L’invasione russa ha sconvolto le reti dell’energia globale, mutato gli equilibri del mondo e accelerato il declino europeo, accrescendo l’instabilità dell’unipolarismo americano opposto alla Cina.
Con la guerra in Ucraina non viene sancito soltanto il ritorno della storia in Europa, ma diventano evidenti i movimenti delle faglie geopolitiche di un mondo ormai in frantumi.
Cosa accadrà adesso?
Per Giulio Sapelli, il dramma della guerra di aggressione russa all’Ucraina non è risolvibile se non trasformando il conflitto militare in competizione economica, come di fatto sta in parte accadendo, cioè mettendo in discussione il dominio del dollaro e indebolendo man mano le ideologie di autosufficienza energetica sia americane che europee.
Insomma, un dramma che prima o poi vedrà tacere le armi, ma che inaugurerà una guerra economica di lunga durata di cui sarà difficile prevedere l’esito, se non si ritorna a una volontà comune di perseguire l’equilibrio anziché il dominio.
Lucio Caracciolo, nella prefazione al libro, afferma di essere pressoché certo che se la guerra non dilagherà oltre i confini dell’ex Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, fra qualche mese, molti di quelli che a gran voce hanno condannato l’aggressione russa a Kiev e invocato più armi per la resistenza contro l’invasore converranno che quel capitolo doloroso dev’essere chiuso nell’unico modo che a loro parrà possibile: voltandosi dall’altra parte.
Ma per la guerra economica ipotizzata da Sapelli faranno o farebbero altrettanto?
Caracciolo sottolinea come, per Sapelli, siamo in un mondo pre-vestfaliano. Torniamo alle guerre di religione o delle ideologie. Contesti nei quali i dati di realtà e la ragione pratica si sfibrano, sopraffatti dalla violenza fisica ed emotiva. I cosiddetti mezzi sociali di comunicazione – trionfo della carenza di socialità – invitano alla fratturazione della ragione e alla guerra come «igiene del mondo». Magari in nome dei diritti umani.
Sapelli legge l’aggressione russa all’Ucraina nel contesto di un sistema internazionale saltato. Irrecuperabile. Perché quando una grande potenza come la Russia decide di opporre la forza dei suoi armamenti all’incedere verso l’emarginazione, tutto diventa possibile. Purtroppo. Anche la guerra mondiale.
La cifra delle competizioni geopolitiche ed economiche attuali è l’impiego della forza non solo da parte dei potenti a danno dei più deboli ma fra le maggiori potenze.
La novità della guerra in Ucraina è qui. Perché di guerra indiretta fra Russia e Stati Uniti si tratta, con la Cina a studiarne preoccupata conseguenze e ripercussioni che potrebbero interrompere il ciclo di sviluppo già incrinato.
Ristabilire un equilibrio di potenza, quindi un ordine internazionale, sarà operazione di lunga lena e purtroppo costosa, non solo in senso economico. E fa benissimo Caracciolo a ricordare anche che a questa deviazione della storia noi italiani, da tempo beatamente accomodati nel nostro fortunatissimo mondo post-storico, siamo impreparati. Ci mancano i mezzi per capire, prima ancora che per agire.
La pressione della Russia verso il Mediterraneo minaccia direttamente il nostro Paese.
Cosa accadrebbe se la guerra portasse alla chiusura del canale di Suez?
Preoccupazioni legittime che valgono, in maniera diversa, per tutti i Paesi d’Europa. La Germania, per esempio, afferma la sua riscoperta della potenza, per la quale le manca però, almeno finora, il requisito primario: il pensiero strategico. Il suo rapporto quasi parentale con la Russia «la costringe a contorcimenti ed errabonde escursioni dall’europeisticamente corretto che ci ricordano la sua strutturale incapacità di essere egemone».
In Russia, dopo gli anni eltsiniani, si è assistito alla rinascita prepotente di un nuovo nazionalismo «grande russo», fondata su un pensiero «nazional-patriottico» e come reazione alla depredazione delle risorse materiali e spirituali da parte «degli spiriti animali del liberalismo capitalistico». Il pensiero «nazional-patriottico», in risposta a questa «tragedia ordoliberista», ha trovato il terreno di coltura propizio.
I suoi ispiratori sono pensatori euroasiatici come Aleksandr Dugin, per il quale la specificità “grande russa” oppone ontologicamente la Russia all’Occidente e rivendica l’Ucraina come sua fonte primigenia.
I «nazional-bolscevichi» alla Eduard Limonov e i «nuovi conservatori» alla Vladislau Surkou teorizzavano e teorizzano la “verticalità del potere”, che si fonda sulla fedeltà alle radici religiose ortodosse e sulla rivendicata potenza della forza delle armi nucleari, ovvero i pilastri di una nuova «Russia Unita» che si avvia a mutare totalmente il volto delle relazioni internazionali.
Per contro, ricorda Sapelli, purtroppo, la linea di condotta delle potenze occidentali, in primis quella degli Usa e della Nato, favorì e favorisce la rinascita di queste tendenze distruttrici. E ciò per l’effetto controintuitivo di quella politica di espansione a est della Nato, che non poteva non provocare il rafforzamento delle tendenze aggressive imperialistiche «grandi russe».
Putin vuole la neutralizzazione dell’Ucraina e la non contendibilità del Mar Nero. Ha quindi bisogno di controllare il Donbass, Odessa e la Crimea.
