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Irma Loredana Galgano

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Vincenzo Patanè, Una piccola goccia d’inchiostro

12 venerdì Dic 2025

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IlRamoelaFogliaEdizioni, recensione, romanzo, Unapiccolagocciadinchiostro, VincenzoPatanè

Un romanzo molto intenso, quello di Patanè, ambientato nel cuore di Napoli, a Rione Sanità, e basato su una storia vera. L’incipit è legato al ritrovamento casuale di sessantasei lettere che Elvio ha scritto a sua sorella, ovvero la madre dell’autore, tra il 1953 e il 1965. 

Le lettere svelano uno zio diverso da quello conosciuto dall’autore, o meglio raccontano di un suo lato fino ad allora ignorato. Attraverso la lettura di questo carteggio Patanè scopre l’anima di suo zio Elvio, i desideri e le pulsioni provate da ragazzo, la scoperta prima e la consapevolezza poi di essere attratto dagli uomini e di non essere solo in questa scoperta. Inizia così per lo zio un lungo peregrinare alla ricerca del vero sé stesso, un arduo viaggio che lo vedrà vittorioso alla meta allorquando incontra la sua metà, una persona di cui apprezza molto la virtù del suo modo di vedere le cose. Eppure Elvio sa benissimo di non poter aprire il suo cuore ad alcuno, di non poter raccontare a voce alta i suoi sentimenti, di non poter essere pienamente sé stesso: la famiglia da un lato e la società dall’altro tarpano le sue ali di libertà. Anche durante il dopoguerra la situazione non è cambiata molto, la società è rimasta perbenista ed egli, non sentendosi più a casa, decide di partire per un viaggio in Danimarca motivato anche dalla storia di Christine Jorgensen e la sua riassegnazione di sesso del 1952. 

Le delusioni d’amore hanno segnato Elvio ma, soprattutto, è stato l’allontanamento dalla famiglia che lo ha smarrito in un mondo senza quei necessari punti di riferimento, o meglio di appoggio, di sostegno e conforto. Ma i suoi familiari lo hanno lasciato solo, lo hanno isolato e anche incolpato di aver “traviato” lo stesso autore, di averlo “contagiato”. Evidente in questi passaggi del libro il peso dei pregiudizi e dei dogmi di una società ancorata a vecchi retaggi culturali e sociali. 

Il forte legame che ha unito zio e nipote traspare in ogni pagina del libro il quale sembra essere stato scritto proprio per rimarcare il grande sentimento e l’affetto che li univa, come i tanti interessi che li accomunavano: dall’omosessualità all’amore per la cultura in ogni sua espressione. Lo stile narrativo di Patanè in Una piccola goccia d’inchiostro sembra essere il risultato diretto di questo affetto e di questa affinità spirituale. È un libro scritto con rispetto, come il profondo rispetto che l’autore ha avuto nei confronti di suo zio. 

A fare da sfondo all’intero romanzo c’è la città di Napoli e, in particolare, il Rione Sanità cui l’autore dimostra di essere molto legato, fors’anche perché visitandolo riemergono i ricordi di lui bambino, del tempo in cui tutti i sentimenti da lui narrati si sono formati e poi evoluti. Le vicende e le vicissitudini vissute da Elvio vengono affiancate dal racconto dei tanti che hanno avuto un simil destino. Racconta dei luoghi di incontro all’aperto e al chiuso, del bordello per gli incontri intimi, delle paure per le aggressioni subite o paventate, dei timori verso la polizia e le denunce per atti osceni o adescamento, per arrivare al terrore più grande: la gogna, l’essere pubblicamente svergognato. L’imbarazzo di essere additato e giudicato semplicemente per una scelta di natura sessuale. 

