Sullo sfondo domestico di una provincia come tante si intrecciano le sorti di uomini e animali; li lega il filo attorcigliato del narrare, che nello scorrere ritorna, si smarrisce riprendendosi. Raccolta sì ma dispersa: dentro un oceano di libertà che diventa anche distanza incolmabile. Ed è proprio il racconto, imperfetta cucitura tra vicino e lontano, a farci credere ancora possibile comunicare noi.
Galline rivoltose, un investigatore da strapazzo e fiori di stramonio che fanno rinsavire. Una luna smozzicata da serpenti illumina il cielo di un pollaio e del mondo, ma sono la stessa cosa.
La base da cui Conforti sembra attingere a piene mani per le sue “storie semiserie” sono tutte le leggende popolari, narrazioni salvate dall’oblio per la maggiore grazie al racconto orale. Storie di uomini che vivevano a stretto contatto con la natura e con gli animali e da questi traevano lo spunto per insegnamenti e racconti.
Parabole di vita quotidiana che l’autore riprende, rielabora, trasforma, immagina.

Raccontare storie è forse uno dei bisogni primari dell’uomo, sin dai tempi più antichi. Leggende, racconti, miti e superstizioni: sono tutti parte di un patrimonio culturale universale e rispondono alla necessità di creare e ricreare mondi magici come modo di spiegare e affrontare una realtà tangibile, nella quale la ragione domina sull’immaginazione.
Il racconto è una narrazione organizzata nella quale una situazione iniziale volge a una situazione finale differente a seguito di varie peripezie. Esse possono ripetersi o variare e sono arricchite da elementi meravigliosi, oggetti magici, trasformazioni e poteri soprannaturali. La narrazione mette in scena una società fittizia, di uomini o animali, ma tutti sanno che, in realtà, dietro essa si nasconde una comunità reale.1
«Era un paese piccolo, la strada dalla città arrivava simile a una schioppettata e si faceva più sinuosa salendo verso gli appennini: eravamo lì stretti tra il fiume e le colline, con l’aria ancora buona e l’acqua da farci il bagno d’estate. Era quello, il nostro mare: e per tanto tempo ho immaginato che l’oceano non potesse essere più di quei sette, otto metri che dividevano una riva dall’altra del fiume.»
Conforti ha dato libero sfogo alla sua fantasia nell’immaginare le storie de La mula e gli altri, a immaginarne i luoghi e gli sviluppi. Storie che possono essere tanto immaginarie quanto reali, o meglio realistiche, svolgentesi in luoghi che, altrettanto, possono essere tanto immaginari quanto reali, o realistici. Uno qualsiasi dei tanti paesini che costeggiano la dorsale appenninica potrebbe essere lo scenario dal quale l’autore si è lasciato “incantare”.
Il ritorno ai racconti popolari, alle antiche leggende, sembra essere servito a Conforti per fotografare l’umanità di oggi, sempre alla ricerca del cambiamento, della novità. Con il paradosso che questa “ricerca” viene condotta tramite un’esistenza apatica.
L’uomo moderno, come l’uomo di sempre, desidera conoscere sempre più a fondo il mondo che lo circonda, e proprio per questo si pone domande sempre più incisive e coraggiose su di sé, sul senso delle cose, sul loro significato, cominciando da ciò che rappresentano per lui, dal suo vissuto.
L’aspirazione alla felicità rappresenta nella cultura contemporanea un vero e proprio diritto umano, su cui si modella l’impianto della coesione sociale. Là, dove il bene comune diventa itinerario di responsabilità, si crea una felicità condivisa, che richiede a tutti un diverso modo di conoscere la realtà, di leggerla dal di dentro, per interpretarla come specchio della condizione umana.
