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I temi e i problemi trattati da scienza e letteratura a ben guardare non sono così dissimili, eppure la vicinanza tra le due è sempre stato motivo di accese discussioni, sia in ambito scientifico che letterario. I campi del sapere devono restare separati oppure dalla loro unione possono nascere nuove forme del sapere?
«La scienza si trova di fronte a problemi non dissimili da quelli della letteratura: costruisce modelli del mondo continuamente messi in crisi, alterna metodo induttivo e deduttivo, e deve sempre stare attenta a non scambiare per leggi obiettive le proprie convinzioni linguistiche» (I. Calvino, Filosofia e Letteratura, 1967). In realtà, nell’ambito della cultura ufficiale, il rapporto tra ricerca scientifica e letteraria è stato quasi sempre marginalizzato, non solo per la tendenza accademica a distinguere i campi del sapere ma anche per la diffidenza antitecnologica palesata dagli intellettuali più influenti. In Italia questa diffidenza si è concretizzata dapprima nel crocianesimo e nella riforma scolastica gentiliana e, successivamente, in un diffuso idealismo e in un’inclinazione estetizzante che hanno osteggiato la visione materialistica della realtà (C. D’Amicis, Scienza e Letteratura, Treccani, 2007).
L’ipotesi della contrapposizione tra scienza e letteratura spesso è basata su una presunta dicotomia di strutture linguistiche: il linguaggio scientifico sarebbe meno ridondante e ambiguo e, contemporaneamente, più strutturato e rigido. Il linguaggio letterario sarebbe invece più teso alla comunicazione di emozioni, retorico, libero e basato più su analogie e giustapposizioni che su deduzioni. La lingua italiana però è nata anche come strumento di comunicazione scientifica. Il Convivio di Dante Alighieri è un manifesto di diffusione e democratizzazione della cultura, un trattato di scienza laica del mondo moderno definito un “banchetto di scienza e sapienza”. In esso Dante spiega che l’uso della lingua volgare era funzionale soprattutto alla diffusione del sapere, ribaltando l’allora comune paradigma dell’uso del latino e della divulgazione delle idee solo per pochi studiosi (L. Ristori, Scienza e Letteratura, discipline in equilibrio dinamico, MaCSIS, 2012).
L’atto del “fare” letteratura presuppone che chi scrive sia al contempo artigiano e scienziato; che l’artificio letterario venga realizzato con un progetto: con elementi ponderati e misurati, tratti dal serbatoio di combinazioni evolutive della natura, concetto che in senso esteso viene a coincidere con tutta la realtà, sia vera che immaginata. Si delinea così un profilo “fabbrile” dello scrittore, alla maniera di Ezra Pound, che opera in un laboratorio con strumenti pratici per realizzare l’artefatto letterario in modo non dissimile dallo scienziato. La scrittura non incontra la scienza, perché la scrittura, se ben fatta, è già scienza – e viceversa – con norme, regole, architetture, un’estetica elaborata nei millenni mimando proprio forme e proporzioni naturali. Così come la scienza è a sua volta una narrazione umana, scritta con una sintassi e con caratteri più complicati di quelli alfabetici, pur sempre ideati dalla nostra specie. La migliore letteratura sembra così essere quella scientifica. La letteratura incontra la scienza nell’analisi, nello stupore per l’osservazione dei dettagli, delle regole e delle eccezioni che strutturano le forme sensibili della natura (T. Lisa, Fare letteratura con la natura. Quando la scrittura incontra la scienza, L’Indiscreto, 2024).
La nostra è un’epoca scientifica, se con questa denominazione intendiamo riferirci ai periodi in cui la scienza ha avuto il suo massimo sviluppo. Ma se intendiamo che oggigiorno la scienza svolge un ruolo nella visione del mondo della gente, ebbene, in tal caso, quest’epoca ha ben poco di scientifico. Esiste un palese e diffuso analfabetismo scientifico. Si potrebbe combatterlo con la narrativa: partire da un brano di narrativa, dai versi di una poesia, da una citazione tratta da un film o da un fumetto per affrontare singoli e importanti problemi legati all’immagine, spesso distorta, che la scienza ha nell’opinione pubblica (M. Salucci, Dalla mela di Newton all’Arancia di Kubrick. La scienza spiegata con la letteratura, thedotcompany edizioni, 2022).
