle guerre in corso, l’Africa è alla ricerca di un’autonomia che le permetta di fare le proprie scelte in maniera indipendente. Il modello di sviluppo occidentale sembra stia portando tutti in un vicolo cieco ecologico. Il continente africano, che non ha ancora intrapreso tale percorso, è forse nella posizione migliore per inventare un nuovo modello iii.
I saggi raccolti in Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa (Edizioni Angelo Guerini e Associati, 2024), volume collettaneo curato da Mario Giro iv, indagano i vari aspetti delle relazioni fra Italia, Europa e Africa per comprendere se davvero la risposta agli interrogativi sia inclusa o meno nel Piano Mattei del governo Meloni. Ma, soprattutto, mettono in evidenza i punti programmatici mancanti o su cui si dovrebbe lavorare per rendere il Piano, attualmente in una fase ancora embrionale, davvero incisivo ed efficace nella costruzione di un partenariato equo e duraturo.

Il Continente africano sta attraversando una serie di transizioni epocali in campo economico, sociale, politico e demografico. Si prevede che la sua popolazione sarà più che raddoppiata entro il 2050 e supererà quota 2,5 miliardi, un quarto di quella globale. L’Africa rimarrà, in futuro, anche la regione più giovane del mondo, con un’età media di 25 anni. Possiede circa il 30% delle riserve minerarie, il 7% delle risorse petrolifere e di gas e oltre il 60% delle terre arabili incolte del mondo. Il Governo italiano guidato da Giorgia Meloni intende imprimere, con il Piano Mattei, un cambio di paradigma nei rapporti con il Continente africano e costruire un partenariato su base paritaria, che rifiuti tanto l’approccio paternalistico e caritatevole quanto quello predatorio, e che sia capace di generare benefici e opportunità per tutti v.
Fondamentale per l’attuazione del Piano Mattei per l’Africa è il ricorso al Fondo italiano per il Clima, il cui 70% è dedicato all’Africa per la realizzazione di iniziative nei settori dell’idrogeno verde, dell’energia rinnovabile e dell’adattamento agricolo al cambiamento climatico, per il ripristino della biodiversità e per l’uso sostenibile delle risorse naturali. La dotazione iniziale del Piano Mattei è di 5 miliardi e 500 milioni di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie, di cui circa 3 miliardi dal Fondo italiano per il Clima e 2,5 miliardi dei Fondi della Cooperazione allo Sviluppo vi.
Si consideri che nello stesso arco temporale durante il quale la popolazione africana crescerà e l’età media sarà sempre più bassa, l’Europa vivrà un forte declino demografico. Nel 2050, l’Italia avrà registrato un presumibile calo di 7 milioni di abitanti, con piccoli comuni svuotati, un rilevante aumento degli ultraottantenni e una conseguente riduzione della ricchezza nazionale e del welfare, a partire dall’insostenibilità del sistema pensionistico vii.
Viceversa, la popolazione in età lavorativa in Africa, attualmente pari a circa il 56% del totale, aumenterà fino al 63% nello stesso periodo. Il Piano Mattei si propone di dare priorità a quegli interventi che si prefiggono di promuovere la formazione e l’aggiornamento dei docenti, l’adeguamento dei curricula, l’avvio di nuovi corsi professionali e di formazione in linea con i fabbisogni dei mercati del lavoro locali. Potranno essere impiegate le nuove piattaforme digitali per l’apprendimento della lingua italiana a distanza. Egualmente, si potrà considerare il coinvolgimento delle Università italiane nell’attuazione di iniziative di formazione nel Continente africano. Da questo punto di vista è significativa l’esperienza realizzata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) con il “Partenariato per la conoscenza”, che ha l’obiettivo di mettere in rete le migliori competenze tecniche e accademiche italiane per l’alta formazione. Oltre alla finalizzazione e al negoziato di diversi memorandum d’intesa in alta formazione, ricerca e innovazione, a oggi sono circa mille gli accordi inter-universitari con atenei africani, ai quali si aggiungono circa duecento progetti universitari (il 47% dei quali nel settore della formazione). Il sistema universitario italiano è disponibile a condividere con le Università africane il know-how nel campo della ricerca, del trasferimento delle conoscenze e della formazione, con l’obiettivo di sviluppare rapporti di collaborazione paritaria e di crescita comune viii.
Il calo della popolazione italiana è in costante aumento dal 2014, con una contrazione delle nascite e un innalzamento della speranza di vita, un conseguente aumento della popolazione anziana e una riduzione di quella giovane. Secondo questo trend, nel 2050 a essere aumentati saranno solo gli over 55, con un +45,7%, mentre la fascia 18-21 sembra essere destinata a crescere solo del 3,2%. Avere meno giovani significherà avere anche meno immatricolati e meno laureati, con un peggioramento netto della situazione italiana a livello mondiale. Nel 2020 la Commissione Europea ha presentato la European Skill Agenda con dodici azioni finalizzate a promuovere lo sviluppo delle competenze che i cittadini dovrebbero avere per essere in grado di affrontare la complessità del mondo contemporaneo. Sin dalle prime pagine del documento, si sottolinea come la crescita dei Paesi sia strettamente connessa alla preparazione dei propri cittadini. L’istruzione in giovane età rimane fondamentale ma costituisce solo la prima tappa di un percorso di vita, ovvero la prospettiva del lifelong learning.