Oggi sembra che tanti passi in avanti sono stati compiuti, rispetto agli anni Quaranta del secolo scorso, eppure ancora in tanti, in troppi, sono costretti a dare spiegazioni e giustificazioni per delle scelte che dovrebbero essere libere e personali. In questo il libro rappresenta un ulteriore tassello verso il progresso, una piccola goccia d’inchiostro utile a proseguire il cammino verso la reale pari dignità sociale ed eguaglianza dinanzi alla legge (e alla società civile, ndr), senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, come recita l’articolo 3 della Costituzione. E anche se nella Costituzione, entrata in vigore nel 1948, non viene mai esplicitamente citato l’orientamento sessuale, oggi, nel 2025, dovrebbe essere chiaro e cristallino che essa riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2), laddove per il generico uomo dovremmo oramai essere tutti in grado di leggere “persona”, indipendentemente dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale di essa.

Il libro

Vincenzo Patanè, Una piccola goccia d’inchiostro, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2025. 


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


© 2025, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Alessandro Conforti, La mula e gli altri. Faccende semiserie di provincia

26 venerdì Set 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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AlessandroConforti, IlRamoelaFogliaEdizioni, Lamulaeglialtri, recensione, romanzo

Sullo sfondo domestico di una provincia come tante si intrecciano le sorti di uomini e animali; li lega il filo attorcigliato del narrare, che nello scorrere ritorna, si smarrisce riprendendosi. Raccolta sì ma dispersa: dentro un oceano di libertà che diventa anche distanza incolmabile. Ed è proprio il racconto, imperfetta cucitura tra vicino e lontano, a farci credere ancora possibile comunicare noi.

Galline rivoltose, un investigatore da strapazzo e fiori di stramonio che fanno rinsavire. Una luna smozzicata da serpenti illumina il cielo di un pollaio e del mondo, ma sono la stessa cosa.

La base da cui Conforti sembra attingere a piene mani per le sue “storie semiserie” sono tutte le leggende popolari, narrazioni salvate dall’oblio per la maggiore grazie al racconto orale. Storie di uomini che vivevano a stretto contatto con la natura e con gli animali e da questi traevano lo spunto per insegnamenti e racconti. 

Parabole di vita quotidiana che l’autore riprende, rielabora, trasforma, immagina.

Raccontare storie è forse uno dei bisogni primari dell’uomo, sin dai tempi più antichi. Leggende, racconti, miti e superstizioni: sono tutti parte di un patrimonio culturale universale e rispondono alla necessità di creare e ricreare mondi magici come modo di spiegare e affrontare una realtà tangibile, nella quale la ragione domina sull’immaginazione. 

Il racconto è una narrazione organizzata nella quale una situazione iniziale volge a una situazione finale differente a seguito di varie peripezie. Esse possono ripetersi o variare e sono arricchite da elementi meravigliosi, oggetti magici, trasformazioni e poteri soprannaturali. La narrazione mette in scena una società fittizia, di uomini o animali, ma tutti sanno che, in realtà, dietro essa si nasconde una comunità reale.1

«Era un paese piccolo, la strada dalla città arrivava simile a una schioppettata e si faceva più sinuosa salendo verso gli appennini: eravamo lì stretti tra il fiume e le colline, con l’aria ancora buona e l’acqua da farci il bagno d’estate. Era quello, il nostro mare: e per tanto tempo ho immaginato che l’oceano non potesse essere più di quei sette, otto metri che dividevano una riva dall’altra del fiume.»

Conforti ha dato libero sfogo alla sua fantasia nell’immaginare le storie de La mula e gli altri, a immaginarne i luoghi e gli sviluppi. Storie che possono essere tanto immaginarie quanto reali, o meglio realistiche, svolgentesi in luoghi che, altrettanto, possono essere tanto immaginari quanto reali, o realistici. Uno qualsiasi dei tanti paesini che costeggiano la dorsale appenninica potrebbe essere lo scenario dal quale l’autore si è lasciato “incantare”. 

Il ritorno ai racconti popolari, alle antiche leggende, sembra essere servito a Conforti per fotografare l’umanità di oggi, sempre alla ricerca del cambiamento, della novità. Con il paradosso che questa “ricerca” viene condotta tramite un’esistenza apatica.

L’uomo moderno, come l’uomo di sempre, desidera conoscere sempre più a fondo il mondo che lo circonda, e proprio per questo si pone domande sempre più incisive e coraggiose su di sé, sul senso delle cose, sul loro significato, cominciando da ciò che rappresentano per lui, dal suo vissuto. 

