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Irma Loredana Galgano

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Archivi tag: poesia

Antonietta Gnerre, Umano fiorire

13 lunedì Ott 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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AntoniettaGnerre, Passigli, poesia, recensione, Umanofiorire

Leggere uno scritto è sempre come entrare, ogni volta, nell’anima dell’autore, condividerne esperienze e sentimenti, passioni ed emozioni. Ciò è ancor più vero quando si legge una poesia, intima e profonda, come quella di Antonietta Gnerre. Un verso delicato il suo che sembra accarezzare il mondo, abbracciarlo senza riuscire a stringerlo. Cercarlo, trovarlo e lasciarlo andare perché esso, il mondo, non può essere posseduto ma solo ammirato. Come la natura. Come l’anima. 

Attraverso i suoi versi, Gnerre racconta se stessa e la sua terra: l’Irpinia, con le sue colline, i boschi, i torrenti e i crinali. 

I temi dell’opera di Gnerre sono quelli cari alla poesia del Novecento. Con lo sguardo sempre rivolto alla poesia religiosa.

Il rapporto tra poesia e religione cristiana è un sottoinsieme del rapporto tra poesia e poesia religiosa in genere, dove si configura il sentimento del divino intrinseco in ogni uomo con l’espressione poetica. Giambattista Vico sottolinea questo legame tra poesia e religione quando parla di “poeti teologi”. Tutto ciò che è un fatto di anima o si svolge nell’ambito della coscienza, se manda fremiti o armonie, è pura poesia e poesia religiosa, perché l’anima, immagine di Dio, rende sacro il canto1.

«Il linguaggio metaforico, parabolico, visionario, profetico dei libri sacri vive di una mutua esaltazione tra spirito religioso e spirito poetico, al punto che sarebbe difficile operare a posteriori una separazione che non ci fu nella scrittura». In questo modo Luzi in Poesia e romanzo descriveva la considerazione della poesia come linguaggio organico originariamente manifestazione del pensiero religioso.

Antonietta Gnerre sembra rifarsi molto a queste correnti di pensiero nella scrittura delle sue poesie, riconducendo sempre il suo pensiero alla volontà e all’opera di Dio. 

Lo sguardo dell’autrice è rivolto all’osservazione della natura e degli elementi naturali del suo territorio, di cui dimostra di conoscere anche gli angoli più nascosti che diventano intimi, come i suoi versi, allorquando, partendo dall’osservazione di ciò che la circonda, ella giunge a ispezionare se stessa. Ed è proprio questo viaggio introspettivo che sembra condurla verso la riflessione mistica, coscienziale. La sua poesia sembra diventare, allora, una preghiera. 

«Sradicato dai vivi, cuore provvisorio, sono limite vano». Scriveva Quasimodo in Al tuo lume naufrago. In questi versi Carlo Bo vedeva compendiato il senso stesso della ricerca umana e religiosa del poeta2, e viene messa in luce proprio la condizione di ontologica precarietà in cui versa l’uomo invischiato nella sua mortale finitudine3.

Anche Gnerre sembra perseguire una simile ricerca, ma dai suoi versi traspare una maggiore speranza, con ogni probabilità legata ai dettami della religione e ai suoi insegnamenti su aldilà e riscatto dell’anima.

«Da qui pronuncio che c’è fiducia per il mondo, per la piuma che trema sull’intonaco delle nostre mani.»

L’uso accorto dell’espressione “per la piuma che trema sull’intonaco delle nostre mani” rimanda a un’immagine molto chiara dell’essere umano e della fragilità della sua esistenza. Un essere, l’umano, che deve fare ammenda per la violenza, la guerra. Per l’esser sordo al mondo e alla natura. 

«Noi siamo tronchi secchi che fingono di non conoscere più il mondo. Stiamo imparando di nuovo, come i bambini, il nome dell’arbusto del viale. Che nel tramonto si pettina di luce.»

Riconciliarsi con la natura è un modo per riconciliarsi con la propria esistenza e con il mondo? Questo sembra essere l’interrogativo base del libro di Gnerre. E come si fa ad appropriarsi del concetto giusto di “vivere secondo natura”? 

Ogni poeta guarda il mondo e la natura attraverso i suoi occhi e trascrive le sensazioni e le emozioni, le riflessioni e le analisi che sono sempre e comunque personali, uniche e, per certi versi, irripetibili. Eppure per Rondoni l’unico modo per comprendere cos’è la natura è affidarsi ai poeti4.