Nel nostro Paese il 63% delle persone occupabili (ovvero di età compresa tra i 25 e i 64 anni) ha almeno un titolo di studio secondario superiore, contro il 79,5% della media europea e l’83,3% di Germania e Francia. Il 20,3% possiede un titolo di studio terziario (universitario). Una percentuale nettamente inferiore alla media europea (30,4%) e circa la metà di quella registrata in Francia e Germania ix.
I giovani di età compresa tra i quindici e i trenta anni sono al massimo della potenza biologica, sessuale e ideativa eppure la società italiana, e occidentale in generale, se non ne fa proprio a meno, certamente non impiega opportunamente e utilmente quella generazione. Che futuro potrà mai avere, se ce l’avrà, questa società che ignora i propri giovani?
La verità è che, per certi versi, la vecchia società, ancorata a quelli che ritiene baluardi e principi inderogabili, sembra quasi aver paura di questa “massa giovane” di nichilisti attivi che appaiono come i soli ad aver compreso che l’amore è l’unico antidoto al valore del denaro, che non hanno timore di cambiare, stravolgere l’ordine dato, evolvere la società in altro x. Il punto è che la società italiana, e occidentale in generale, sembra non comprendere neanche i giovani stranieri. Si chiede retoricamente Mario Giro nel testo cosa abbia mai la gioventù africana globale che gli occidentali non capiscono, abituati a un mondo in cui i giovani sono pochi.
Questa gioventù possiede un irrefrenabile desiderio di contare, di diventare soggetto, ed è disposta a correre grandi rischi per ottenere il suo posto nella globalizzazione che tutto offre e nega allo stesso tempo. L’atto migratorio diviene l’avventura individuale dell’invenzione di sé, del proprio posto nel mondo. Imparano a essere aggressivi e meno mansueti dei loro genitori: nelle grandi città africane la vita ha assunto i contorni di una lotta per la sopravvivenza che poi si ripete al di là del Mediterraneo. Oggi migrare è realizzare il sogno individuale di prendere in mano il proprio destino.
Lo sguardo occidentale – qualunque sia la posizione sugli immigrati – è miope: non vede la forza colossale insita in tale nuova generazione africana che non si ferma davanti a nulla, esce dal proprio ambiente e va verso l’ignoto. Avventurieri è la parola usata in Africa per chi decide di emigrare in Europa, coloro che hanno il coraggio di fare il “grande viaggio”. Giovani i quali ormai compiono il cammino iniziatico senza più supervisione degli anziani, non c’è bosco sacro, non ci sono classi di età, si supera anche l’etnia. Ci sono solo individui immersi nel caos. La mentalità dell’africano adulto o anziano è ancora legata ai vecchi miti e alle ideologie anni Sessanta, come il panafricanismo, il socialismo africano, il federalismo o la negritudine. La percezione delle giovani generazioni è diversa: tra di esse prevale un’aspettativa di prosperità individuale e molto competitiva. È sorto un ceto medio africano più istruito e culturalmente globalizzato ma meno interessato al futuro comune xi.
Per la giovane generazione intellettuale africana il continente non è più nero ma grigio: fallita l’Africa romantica che fingeva sulla propria grandeur precoloniale, immaginava emozioni e progettava nuove prospettive comunitariste, rimane un’africa sterile e mancata che, tra corruzione e violenza, non ha saputo voler bene ai propri figli i quali ora la disconoscono e hanno smesso di amarla. È questa la rottura sentimentale che si compie: innanzitutto una frattura con sé stessi, con la propria terra matrigna. Ma non si può amare nemmeno chi ha contribuito a renderla così: il mondo “bianco” che non ha risposto alla domanda di reciprocità dei padri. Tra la retorica di un’Africa eterna e il vittimismo costante, resta solo un grande vuoto di cui i giovani africani sono figli. Spaesati – come i loro coetanei di altri continenti – nel grande flusso della globalizzazione, reagiscono con una mentalità egocentrica e globalizzata al contempo.
Oggigiorno molti giovani “votano con i piedi”, cioè se ne vanno. Dopo la generazione sacrificata dell’aggiustamento strutturale (1985-2000) xii, oggi ne è giunta a maturità un’altra che non vuole fare la stessa fine. Per questo si ribella a modo suo e non si fida più di nessuno. La sfida è ricreare un terreno d’intesa ricostruendo le basi di un dialogo comune. xiii
Uno dei modelli di integrazione, diffuso soprattutto in Germania, Svizzera e Belgio, è quello del “lavoro temporaneo”, il quale accoglie immigrazione sulla base di necessità stagionale, temporanea e settoriale di manodopera, permettendo l’ingresso a persone alle quali vengono garantiti diritti sindacali ma non politici. Non vengono offerte opportunità di integrazione ma solo di lavoro. Tutto ciò, costruito nell’ottica di una migrazione circolare, presuppone permessi di soggiorno legati alla durata del contratto di lavoro, eventualmente rinnovabili, esclude la possibilità di ricongiungimenti familiari e rende molto difficolto l’accesso alla cittadinanza. La Francia, invece, ha quasi sempre prediletto l’approccio assimilazionista. Il processo di naturalizzazione prevede una rapida omologazione anche culturale, mediante adesione alle regole democratiche laiche che fondano la comunità francese. L’Italia non ha mai davvero adottato alcun modello per cui il sistema di integrazione viene “costruito” nei fatti dalla stratificazione normativa vigente in materia. xiv La fattispecie risultante potrebbe essere definita con un ossimoro assimilazionista di tipo escludente.