L’aspirazione alla felicità rappresenta nella cultura contemporanea un vero e proprio diritto umano, su cui si modella l’impianto della coesione sociale. Là, dove il bene comune diventa itinerario di responsabilità, si crea una felicità condivisa, che richiede a tutti un diverso modo di conoscere la realtà, di leggerla dal di dentro, per interpretarla come specchio della condizione umana. 

È il mistero della nostra stessa umanità: cercare qualcosa che già abbiamo, voler sapere qualcosa che già sappiamo. “Qualcosa” che è dentro di noi, che ci appartiene intimamente, ma non pienamente, per cui alla sua piena realizzazione aspiriamo con tutte le nostre forze. È in questa dialettica tra ciò che abbiamo e ciò che ci manca, in riferimento allo stesso oggetto, vale a dire la nostra felicità, che diventa possibile la piena realizzazione della persona nella sua singolarità e la pienezza di senso della condizione umana.2

Altra tematica che Conforti affronta nel testo sono i tanti e irrisolti quesiti della storia. Misteri che sembrano destinati a rimanere irrisolti ma che forse troveranno soluzione proprio nell’irrazionalità del libro. L’irrazionale diviene così il nuovo volto del reale. Il caos del concreto. L’illogico del buonsenso. Il passato diacronico degli eventi l’unica alternativa possibile all’aridità del solo qui e ora. 

L’esplorazione che l’autore conduce sui temi del folklore degli antichi racconti porta inevitabilmente a un altro tema sempre centrale della letteratura: la fanciullezza. 

In Conforti, come già in Leopardi, la fanciullezza suscita una simpatia viva, profonda, una vera amabilità. Per la purezza di spirito, per la vicinanza alla natura e agli animali, per l’amore e l’interesse verso le cose semplici, piccole. Le myricaedel Pascoli. 

I mondi fantastici raccontati dalle storie della tradizione popolare, come quelli narrati da Conforti, sembrano il servertramite il quale la storia ha conservato il materiale per il genere fantasy e fantascientifico. Dalla fiaba al fantasy a farla da padrone sono la magia e gli animali fantastici. Nel testo di Conforti, nella notte dell’Epifania – ricorrenza ricca di valenze simboliche – gli animali possono parlare. 

La tendenza a una metamorfosi umanizzante del reale, che è naturale e congenita alla mente umana, è stata accresciuta e potenziata da una ormai millenaria tradizione di esposizione alle personificazioni nella letteratura e nell’iconografia. Essa viene poi oggi, nella nostra cultura contemporanea, sollecitata continuamente e in modo pervasivo da forme moderne di comunicazione di massa come i fumetti e i cartoon, in cui regnano animali totalmente umanizzati.3

Alessandro Conforti spesso fa un uso satirico e ironico della personificazione. Una modalità di utilizzo che ricorda molto la funzione svolta dalla personificazione nella stampa satirica in generale e quella risorgimentale in particolare.

Come il romanzo, il giornale è stato agente della trasformazione in senso nazionale degli immaginari pubblici otto-novecenteschi; rispetto al romanzo, tuttavia, il giornale implica peculiari modalità di lettura e composizione, fondate sulla giustapposizione di elementi eterogenei. La personificazione del giornale non è soltanto una particolare figura retorica del linguaggio satirico. È il nucleo centrale di una strategia mediale di narrazione; è una fondamentale modalità di auto-rappresentazione dei giornali satirico-politici, che coinvolge da vicino l’approccio del giornale nella costruzione simbolica del proprio ruolo e nei confronti del pubblico.4

Anche nel libro di Conforti, sotto lo strato ludico ricreativo, si riesce a leggere una scrittura se non proprio di denuncia, “educativa”, laddove vuol mostrare agli uomini e all’umanità pregi e difetti del nostro essere società estremamente civilizzata. 

Il libro

Alessandro Conforti, La mula e gli altri. Faccende semiserie di provincia, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2025.


