Riflettere sulla vecchiaia è un resoconto di se stessi o dell’umanità? Per Domenico Starnone sembra ruotare tutto intorno alla fragilità umana.
Leggendo il titolo del romanzo di Starnone non si può non pensare all’opera quasi omonima di Ernest Hemingway (The old man and the sea – Il vecchio e il mare). Presumibilmente ci deve essere stato un rimando a quella letteratura, di cui Hemingway è stato un grande esponente, che molta importanza dava alle riflessioni, alle considerazioni, ai sentimenti e alle emozioni che sono tutti fattori importanti e determinanti dell’esistenza umana. Ne vanno a determinare, al contempo, la forza e la fragilità. Ed è proprio intorno a quest’ultima che l’autore sembra aver costruito il suo romanzo, il quale vede come protagonista uno scrittore ottuagenario alle prese con due tra i maggiori misteri dell’esistenza umana: la relazione con se stessi e quella con l’umanità.
A tormentare lo scrittore ottandaduenne Nicola c’è anche il suo rapporto con i propri scritti che vorrebbe potessero sparire, essere cancellati e dimenticati. Ha sempre annotato tutte le sue riflessioni su dei quaderni con la matita ma la certezza, tale fino a poco tempo prima, di poter cancellare le sue parole è ormai labile. L’ennesima illusione disattesa che genera in lui uno sconforto profondo.
Da giovane, il suo maggior desiderio, la sua più grande illusione era scrivere le pecche di questo mondo per riuscire a cambiarlo, a migliorarlo. Ora lui è invecchiato e il mondo non ha fatto che peggiorare, diventando sempre più imperfetto.
Imperfetto proprio come la spiaggia che fa da sfondo alla narrazione, vuota di turisti e di tutto il circo che ne deriva, appare a Nicola e al lettore luogo perfetto dove cercare e trovare i piccoli segni della vita nascosti tra i granelli di sabbia, sotto i sassi, tra le rocce o in mezzo al mare. Questo stesso mare che, nel libro di Starnone, appare al contempo come l’orizzonte verso cui tendere e l’immensa distesa d’acqua nella quale perdersi.
Il racconto che l’autore affida al suo anziano protagonista è confuso come lui, è spossato come il suo corpo, annebbiato come la sua mente. Oggetti che diventano simboli e simboli che diventano emozioni in questo solitario gioco che coinvolge Nicola e la sua mente, sia quando è sveglio sia quando è sopito. Il dualismo sembra essere stata una componente predominante nella scrittura di Nicola, nella quale egli sempre inseriva uno sguardo rivolto al passato e, contemporaneamente, al futuro. Il tempo della narrazione sembra però quello della resa dei conti. Di Nicola con la vita. Un processo descritto da Starnone con dovizia di particolari, senza veli e senza remore mettendo a nudo l’anima di questo anziano scrittore rassegnato e combattivo, che mantiene in ogni fibra del suo essere il dualismo che lo caratterizza e che ha segnato la sua scrittura. Il suo essere scrittore. Narratore della vita. Che ha cercato di rappresentare la grandezza dell’esistenza umana attraverso la banalità del viver quotidiano.
Il libro di Starnone si apre al lettore con il racconto di un accadimento che vede il protagonista rincorrere una carta dorata, una sorta di figurina. Prosegue con la narrazione di fatti e pensieri lungo una spiaggia fatta di nuvole, sabbia, spruzzi, schizzi, vento… Appare chiaro fin da subito che si tratta di simboli, utilizzati dall’autore per trasmettere al lettore il suo racconto. Il suo messaggio.
La corsa della figurina scintillante sulla rena asciutta ha determinato il destino, almeno quello nell’immediato lasso temporale, di Nicola. L’illusione di essere ancora agile e vigoroso lo ha riportato alla realtà, al suo essere annichilito.
“Quando le carte affiancate a caso mi davano una storia in cui riconoscevo un senso, mi mettevo a scriverla; accumulai così parecchio materiale. Bastava lasciare che prendessero forma altre storie che s’incrociavano tra loro e ottenni così una specie di cruciverba fatto di figure anziché di lettere, in cui per di più ogni sequenza si può leggere nei due sensi” (I. Calvino, Il castello dei destini incrociati).
