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Irma Loredana Galgano

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Strategie politico-militari e servizi segreti del secondo conflitto mondiale nell’analisi di Giovanni Cecini e Robert Hutton

13 lunedì Gen 2020

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Analisi dei testi L’incredibile storia della seconda guerra mondiale di Giovanni Cecini e L’uomo che fece perdere la guerra ai nazisti di Robert Hutton (Newton Compton Editori, Roma, 2019)

Una guerra, per quanto nefasta e criticabile, ha per sua natura una fine, connaturata nell’esaurimento delle possibilità di vittoria.
Cosa caratterizza allora la seconda guerra mondiale?
La Germania e in parte anche il Giappone proseguirono il conflitto al mero scopo di distruggere l’umanità insieme a loro. Ecco spiegato, per Cecini, il motivo per cui questo fu un qualcosa al di sopra del conflitto militare, essendo un momento esistenziale della storia dell’umanità.

Il ricorso all’ideologia esasperata, più che la violenza in se stessa, fu la vera discriminante nel ritenere il Tripartito condannabile dall’intera umanità, ancor prima della sconfitta in campo.
I “genocidi industriali” del Reich e l’apocalisse infernale delle due bombe atomiche sul Giappone hanno messo negli anni a seguire in profonda crisi morale il senso etico dell’esistenza dell’uomo.
Si parla spesso del dramma provocato dai bombardamenti a tappeto e si ignorano invece i “frequentissimi casi di cannibalismo tra la popolazione civile” come tra le stesse truppe combattenti. Si citano, anche a sproposito, le cosiddette “marocchinate” ma si tende a minimizzare come lo “stupro fosse un autentico mezzo bellico in tutti gli eserciti, nel Tripartito come tra gli Alleati”.

Esempi che da soli basterebbero a rendere l’idea di quanto devastante sia stato il secondo conflitto mondiale. Eppure, come accaduto e accade per ogni grande evento storico, si sceglie a tavolino cosa tramandare. Tutto il resto deve finire nel dimenticatoio. E così sarebbe se non ci fossero studiosi come Cecini.
Tutti i conflitti bellici in realtà, siano essi mondiali e non, andrebbero analizzati come ha fatto Giovanni Cecini e magari anche in questo modo somministrati agli studenti, soprattutto quelli dei gradi superiori. Sicuramente risulterebbe loro più utile, interessante e stimolante studiarli. Piuttosto che nella classica versione cronologica, inaridita da nomi, luoghi e date.
Potrebbe risultare essere un modo migliore per comprendere gli accadimenti, le motivazioni, gli errori e le conseguenze. Diventando anche uno stimolo per moniti futuri.

L’incredibile storia della seconda guerra mondiale di Giovanni Cecini è un libro metalogico, all’interno del quale il conflitto bellico non è semplicemente raccontato, bensì prima scomposto per essere poi ricomposto, sebbene su piani di analisi differenti. L’autore utilizza la metafora dello specchio frantumato, avendo egli avuto cura di raccontare quel che si vedeva nei singoli frammenti, diversi tra loro per forma e dimensione. Un libro costruito quindi sulla riflessione che invita per certo a riconsiderare il solido mainstream venutosi a creare, guardandosi bene però dall’incitare allo scandalo o alla scoperta sensazionale. Nulla di tutto questo si troverà all’interno del testo. Quella di Cecini è un’analisi accurata, ponderata e basata su dati e fatti concreti, reali. Un’analisi investigativa condotta con grande competenza e professionalità.

La documentazione e l’analisi storica infatti non andrebbero mai trattate al pari del gossip o della cronaca nera. La volontà di diffondere un vero, o presunto tale, scoop non è mai di aiuto a chi vuol fare chiarezza.
Analizzare a fondo i fatti, le decisioni, le scelte e le costrizioni… scandagliare il tutto come fa un sonar tra i fondali marini, senza cadute scandalistiche o pregiudizi di sorta, aiuta senz’altro a meglio comprendere le ragioni di dette scelte, giuste o sbagliate che siano.
Studiare le congiunture del particolare momento storico di riferimento, raffrontarle con altre situazioni, analoghe oppure opposte, riflettere sui danni causati e le altre conseguenze… tutto ciò contribuisce in larga misura ad acquisire maggiore consapevolezza di passato e presente e dovrebbe essere anche di grande supporto per comporre al meglio il futuro.

