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Irma Loredana Galgano

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“I giorni della Cagna”, come le mafie si sono prese Roma e l’Italia (Rizzoli, 2016). Intervista a Daniele Autieri

11 lunedì Apr 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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DanieleAutieri, Igiornidellacagna, Italia, italiani, mafia, Rizzoli, romanzo

 

“I giorni della Cagna”, come le mafie si sono prese Roma e l'Italia

È uscito a febbraio di quest’anno con Rizzoli I giorni della Cagna. La presa di Roma del giornalista investigativo Daniele Autieri.

Un romanzo che racconta del momento in cui piccole e grandi organizzazioni criminali hanno stretto un patto: unirsi e diventare «la Bestia più feroce che l’Italia abbia mai conosciuto». Nasce così la Cagna, «il patto segreto che in questi ultimi dieci anni mafia autoctona, mafia siciliana, camorra e ‘ndrangheta hanno siglato per prendersi Roma. E lo Stato».

Un libro intense, quello di Autieri, che trasforma la cronaca nera in fiction perché convinto sia l’unico modo per non perdere il contatto con la realtà, per mantenere viva la capacità della letteratura di esplorare l’animo umano. Un libro che spiega e aiuta a comprendere meglio i meccanismi che muovono la grande macchina del crimine attraverso le azioni quotidiane degli attori e delle comparse, dei burattini e dei burattinai e dello Stato, nella sua componente buona, che è costretto a diventare invisibile per combattere la malavita, perché i tentacoli neri di quest’ultima arrivano davvero dove sarebbe inimmaginabile anche solo pensarli.

Daniele Autieri è autore anche di Professione Lolita (Chiarelettere, 2015). Sua è l’inchiesta sullo scandalo delle baby squillo dei Parioli. Attualmente si interessa degli sviluppi di Mafia Capitale.

Abbiamo parlato con Autieri de I giorni della Cagna, della criminalità organizzata che opera a Roma e anche degli effetti di Mafia Capitale nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.

Come in Professione Lolita anche ne I giorni della cagna lei trasforma tristi vicende di cronaca in storie romanzate. Quali sono i motivi della scelta di questo registro narrativo? Perché preferisce la fiction al reportage?

Rimanere aggrappati alla vita. Questo per me è il romanzo, la narrativa. La possibilità di raccontare la realtà in modo differente. Se perdiamo il contatto con la realtà, rendiamo orfana la letteratura della sua incredibile capacità di affondare nell’animo umano. La realtà ci aiuta a capire, la letteratura a sognare. Insieme ci permettono di vivere.

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La “Cagna” ha unito tutti i malavitosi nella brama di raggiungere il comune obiettivo: trasformare l’Italia in uno Stato criminale. La Storia della criminalità organizzata quanto è intrecciata a quella della capitale e dell’Italia intera?

La Roma di oggi è un esperimento criminale, il luogo dove camorra, ‘ndrangheta, mafia e mafie autoctone hanno stretto un patto di conquista. Per prendersi la città. E da lì prendersi lo Stato. Negli ultimi anni gli uomini delle mafie hanno messo le mani nelle aziende pubbliche, tantissime inchieste giudiziarie lo dimostrano. Ma soprattutto c’è un filo rosso che unisce alcuni degli scandali industriali degli ultimi anni, facendo pensare che dietro molti fatti accaduti ci sia un’unica organizzazione.

“La Cagna”, che si ispira alla Lupa di Dante, è il simbolo di tutto questo e nasce proprio dal patto siglato tra le organizzazioni criminali.

A Roma tutto è stato fatto in “silenzio”. Perché qui i criminali tendono a diventare invisibili più che altrove?

Perché si confondono con la gente per bene. È questo l’inganno eterno di questa città. Il ferro, il piombo entrano in gioco solo quando tutte le altre mediazioni falliscono. E così i criminali si vestono da persone comuni, si confondono, frequentano i migliori ristoranti e condividono amicizie influenti.

Gli ideali e le ideologie non sembrano sopravvivere a lungo, avidità di soldi e potere sì. I criminali si stanno trasformando in uomini di affari e viceversa?

Alle spalle di tutto c’è il denaro, l’avidità. Ed ecco che si ritorna a Dante. I criminali moderni, quelli più pericolosi, hanno capito che il denaro non si fa solo trafficando cocaina, ma anche controllando lo Stato, le sue aziende, i suoi appalti, le sue poltrone. Meglio quindi indossare un abito scuro, vestirsi da uomini d’affari e ottenere uno strapuntino dal quale è più facile mettere le mani sulla cassaforte.

Per sfamare la Cagna vengono preferite teste di legno, facili da comandare e indirizzare. Vale lo stesso per la politica?

