Finalista alla XXVIII edizione del Premio Italo Calvino col titolo di Il calcio è un bastardo, il romanzo d’esordio di Carlo Loforti è stato pubblicato da Baldini&Castoldi come Appalermo, Appalermo.
La giuria del premio lo ha definito un «romanzo spiritoso, leggero e senza pudore. In cui tutto viene raccontato con un umorismo che regala momenti di autentico spasso».
È vero, a volerlo leggere per la sola storia che racconta è un libro “spassoso”. Se invece lo si vuol guardare come uno spaccato della città di Palermo, della Sicilia e dell’Italia intera allora sono numerose le considerazioni che induce nel lettore.
Carlo Loforti è un palermitano che conosce a fondo la sua città e i suoi abitanti e, intorno a ciò, costruisce il suo romanzo che è la storia di Domenico Calò, detto Mimmo, ma potrebbe, indistintamente, essere quella di centinaia di altri giovani come lui. Ragazzi cresciuti nei cortili, per le vie strette di una città che può diventare stretta come un imbuto.
Incomprensioni con i genitori e gli adulti in generale, un pallone e i primi approcci col sesso. Questo il background socio-culturale che si devono far bastare per diventare a loro volta degli adulti. E Mimmuzzo, non essendo particolarmente dotato per la pratica, si allena incessantemente sulla teoria, diventando un esperto cronista sportivo.
Dopo venti anni Mimmo Calò perde il suo lavoro di giornalista e deve cercare di reinventarsi dibattendo tra una moglie sempre pronta a prenderlo in castagna, supportata dall’invadente suocera, dei genitori che dalla pensione invece del sollievo trovano la separazione, i soldi che non bastano mai e la criminalità che invece ti trova sempre. Tutta una serie di rocambolesche avventure e, soprattutto, disavventure, lo portano sull’orlo del precipizio. Situazioni che lui affronterà sempre stoicamente convinto di essere talmente “sfigato” da valere quasi il contrario e uscirne sempre in piedi.
Carlo Loforti in Appalermo, Appalermo descrive dettagliatamente un adolescente alle prese con i cambiamenti del suo corpo, un ragazzo che si sente uomo dopo aver perso la verginità, un adulto che tenta di sopravvivere nella giungla degli affetti e del lavoro ma, soprattutto, regala al lettore una fotografia della situazione in cui si trovano centinaia di giovani delle periferie che si divincolano tra la poca voglia di studiare, l’attrazione-repulsione verso la criminalità, il desiderio di divertirsi e il “sogno di farcela”, di lasciare la mediocrità e avere successo. Il fatto è che spesso, quasi sempre, ciò è legato al gioco del calcio e alla speranza di essere “scoperti” come talenti o fenomeni e ascendere all’Olimpo dei vip. L’impatto con la realtà, in questi casi, è ancora peggiore del solito perché ci si ritrova adulti, senza “talento” e senza un’adeguata formazione-istruzione e non si ha altra possibilità che accontentarsi fingendo disinteresse.
Mimmo Calò è uno, che alla fine, sceglie di accontentarsi con l’unico rammarico di averci messo troppo a capire che era l’univa via per regalargli un po’ di tranquillità.
Lo stile della scrittura di Loforti è gradevole. Frasi brevi, riflessioni intervallate da dialoghi ricchi di battute e allusioni. Pesante a volte, soprattutto in periodi protratti, l’uso di espressioni o termini tipicamente dialettali che costringono chi legge, e non è siciliano, a consultare il glossario a fine libro. La narrazione segue il ritmo delle vicende creando i giusti pathos e curiosità nel lettore che è sempre invogliato a leggere il capitolo successivo.
Appalermo, Appalermo di Carlo Loforti si rivela fuor di dubbio una lettura interessante, piacevole che può regalare a lettore alcune ore di svago oppure invogliarlo in riflessioni sulla società e l’attualità. Sarà chi legge a scegliere e decidere cosa vuol trovare o cercare, in ogni caso ne vale sempre la pena.
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