«I mass media confondono l’immagine della scienza con quella della tecnologia e questa confusione trasmettono ai loro utenti che ritengono scientifico tutto ciò che è tecnologico, in effetti ignorando quale sia la dimensione propria della scienza, di quella – dico – di cui la tecnologia è certo un’applicazione e una conseguenza ma non certo la sostanza primaria. La tecnologia è quella che ti dà tutto e subito, mentre la scienza procede adagio. Questa abitudine alla tecnologia non ha nulla a che fare con l’abitudine alla scienza. Ha piuttosto a che fare con l’eterno ricorso alla magia» (U. Eco, Il mago e lo scienziato, La Repubblica, 2002).
Letteratura e scienza sono discipline ben distinte, ma non isolate. Invece di essere trattate come isole, le varie culture andrebbero viste come spazi approssimativamente definiti, ma con confini porosi. Non ci sono muri tra le culture, ma frontiere e spazi di transizione. Dall’incontro tra scienza e letteratura, tra l’altro, è nato il genere della fantascienza. Molti autori di tale genere sono stati scienziati: Fred Hoyle, Carl Sagan, Isaac Asimov, Michael Crichton. Edgar Allan Poe invece può essere citato come esempio di letterato che muove passi in ambiente scientifico. Egli ha proposto un nuovo modo di deduzione come modello scientifico, mentre ha sostenuto la necessità dell’intuizione e dell’immaginazione nel suo modus operandi. Il premio Nobel per la poesia 1979, Odysseas Elytis, ha scritto opere intrise di concetti matematici e geometrici, ai quali ha saputo attribuire un grande effetto emotivo e simbolico (D.G. Berta, Distanti, ma unite: la simbiosi tra scienza e letteratura, Trust in Science, 2020).
Nelle opere di Primo Levi il lettore non può non cogliere l’impressione che attraverso la letteratura il chimico abbia tentato di scavarsi un varco nell’impenetrabile oscurità della materia vivente e pulsante, dell’universo misterioso o dell’uomo. Uno spiraglio per comprendere il meccanismo con cui si incatenano le molecole, una chiave per capire le regole del Lager, regno della distorsione di ogni logica umana. Scrivere per capire, è questa la funzione dell’esperimento letterario di Se questo è un uomo, scritto non per formulare nuovi capi d’accusa, bensì per fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano. La salvezza delle parole garantisce ordine e sistema, dona uno spessore da frapporre tra due regni, il notturno e il diurno, le stelle e gli abissi. Tale è la funzione della letteratura in Levi, un argine all’insania generata dal grembo stesso della ragione umana e per questo ripetibile. Il laboratorio scientifico offre a quello creativo specifici strumenti da impiegare nell’esperimento della scrittura, impiegata come setaccio per distillare l’essenziale dal superfluo, per sciogliere il groviglio confuso dell’essere umano e della sua esperienza nella storia, un coacervo in cui convivono forze e tensioni opposte. Allo stesso modo, lo scrittore passa al vaglio della lente del chimico l’esperimento più atroce del XX secolo. Scienza e letteratura, dunque, sono due strumenti diversi nelle mani di un centauro che ha sperimentato la gioia del volo creativo e il rigore del chimico e di entrambi si serve per non scivolare nel fondo, nell’abisso assordante e babelico dove l’uomo è nemico all’uomo e domina la legge impietosa della lotta per la sopravvivenza (A. Carta, Parole come molecole: scienza e letteratura in Primo Levi, ADI, 2015).
Articolo pubblicato sul numero di ottobre 2024 della Rivista cartacea Leggere:Tutti
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