Non sono per certo necessarie leggende metropolitane o falsità, le odierne fake news, per rendere avvincente o intrigante un conflitto bellico.
Lo storico deve voler comprendere, non accontentarsi di ricevere a scatola chiusa delle verità consolatorie e di comodo. Vale anche lo studioso e lo studente.

Ma qual è stato il senso più autentico della seconda guerra mondiale?
Cecini sottolinea più volte nel testo come non sia possibile dare una risposta univoca a questa domanda. Il conflitto è stato ed ha rappresentato tante cose, diverse e anche opposte tra loro.
Negli anni successivi al conflitto, e soprattutto di recente, molte volte si è messo in dubbio “il valore morale” degli alleati, perché spesso il loro ruolo è stato mitizzato e “portato su un piano diverso da quello meramente storico”.

Di sicuro c’è che, grazie proprio alla seconda guerra mondiale, l’America è diventata a tutti gli effetti la prima potenza economica a livello mondiale, mentre la Cina e l’Unione Sovietica hanno assoggettato milioni di liberi cittadini con la forza e la paura, imponendo loro il proprio credo politico.
Il Paese che invece ne è uscito vittorioso solo sulla carta sembrerebbe essere stato il Regno Unito. Partito agli inizi del Novecento come unica e indiscussa superpotenza mondiale, nel giro di quarant’anni si è visto scippare il titolo prima dall’America e poi dall’Unione Sovietica. Uno strappo mai completamente risanato.
Chi invece è riuscita a superare anche il crollo del vecchio impero coloniale è stata la Francia perché, come ricorda e sottolinea Cecini, l’Africa è quasi più francese oggi di ottant’anni fa.

Ad ogni modo, tutte le grandi potenze interessate al conflitto sono le stesse che oggi vanno a comporre il G8, con la sola aggiunta della Cina, paese che riveste un peso sempre maggiore nel contesto socioeconomico internazionale.

La grande eredità che ha lasciato la seconda guerra mondiale, per anni nei popoli di tutto il mondo, è stata la speranza di un mondo migliore. Ma, senza ombra di dubbio, e bene fa Cecini a ricordarlo nel suo libro, la divisione in blocchi contrapposti, il mancato giudizio verso tutti i criminali di guerra, nonché l’esasperazione della Guerra Fredda hanno di molto diluito i grandi e buoni proposito scaturiti al termine del conflitto.
Se ci si dimentica che molti dei problemi attuali non sono altro che conseguenze della seconda guerra mondiale, allora davvero si rischia non solo di “perdere un patrimonio di esperienze molto prezioso” ma anche e soprattutto di “rendere vane le morti di milioni di persone”.

Commentando L’uomo che fece perdere la guerra ai nazisti di Robert Hutton, Tony Robinson ha affermato:

«In un’epoca in cui lo spettro dell’antisemitismo torna a fare paura, questo incredibile libro è indispensabile per ricordare che non siamo immuni alla minaccia del fascismo»

Il libro di Hutton nasce con lo scopo precipuo di voler raccontare una storia deliberatamente celata, come spesso accade, nella presunzione o illusione che non parlare di qualcosa di sgradevole aiuti a cancellarlo o, quantomeno, a fare in modo che rimanga nell’ombra e finisca quanto prima nel dimenticatoio anche per coloro che ne sono, in tutto o in parte, a conoscenza.
Ciò lo si fa anche per evitare di dare un’immagine di sé o del proprio Paese sbagliata, o comunque non corrispondente a quella che invece si vuole dare.

Hutton, al pari di quanto fatto da Cecini, ha narrato di un qualcosa che ha molto di incredibile, ma lo ha fatto con rigore e serietà, senza scoop sensazionalistici o allarmismi complottisti. Lo ha fatto semplicemente raccontando la verità, riportando date, dati, nomi e fatti concreti.