La mancanza di un qualsivoglia modello teorico adeguato ad affrontare la questione immigrazione nel nostro Paese va inteso come l’effetto di alcuni fattori che hanno orientato il dibattito pubblico in senso emergenzialista e conflittuale, producendo esiti frastagliati dovuti proprio alla mancanza di un paradigma generale. xv In Francia viene richiesto agli immigrati di assimilarsi al sistema culturale ospitante e in cambio viene offerta una rapida e piena integrazione che culmina con l’attribuzione della cittadinanza, in Italia questo scambio risulta fortemente impari: i migranti dovrebbero rinunciare alla loro identità etnica, culturale e religiosa in cambio di nulla.
La politica migratoria del governo Meloni presenta una tripartizione netta e ben definita. La prima politica è quella inerente l’accoglienza dei rifugiati ucraini e mantiene, sostanzialmente, la linea dettata dal governo Draghi nel marzo 2022. La seconda, egualmente non nuova ma rafforzata dall’attuale governo, consiste nell’apertura nei confronti degli ingressi dei lavoratori, soprattutto per lavoro stagionale m anche per occupazioni stabili. La terza politica è quella della chiusura verso gli ingressi per ragioni umanitarie. Gli impedimenti frapposti ai salvataggi in mare da parte delle ong, il decreto Cutro con la quasi abolizione della protezione speciale per i rifugiati e la conseguente condanna a una vita di stenti per i richiedenti asilo respinti, ma raramente espulsi, le restrizioni all’accoglienza dei minori non accompagnati, i ripetuti viaggi e gli accordi con il regime tunisino e con quello egiziano, oltre a quelli con la Libia sembrano aver delineato una linea politica a suo modo coerente ma in netto contrasto con l’articolo 10 della Costituzione e le convenzioni internazionali sul diritto di asilo.
In questa cornice si inserisce anche l’accordo con l’Albania e la realizzazione dei centri extraterritoriali per l’esame delle domande d’asilo. Meloni ha parlato di una misura di deterrenza nei confronti dei potenziali partenti ma il fatto che nei due centri verranno trattenuti soltanto uomini adulti non fragili, tratti in salvo da navi militari e provenienti da paesi classificati come sicurixvi conferma l’intenzione punitiva del progetto. xvii
Il Piano Mattei, nelle intenzioni del governo Meloni, mira a sviluppare economicamente le aree da cui maggiormente origina il fenomeno migratorio, con l’intento di limitarne gli effetti e combattere la tratta internazionale dei migranti irregolari. In Italia, le comunità di migranti africane si sono integrate stabilmente, dando vita a un tessuto associativo ricco e variegato che va dall’integrazione sociale alla promozione culturale. L’emergenza e la crisi scatenata dall’esplosione della pandemia da Covid-19 hanno evidenziato l’importanza del ruolo che giocano le associazioni delle diaspore. Durante i lockdown le associazioni hanno prontamente attivato meccanismi di risposta all’emergenza dovuta all’epidemia, attuando iniziative diversificate nei Paesi in cui operano e affrontando una situazione unica che ha colpito le diaspore due volte: in Europa nei Paesi di approdo e, contemporaneamente, nei loro Paesi di origine. Le diaspore, inoltre, rappresentano una risorsa inestimabile per lo sviluppo economico dei loro Paesi attraverso le rimesse e gli investimenti.
Per Dioma, queste attività non solo migliorano le condizioni di vita ma rafforzano anche le relazioni bilaterali con l’Italia. I membri della diaspora si muovono tra due Paesi e conoscono le condizioni di vita di entrambe le parti. Questa posizione li rende attori chiave nel dibattito sulla cooperazione allo sviluppo. La loro comprensione delle culture, delle dinamiche economiche e delle esigenze e opportunità specifiche di entrambi i contesti li rende particolarmente efficaci nel promuovere progetti di sviluppo che siano culturalmente sensibili e mirati. Il coinvolgimento attivo degli stessi migranti nei processi di sviluppo assicura che le iniziative siano realmente rispondenti alle necessità delle comunità locali xviii e andrebbero attivamente coinvolti nei progetti di cooperazione, anche e soprattutto quelli del Piano Mattei.
Il fenomeno migratorio africano, contraddistinto da particolare intensità e complessità, è favorito dalla prossimità geografica di due Continenti simbolicamente uniti, oppure separati, dalle medesime acque. Il declino di una concezione dello spazio geografico come susseguirsi di distese contigue, dominate da un’enfasi sui confini come sedi di conflitto, con i mari come vuoti; l’estinguersi rapido di un assetto geopolitico che trovava in due “superdistese” la sua semplificata versione globale, ha privato il Mediterraneo di una plurisecolare funzione di diaframma tra due mondi, ha abbattuto (o meglio, reso inutile) una frontiera che è stata caricata di significati di separazione tra mondo moderno e spazi più o meno organizzati della povertà, spazi dei conflitti. La chiave di lettura, in sostanza, è quella di una situazione-regione, rispetto a quella contrastante di regione-situazione (intendendo con la prima il ruolo di semplice spazio attraversato di linee di forza esterne, e per la seconda quello di campo in qualche modo gestito e governato) xix.
I migranti sono letteralmente prodotti dall’ordine del nostro legiferare sul mondo e ridotti a un fattore esclusivamente economico o legati a una crisi politica. Necessita invece, per una maggiore comprensione della modernità, che la migrazione venga interrogata come presenza complessivamente ben più profonda e ampia. Pensare con la migrazione, andare oltre la superficie fino alle più profonde diseguaglianze della giustizia economica, politica e culturale negata che struttura e dirige questo nostro mondo.
