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E se tutte le teorie del complotto servissero solo per nascondere l’esistenza di un unico, grande complotto? E se il viaggio nel tempo fosse possibile, e i centri per l’impiego trovassero il modo di rimandare nel passato i disoccupati per trovare loro lavoro? Questi sono gli interrogativi da cui Luca Giommoni è partito per costruire la storia di Nero, un giovane disoccupato e grande esperto di complotti il quale, nel tentativo di rimediare alle storture del presente dovrà affrontare le kafkiane difficoltà degli organi di controllo burocratici.

La quasi totalità dell’opera di Kafka è incentrata sul senso dell’esistenza dei singoli uomini e della società. E dunque sull’ideale di giustizia, contrastato dall’ingiustizia reale, spesso ammantata di strutture legali. L’opera di Luca Giammoni sembra rifarsi proprio a questa volontà di narrare le storture del proprio tempo che portano i protagonisti in un multiverso contorto e deformato dove tutto viene controllato, revisionato, distorto. Una forma di controllo che rimanda il lettore a scenari cinematografici visti in opere quali Matrix.
Nel ‘900 narrato da Kafka la solitudine è una categoria esistenziale privilegiata. Forte è il senso di solitudine degli individui ormai catapultati in una “società di massa” dentro la quel perdono ogni riferimento.
Lo stesso accade agli uomini del romanzo di Giommoni. Individui persi in una società consumistica e capitalistica nella quale tutti sembrano correre sempre più velocemente verso il nulla più profondo. Chi non è produttivo agli occhi della società scompare ma non Nero, no, lui scompare davvero.
La prima parte del romanzo è di un tale realismo da apparire quasi crudele. Giommoni accompagna il lettore in un percorso a metà tra la conoscenza e la tortura e gli mostra un lato oscuro della società di oggi, quello che più fa paura ai “persi”, ovvero i nuovi vinti di verghiana memoria. I centri per l’impiego, la disoccupazione a trent’anni, i disagi di un mondo del lavoro che lavoro non riesce a dare. Ma il percorso è solo all’inizio. L’autore trasforma la scena continuamente con drastici cambi e l’uso copioso di analessi e flash-forward che, letteralmente, trascinano il lettore nello spazio e, soprattutto, nel tempo. Il tutto a tratti appare quasi un gioco al massacro ma non è così, si tratta solo e semplicemente di fantascienza.
Attraverso scenari e situazioni fantascientifiche l’autore compie un’accurata critica all’odierna società, toccando sia il piano sociale che quello politico. In particolare, tutto l’impianto narrativo sembra costruito intorno a un aspetto peculiare della narrazione attuale: i complotti. Oggigiorno questi sono tanto odiati quanto amati e, soprattutto, impiegati per deviare il flusso di idee e consensi. Nel romanzo di Giommoni il complotto è parte della stessa società, è assoluzione, autoassoluzione, conforto per i personaggi. L’esistenza dei complotti li aiuta a deresponsabilizzarsi, perché la colpa di ciò che accade non può essere imputata a loro, bensì a quell’entità astratta che tira le fila del viver di tutti.
Le tante storie narrate nel libro, unite dal filo conduttore della storia di Nero, pur nell’irrealismo del fantascientifico, finiscono per diventare il grandangolo che indaga l’attualità e la mostra al lettore illuminandone pregi ma, soprattutto, difetti, carenze, oscenità.
Nero di Luca Giommoni è per certo un romanzo con una struttura e una scrittura particolari, ma ben architettato. Che funziona soprattutto perché l’autore ha saputo trasportare nel presente tutti gli insegnamenti di grandi maestri del Novecento, Kafka in primis, ma anche grandi esponenti della letteratura d’oltreoceano come Kurt Vonnegut, rendendoli non solo attuali ma necessari.
Il libro
Luca Giommoni, Nero. Il complotto dei complotti, effequ, 2024.
Articolo pubblicato su LuciaLibri.it
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