Di migrazione e immigrazione oggi si sente parlare molto e altrettanto se ne legge. Meno di integrazione e troppo poco di emigrazione. Il leitmotiv più ricorrente riguarda la presunta invasione in atto e la conseguente formazione di due fazioni contrapposte. I sostenitori di questa tesi da una parte e gli oppositori dall’altra. Il tutto però spesso tende a rimanere, volutamente si immagina, molto impersonale. I viaggi che diventano rotte e le persone neanche etnie, bensì solamente cifre, numeri di questo esodo che viene indicato come il più epocale nella Storia conosciuta e il più allarmante.
Si può dibattere all’infinito ma, nella gran parte dei casi, gli esponenti delle avverse fazioni non arretrano neanche di un solo passo, restando invece tutti fermi sulle originarie posizioni.
Maurizio Pagliassotti non ha imparato a conoscere la migrazione e l’immigrazione leggendo i giornali o seguendo i servizi televisivi. No, lui ha conosciuto i migranti perché gli sono semplicemente passati accanto, lungo le vie del suo paese, da sempre, da quando ne ha memoria. E bene si ricorda anche la diffidenza delle persone, dei suoi compaesani.
Lui è cresciuto lungo la strada che da Claviere in Italia porta a Briançon in Francia, lungo una delle famigerate rotte percorse dai migranti. Dodici chilometri di sentiero montano che separano i migranti dalla loro destinazione.
Un breve tragitto, rispetto a quello percorso in totale, ma non per questo più agevole o meno complicato. In considerazione anche degli ostacoli interposti dai governi, italiano e soprattutto francese, che cercano con ogni mezzo di rallentarli, scoraggiarli e fermarli.
Ed è proprio a questo punto che si assiste a un grande paradosso, ricordato da Andrea Bajani nella prefazione al libro di Pagliassotti, allorquando egli rammenta che tutti questi giovani migranti passano e vanno perché “è un istinto che nessuno può disinnescare o rispedire al mittente”, spesso senza ringraziare alcuno, e lo fanno semplicemente perché “muovono dall’assunto elementare, di specie, che la terra è di tutti”. Un vero e proprio scandalo per i governi dei Paesi che stanno attraversando e per i cittadini che abitano questi luoghi, uno scandalo che qualcuno potrebbe anche leggere come una provocazione ma che di sicuro è in grado di mettere in crisi un intero sistema.
Ancora dodici chilometri. Migranti in fuga sulla rotta alpina di Maurizio Pagliassotti, uscito in prima edizione a ottobre 2019 con Bollati Boringhieri, è il racconto non di un’invasione ma di un “transito epocale”, un travaso che avviene un po’ per volta, e ogni volta un pezzo di questo mondo, quello lasciato indietro, si sposta verso e dentro un vero e proprio altro mondo, “propagandato – e dunque offerto, per certi versi – come migliore”.
Esemplare la descrizione del libro fatta da Bajani nella prefazione. Coglie infatti quest’ultimo l’essenza vera e profonda della narrazione di Pagliassotti e la sintetizza egregiamente nel “breve” spazio di poche righe.
Pagliassotti ha idee molto chiare, decise, a tratti categoriche sul fenomeno della migrazione. Considerazioni che egli ha maturato negli anni e che hanno poi trovato un loro ordine nella scrittura del libro. Le sue riflessioni spesso non si basano su grandi teorie economiche, politiche o finanziarie, no, si avvicinano piuttosto a un’ottica socio-antropologica. Lo studio della realtà attraverso i propri sensi, la vista e l’udito innanzitutto. Il racconto di emozioni, sentimenti e risentimenti vissuti in prima persona o in una maniera comunque diretta. Accadimenti che se pure non ti hanno coinvolto in prima persona ti hanno comunque attraversato, di traverso appunto, e inevitabilmente ti hanno segnato.
Ha realizzato Pagliassotti che in Italia, ma in tutto questo “sgangherato Occidente”, si avverte un continuo bisogno di scaricare la violenza accumulata e altrimenti repressa sui poveri. Una rabbia terribile generata però dal fatto che non si sta bene. Ed ecco allora che i migranti diventano “il paracetamolo di immense masse alienate”, che vivono vite orrende in luoghi orrendi venduti come interessanti, stimolanti.
Lo scopo del suo libro è togliere la speranza a queste immense masse alienate che, per quanto possano essere arrabbiate, feroci, crudeli non riusciranno comunque a fermare il transito di coloro che fuggono da luoghi, posti, ricordi, eventi… che molti afferenti alla massa non hanno mai visto né conosciuto, per loro fortuna. Il transito dei migranti è un fenomeno epocale che non si può certo fermare con qualche slogan o barriera, fisica o legale. È una vera e propria lotta, pacifica e silenziosa, per la sopravvivenza.
Ancora dodici chilometri di Maurizio Pagliassotti è un libro molto intenso che racconta di piccoli gesti, di poche parole dette o taciute ma che comunque spingono il lettore verso riflessioni profonde su temi importanti, spesso dimenticati o ignorati. Una lettura interessante e per niente scontata.
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