La poesia di Antonietta Gnerre non sembra avere in sé questa ambizione, se non riferita alla persona della stessa autrice, la quale dimostra di avere una visione più intima e intimistica della poesia, strumento di espressione del personale cammino di studio e conoscenza, di se stessa e del mondo che la circonda, attraverso la natura e tutti i suoi elementi.

Il libro

Antonietta Gnerre, Umano fiorire, Bagno a Ripoli (Firenze), Passigli Poesia, 2025.


1C. Galisi, Rapporto tra poesia e religione cristiana, in SinTesi, 2007.

2C. Bo, Condizione di Quasimodo, in Letteratura come vita, 1938.

3A. Luciano, Dinanzi all’abisso. La ricerca di Dio nella poesia italiana del ‘900, in Diacritica, fasc. 28, 25 agosto 2019.

4D. Rondoni, Cos’è la natura. Chiedetelo ai poeti, Roma, Fazi, 2021.


Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


© 2025, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Tiziano Fratus, Una foresta ricamata. Parole scucite tra selve e silenzi

06 lunedì Ott 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Mimesis, poesia, recensione, romanzo, TizianoFratus, Unaforestaricamata

Arriva sempre un momento nella vita nel quale ci si sente quasi obbligati a fare i conti con ciò che è successo, con i desideri realizzati e quelli disattesi, con le emozioni provate e il dolore subito, le delusioni e le aspettative che ancora animano anche gli animi più provati. Un bilancio emotivo ed esistenziale che Fratus sembra aver messo per iscritto in Una foresta ricamata e voluto condividere con i suoi imponderabili lettori.

È proprio all’imponderabile lettore che l’autore si rivolge fin dal proemio della sua opera, un lettore, un soggetto, una persona che a tratti sembra essere o diventare la coscienza stessa di Fratus, emersa dagli abissi del suo essere per ricordargli del tempo passato e dell’uomo che è diventato.

Ricorda l’autore i tempo andati e si rivede fanciullo in giardino a scoprire il mondo che lo circonda e gli animali che lo popolano. Oppure su uno scoglio a scrutare l’orizzonte e l’infinito. Da quei momenti all’oggi, Fratus sente che è sfumata una vita. Non si dichiara apertamente deluso. Afferma di aver, nonostante tutto, realizzato i suoi sogni. Eppure traspare, dalle sue parole, una sorta di malinconia, afferente più alle perdite subite che agli obiettivi mancati. Vuoti, mancanze che l’autore sembra aver voluto sempre riempire con solitudine e silenzio. Il bosco con i suoi alberi e i suoi “rumori” hanno aiutato Fratus a non sentirsi solo o abbandonato. Parte di quella stessa natura che lo ha da sempre attratto e mai deluso. 

Descrivere svevianamente una vita, partendo dal limen della gioventù e possibilmente sbordando in un accrescimento non tanto materiale quanto psichico, tutto cucito di motivi interiori, ha in sé un’innegabile attrattiva1. E Tiziano Fratus sembra essersi lasciato attrarre dal racconto, in chiave quasi confessionale, del suo essere interiore oltre che della sua esistenza pubblica e privata. 

Stefano Agosti ha definito la scrittura di Flaubert una «poesia della prosa»2. Anche la scrittura di Fratus sembra una poesia della prosa che racconta la natura, nella doppia accezione: botanica e umana. Indaga l’autore il mondo che lo circonda. Esplora il territorio e l’ambiente. E, a ogni sentiero di bosco percorso, sembra ritrovare una parte di sé, del suo essere nascosto. 

La scrittura di Flaubert è servita, invece, a Lalla Romano per realizzare che «la prosa può essere altrettanto rigorosa della poesia, che prosa e poesia anzi sono la stessa cosa»3. Si ritrova, nella prosa di Fratus, quel legame interno tra le parole tipico della poesia. Parimenti, si ritrova nella sua poesia quell’attenzione alla descrizione più che al dettaglio tipica della prosa. 

L’autore sembra guardare anche al Futurismo, laddove ripudia la struttura classica della frase o del verso e lascia che le sue parole si abbarbichino intorno a una struttura centrale, portante e rassicurante come un albero, che assume svariate forme e dimensioni. Più che un avvicinarsi a i temi del Futurismo però, l’opera di Fratus sembra volerne ricalcare la ribellione. Fare propria la volontà di libertà e di liberazione. Dagli schemi certo ma, soprattutto, dal male, dal dolore, dall’inciviltà del viver “civile”. Con lo sguardo sempre rivolto alla Natura amica. Un cammino, quello percorso da Fratus nella vita e nella scrittura, che lo porta dal Futurismo a Naturalismo e Verismo, e viceversa. 