Negli ultimi anni a Roma, ma in tutto il resto dell’Italia, sono state costituite migliaia di società di comodo necessarie solo per ottenere commesse dalle aziende pubbliche e per stornare una buona percentuale di tangenti a chi quelle commesse le aveva assegnate. La testa di legno classica si è evoluta e anche alcune istituzioni “malate” hanno cominciato a beneficiarne.

“I giorni della Cagna”, come le mafie si sono prese Roma e l'Italia

A Roma non si spara perché ci sono i figli di tutti. In base a quali accordi riescono a convivere nello stesso territorio camorra, ’ndrangheta, mafia siciliana, criminalità albanese, rom, russa e delinquenti di varie nazionalità?

Gli accordi sono di due tipi. A livello più basso, quello legato al traffico di droga e all’usura, la divisione è territoriale. Gli albanesi controllano alcune zone di Ponte Milvio in accordo con gli uomini di Mafia Capitale; la camorra ha messo le mani su Tor Bella Monaca e altre periferie, e di tanto in tanto si serve di alcune famiglie rom per fare il lavoro sporco; la ‘ndrangheta si occupa prevalentemente del narcotraffico e gestisce i locali del centro.

A livello più alto, il patto viene siglato tra le famiglie mafiose più importanti, quelle che possono mettere sul tavolo i loro legami con politici e manager. Nulla di teorico, anzi. Di tanto in tanto questi uomini si incontrano in uno studio prestigioso di qualche noto avvocato o commercialista romano. Sono riunioni riservatissime e servono per stabilire la linea di comportamento per il futuro. E soprattutto per spartirsi gli affari che contano.

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Quanti “fighetti” come Max Sanna e Claudio Accardi, in bilico tra il bianco e il nero, ci sono in giro per Roma?

Il grigio è il colore dominante. Claudio Accardi, uno dei protagonisti del libro, lo indossa alla perfezione. È un uomo qualunque, che senza aver mai preso una pistola in mano è stato capace di entrare nelle confidenze dei principali boss della Capitale. Lo ha fatto perché aveva un talento: andare per mare e trasportare centinaia di chili di polvere bianca.

Come lui, in tanti camminano in bilico lungo questa zona grigia: notai, avvocati, commercialisti, prestati agli interessi e agli affari del crimine. Questi uomini oggi rappresentano l’anello tra il mondo criminale e le persone comuni.

Il personaggio di Vento invece, spietato, che fa combattimenti clandestini e anche il sicario per guadagnare denaro ma è al contempo un padre attento e premuroso, che sogna per la figlia una vita diversa, migliore della sua vuole indicare che la strada della delinquenza non è per tutti una scelta?

Vento è uno dei miei personaggi preferiti perché è in grado di ribaltare il paradigma, il luogo comune. Dov’è il bene e dov’è il male? A quale tipo di persone ci sentiamo più vicini e quali invece ci sembrano lontanissime dai nostri valori? Forse è la vita che ci rende uomini o belve. Vento è una di quelle persone che non si aspetta risposte e non si aspetta favori. Semplicemente vive. Solo per sé e per sua figlia. E questo lo rende diverso da tanti altri.

Quartieri a cui si accede da un’unica via. Vedette che controllano il traffico e batterie di criminali e spacciatori a spartirsi il territorio. La mente rimanda subito alla Napoli raccontata in Gomorra di Roberto Saviano o alla Sicilia di Sbirritudine di Giorgio Glaviano. Cosa accomuna e cosa divide Roma dalle altre “capitali” della malavita?

Nei metodi di gestione dello spaccio e di controllo del territorio, ormai certe zone di Roma sono del tutto simili a quelle raccontate da Saviano. Di notte, le piazze di spaccio di Tor Bella Monaca o San Basilio non hanno nulla da invidiare al Parco Verde di Caivano. Roma in più ha la caratteristica di ospitare una “criminalità multietnica”, dove il camorrista convive con l’ex-Nar, con l’uomo delle cosche calabresi o con il killer della mafia albanese. Tutto si mischia e si confonde. E quando gli equilibri sballano, allora torna a parlare il piombo.

Cos’è cambiato a Roma dallo scandalo cui è seguita l’inchiesta denominata Mafia Capitale?

Molto in termini di consapevolezza, molto poco in termini di gerarchia criminale. Grazie a Mafia Capitale abbiamo tutti capito che esistono alcune organizzazioni in grado di controllare vaste zone della città e di arrivare con i loro tentacoli fino alla politica. Ma sono le stesse organizzazioni che non hanno mai smesso di fare affari e continuano a farli ancora adesso, durante il processo. Il crimine non si ferma con un’inchiesta. Si ferma con una battaglia culturale di consapevolezza e sensibilizzazione.