Si tratta di argomenti spinosi e questo è evidente, come lo è il fatto che a partire dal 2 settembre 1945 di tante cose si è preferito non parlare più. Troppo era accaduto. Bisognava solo mettere un punto fermo, voltare pagine e ricominciare. Ricostruire interi paesi manche anime ed esistenze.
Così facendo però non si è data la possibilità di analizzare molti aspetti ed eventi. Accadimenti e movimenti di pensiero che si è creduto di aver eliminato per sempre. Oggi, purtroppo, scopriamo che così non è stato. In tanti paesi europei certe idee hanno sempre continuato a bruciare, come fuoco sotto la cenere, magari anche in virtù del fatto che di ciò non se ne doveva parlare.

Il narrato del libro di Hutton è una storia vera.
Sin dal 1945 la Gran Bretagna “ha raccontato a se stessa una storia della guerra”. In questa narrazione, non solo il Paese si opponeva da solo alle forze militari del fascismo ma era anche straordinariamente resistente all’ideologia stessa. Mentre altre nazioni soccombevano a idee simili o collaboravano con gli invasori, la Gran Bretagna restava salda. Quella forza di carattere salvò non solo il Regno Unito ma l’Europa tutta.
Questa la versione narrata dagli inglesi agli inglesi, come al resto del mondo, e riportata da Hutton nel testo. Ma “l’MI5 conosceva una storia diversa”. Ed è di quella che racconta l’autore.

Verso la fine della guerra, i servizi segreti avevano identificato centinaia di uomini e donne britannici, in apparenza leali ma che bramavano una conquista da parte dei nazisti. Alcuni di loro si erano addirittura spinti oltre, rischiando finanche la vita per aiutare il Fuhrer. La gran parte delle testimonianze sono andate o sono state distrutte, eppure permangono le trascrizioni di oltre seicento conversazioni, avvenute tra il 1942 e il 1944, nelle quali si legge di come questi cittadini britannici discutono su come sia meglio muoversi per “tradire il proprio Paese con la Germania”.

È stato possibile, per Hutton, raccontare questa storia grazie alla decisione di rendere pubblica una selezione di dossier storici dell’MI5.
Solo così ha potuto vedere la luce L’uomo che fece perdere la guerra ai nazisti, che ricostruisce nel dettaglio l’operato dell’agente segreto inglese identificato con il nome in codice Jack King.
Un libro che è stata anche una grande sfida per l’autore. Nel tentativo continuo di voler descrivere l’intero quadro attraverso l’assemblaggio di un puzzle di cui non possiede tutti i pezzi. Alcuni ancora rimangono un mistero. La speranza, per Hutton, è che in futuro altri dossier vengano desecretati, anche se è consapevole che la scoperta di nuove informazioni potrebbe rivelare errori, naturalmente commessi in buona fede, nella ricostruzione da lui stesso fatta nel testo.

I libri di Giovanni Cecini e Robert Hutton hanno davvero un valore incredibile per la conoscenza e l’analisi di un periodo della recente storia che andrebbe sezionato tutto per essere ben compreso. Esattamente come ha fatto Cecini e, in un certo qual modo, lo stesso Hutton che ha puntato un riflettore su un punto preciso e poi ha zoomato quanto più gli è stato possibile fare.
L’incredibile storia della seconda guerra mondiale e L’uomo che fece perdere la guerra ai nazisti sono due lavori accurati, precisi, interessanti e assolutamente necessari.

Bibliografia di riferimento

Giovanni Cecini, L’incredibile storia della seconda guerra mondiale. Strategie, armi, protagonisti del conflitto che ha cambiato le sorti del mondo, Newton Compton Editori, Roma, settembre 2019.

Robert Hutton, L’uomo che fece perdere la guerra ai nazisti. Nome in codice Jack King: l’agente segreto inglese che sconfisse Adolf Hitler, Newton Compton, Roma, ottobre 2019.




Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa della Newton Compton Editori per la disponibilità e il materiale


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 L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage. Intervista a Lorenzo Del Boca 


 

© 2020, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

21 giovedì Mag 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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intervista, LaGrandeGuerra, LorenzaodelBoca, MaledettaGuerra, Piemme, saggio

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

L’Italia entra nella Prima guerra mondiale il 23 maggio 1915 e prende parte a quella che papa Benedetto XV definirà un’inutile strage.