1E. Scopelliti, I racconti popolari del Marocco, in Dialoghi Mediterranei, n. 37, maggio 2019.

2P. Binetti, La cultura del cambiamento e dell’innovazione tra scienza e coscienza, in Counseling, volume 11, numero 3, ottobre 2018.

3G. Moretti e A. Bonandini (a cura di), La personificazione allegorica nella cultura antica fra letteratura, retorica e iconografia, Università degli Studi di Trento, 2012.

4S. Morachioli, Il volto del giornale. Usi e funzioni della personificazione nella stampa satirica risorgimentale, in MEFRIM, 130/1 – 2018.


Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


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Domenico Conoscenti, Manomissione

25 venerdì Lug 2025

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DomenicoConoscenti, IlRamoelaFogliaEdizioni, Manomissione, recensione, romanzo

Con Manomissione Domenico Conoscenti accompagna il lettore a conoscere e indagare non solo il delitto compiuto nel suo romanzo ma un intero trentennio di un paese che ha visto più volte vacillare la sua democrazia, la libertà e le conquiste sociali che si credevano ormai radicate. 

Si riconoscono nel testo diversi eventi realmente accaduti. Ma il libro di Conoscenti non è una rievocazione storica in senso stretto. Non viene compiuta un’indagine sui fatti reali bensì si parte dalle personali riflessioni dell’autore per immaginare un mondo, un paese in cui questi fatti potrebbero accadere, o sono accaduti, e se ne raccontano gli sviluppi. 

L’autore sembra aver compiuto un cammino del tutto analogo a quello che il flâneur faceva per la città, ma adattandolo al sistema paese. Attraverso l’indagine critica dei contesti urbani, il flâneur riusciva a elevarli a simbolo della complessità dei fenomeni antropologici1, esattamente come ha fatto Conoscenti, il quale, attraverso il racconto delle vite dei protagonisti, racconta la storia di un paese intero. E viceversa. Raccontando il globale, l’autore riesce a illuminare il particolare. E così l’intreccio delle vicende risulta essere quello che deriva dall’incontro / scontro tra le varie esistenze individuali e i grandi sistemi che vanno a comporre, a muovere, a deviare la democrazia.

Alla base di tutto ci sono le relazioni umane, sentimentali, tra i protagonisti. Un intreccio che parte dei sentimenti, abbraccia la sfera professionale e arriva fino alle profondità più oscure dell’animo umano. La relazione tra Leonardo e il compagno, tra Diego e la fidanzata, il rapporto padre-figlio di Demetrio fanno da preludio al racconto dell’indagine sul crimine commesso ma, soprattutto, sono l’input per il racconto sociale e politico di un intero paese soggiogato dalla violenza. 

Kerr ne La notte di Praga scrive: «quando la legge e il male sono una cosa sola, la ricerca della verità è un valzer lento con la follia»2. La pagina di storia recente che il libro di Conoscenti riporta alla mente è molto triste. Una manifestazione, una ribellione, una rivolta, la carica della polizia. Tanta violenza. Il tema è molto delicato. Conoscenti ha scelto di raccontarlo attraverso l’esperienza diretta di alcuni dei suoi protagonisti che hanno partecipato alla manifestazione. Persone che hanno vissuto e subito un forte impatto con la violenza. E questo li ha cambiati. Esattamente come accade anche sul fronte opposto. Militari, soldati, forze di polizia che, quotidianamente, affrontano situazioni di violenza, anche estrema, non possono non subirne le conseguenze. Si trasformano. Avviene forse una sorta di processo di disumanizzazione, che è anche un meccanismo di autodifesa. Per andare avanti. Per poter andare avanti. Nietzsche diceva: «Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro»3.