A questo servono i libri, capaci di tenere il lettore ancorato alla realtà. Per non dimenticare. E per evitare di rimanere inconsapevolmente schiavi.

http://www.sulromanzo.it/blog/i-giorni-della-cagna-come-le-mafie-si-sono-prese-roma-e-l-italia

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Professione Lolita” di Daniele Autieri (Chiarelettere, 2015)

05 martedì Mag 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Chiarelettere, DanieleAutieri, Italia, italiani, mafia, ProfessioneLolita, recensione, romanzo

Daniele Autieri, Professione Lolita

Lo scorso gennaio è uscito per Chiarelettere Professione Lolita, del giornalista di «Repubblica» Daniele Autieri, le cui inchieste hanno condotto all’arresto di Furio Fusco, il cosiddetto “fotografo delle minorenni”, e permesso ai carabinieri di sventare un giro internazionale di produzione di materiale pedopornografico.

Professione Lolita non è il “racconto giornalistico” dello scandalo delle baby squillo dei Parioli che ha interessato la capitale e sconvolto la nazione, bensì un romanzo di fantasia nel quale i riferimenti a luoghi e persone sono casuali e complementari alla narrazione. Quello che sembra un desiderio di occultarsi del giornalista, a favore dell’autore, si rivela un espediente vincente perché riesce a penetrare nel lettore con maggiore irruenza che non la semplice lettura di un reportage giornalistico. Perché Lalla, Jenny, Chicca, Fairy, Trilly, Malphas e Je Na potrebbero essere chiunque. I figli di qualcun altro ma anche i nostri figli.

«Perché un sito di professioniste dovrebbe scegliere proprio noi?!»

«Perché siamo carne fresca»

In questo modo si chiude il proscenio curato dal vignettista Vincenzo Bizzarri e si apre il libro di Autieri. Carne fresca, adolescenti che pensano di aver capito come funziona il mondo ma soprattutto che vogliono conquistarlo questo mondo fatto di successo, di potere e di denaro che li circonda e li schiaccia da quando erano in fasce. Un universo nel quale sono cresciuti o dentro il quale vogliono entrare a ogni costo. Vengono da famiglie disagiate, hanno genitori separati, problemi di inserimento, oppure sono viziati fino all’inverosimile e comunque insoddisfatti e alla continua ricerca di uno sballo che faccia dimenticare le paure, le incertezze, le delusioni che vengono annegate in modo sistematico nell’alcol, fumo, droghe di vario genere e piccoli approcci alla delinquenza di strada.

Quando non è una questione di soldi ma di rivalsa, il solo scopo è quello di ferire i propri genitori assenti, silenziosi, distratti, per attirare la loro attenzione. Quando invece alla base di tutto c’è il denaro, quello che non si ha e che si vorrebbe possedere, allora si ricorre ai metodi più antichi ma anche più brutali: delinquenza e prostituzione. Ragazzini che si ritrovano al baretto o all’incrocio, in piccoli o grandi gruppi, sotto gli occhi di tutti, passanti e turisti, adulti e anziani che vedono solo la loro adolescenza, non i loro demoni, ben nascosti dietro la pelle liscia, i capelli lunghi, la visiera di un casco o le lenti scure di un occhiale alla moda. Eppure scalpitano, questi demoni, insistenti più che mai, rendendo i ragazzi e le ragazze sempre più vulnerabili, disponibili a farsi sopraffare o a infliggere violenza e auto-infliggersela, a diventare, alla fin fine, i peggiori nemici di se stessi.

Foto di Gustavo Gomes

Fairy ha trascorso gran parte degli ultimi mesi in bagno a vomitare anche l’anima, fino a quando non si è sentita finalmente pronta a guardare e apprezzare la sua immagine riflessa in quello specchio che comunque non riesce a frenare l’inquietudine dei suoi pensieri, il vortice dei suoi tormenti e finisce nelle mani di un fotografo di mezza età che, promettendo successo, regala vergogna.Jenny e Lalla vogliono a tutti i costi riuscire a comprarsi le borse migliori, le scarpe più belle, la bamba più forte, l’accesso ai locali più in. Un posto d’onore in quel mondo dorato di chi ce l’ha fatta ed è “arrivato”. Per farlo pensano di sfruttare il proprio giovane e bel corpo e solo quando è ormai troppo tardi realizzano di essere solamente state fottute.

«E se bastasse urlare? Se la sua gola fosse in grado di emettere un solo grido capace di risvegliare tutte le coscienze addormentate, forse non servirebbe altro. Neanche vendere se stessa».