Abbiamo voluto celebrare questo centenario attraverso uno speciale che inauguriamo oggi con l’intervista a Lorenzo Del Boca, ex presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti e attuale vicepresidente della Fondazione del Salone del Libro di Torino, autore di Maledetta guerra. Le bugie, i misfatti, gli inganni che mandarono a morire i nostri nonni, edito da Piemme; un libro che, riportando le testimonianze scritte dei giovani soldati, diventa ancora più penetrante, incisivo, importante. Tutti questi ragazzi, poco più che adolescenti, che hanno combattuto la Grande Guerra, la prima mondiale, la più sanguinaria, che ha registrato un numero di vittime impressionante, strappati alle loro vite, ai loro sogni in nome di una politica, di una Storia e di uno Stato che ancora oggi fatica a riconoscere l’enorme debito contratto nei loro confronti.

In Maledetta guerra, individua i prodromi della Prima guerra mondiale già nella Belle Époque, quasi a sottolineare come, mentre si viveva in un periodo di pace e prosperità, si stesse già delineando lo scenario che poi avrebbe portato alla Prima guerra mondiale, e non solo in termini di spionaggio, diplomazia, alleanze, ma anche di vera e propria propaganda. In quale misura, quest’ultima si rivelò utile per promuovere la guerra presso le popolazioni europee, e si può davvero parlare di un’azione strategicamente orchestrata?

La propaganda ha sempre avuto un’importanza fondamentale e particolarmente l’ha avuta negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento perché si stava sviluppando un’ideologia e quindi la propaganda della Francia per la Francia, dell’Austro-Ungheria per l’Austro-Ungheria, persino dell’Italia per l’Italia aveva una presa straordinaria. E va sottolineato che questa propaganda era in atto da decenni.

A leggere i libri di storia sembra che la Guerra mondiale nel 1914 sia esplosa all’improvviso o quasi, in realtà si covava da trent’anni perché la Francia aveva in mente la rivincita nei confronti della Germania fin dalla mattina dopo della sconfitta di Sedan, che è avvenuta nel 1870. Parliamo di quarantaquattro anni prima dello scoppio della Guerra.

La Francia che era stata bastonata e aveva dovuto subire l’umiliazione di vedere il proprio imperatore Napoleone III catturato fisicamente dai tedeschi, deportato prigioniero in Germania, addirittura aveva dovuto sottoscrivere un Accordo di pace e in una clausola era prevista la sfilata dei vincitori, cioè dei tedeschi, per le vie principali di Parigi. Ora questa macchia i francesi la volevano cancellare e, in pratica, subito dopo la sconfitta hanno cominciato a lavorare la rivincita. Avevano dovuto cedere l’Alsazia e la Lorena e il loro grido di battaglia era “Lorraine française”. Il Presidente della Repubblica francese Poincaré era uno che veniva dalla Lorena ed è stato eletto Presidente della Repubblica con questo grido, che era di fatto un grido di battaglia.

Tutto questo movimento è stato accompagnato da una propaganda ora sottile, ora più velata, ora più esplicita che ha avuto un peso significativo. Quando è stato il momento di sparare, la gente era preparata a farlo.

 E in Italia? Come si costruì il consenso intorno all’ingresso nella Prima guerra mondiale?

L’Italia non costruì il consenso perché la maggior parte dell’Italia era per la pace. In verità lo era la maggior parte della popolazione, che era formata soprattutto da contadini, l’industrializzazione era poca roba, però anche gli operai che lavoravano nelle fabbriche preferivano continuare a lavorare al tornio piuttosto che imbracciare il fucile ed era neutralista la maggior parte del Parlamento. Al punto tale che alcuni commentatori parlano di un vero e proprio golpe, perché la guerra la vollero una dozzina di politici: Salandra, Sonnino, il re Vittorio Emanuele III, una schiera di riformati che facevano riferimento alla corrente letteraria del Futurismoche voleva rompere con le vecchie regole grammaticali, storiche, persino musicali, dicevano che il miglior concerto era il concerto di una città che si risvegliava, cosa che produceva anche qualche malumore… immaginate uno che va a fare un concerto, la gente che è abituata a sentire Verdi e Puccini, e gli fan sentire i rumori di una fabbrica che si mette in movimento e il più delle volte queste manifestazioni finivano a schiaffi. Ma questi futuristi lanciavano delle idee, alcune balzane, altre nient’affatto innocue perché inneggiavano alla guerra come igiene del mondo. Il campione di questi futuristi fu Papini che firmò un editoriale intitolato Amiamo la guerra. Dopo tanti anni di stucchevole silenzio, di tiepidume, di latte materno, finalmente c’è il sangue, assaporiamo la guerra.