I migranti, affermando il loro diritto a muoversi, migrare, fuggire, spostarsi, non solo rompono gli schemi e si oppongono al rispetto del posto assegnato loro dalla storia, ma segnalano anche la modalità precaria contemporanea della vita planetaria. È il modo in cui i molteplici sud del pianeta si propongono all’interno della modernità. E proprio questo nuovo modo di promuoversi viola e indebolisce le categorie applicate loro dal nord egemonico xx.
Il discorso sui giovani in Africa, da qualsiasi angolatura lo si intenda imbastire, pone di fronte a complessità di ordine innanzitutto teorico. Da un punto di vista analitico, infatti, la categoria “giovani” applicata all’eterogenea vastità culturale, storica, territoriale, economica e politica del continente africano, costituisce un insieme estremamente denso e composito che interroga fin da subito sul rischio di eccessive generalizzazioni. Oggetto di ricerca, dibattiti e analisi accademiche multidisciplinari, bacino umano di risorse spesso manipolate dall’alto, ma anche fonte di timore per quei governi che mal sopportano l’emergere di nuove coscienze politiche e resistenze dal basso, segmento “vulnerabile” della società destinatario di numerosi progetti di cooperazione, ma anche segmento familiare “forte” su cui si riversano aspettative e responsabilità, la fetta più consistente della popolazione, ma sovente la più esclusa dalle istanze decisionali. Tutto questo e molto altro, i giovani, definiti in termini di categoria, finiscono spesso per slittare da moltitudine di soggettività a oggetto omogeneo, in ragione di quell’appiattimento che in una qualche misura la categoria stessa produce.
In questo senso, pur considerando i tratti che in linea generale accomunano trasversalmente i giovani in Africa, è necessario dotarsi di una visione plurale che tenga conto delle tante gioventù africane e di come esse si collochino nella società. Un aspetto fondamentale è proprio lo spazio peculiare che esse abitano, e cioè quello situato all’intersezione tra modernità e tradizione, tra locale e globale, tra immobilità e mobilità, tra marginalità e centralità. Queste intersezioni, tutt’altro che fugaci punti di contatto, rappresentano snodi vitali, zone di confluenza creativa dove si concentra una produzione incessante di nuovi modelli, nuove relazioni e nuove identità politiche, economiche, sociali e culturali, nonché nuove forme di adattamento a una realtà in continuo fermento e non di rado disorientate. Una produzione che scaturisce da processi di rielaborazione simbolica e risignificazione di luoghi e relazioni di potere da cui emerge quella capacità di aderire plasticamente al cambiamento, ma anche di produrlo in maniera attiva e consapevole. Un elemento, questo, che rompe con la visione di una gioventù statica e passiva che, al contrario, conquista un protagonismo sempre più evidente xxi. Le primavere arabe e i movimenti di contestazione in Africa subsahariana sono l’espressione più evidente della centralità della “questione giovanile” nel Continente.
In qualità di naviganti della globalizzazione connessi con il mondo ma in relazione quotidiana con il proprio territorio di cui sperimentano potenzialità e carenze, anche dal punto di vista del lavoro i giovani vanno considerati come compositori di nuovi modelli. Nel proporre prospettive in base alle proprie esigenze e competenze, visto l’aumento del livello di istruzione a partire dagli anni 2000 in avanti, si dovrebbe innescare anche quel processo di adattamento dei modelli professionali al contesto locale.
La crescita delle città, la nascita della classe media, l’emergere di una società civile forte e dinamica, lo sviluppo economico e politico, la diminuzione dei conflitti sono già realtà in Africa. Realtà che in Italia non vengono pressoché mai raccontate. L’impressione è che il Piano Mattei sia il tentativo di mettere in rete il patrimonio di progetti, relazioni e iniziative che uniscono le due sponde del Mediterraneo. Lo sviluppo dell’Africa è forse la più importante occasione di crescita e sviluppo dell’Italia dal dopoguerra. L’Africa è il posto dove investire perché dispone delle più ricche fonti di energia rinnovabile, di manodopera e risorse. L’area di libero scambio continentale africana è un mercato da 3.400 miliardi di dollari. Nell’analisi di Zaurrini si evidenzia come il Piano Mattei sia necessario più all’Italia che all’Africa.
Negli ultimi quarant’anni l’Italia in Africa ha latitato nel sistema geopolitico, ma non gli italiani. Le aziende italiane sono sempre state presenti e continuano a farlo in numero crescente. Ci sono stati e ci sono i grandi gruppi industriali del settore dell’energia, sia quella classica che quella rinnovabile, quelli delle infrastrutture e delle costruzioni o dell’agroalimentare. Proliferano poi le piccole e medie aziende. Il primo vero problema, per chi opera in Africa o è intenzionato a farlo, sono le difficoltà che si incontrano nel settore bancario o finanziario. Persiste uno scollamento tra un tessuto imprenditoriale fatto soprattutto di piccole e medie imprese che, complice la crisi, si sta rivolgendo sempre più spesso a mercati emergenti, compresi quindi quelli africani, e un sistema Paese – in cui rientrano le banche e le assicurazioni – che ancora stenta a muoversi in direzione sud. Ci sono banche italiane in Nord Africa ma a sud del Sahara sono presenti solo in via indiretta, attraverso filiali di gruppi stranieri che, nel frattempo, hanno acquisito il controllo di istituti italiani.