Foto di Gustavo Gomes

Dietro ogni ragazzo o ragazza inquieta c’è una famiglia problematica o assente che con le urla o i silenzi spinge a imboccare un tunnel buio ma pieno di abbagli, dove pronti ad accoglierli ci sono altri adulti, urlanti o silenti ma molto più pericolosi. E allora ci si domanda: “In quale futuro possono mai credere questi ragazzi che hanno imparato a proprie spese che dei grandi non ci si deve fidare?”

Daniele Autieri

Ragazzi e adulti della capitale che, con in tasca qualche piotta o in banca molto di più, si sentono pronti ad affrontare e vincere contro il mondo intero. Politici, giudici, professionisti, borghesi che pensano di essere imbattibili e furbi. Tutti crollano miseramente di fronte alla paura, quella vera, che viene dal sentirsi una pistola alla tempia o la vita che sfugge. Il terrore generato da chi non si lascia impressionare dai vestiti di sartoria, dalle scarpe lucenti o promesse da marinaio. Davanti ai criminali seri crollano tutti, grandi e piccini, e lo fanno perché si rendono conto che il tempo degli inganni è finito, che non possono cavarsela con scuse a buon mercato come quelle accampate, per esempio, dai politici in campagna elettorale per giustificare il non fatto o il malfatto. Quando ti trovi dinanzi a un boss o un affiliato capisci che il “codice d’onore” vale più di ogni altra cosa e che la parola data, se non mantenuta, non fornisce vie d’uscita.

Per salvare la vita al figlio, il padre di Malphas è costretto a scavare nel suo passato da militante di estrema destra, per ritrovare compagni di fila che possano aiutarlo nell’intento. All’incontro porta anche il ragazzo, il quale ha smesso ormai gli abiti da “duro” per assumere un atteggiamento più remissivo. Entrambi, padre e figlio, si ritrovano a sedere, da principianti, a un tavolo da poker per professionisti, con il terrore di non uscirne vivi, col ricordo ancora caldo di Je Na steso sull’asfalto, con un proiettile nel petto. Così Malphas vende il segreto di Jenny e Lalla al Camaleonte, che gradisce molto l’informazione perché siamo nella Capitale e se un mafioso scopre un giro di prostituzione minorile, in uno dei quartieri più esclusivi di Roma, non pensa a ricavarci denaro bensì grossi favori, la possibilità di tenere in pugno, ricattandola, la gente che conta. Politici, giudici e professionisti diventano suoi burattini all’interno delle Istituzioni. «La conosci la teoria del mondo di mezzo, compa’? Ci stanno, come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. […] E allora vuol dire che ci sta un mondo, un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano. Tu mi dici cazzo come è possibile che quello… com’è possibile, che ne so, che un domani io posso stare a cena con Berlusconi? […] È impossibile tu mi dici… capito? E invece no, perché secondo la teoria del mondo di mezzo c’è un mondo invece dove tutto si incontra».

In Professione Lolita di Daniele Autieri tutto si consuma tra le vie e i palazzi di una «città che si concede a tutti, ma non ama davvero nessuno», una capitale dove convive di tutto: spettacolo, potere, politica, affare e malaffare. Ogni categoria, ogni persona, anche i ragazzini e le ragazzine sono convinti di poter fregare gli altri e conquistarsi il tanto agognato posto nel “mondo che conta”, sono tutti illusi di aver le giuste carte in mano che gli consentiranno di chiudere la partita, e tutti sono destinati a schiantarsi o contro il muro della paura o contro quello della giustizia. Sia nel primo che nel secondo caso capiranno che hanno nuotato in un mare dove a vincere è la regola che il pesce più grande mangia quello più piccolo. Stop. La giustizia segue regole diverse, il denaro e il potere ritornano a contare di nuovo. Jenny e Lalla finiscono con gli assistenti sociali, il fotografo in prigione, insieme con i mafiosi, mentre i giudici, i politici, i professionisti immischiati a vario titolo nella vicenda si ritrovano liberi di vivere le proprie vite, illudendosi di poter ripulire la propria anima comprando, per esempio, vestiti e auto nuove.

Foto di Gustavo Gomes

«Abbiamo venduto l’anima al diavolo e quello non ce la restituirà».

Per tutte le trecento pagine, per ogni singola pagina, il testo porta il lettore a conoscere un mondo ai più sconosciuto, oppure ignorato, e lo fa con un linguaggio colloquiale, ricco di citazioni dialettali che comunque non disturbano la lettura essendo termini di un romanesco noto praticamente a tutti. Un libro che lascia un grande amaro in bocca ma che aiuta a guardare il mondo con occhi nuovi, sicuramente diversi, Professione Lolita di Daniele Autieri.

http://www.sulromanzo.it/blog/professione-lolita-di-daniele-autieri-cosa-accade-ai-nostri-adolescenti

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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