A questo gruppo si aggiunsero anche personaggi significativi, Carducci per esempio disse che da troppo tempo si stava in pace e ci voleva la guerra, e D’Annunzio che si sa fu un vero e proprio promoter della guerra. Mussolini, direttore de «L’Avanti» socialista e inizialmente a favore del neutralismo, poi si lascia convincere dai soldi dei francesi e sposa l’interventismo. Però queste minoranze erano e rimasero tali, la maggioranza della popolazione italiana nella Guerra venne trascinata e la fece controvoglia, anche se poi i soldati al fronte finirono con l’ubbidire agli ordini e si comportarono in modo eroico, i soldati. Ma avrebbero continuato volentieri a zappare la loro terra e a far girare il loro tornio.

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

 Lei dedica un intero capitolo alla figura di Alberto Pollio, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano e sostenitore dell’adesione dell’Italia alla Triplice Alleanza. Perché ritiene la sua morte così emblematica, oltre che utile per comprendere le modalità della scesa in campo dell’Italia?

Perché Alberto Pollio, che era il Capo di Stato Maggiore, era un convinto triplicista, la sua educazione militare era avvenuta nell’Impero Austro-Ungarico, a Vienna, dove aveva conosciuto la moglie. Non avrebbe mai accettato di combattere contro l’Austria o l’Ungheria insieme alla Francia e quindi era uno che andava tolto di mezzo. È morto due giorni dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando quando già cominciavano a sentirsi gli urli di guerra. Per qualche decennio è stato detto che fosse morto di infarto, che una grande giornata di caldo gli aveva fatto cedere il cuore. Poi si è scoperta una relazione di un certo Traniello, che era il colonnello suo accompagnatore, il quale aveva scritto la relazione per spiegare come era morto Pollio, questa relazione è stata nascosta, non accettata dal comando superiore perché insinuava troppi dubbi, presentava troppi interrogativi e così Traniello fu costretto a scriverne un’altra, più edulcorata, più comprensiva, più giustificazionista. La prima relazione fu poi ritrovata dal nipote di Traniello, il quale la rese pubblica, e leggendola in effetti gli interrogativi emergono in tutta la loro evidenza. La dinamica della morte di Alberto Pollio non fu affatto chiara e sostenere che non fu una morte naturale e ipotizzare che fu avvelenato non è affatto una bizzarria. Per scendere in campo con la Francia e l’Inghilterra contro l’Austria e l’Ungheria bisognava togliere di mezzo Pollio, che non poteva essere licenziato, perché licenziare il Capo di Stato Maggiore avrebbe generato un chiacchiericcio, uno scandalo militare-politico enorme, bisognava fisicamente farlo fuori e lo fecero fuori.

La guerra italiana sul fronte dell’Austria che portò 700mila morti e 1 milione di feriti cominciò con un morto senza sparatoria, senza spargimento di sangue, ma un morto fondamentale per poter entrare in guerra.

“Disinformatia” è la parola d’ordine di quel periodo, o come si direbbe oggi “costruzione del consenso”, attraverso il consolidarsi di legami e interessi economici. Basti ricordare i rapporti tra i rappresentanti della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa, da un lato, e gli organi di stampa, dall’altro. Quale fu, invece, il ruolo della politica italiana, e in che modo questa subì ingerenze esterne, o si lasciò irretire in qualche modo?