È evidente che l’aver guardato l’abisso, rappresentato dagli eventi accaduti nel trentennio storico considerato, ha cambiato i protagonisti del libro ma deve aver lasciato il segno anche sull’autore che ha scelto un meccanismo non molto usato, ovvero la discronia. Gli eventi narrati da Conoscenti hanno avuto luogo in un arco temporale lungo eppure egli sceglie di “avvicinarli” tutti lungo la linea del tempo in modo tale che risultino prossimi ai suoi protagonisti e alle loro personali vicende., il tutto con un realismo immaginario davvero notevole. È evidente la volontà dell’autore di inserirli nel testo perché importanti, in qualche modo. Conoscenti è riuscito poi anche a farli sembrare necessari, in quanto la narrazione delle vicende personali dei protagonisti, potendo includere in questo anche il delitto, non avrebbero lo stesso significato senza la contestuale narrazione di questi eventi “globali”. 

Non si riesce agevolmente a inserire il libro di Conoscenti in un genere ben definito. Ma questo, in realtà, non ha alcuna importanza. Romanzo, distopico, noir, thriller, poliziesco: Manomissione non ha i tratti di nessuno di questi generi eppure è tutto questo messo insieme. Non un melting pot ma un qualcosa che va oltre il genere singolo. Quasi come se per esistere avesse contaminato tutti i generi, li avesse “manomessi”. Esattamente come accade alle vite dei protagonisti del libro. 

Per certo ad essere “manomessa” è stata l’esistenza di Gaetano, compagno di Leonardo, brutalmente malmenato durane la Manifestazione da Diego, il cui cadavere verrà rinvenuto proprio accanto a Leonardo. Durante il periodo in cui ha prestato servizio in polizia, Diego si è sempre distinto per la violenta omofobia. Una maschera costruita per nascondere la sua repressa attrazione per gli uomini. Leonardo, invece, è un insegnante che non si nasconde dietro una maschera. Degradato sul posto di lavoro proprio per la sfrontatezza nel non voler tenere segreto il suo essere. Due aspetti del medesimo degrado sociale indagati a fondo da Conoscenti. Ed ecco allora che il lettore si chiede se sia mai davvero accettabile per una società civile tutto questo. 

I personaggi pirandelliani spesso sono sconfitti dall’alterità, perché nell’altro essi vedono riflessa la propria inconsistenza, il divario tra ciò che pensavano di sé e ciò che sono. La comprensione di sé e degli altri è un processo continuo, contraddittorio e intrinsecamente conflittuale, ma in Pirandello ha un carattere assolutamente distruttivo, perché la forma cerca di imbrigliare la vita attraverso le maschere, le quali non lasciano mai impunito chi si ribella a esse, ma lo ripagano con la reificazione o la pazzia.4 Nel libro di Conoscenti le maschere sembrano assumere un significato differente e la vita, nonostante tutto, vince sulla forma. 

Manomissione è un invito a indagare oltre, sempre più in profondità, tra le pieghe del male e delle ingiustizie, non tanto per ritrovare un’umanità che deve pur esserci stata in passato, bensì per crearne una nuova, che diventi la coscienza collettiva della società di oggi.

Il libro

Domenico Conoscenti, Manomissione, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2025.


1F. Governa, M. Memoli, Geografia dell’urbano. Spazi, politiche, pratiche della città, Carocci Editore, Roma, 2011.

2P. Kerr, La notte di Praga, Piemme, Milano, 2013.

3F.W. Nietzsche, Detti e Intermezzi, quarto capitolo di Al di là del bene e del male.

4C. Gnoffo, Pirandello e la disintegrazione del sé sociale come ribellione alle maschere, in Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024.


Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


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Giuliano Brenna, L’odore dei cortili

06 venerdì Dic 2024

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GiulianoBrenna, IlRamoelaFogliaEdizioni, Lodoredeicortili, recensione, romanzo

Nel 1926 un colpo di Stato militare diede inizio a un lungo periodo di dittatura. Il Portogallo fu dominato, a partire dal 1932, da Antonio de Oliveira Salazar, il quale diede vita a uno Stato di stampo fascista, corporativo e molto legato alle gerarchie della Chiesa cattolica, per diversi aspetti assimilabile al franchismo spagnolo. Salazar rimase al potere sino al 1968, in un contesto di persistente arretratezza economica e sociale. Ma la dittatura, seppure con alcune moderate aperture, sopravvisse fino al 1974, quando fu abbattuta, nel contesto delle difficoltà poste dal processo di decolonizzazione, dalla rivoluzione dei garofani (un colpo di Stato messo in atto da forze militari progressiste).1