Seguendo le riflessioni di Hyppolite Taine, il narratore non viene più visto come un inventore ma un osservatore che analizza una tranche de vie sottolineando i rapporti di causa-effetto che determinano i rapporti umani. 

Nell’opera di Fratus i rapporti posti sotto la lente d’ingrandimento sono soprattutto quelli dell’uomo con la natura. E i rapporti di causa-effetto sono perlopiù le conseguenze dell’agire umano: «chiedo scusa al filo d’erba e chiedo scusa all’usignolo che batte le ali in gabbia e chiedo scusa al ruscello di cui ho deviato il corso e chiedo scusa al mare che ho inquinato».

Il rapporto uomo-natura è stato declinato in maniera diversa nelle differenti culture ma, nel corso del tempo vi è stata una progressiva accentuazione della visione antropocentrica. 

Per noi europei la condizione generica è sempre stata l’animalità: tutti sono animali, solo che alcuni (esseri, speci) sono più animali di altri. Noi umani siamo i meno animali di tutti. Nelle mitologie indigene, al contrario, sono tutti umani, solo che alcuni di questi umani lo sono meno di altri. Tutti gli animali hanno un’anima antropomorfa: il loro corpo, in realtà, è una specie di abbigliamento che nasconde una forma fondamentalmente umana (con un’anima)4.

Negli scritti di Fratus si ritrova, innata, questa filosofia. Egli sembra esserci arrivato mediante l’osservazione di ogni essere abitante il bosco, la cui esistenza ha incontrato quella dello stesso autore, cambiandola radicalmente. Gli occhi di Fratus sembrano diventare quelli di Pascoli, ed egli stesso veste i panni del fanciullino osservando il mondo che lo circonda con lo stupore e la naturalezza che solo l’essere in bilico tra infanzia e maturità può dare. 

Un equilibrio da cui l’autore sembra subito prendere le distanze, in uno slancio di ribellione che diventa volontà di diniego del passato e tensione verso il futuro.

«c’è questo mio silenzio e c’è il silenzio che abita i grandi alberi, e ci sono le vaste foreste, che sono grandi silenzi suddivisi e ordinati. e poi c’è la vastità dell’esistere, del pulsare, del nascere e del morire. E, alfine, c’è il pensiero, che non si adagia un attimo, che anche quando medito galoppa e invade e si incunea.»

Un pensiero, quello descritto da Fratus, che inneggia alla velocità, al dinamismo. In contrasto con il silenzio del bosco e della persona, statici, quasi fermi, passivi. Il pensiero in movimento si allinea di più con la vastità dell’esistere, del pulsare, del nascere e del morire. I versi di Fratus ricordano a tratti il manifesto futurista di Marinetti, lo scontro aperto con il latino, quel classico imbecille che ha testa, ventre, gambe e piedi piatti, ma non due ali per volare. Cerca, invece, Marinetti la velocità e il movimento5. Egli volveva chiudere i ponti con il passato, distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie. Fratus vuole chiudersi nel bosco. Il fruscio degli alberi e il cinguettio degli uccelli divengono allora l’elica turbinante di un aereo sopra Milano che ha ispirato il Manifesto tecnico della letteratura futurista, ed è questo nuovo “rumore” a ispirare Tiziano Fratus nella scrittura del suo personalissimo manifesto che egli immagina e descrive come un’opera d’arte, prima ancora che letteraria, e la suddivide in “quadri”. 

Anche Fratus, come Marinetti e i futuristi, abbandona e ripudia le vecchie regole grammaticali e di sintassi creandone di proprie, tessendo i suoi versi come un vero e proprio ricamo che parte da alberi e natura e si sviluppa intorno a essi. Una tela nutrita e curata dai sentimenti e dalle emozioni dello stesso autore. Dalla sua stessa esistenza che galoppa intorno al pensiero incessante di questo autore il quale, in questo modo, urla tutto il suo silenzio.

Il libro

Tiziano Fratus, Una foresta ricamata. Parole scucite tra selve e silenzi, Mimesis, 2025.


1A. Fraccacreta, Crescere sempre con il romanzo di formazione, su Maremosso. Il magazine dei lettori, 22 marzo 2023.

2S. Agosti, Tecniche della rappresentazione verbale in Flaubert, Milano, Il Saggiatore, 1981.

3L. Romano, Vi racconto una storia. Itinerari nella narrativa italiana contemporanea, in Scuola e Territorio, Rimini, 1985, p. 155.