La scarsa conoscenza dell’Africa e delle sue dinamiche tra gli operatori economici e finanziari, la quasi totale assenza del sistema bancario e finanziario africano sono i principali freni all’esplosione delle relazioni economiche tra l’Italia e il grande continente. Il Piano Mattei deve evitare di cadere nell’equivoco investimento-commercio: le aziende italiane che vogliono investire in Africa non sono tante, quelle che vogliono commerciare sono invece molte ma molte di più. Non può essere un piano di sostegno al commercio italiano se si intende incidere davvero sulle cause profonde di sviluppo economico, politico e sociale del continente africano. xxii
Le aziende italiane, che di sovente si muovono autonomamente e con forte spirito mercantile o avventuriero, devono imparare a fare sistema, uscendo dall’ebbrezza e dall’autocompiacimento di quel Made in Italy pronunciato come fosse un sinonimo planetario di qualità e, troppo spesso, invocato come un passepartout adatto a ogni situazione. xxiii
Al contrario, i concetti di impresa, imprenditore, competitività, gestione del rischio e così via, non sono universalmente interpretabili allo stesso modo, ma sono estremamente fluidi e variegati in base al contesto.
Bisogna tenere ben presente la questione dell’adattamento del concetto di impresa al contesto africano, dove l’economia risponde a criteri di condivisione, di spartizione delle risorse anziché di monopolio, di relazioni familiari e benessere comunitario anziché individuale. L’Africa deve riposizionarsi nel mondo a partire dalle sue specificità, affrancandosi dal rapporto mimetico insano e caricaturale nei confronti dell’Europa e proponendo modernità alternative squisitamente africane xxiv.
Il ruolo che i giovani stanno assumendo nei processi di trasformazione sociale, economica e politica ha una centralità crescente, a dimostrazione di quanto sia fuorviante quell’immobilità che viene loro attribuita come fossero in balia delle privazioni senza possibilità o volontà di reagire. Se da un lato è innegabile che molti giovani africani sono costretti a fare i conti con situazioni di conflitti, povertà e violenza, dall’altro questo non coincide automaticamente con passività e rassegnazione. xxv
Essi rappresentano un insieme eterogeneo che nel quotidiano naviga il concetto di sviluppo nell’era della globalizzazione, incarnandone i paradossi e le potenzialità. Se la gioventù africana fosse vittima dell’esclusione sociale, probabilmente la sua presenza nelle organizzazioni della società civile, nella politica dal basso, nella produzione culturale, artistica e intellettuale non sarebbe così robusta. Per questo motivo, costituiscono una delle voci principali che i decisori politici e gli attori della cooperazione internazionale hanno il dovere di ascoltare. Se uno degli elementi centrali delle politiche di sviluppo è la costruzione di progetti in linea con le peculiarità dei contesti in cui si opera, i giovani sono forse coloro che più sono in grado di far luce sulla dimensione dell’avvenire, sul «futuro come fatto culturale»xxvi, un futuro immaginato attraverso cui si costruiscono strategie di adattamento a partire dal quotidiano.
Da un punto di vista eminentemente pratico, i giovani dovrebbero assumere la posizione di interlocutori principali, dovrebbero cioè essere ripensati come co-costruttori delle politiche per il lavoro, e non soltanto come destinatari. Un processo, questo, che deve inevitabilmente includere anche un ripensamento dei modelli economici su scala locale, non necessariamente dipendente da ciò che l’Occidente intende per modernità xxvii.
La filosofia che sembra prosperare tra i giovani africani è quella della salvezza individuale legata al rifiuto del passato (sia quello tradizionale che quelli coloniale e post-coloniale), al ripudio dei propri leader fallimentari ma anche al rigetto dello straniero. Mai come ora, i giovani africani si concepiscono soli, rivendicando allo stesso tempo la propria libertà e il diritto di accedere al resto del mondo. Sottolinea Giro che uno dei motivi ricorrenti è la collera contro le classi dirigenti africane le quali, mentre mandano i loro figli nelle scuole all’estero, hanno abbandonato il settore educativo, lasciato andare in rovina le strutture scolastiche, non hanno sovvenzionato gli insegnanti rurali e hanno lasciato cadere la sanità.
Talune caratteristiche proprie della società postcoloniale stanno facendo la loro comparsa nei Paesi del Nord, anch’essi alle prese con una crescente eterogeneità demografica che produce fratture e rivendicazioni identitarie, con un’economia delocalizzata dove i centri di produzione e di consumo appaiono dispersi, dove la finanza prevale sulla produzione, la flessibilità sulla stabilità. In altri termini la diffusione della democrazia sembra andare di pari passo con l’espansione globale del capitalismo con tutte le sue contraddizioni. La politica, per gli Tswana ad esempio, è in primo luogo una dimensione partecipativa vissuta nel fluire della vita sociale. Non stupisce che, a partire da questa concezione, la democrazia formale di tipo occidentale basata sull’espressione elettorale e sull’alternanza dei partiti al governo risulti insoddisfacente. Come altre società africane dotate già in epoca precoloniale di complesse strutture politiche centralizzate, gli Tswana credono fermamente nel senso di responsabilità che il leader deve alla comunità: un famoso adagio tswana recita kgosi he kgosi ka morafe, «un capo è un capo grazie alla sua nazione». La concezione di politica tradizionale tswana si basa in definitiva su un’idea di democrazia sostanziale, mentre la democrazia formale ottenuta attraverso il voto risulta in questo contesto poco saliente xxviii.