Quello appena descritto è esattamente il Portogallo che fa da sfondo all’intera vicenda narrata da Brenna ne L’odore dei cortili. Un intenso romanzo nel quale si intreccia la storia di un intero Paese con quella di umili cittadini i quali subiscono scelte non proprie e accadimenti tragici che cambiano il corso delle loro vite, le modificano, le distruggono e, proprio quando sembra che tutto sia perduto, ecco la speranza che nasce silenziosa e cresce come un piccolo fiore sbucato dal cemento. Improbabile eppure reale. 

Nella prima parte del libro protagonisti sono Mattia e sua madre, Serena, una donna segnata dalla vita e dal tempo.

«Le sembra che le sue giornate siano diventate come le foglie di tiglio (per la tisana, ndr), all’inizio fragranti, dense di profumo e promettenti un gusto delizioso, ma col trascorrere delle ore le acque della vita ne sottraggono l’essenza, fino a che, giunta la sera, si ritrova con una poltiglia tiepida e amarognola.»

Serena trasmette un senso di angoscia esistenziale che sembra l’opposto di quello del figlio. Ella sembra svegliarsi pronta ad accogliere la vita per poi ritrovarsi, a fine giornata, stremata da eventi e sentimenti. Mattia sembra avere, invece, come unico obiettivo quello di nascondersi, agli altri, alla vita e finanche a sé stesso. Un atteggiamento che manterrà fino all’età adulta, allorquando all’isolamento volontario sostituirà una certa voglia di autopunirsi per colpe non sue. L’inquietudine esistenziale di Mattia, rimpolpata da un vortice altalenante di emozioni, lo porterà a cercare il brivido della vita in situazioni dove la stessa è, in realtà, in grave pericolo. 

«Il dolore ha finito per sopraffarla, si sente come un corpo che ha galleggiato su di una superficie di acqua gelida e lentamente, giorno dopo giorno, impregnata del liquidi è affondata. Invece il dolore ha fatto la cosa opposta nella vita di Mattia che, al di là della parete, sembra ora sfuggirgli dopo una lunga immobilità, quasi una reclusione volontaria. Il nipote usa la terribile sofferenza, con cui ha imparato a convivere, come forza interiore che lo spinge a cercare la sua strada.»

O meglio, questo è quello che pensa Clara, sua zia. In realtà Mattia non ha proprio idea di cosa significhi una vita senza dolore. Ma Clara non è obiettiva, guarda e cerca di capire il suo dolore attraverso gli occhi del proprio. Quello mostrato da Clara sembra un vero e proprio disagio empatico. La paura che il dolore di Mattia possa aggravare il proprio la blocca al punto che sminuisce il primo altrimenti non riuscirebbe mai a reggere il peso emotivo di entrambi. 

Serena e Mattia sono vittime del regime dittatoriale, del clima di sospetto che questi ha ingenerato nell’intera popolazione, sono vittime perché privati delle libertà alla base dei diritti umani. 

«Serena pensa alla dittatura che rende tutto ciò così difficile, la censura filtra ogni cosa che giunge da fuori, e trova mille giustificazioni al silenzio dell’amato scomparso, per quanto ne sa, nel ventre di Parigi, città che lei immagina bellissima ma temibile, come una piovra che imprigiona che le si avvicina con tentacoli invincibili e al contempo deliziosi.»

Per anni Serena si è nutrita di un amore che forse ha solamente “nutrito” il suo cuore e tormentato Mattia per la cui assenza ha sempre vissuto come un paria. Il diverso senza un padre. Una diversità che poi non è neanche tale, ma nella dittatura in cui vivono diventa un vero flagello. 

«Il regime ha talmente avvelenato gli animi delle persone che anche i semplici cittadini, nel tentativo, perlopiù vano, di essere risparmiati dalle angherie della polizia politica, diventano delatori, al punto che tutti sospettano di tutti, in un gioco al massacro di informazioni reali o fittizie, dove anche banali sospetti vengono comunicati agli incaricati della repressione.»