4E. Viveiros De castro, Lo sguardo del giaguaro. Introduzione al prospettivismo amerindio, Milano, Meltemi, 2023.

5A. Cipolloni, Marinetti e il Futurismo: il Manifesto, in Maremosso. Il magazine dei lettori, 18 novembre 2022.


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


© 2025, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La poesia come espressione della forza delle emozioni: “Il giardino di Sophia” di Sophia de Mello Breyner Andresen

22 lunedì Mag 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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IlGiardinodiSophia, IlRamoelaFogliaEdizioni, poesia, recensione, SophiadeMelloBreynerAndresen

Leggere un libro di poesie non è come leggere narrativa o altro. La poesia è un concentrato di sentimenti, emozioni, aspirazioni, ambizioni, delusioni, paure, dolori, amori… sentimenti forti e grandi condensati in poche righe, o meglio versi. 

Un romanzo è dilatato, concede al lettore il tempo per metabolizzare, assimilare, anche superare in un certo qual modo gli shock emotivi. La poesia no, è crudele da questo punto di vista. 

Non è possibile leggere un libro di poesie tutto d’un fiato come un romanzo, un giallo o un poliziesco. No, la lettura di una poesia ha bisogno di tempo. E la lettura di una raccolta di poesie necessità anche di uno stato d’animo particolare da parte del lettore. 

L’ordine, è un’altra cosa su cui riflettere. Non è necessario leggerle secondo l’ordine di stampa. A meno che non sia stato lo stesso autore a indicarlo. 

Tutto ciò perché le emozioni che possono trasmettere le poesie sono una potenza esplosiva che va ben compresa e per poterlo fare bisogna necessariamente trovare il giusto punto di equilibrio tra la forza della trasmissione e la capacità di assimilazione. 

Il giardino di Sophia è una raccolta di poesie di una potenza estrema. Intensa e cocente. 

Una poesia che lascia intravedere tutta l’esitazione esistenziale dell’autrice la quale, unita alla volontà e determinazione di raggiungere una giustizia sociale, regalano al lettore pagine di una grande letteratura impegnata. 

Un impegno che va oltre il sentimento e anche la religione, l’aspetto spirituale viene rappresentato dall’autrice più come un rimando alle divinità ancestrali che hanno animato la mente degli avi, i quali vivevano a stretto contatto e in simbiosi con la Natura, con le cose, intorno alle quali sembra proprio essere costruita la poesia di Sophia de Mello Breyner Andresen. Un cerchio scritto intorno a loro che sembra anche un abbraccio, all’interno del quale anche il tempo scompare, o meglio rimane sospeso per lasciare liberi i sentimenti di aprirsi senza limiti, di spazio o ti tempo appunto. 

Il giardino di Sophia edito da Il ramo e la foglia edizioni è una selezione di poesie tratte dalle quattordici raccolte poetiche dell’autrice. La poesia di Sophia de Mello Breyner Andresen può nascere indistintamente da un giardino proteso verso l’oceano o da un frutto poggiato su una tavola ed entrambe le immagini danno origine a composizioni nelle quali forte è il rimando alla dimensione esistenziale dell’uomo innanzitutto, ma anche di tutto ciò che rappresenta Natura. Attimi di tempo e attimi di vita, in un concetto della stessa esistenza della poesia che, a tratti, rimanda alla poetica pascoliana del fanciullino. 

Anche le composizioni di Sophia de Mello Breyner Andresen, pur nel loro essere universalmente valide, esattamente come quelle del Pascoli, sembrano nascere proprio dal legame con la propria Terra di origine, nei piccoli gesti della vita quotidiana, nell’esistenza delle persone e dei loro sentimenti.

L’espressione più grande della forza dei sentimenti si ritrova comunque nei componimenti a sfondo politico che attaccano il regime di Salazar, dai quali traspare il grande anelito alla giustizia e alla libertà che deve essere stato per certo il fondamento di tutta la ricerca interiore dell’autrice. 

«… neppure una macchia si vedeva sulla veste dei Farisei.»

Il libro

Sophia de Mello Breyner Andresen, Il giardino di Sophia, Il ramo e la foglia edizione, Roma, 2022. Cura e Traduzione di Roberto Maggiani. Postfazione di Claudio Trognoni. 

L’autrice

Sophia de Mello Breyner Andresen: è stata una poetessa portoghese, tra i maggiori autori lusitani nella storia della letteratura. In aperta opposizione al regime di Salazar, compose anche poesie contro la dittatura.


Articolo pubblicato su Leggere:Tutti


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Il ramo e la foglia edizioni per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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