La modernità viene intesa come il mito eurocentrico di una “teleologia universale” caratterizzata dall’idea di un progresso unilineare che l’umanità intera starebbe inevitabilmente perseguendo. Tutte le culture evolverebbero in questa prospettiva attraversando (con ritmi e tempi diversi) vari stadi di sviluppo per raggiungere infine il traguardo della civiltà che contraddistinguerebbe l’età moderna. È evidente come questo impianto concettuale – che si è dimostrato ampiamente congetturale – abbia fornito un alibi scientifico e morale all’espansione coloniale: nel nome dello “sviluppo economico”, della “conversione”, l’Europa potè infatti giustificare la conquista di ampie regioni del mondo xxix. I Comaroff hanno levato con forza la loro voce contrapponendo all’idea eurocentrica di una modernità universale l’immagine di modernità multiple o alternative. L’agency africana, come quella di altre culture extraeuropee, ha dato vita a forme di modernità differenti, risultato dell’incontro tra le identità locali e i processi globali innescati dal colonialismo. Declinare la modernità al plurale, mettendo in discussione la presunta unidirezionalità Nord-Sud dei flussi di idee, è dunque il presupposto della proposta controevoluzionista analizzata dai Comaroff.
Sorge a questo punto spontaneo un quesito: nei programmi come il Piano Mattei c’è davvero la volontà di una cooperazione basata sul reciproco rispetto di idee e risorse da ambo le parti istituzionali?
Mario Giro sottolinea come il tema della cooperazione tra Italia e Africa sia stato, negli anni, molto altalenante. La scommessa del Piano Mattei è quella di superare tale limite creando una vera e propria azione sistemica che duri nel tempo. La frattura tra Occidente e Africa, segnatamente con la Francia in Africa occidentale, rende tale compito arduo. Nei recenti colpi di Stato continentali si è visto bruciare bandiere francesi e alzare quelle russe. Sono scene del Mali o del Burkina Faso e infine del Niger. Si tratta di una rottura definitiva con l’Occidente? Lo si è visto anche nei ripetuti voti alle Nazioni Unite dove il continente si è spaccato sulla condanna alla Russia. Più ancora nel caso della guerra a Gaza: l’Africa intera si è schierata con i palestinesi quasi spontaneamente. Una rottura sentimentale che si allarga all’Europa intera. Una rivolta del Sud globale.
La caduta del sistema della guerra fredda ha rappresentato la fine delle ideologie contrapposte. Al loro posto c’è stato l’avvento delle identità e/o emozioni, di per sé molto volubili. Le relazioni tra gli Stati e i popoli sono ormai rette da una “geopolitica delle emozioni”, le più significative tra le quali sono la speranza, l’umiliazione (e il rancore a essa connesso) e la paura (del declino). Per le nazioni e le classi politiche tali emozioni non si fermano al sentimento ma si trasformano in cultura e programmi partitici. Nella post-globalizzazione tutti si sentono al medesimo tempo nativi ed estranei: di conseguenza più o meno spaesati xxx. È ciò che stanno vivendo i giovani africani: ogni punto di riferimento è scomparso. Tutto è in grande e generale rimescolamento.
Anche l’Europa è in continuo rimescolamento. Di fronte alle nuove dinamiche mondiali i singoli Stati europei sono destinati a perdere progressivamente peso politico ed economico se non sapranno conciliare la visione nazionale e intergovernativa con la visione federale. Solo un’Unione sempre più federale, capace di valorizzare l’insieme delle specificità nazionali, può infatti riuscire ad avere un reale e forte peso politico ed economico e conquistare una credibilità globale che nessun singolo Stato europeo potrà mai avere. Anche nel rapporto con l’Africa. Proprio mentre l’Unione Europea sta prendendo consapevolezza di avere bisogno dell’Africa, come e forse più di quanto essa abbia bisogno dell’Europa nei prossimi decenni, vari Paesi africani stanno già guardando ad altri continenti e altre aggregazioni geoeconomiche. E allora quali sono il senso e le reali potenzialità del Piano Mattei dell’Italia in una Europa ancora divisa? xxxi
Le ambizioni italiane verso il continente africano sembrano misurate, sebbene reali. Per certo differenti da quelle francesi. Le relazioni tra Francia e Africa hanno un’anzianità e un ancoraggio impossibile da confrontare a quelle italiane ma un corrispondente Piano Foccart riporterebbe Parigi ai suoi demoni, ovvero a una Françafrique a cui cerca di sfuggire con ogni mezzo. Argomento tabù, perché sfruttata abusivamente e caricaturalmente a fini elettorali, mai del tutto assunta come consapevolezza collettiva e nazionale, la “responsabilità” francese di ex potenza colonizzatrice deve tornare a essere, secondo l’analisi di Emmanuel Dupuy, una forza e non un ostacolo in vista di un rapporto pacificato. Il nodo gordiano del rapporto reciproco tra Francia e Africa francofona è l’ignoranza delle storie reciproche. Indubbiamente è ora opportuno agire, in un primo momento privilegiando il principio di “equità” piuttosto che quello di “uguaglianza” nelle relazioni transcontinentali e/o bilaterali riequilibrando un rapporto asimmetrico nel quadro di un dovere di imparzialità. xxxii
Germania e Italia sono sempre riuscite a mantenere un maggiore equilibrio nelle relazioni con il continente africano, nonostante o forse proprio perché la durata della “loro” colonizzazione è stata più breve e meno incisiva di quella francese.
