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Silvia Meucci, titolare dell’Agenzia Letteraria Meucci Agency. Ripercussioni in campo editoriale della crisi economica. La figura dell’agente letterario in Italia e all’estero. Le caratteristiche strutturali di un buon manoscritto. Gli errori da evitare quando ci si rivolge a un agente letterario. Esistono i generi letterari evergreen? Il consiglio dell’agente allo scrittore emergente.

Silvia Meucci è nata a Milano. Si è laureata in Lingua e Letteratura Tedesca. Ha lavorato prima in Italia per Feltrinelli e poi in Spagna per Ediciones Siruela e per l’Universidad de Salamanca. Nel 2007 è stata insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana, Onorificenza della Stella della Solidarietà Italiana per il lavoro di diffusione della cultura italiana all’estero. Rientra in Italia e dopo un anno di collaborazione con l’Agenzia Berla & Griffini decide, nel 2012, di fondare la Silvia Meucci Agenzia Letteraria.

Ha accettato di rispondere ad alcune domande sul suo lavoro come agente letterario, dando anche qualche consiglio pratico a chi, ultimato il suo scritto, voglia sottoporlo al vaglio di un’agenzia o degli editor di case editrici.

È un periodo particolare quello che stiamo vivendo, dal punto di vista economico ma anche sociale. Quali sono le ripercussioni più evidenti che ha riscontrato in campo editoriale?

Ripercussioni? In parte positive, sembra paradossale. Oggi gli editori sono più prudenti, più scrupolosi nelle scelte. Quando mi parlano di crisi mi permetto di esortarli a “fare meno ma a fare meglio”, a riappropriarsi di una propria linea editoriale, ferrea, che torni a caratterizzarli. Fino a oggi, troppi editori volevano fare gli “stessi” libri, senza più distinzioni tra marchi, profili editoriali, origini, ma solo per rispondere a logiche di mercato, mode, fenomeni sociologici…

Il lettore non è stupido. A un certo punto si stanca. I bei libri vincono sempre. Crisi o non crisi. E la crisi sul lettore si fa sentire sul poter acquisitivo. Se ho quindici euro, voglio portare a casa un libro, un mondo, una storia che resti, non un prodotto usa e getta. L’editore non è uno stampatore, e ultimamente si era perso di vista, a parer mio, il “mestiere”, quel buffo e strano mestiere che sfida tutte le leggi dell’Economia, e che fa anticipare tutti i costi di produzioni, prima ancora di capire se un prodotto funzionerà o meno. Per questo, bisogna tornare a calibrare bene, anzi benissimo, le proprie scelte editoriali e appoggiare il libro, nel momento del lancio, con un editing accurato, una veste grafica ben studiata, campagne di marketing e messaggi chiari.

Più lavoro, più professionalità, più attenzione. Ecco, secondo me, il lato positivo. Quello negativo è purtroppo un aspetto pesante che non ha che a vedere con la crisi della lettura, ma della vita in sé. Si è ridotta enormemente la fascia di acquirenti. Come diceva Brecht: “prima il cibo, e poi la morale”.

Cosa rappresenta oggi e quanta importanza riveste la figura dell’agente letterario all’interno del business editoriale italiano? E in quello internazionale?

Un agente è importante perché è garanzia per l’editore che il manoscritto che viene proposto è stato già vagliato, è frutto di una selezione, di un’analisi, forse anche di una prima e sommaria correzione, ed è garanzia per l’autore che la propria opera raggiunga effettivamente l’interlocutore adeguato e venga letta. La stessa identica cosa vale per l’estero.

Quali caratteristiche (strutturali, narrative, letterarie, e via discorrendo) deve avere un manoscritto per catturare la sua attenzione di agente letterario?

La voce. L’angolo da cui l’autore spia la realtà. L’originalità. Ma soprattutto, l’onestà. È la storia, il mondo nuovo, i personaggi che devono catturare, rapire, il lettore. E questo rapimento non avviene se la scrittura non è efficace.

Qual è l’errore più comune che riscontra nelle proposte editoriali che le giungono in redazione?

Molti scrivono non leggendosi dentro, non capendo realmente di cosa vogliono parlare e scrivono pensando al successo, al mercato, ai generi di moda. Bisogna scrivere di quello che si sa, di quello che si conosce o che non si conosce personalmente ma che è oggetto di una passione forte, frutto di curiosità, di interesse…

Stare aderenti alla propria mappatura interiore. E non voler andare a creare qualcosa di “artefatto”. I lettori (gli editori) capiscono subito quando un’opera è frutto di uno sterile lavoro a tavolino e quando invece è il risultato di un’esperienza reale o immaginata, ma sentita. Scrivere è scavare dentro e fuori, fa male. Non è un’operazione delicata.

Quali sono i generi letterari che potremmo definire evergreen, ovvero la cui richiesta e commercializzazione non passa mai di moda?

Non amo parlare di generi ma di libri. Bei libri. Il buon libro non passa mai di moda. Indipendentemente dal genere a cui appartiene: mainstream, poliziesco, thriller, storico, sociale o romanzo d’amore. Basti pensare ai Classici o ai capolavori del Novecento. Sono tali perché hanno resistito all’impatto di mode e del tempo. Perché? Perché sono ‘storie’ prodigiose.

C’è un consiglio che sente di dare a un aspirante scrittore in cerca di un agente letterario?

Quello che dico sempre a tutti: un agente non è un critico letterario. È solo un interlocutore, una persona che deve, assolutamente deve, entrare in sintonia con l’opera presentata. Quindi non bisogna avvilirsi se un agente dice “no”, perché ciò che non entra nelle corde dell’uno, può entrare nel sentire di un altro. Succede costantemente.

Articolo pubblicato sul numero 40 della rivista WritersMagazine Italia diretta da Franco Forte

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