È il mistero della nostra stessa umanità: cercare qualcosa che già abbiamo, voler sapere qualcosa che già sappiamo. “Qualcosa” che è dentro di noi, che ci appartiene intimamente, ma non pienamente, per cui alla sua piena realizzazione aspiriamo con tutte le nostre forze. È in questa dialettica tra ciò che abbiamo e ciò che ci manca, in riferimento allo stesso oggetto, vale a dire la nostra felicità, che diventa possibile la piena realizzazione della persona nella sua singolarità e la pienezza di senso della condizione umana.2
Altra tematica che Conforti affronta nel testo sono i tanti e irrisolti quesiti della storia. Misteri che sembrano destinati a rimanere irrisolti ma che forse troveranno soluzione proprio nell’irrazionalità del libro. L’irrazionale diviene così il nuovo volto del reale. Il caos del concreto. L’illogico del buonsenso. Il passato diacronico degli eventi l’unica alternativa possibile all’aridità del solo qui e ora.
L’esplorazione che l’autore conduce sui temi del folklore degli antichi racconti porta inevitabilmente a un altro tema sempre centrale della letteratura: la fanciullezza.
In Conforti, come già in Leopardi, la fanciullezza suscita una simpatia viva, profonda, una vera amabilità. Per la purezza di spirito, per la vicinanza alla natura e agli animali, per l’amore e l’interesse verso le cose semplici, piccole. Le myricaedel Pascoli.
I mondi fantastici raccontati dalle storie della tradizione popolare, come quelli narrati da Conforti, sembrano il servertramite il quale la storia ha conservato il materiale per il genere fantasy e fantascientifico. Dalla fiaba al fantasy a farla da padrone sono la magia e gli animali fantastici. Nel testo di Conforti, nella notte dell’Epifania – ricorrenza ricca di valenze simboliche – gli animali possono parlare.
La tendenza a una metamorfosi umanizzante del reale, che è naturale e congenita alla mente umana, è stata accresciuta e potenziata da una ormai millenaria tradizione di esposizione alle personificazioni nella letteratura e nell’iconografia. Essa viene poi oggi, nella nostra cultura contemporanea, sollecitata continuamente e in modo pervasivo da forme moderne di comunicazione di massa come i fumetti e i cartoon, in cui regnano animali totalmente umanizzati.3
Alessandro Conforti spesso fa un uso satirico e ironico della personificazione. Una modalità di utilizzo che ricorda molto la funzione svolta dalla personificazione nella stampa satirica in generale e quella risorgimentale in particolare.
Come il romanzo, il giornale è stato agente della trasformazione in senso nazionale degli immaginari pubblici otto-novecenteschi; rispetto al romanzo, tuttavia, il giornale implica peculiari modalità di lettura e composizione, fondate sulla giustapposizione di elementi eterogenei. La personificazione del giornale non è soltanto una particolare figura retorica del linguaggio satirico. È il nucleo centrale di una strategia mediale di narrazione; è una fondamentale modalità di auto-rappresentazione dei giornali satirico-politici, che coinvolge da vicino l’approccio del giornale nella costruzione simbolica del proprio ruolo e nei confronti del pubblico.4
Anche nel libro di Conforti, sotto lo strato ludico ricreativo, si riesce a leggere una scrittura se non proprio di denuncia, “educativa”, laddove vuol mostrare agli uomini e all’umanità pregi e difetti del nostro essere società estremamente civilizzata.
Il libro
Alessandro Conforti, La mula e gli altri. Faccende semiserie di provincia, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2025.
1E. Scopelliti, I racconti popolari del Marocco, in Dialoghi Mediterranei, n. 37, maggio 2019.
2P. Binetti, La cultura del cambiamento e dell’innovazione tra scienza e coscienza, in Counseling, volume 11, numero 3, ottobre 2018.
3G. Moretti e A. Bonandini (a cura di), La personificazione allegorica nella cultura antica fra letteratura, retorica e iconografia, Università degli Studi di Trento, 2012.
4S. Morachioli, Il volto del giornale. Usi e funzioni della personificazione nella stampa satirica risorgimentale, in MEFRIM, 130/1 – 2018.
Articolo pubblicato su Satisfiction.eu
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