Cosa significa allora cooperare con l’Africa tra pari, in maniera non predatoria né paternalistica?
Per Sergi, pur essendo un piano “non calato dall’alto” ma definito da una “piattaforma programmatica condivisa”, non traspare ancora quale sia il radicale cambiamento rispetto a quanto l’Italia e l’Europa hanno realizzato con le iniziative di cooperazione internazionale. Il documento trasmesso al Parlamento italiano il 17 luglio 2024 non esprime né una nuova visione strategico-programmatica né le modalità di condivisione con i Paesi africani, elemento fondamentale nella relazione tra pari. È indispensabile che quanto prima siano chiarite le concrete modalità di governance e siano definiti obiettivi con criteri di valutazione misurabili, a partire da quelli dell’Agenda 2030, assicurando trasparenza e coerenza all’intero processo decisionale, attuativo e valutativo.
Sono tante le ragioni che spingono alla costruzione di solidi rapporti tra i due continenti e alla definizione di un comune cammino di sviluppo e progresso. Lo richiedono le incertezze di un mondo a geometria variabile, che ha perso la bussola delle istituzioni politiche multilaterali nate dopo le divisioni e gli orrori delle due guerre mondiali e che, in larga parte, tende a rifiutare l’attuale “ordine” internazionale, non corrispondente ai mutati equilibri di potere, alle esigenze di maggiore equità, al riconoscimento di regole condivise, al rispetto della dignità altrui. Lo richiede l’interesse a stabilire solide collaborazioni per l’acquisizione di materie prime indispensabili alle produzioni industriali e alla transizione energetica. Lo richiede una visione politica illuminata capace di guardare lontano e costruire un sicuro e duraturo reciproco vantaggio. xxxiii
Forse la strada da seguire è quella che condurrebbe a una cooperazione triangolare tra America Latina, Italia e Africa. Coinvolgere partner di regioni extra-europee rende l’iniziativa più inclusiva e per molti aspetti più accettabile, se non altro perché in molti casi può scattare un sentimento di maggiore vicinanza, comprensione di problemi e capacità di condivisione delle soluzioni. Tra America Latina e Africa esistono vincoli storici fortissimi, un legame di sangue e di cultura certamente non inferiore né meno antico rispetto a quello esistente con l’Europa. In America Latina inoltre vi è un sentimento di particolare vicinanza all’Africa, rafforzato dalla scelta di molti governi attuali di garantire il rispetto dei diritti e la piena inclusione sociale degli afro-discendenti in quasi tutti i Paesi del subcontinente.
Il modello di cooperazione triangolare non si basa solo sullo scambio di risorse e conoscenze, ma anche sulla necessaria costruzione di relazioni più forti e durature tra governi, imprese, società civile, in grado di assicurare continuità e sostenibilità al processo di crescita delle nazioni coinvolte.
La fiducia generata da una comunicazione aperta e trasparente, che porta i partner a identificare aree di collaborazione di interesse reciproco e a sviluppare progetti congiunti a beneficio di tutte le parti coinvolte, contribuisce senza dubbio al benessere collettivo ma, promuovendo il dialogo tra attori con punti di vista e prospettive diverse, contribuisce anche a rafforzare la solidarietà politica e il sostegno reciproco nelle sedi internazionali a vantaggio di una maggiore stabilità xxxiv.
Note
iMcKinsey Global Institute, Lions on the move: The progress and potential of African economies, June 2010.
iiPaul Collier, The Bottom Billion: Why the Poorest Countries are Failing and What Can Be Done About It, OUP USA – Oxford University Press, New York City, 2008.
iiiCarlos Lopes,L’Afrique est l’avenir du monde, Seuil, 2021.
iv* membro della Comunità di Sant’Egidio, amministratore di Dante Lab, sottosegretario agli esteri nel governo Letta, viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni, docente di relazioni internazionali all’Università per Stranieri di Perugia.
vL’inaugurazione di questa nuova fase nei rapporti con il Continente africano ha avuto luogo in occasione del “Vertice Italia-Africa” del 29 gennaio 2024, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di 46 Nazioni africane, oltre 25 Capi di Stato e di Governo, dei tre Presidenti delle Istituzioni europee, dei vertici delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, delle Organizzazioni internazionali, delle Istituzioni finanziarie e delle Banche multilaterali di sviluppo.
viIl Piano Mattei si sviluppa su sei direttrici d’intervento: Istruzione/Formazione; Sanità; Acqua; Agricoltura; Energia; Infrastrutture (fisiche e digitali). Documento Piano Mattei per l’Africa, consultabile al link:https://www.governo.it/sites/governo.it/files/Piano_strategico_Italia-Africa_Piano_Mattei.pdf (consultato in data 19 giugno 2025).
viiNino Sergi, Piano Mattei: una pagina nuova?, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2024.
viiiDocumento Piano Mattei per l’Africa, op.cit.
ixBarbara Bruschi, Micro-credenziali e NOOC potranno contrastare l’inverno demografico nelle Università? In Qtimes – Journal of Education Technology and Social Studies, luglio 2024.
xUmberto Galimberti, La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2018.
xiMario Giro, Il Piano Mattei e la nuova politica africana dell’Italia, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, op.cit.