L’invasione dell’Ucraina non è una mossa avventata: è coerente con una strategia e, per l’autore, se si vuole percorrere la via delle trattative, l’obiettivo della neutralità di Kiev dovrà essergli concesso.
Il rispetto dell’Accordo di Minsk del 2014, che riguardava il cessate il fuoco, il disarmo delle bande armate e la ripresa dei negoziati, sarebbe stato il punto archetipale per riprendere ogni serio rapporto con la Russia.
Dalla fine dell’Unione Sovietica in poi l’Europa ha cercato invece di sradicare le radici europee della Russia, «calpestando accordi, lanciando provocazioni e alimentando il timore dell’isolamento».
Putin ha allora trasformato il conflitto con l’Europa e la Nato sull’Ucraina e la Crimea e sull’Artico in una partita di equilibri globali stando attento al ruolo euroasiatico della Russia nel lungo periodo e, soprattutto, in relazione con il gioco di potenza globale dove l’Europa è solo uno degli scenari.
Inoltre Sapelli ritiene le sanzioni economiche una mossa sbagliata. Per il semplice fatto che, come la storia insegna, producono l’effetto opposto di quello prefisso, ossia rafforzano i regimi invece di indebolirli. Inoltre è innegabile che le sanzioni danneggiano più l’Europa della Russia.
Ogni giorno l’Europa paga a Mosca centinaia e centinaia di milioni di dollari per comprare gas e petrolio. I paesi europei non possono rinunciare alle forniture russe.
Del resto, i rapporti energetici tra Russia e Ucraina sono continuati anche durante il conflitto. Perché devono perentoriamente essere interrotti quelli tra i paesi europei e la stessa Russia?
Questo modo di intendere i rapporti energetici è stato sconvolto dall’invasione proprio perché le politiche di Nato ed Europa sono fondate sull’impiego delle sanzioni. Ma agendo in questo modo, rammenta Sapelli, non si è disinnescato il pericolo più grande evocato dalla guerra di aggressione: il conflitto nucleare. Una minaccia costante da quando si sono abbandonati i trattati di non proliferazione e il rischio di incidenti è altissimo. È in questo contesto che bisogna comprendere che Nato ed Europa hanno sbagliato, includendo troppo rapidamente tra i loro membri le nazioni che confinano con la Russia. Per l’autore, si è trattato di un errore epocale, che ha drammaticamente accentuato il senso di accerchiamento di Mosca. E, così facendo, si è passati da una gestione diplomatica dei rapporti con l’Occidente a quella che Sapelli definisce una «trattativa armata». Ma ormai, naturalmente, tornare indietro è impossibile.
Alla crisi l’America risponde in forma di centralizzazione imperialistica, economica e militare. Raccoglie intorno a sé non solo la Nato, ma anche tutte le nazioni dell’Ue, tanto in merito alle sanzioni quanto sull’armamento dell’Ucraina.
Le sanzioni sono sempre state una costante dell’azione nordamericana: sono state impiegate contro l’Iraq in favore del Kuwait, con Gheddafi in funzione anti-italiana, con Assad in Siria in funzione anti-francese e anti-russa.
Per Sapelli è veramente disarmante che gli Usa pensino di centralizzare in forma asimmetrica le relazioni internazionali ed economiche, e che pensino di farlo continuando a umiliare la Francia dopo la chiusura obbligata del Nord Stream e l’imposizione di comprare il gas liquefatto statunitense – cosa che farà lievitare quanto mai il prezzo di tutti i combustibili fossili a causa delle varie difficoltà tecniche. Per l’autore il disegno degli Stati Uniti per l’Europa è puntare sulle divisioni esistenti tra gli stati membri per determinarne, operando dall’altra parte dell’Atlantico, il destino.
Giulio Sapelli ritiene che il ruolo della Russia sia sempre stato decisivo per la storia europea. Ed è nei confronti di questa che l’Europa deve esprimere la volontà di relazionarsi in forme autonome rispetto agli Usa. Il modo in cui può farlo è stabilire rapporti con Mosca in modalità differenti da quelle statunitensi, cioè non conflittuali, e che consentano di aiutarla a superare la persistente ostilità nei confronti di un Paese senza il quale l’Europa – non l’Ue – non può esistere come potenza mondiale.
Il libro di Sapelli, a tratti, può sembrare dispersivo ma pensarlo è un errore nel quale il lettore è bene non cada. Il racconto di Sapelli in realtà mostra quanto sia fitta, intrecciata e complessa la rete delle relazioni internazionali, della politica estera che segue e ricade al tempo stesso su quella interna, e di quanto delicato sia l’equilibrio tra Stati, prima ancora che tra “potenze”.
Solo riflettendo su tutto ciò si può evitare il ben più grave errore, in cui purtroppo in tanti sono incappati, di pensare che un bel giorno, come un fulmine a ciel sereno, Vladimir Putin si sia alzato e abbia comandato l’invasione dell’Ucraina e che ciò abbia destato stupore e sgomento nel resto del mondo.
Il libro
Giulio Sapelli, Ucraina anno zero. Una guerra tra mondi, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 2022.
Prima edizione: maggio 2022.
Prefazione di Lucio Caracciolo.
L’autore
Giulio Sapelli: Già professore di Storia economica ed Economia politica in Università europee ed americane. Consulente e consigliere di amministrazione in importanti gruppi industriali e finanziari. Premio Fieri 2020 alla carriera. Presidente Fondazione Germozzi di Confartigianato.
Articolo disponibile anche qui
Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Guerini e Associati per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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