La politica italiana per l’intero 1914 venne sottoposta a un bombardamento di disinformatia appunto di opposte tendenze. Tedeschi e austriaci insistevano affinché l’Italia mantenesse fede all’Alleanza che aveva con loro. L’Italia era alleata con la Germania, l’Austria e l’Ungheria. La Francia e l’Inghilterra, percependo i tentennamenti dell’Italia nei confronti dell’Austria-Ungheria, insistevano perché questa Alleanza venisse rotta e l’Italia cambiasse capo. Per fare questo investirono una gran quantità di denaro, comprarono giornali, li finanziarono, sostennero economicamente azioni di spionaggio… fecero qualunque cosa finché i politici si convinsero che l’Italia doveva abbandonare la neutralità e scendere in campo con la Francia e l’Inghilterra.

Dopodiché la vera disinformatia fu quella dei giornali che raccontavano la guerra sul Carso. Perché non si poteva raccontare alla gente che stava a casa che c’erano degli assalti che costarono i primi 30mila morti e 30mila tra feriti e dispersi e gli ultimi 100mila tra feriti e dispersi e quindi dovettero dire che c’erano degli atti di eroismo, che c’erano delle battaglie vinte, che c’erano delle perdite, dei caduti, ma in modo sempre edulcorato così da non urtare la suscettibilità dell’immaginario collettivo, però che la guerra andava avanti, che la guida era sicura, che i generali sapevano il fatto loro. Al punto tale che alcuni commentatori dicono cheper 50 centesimi, che era il prezzo del giornale di allora, gli italiani venivano inondati di valanghe di bugie. Basti dire che la sconfitta di Caporetto, del 24 Ottobre 1917, venne conosciuta dal pubblico italiano nove giorni dopo.

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Gran parte del libro restituisce l’immagine dell’Italia in guerra attraverso le parole di chi era al fronte, parole raccolte in diari e lettere che restituiscono la durezza della guerra, come non mai. Ma davvero, lontano dal fronte, si riuscì a oscurare il lato più nero dell’azione bellica?

Mi sono concentrato e ho valorizzato lettere, diari, resoconti e memoriali dei soldati perché mi sembrano il racconto più autentico della Guerra mondiale. I generali hanno scritto migliaia di pagine, Cadorna, Cavaciocchi, Capello… un fiume di parole che però servivano più per giustificare i propri errori che per raccontare davvero quello che era successo. La guerra dei generali era una guerra che avveniva nel migliore dei casi a una dozzina di chilometri di distanza dal fronte, loro la guerra la vedevano dal monte Matajur col binocolo ed era una guerra persino esteticamente appagante. Perché era fatta di una grande macchia di colore grigio-azzurra che era la divisa austro-ungarica che si avvicinava, qualche volta si toccava a una macchia di colore verde, grigio-verde che era invece il colore della divisa italiana, colori che per un po’ si mescolavano, si sovrapponevano, poi ritornavano nel proprio punto di riferimento come respinti da una forza centrifuga ed era senza sangue, perché il sangue a 12 km di distanza non si vede col binocolo, era una guerra senza morti, perché il pudore o forse l’ipocrisia della guerra li faceva chiamare caduti ed erano cifre statistiche del tipo “ci sono 27mila perdite” e finiva così.

I soldati conoscevano e vivevano un’altra guerra, perché non avevano la dimensione d’insieme dei battaglioni e dei corpi d’armata, la loro dimensione erano i 50 metri quadrati di trincea che occupavano dove cercavano di vivere ma più spesso non riuscivano che a morire. E lì c’era la guerra vera, lì non ci sono i nomi dei battaglioni, non ci sono le grandi strategie ma c’è il sangue e la morte. C’è il tenente Quinterno che viene investito da una raffica che gli taglia le gambe, i commilitoni, dicono i soldati, non sapevano come prenderlo e lui pregava che lo si ammazzasse. Era un’altra guerra. Una guerra che indispettiva i soldati, perché coloro che avevano scelto la carriera militare, cioè che avevano scelto di fare i guerrieri, di fatto non combattevano, ordinando agli altri di combattere da dietro le trincee, chi invece sarebbe stato tranquillamente a casa sua  ad accudire i propri animali, a lavorare la terra, a faticare sulla terra perché il lavoro dei contadini allora era un lavoro infame, erano costretti ad andare all’assalto rispondendo a degli ordini che qualche volta erano strampalati e qualche altra fuori dal mondo.