Le numerose storie raccontate o ascoltate dal protagonista possono essere lette e interpretate in mille modi che vanno dalla disfatta alla contemplazione della bellezza assoluta della vita.
L’evocazione del mare costituisce, nella produzione letteraria italiana delle Origini, un elemento inserito in un insieme spesso metaforico o, per lo meno, in un insieme di tropi che puntualmente consentono all’autore di indicare uno spazio, un limite o un confine.
In numerose tradizioni religiose un’amorfa estensione d’acqua precede l’esistenza delle molteplici sostanze che riempiono l’universo, quasi che tutte le forme non siamo altro che la manifestazione di un liquido primordiale. L’acqua non è semplicemente il primo elemento: per il pensiero simbolico essa è una forza capace di sciogliere e unificare in sé ogni determinazione, come nei diari di viaggio le immagini della comunione dei beni non rivelano soltanto il desiderio del venir meno dell’ingiustizia, ma costituiscono anche lo schema dinamico in grado di fluidificare tutte le distinzioni, non solo nella società ma nell’intera materia del cosmo. Quando il tempo ha reso esauste le forze della natura, esse hanno bisogno di sciogliersi nel loro principio, per attingere di nuovo la potenza vitale dalla sostanza liquida di un sogno divino. Una pozza d’acqua è stata il primo specchio in cui l’uomo ha osservato tutto all’inverso. Il riflesso è un fattore di rovesciamento. Guardando il riverbero in superficie potremmo vedere il mondo come lo vede Dio e accorgerci che la più autentica ascesi è, in realtà, una discesa, forse una discesa nel profondo dell’acqua. A questo allude il simbolismo del battesimo. È l’acqua, infatti, a insegnare la reversibilità della morte. Nella fonte battesimale muore l’uomo vecchio e nasce l’uomo nuovo. Il simbolismo indica il dissolversi di un ente corrotto perché riemerga un essere incontaminato (G. Bossi, Il simbolismo dell’acqua tra immaginario di viaggio e dimensione del sacro, DIALEGESTHAI – Rivista di Filosofia, 25 aprile 2007).
Il protagonista del libro sembra un anziano-bambino che osserva il mondo per la prima volta, o quantomeno sembra essere la prima volta che riesce a guardarlo con occhi disincantati, liberi.
Il racconto di Starnone è un viaggio intimistico nell’anima, nei ricordi e nei desideri di Nicola ma anche un viaggio intenso nelle persone da lui ricordate, incontrate, forse immaginate. Un viaggio simbolico certo ma non per questo meno rischioso di quello intrapreso davvero per mare.
Secondo Auden, uno degli elementi che caratterizzano in modo più netto la cultura della modernità, e la differenziano rispetto a quelle dei secoli precedenti, è costituito dall’atteggiamento assunto nei confronti del viaggio per mare. Se fin dall’età classica, per arrivare ai secoli immediatamente precedenti la “rivoluzione romantica”, il viaggio per mare è considerato un male necessario, l’attraversamento di ciò che separa ed estrania, l’uomo moderno, al contrario, sa che il mare è il luogo in cui avvengono gli eventi decisivi, i momenti di eterna scelta, la tentazione, la caduta e la redenzione (V. Di Martino, Figure del moderno: il viaggio per mare. Da Baudelaire a Gozzano, XII Congresso nazionale dell’ADI – Associazione degli italianisti, Roma, 17-20 settembre 2008).
Il libro di Starnone sembra raccontare il viaggio di Nicola nel suo “mare” mentale, senza spostarsi per luoghi e limiti ma non per questo privo di ostacoli, insidie e pericoli.
Il libro
Domenico Starnone, Il vecchio al mare, Einaudi, Torino, 2024
Articolo pubblicato sul numero 179 – agosto/settembre 2024 della rivista cartacea Leggere:Tutti.
Disclosure: Per l’immagine in evidenza, credits www.pixabay.com
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