xiiAll’inizio degli anni Ottanta il mondo della cooperazione allo sviluppo assistette a una ridefinizione delle strategie che avevano dominato le decadi precedenti. Le Istituzioni Finanziarie Internazionali – in particolare la Banca Mondiale – ritennero che un’eccessiva presenza dello Stato nell’economia dei paesi dell’Africa sub-sahariana fosse una delle cause primarie della crisi e formularono programmi di aggiustamento strutturale che miravano a rimuovere i principali limiti alle potenzialità di sviluppo del continente. Ne è derivata una lunga ondata di liberalizzazioni che colpirono molti servizi pubblici e programmi statali inducendo quello che è stato definito come il disimpegno dello Stato.
xiiiMario Giro, Il Piano Mattei e la nuova politica africana dell’Italia, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, op.cit.
xivStefania Tusini, Alcune domande (e risposte Data-Based) su migrazioni, accoglienza e identità, in Maura Marchegiani (a cura di), Antico mare e identità migranti: un itinerario interdisciplinare, Giappichelli Editore, Torino, 2017.
xvRenzo Guolo, Modelli di integrazione culturale in Europa, paper presentato al Convegno «Le nuove politiche per l’immigrazione. Sfide e opportunità», Fondazioni Italianieuropei e Farefuturo, 2009.
xviCon il decreto legge del 22 ottobre 2024 il governo ha inserito 19 paesi nella lista dei paesi sicuri (Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Tunisia). Sono rimasti fuori la Colombia, il Camerun e la Nigeria. Va aggiunto che l’Unione Europea, e diversi governi europei, in questa fase mostrano una progressiva convergenza con le posizioni del governo Meloni. Il 16 aprile 2025 la Commissione ha presentato l’elenco UE dei Paesi di origine sicuri che comprende, tra gli altri, anche Kosovo, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco, Tunisia.
xviiMaurizio Ambrosini, Tutte le contraddizioni del governo Meloni sulle politiche migratorie, lavoce.info, 25/10/2024.
xviiiCléophas Adrien Dioma, Il ruolo delle diaspore africane nel Piano Mattei, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2024.
xixGiuseppe Campione, Migrazioni Mediterranee, in Antonietta Pagano (a cura di), Migrazioni e identità: analisi multidisciplinari, EdiCusano – Edizioni dell’Università degli Studi Niccolò Cusano – Telematica Roma, 2017.
xxIain Chambers, Paesaggi migratori. Cultura e Identità nell’epoca postcoloniale, Meltemi Editore, Sesto san Giovanni (Milano), 2018 (edizione originale: Migrancy, Culture, Identity, Routledge, Londra, 1994).
xxiMarta Mosca, Giovani e lavoro in Africa: ripensare le categorie e i panorami futuri. Una prospettiva antropologica, in JUNCO – Lournal of Universities and international development Cooperation, n. 1/2020.
xxiiMassimo Zaurrini, Piano Mattei: il futuro dell’Italia passa per l’Africa, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2024.
xxiiiMassimo Zaurrini, Piano Mattei: il futuro dell’Italia passa per l’Africa, op.cit.
xxivFelwine Sarr, Afrotopia, Edizioni dell’Asino, Roma, 2018.
xxvMarta Mosca, Giovani e lavoro in Africa: ripensare le categorie e i panorami futuri. Una prospettiva antropologica, op.cit.
xxviArjun Appadurai, Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
xxviiMarta Mosca, op.cit.
xxviiiJean Comaroff, John L. Comaroff, Teoria dal sud del mondo. Ovvero come l’Euro-America sta evolvendo verso l’Africa, Rosenberg&Sellier, 2019 (I Comaroff sono partiti dallo studio etnografico di un’area remota ai confini tra il Botswana e il Sudafrica e hanno percorso un lungo viaggio di ricerca che li ha portati a sviluppare una teoria dei processi globali di produzione della conoscenza e del ruolo che l’antropologia e gli studi africani possono svolgere nella contemporaneità).
xxixJean Comaroff and John L. Comaroff (edited by), Modernity and Its Malcontents. Ritual and Power in Postcolonial Africa, The University of Chicago Press, Chicago, 1993.
xxxDominique Moïsi, Geopolitica delle emozioni. Le culture della paura, dell’umiliazione e della speranza stanno cambiando il mondo, Garzanti, Milano, 2009.
xxxiNino Sergi, Piano Mattei: una pagina nuova?, op.cit.
xxxiiEmmanuel Dupuy, C’è bisogno di un «Piano Mattei» francese per ridefinire il rapporto tra la Francia e il continente africano?, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2024.
xxxiiiNino Sergi, Piano Mattei: una pagina nuova?, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2024.
xxxivAntonella Cavallari, La cooperazione triangolare: possibili sinergie tra America Latina, Italia e Africa, in Mario Giro (a cura di), Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2024.
Irma Galgano, laureata in Lettere, indirizzo geografico-antropologico, è docente per le classi di concorso A012, A018, A019, A021, A022, A054. Formatore e Supervisore EIPASS, docente esperto nei percorsi di orientamento e formazione per il potenziamento delle competenze STEM, digitali e innovazione, collabora con varie riviste.
Articolo pubblicato sul numero 75 di Dialoghi Mediterranei, rivista scientifica per le aree disciplinari 10 e 11 (delibera Anvur n. 110 del 11-05-2023, con decorrenza dal 2018), link all’articolo: https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/lafrica-i-giovani-litalia/
Source: Si ringrazia l’ufficio Stampa di Edizioni Angelo Guerini e Associati per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per l’immagine in evidenza, credits www.pixabay.com
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