E le lettere di questa gente ci restituiscono un’umanità dolente che in qualche modo va valorizzata. Adesso per esempio mi ritornano alla mente le parole di uno che racconta di aver fatto una marcia di 60 km, «appesantiti dallo zaino che pesava in un modo che adesso non si caricano neanche gli animali e ci siamo ritrovati in sei in una tenda per due, e stavamo tutti groppati l’uno all’altro, la puzza non può essere descritta, uno sputava, l’altro vomitava, io stavo pensando a te ma ho scacciato il pensiero del tuo viso e del tuo volto perché pensarti in questo contesto mi sembrava di farti un’offesa», dice scrivendo alla sua fidanzata.

È un’altra guerra e mi sembra che finora la storiografia ufficiale i diari del fronte li abbia poco valorizzati e poco presi in considerazione.

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Anche volendo restare solo sui numeri, la prima guerra mondiale si tradusse in una vera e propria carneficina: 5 milioni e 900 mila arruolati, 777.000 morti nel fronte o in prigionia, senza contare i reduci morti a seguito delle ferite riportate. Quale fu il ruolo, e la responsabilità, di Cadorna dinanzi a quest’eccidio?

Enorme. Aveva un’idea in testa e quell’idea era sbagliata, ma a quell’idea era cocciutamente affezionato. L’idea che aveva in testa era l’attacco frontale. In sostanza si trattava di andare all’assalto con un numero di uomini maggiore delle pallottole e delle mitragliatrici avversarie, perché se c’erano più uomini che pallottole, qualcuno di questi uomini sarebbe arrivato sulla trincea avversaria. Il fatto è che per quattro anni c’erano più pallottole che uomini e quindi ogni assalto, che lo chiamavano la spallata… ogni spallata produceva inizialmente 30mila morti e 30mila tra feriti e dispersi, le ultime spallate, la decima o l’undicesima battaglia dell’Isonzo, arrivarono a 150-180mila fra morti, feriti e dispersi. Un massacro inumano del quale la responsabilità è naturalmente sua.

Gli storici ufficiali l’hanno trattato per 100 anni con i guanti bianchi dicendo e non dicendo, com’è loro costume, ma facendolo figurare come un personaggio tutto d’un pezzo, apprezzato dai comandi, addirittura amato dalla truppa.

Allora il giudizio più autentico ma anche più severo viene da mio nonno, il quale mi raccontò la Guerra mondiale quando ero un ragazzino. Mi portò davanti al Monumento dei Caduti del mio paese di origine e mi disse che lì troviamo scritti 27 nomi di morti che in un comune che aveva 1100 abitanti significa un morto per famiglia. Mi dice che otto sono parenti diretti e nove indiretti. E mi chiede: «Hai capito perché io questo forsennato di Cadorna non lo posso sopportare e perché il sentimento che ho di lui è soltanto quello dell’odio?».

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Chi ha tratto giovamento da tutto questo?

Credo nessuno. Perché la guerra che è finita con un grande massacro, con 20milioni di morti, ha messo in crisi tutti quanti i Paesi. La Germania si è ritrovata come figlio diretto della guerra mondiale il Nazismo, l’Italia si è ritrovata come figlio diretto della guerra mondiale il Fascismo, l’Austro-Ungheria è stata dilaniata e sparpagliata, la Francia e l’Inghilterra hanno vissuto momenti di grande difficoltà. Una carneficina che per usare le parole di Papa Benedetto XV è stata «un’inutile strage».

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Leggendo il libro di Lorenzo del Boca e ascoltando le sue risposte, sentirlo raccontare le tragedie, le paure, le sofferenze dei soldati arruolati nelle trincee della Grande Guerra, riflettere sulle decisioni, sulle politiche, sulle conseguenze di queste porta istintivamente a chiedere e a chiedersi perché l’hanno voluta, questa come le altre, a ogni costo la Maledetta guerra, e soprattutto perché l’Italia abbia deciso di entrare nella Prima guerra mondiale.

http://www.sulromanzo.it/blog/l-italia-nella-prima-guerra-mondiale-un-inutile-strage

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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