La dittatura colpisce tutti i cittadini, anche quelli che pensano di essere dalla parte dei “forti”, dei “giusti”. Ecco allora che Brenna costruisce il personaggio del capitano Green proprio intorno a questo concetto. Una persona molto diversa da Mattia ma che con questi ha in comune la ricerca di sé stesso. 

La trama e il suo sviluppo del romanzo di Brenna hanno una direzione propria, tuttavia le scelte compiute da HoraceGreen ricordano, per alcuni versi, quelle di Adriano Meis ne Il fu Mattia Pascal di Pirandello. Anche se, a dirla tutta, è un altro l’aspetto della poetica pirandelliana che sembra più affine alle tematiche trattate da Brenna. In particolare il tema del doppio. Fin dall’inizio, le opere di Pirandello sono il frutto dello spirito del tempo in cui è vissuto, e testimoniano il passaggio dal naturalismo alla modernità. Anche i personaggi de L’odore dei cortili vivono in un periodo di grande cambiamento politico, economico, ma soprattutto sociale. E questi stravolgimenti per certo hanno influito e influenzato le scelte e i comportamenti sia di Mattia che di Green. Tuttavia, mentre quest’ultimo non reggerà il peso per lui troppo ingombrante dell’io privato sull’io pubblico, Mattia invece attraverso l’estremizzazione dell’io pubblico riuscirà a trovare l’equilibrio nel suo io privato. 

Un altro aspetto interessante del libro è la presenza di un narratore esterno il quale in più occasioni sembra dialogare direttamente con il lettore. È un corretto espediente per coinvolgerlo non solo nella lettura ma nelle stesse vicende raccontate, soprattutto nei punti in cui cambia la scena e più alto è il rischio di perdere concentrazione e attenzione. 

L’odore dei cortili è un romanzo intenso perché non si limita a raccontare una storia. Parla dell’esistenza dei personaggi i quali fin da subito assumono, agli occhi del lettore, valenza di persone.


Il libro

Giuliano Brenna, L’odore dei cortili, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2024.


1Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani.


Articolo pubblicato su LuciaLibri


Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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© 2024, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Massimiliano Città, Agatino il guaritore

24 mercoledì Lug 2024

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Agatinoilguaritore, IlRamoelaFogliaEdizioni, MassimilianoCittà, recensione, romanzo

Un antico adagio afferma che la necessità aguzza l’ingegno. Di necessità il protagonista del libro di Città ne ha tanta. Fin dalla prima infanzia ha dovuto imparare a cavarsela da solo e, unitamente all’autonomia, ha imparato quanto può essere difficile stare al mondo se non si ha una rete di protezione. Senza l’affetto e la tutela di una vera famiglia, Agatino inizia a diventare sempre più creativo. Si inventa una vita e trova il suo posto nella società. Un piccola realtà quella che lo ospita. Un paesino di provincia non meglio identificato che, banalmente, può trovarsi in qualunque parte del mondo. Ed essere anche reale. Nel libro è una piccola realtà di provincia siciliana.

Nel libro l’autore racconta molte vite in realtà, ovvero quelle di tutti gli abitanti di Boschetto che intrecciano la loro con quella di Agatino. Persone che hanno difficoltà economiche o sociali, ferventi credenti o donne e uomini che hanno assoluto bisogno di credere in qualcosa, o in qualcuno. E Agatino riesce a capire le loro necessità, a essere ciò di cui hanno bisogno. Amico, confidente, usuraio, manipolatore, guaritore, santone… egli è tutto questo ma in realtà è tutt’altro che questo. 

Se molti credono di conoscerne il presente, del suo passato si sono perse le tracce. Chi è davvero Agatino il guaritore? Egli riesce sempre a trovare la soluzione ai problemi che le persone gli sottopongono. Ma cosa accade allorquando non ci riesce? Ecco allora che si intravede l’Agatino vero. Il personaggio che Massimiliano Città voleva raccontare e intorno al quale ha costruito la sua storia. Una narrazione intrecciata, come le vicende narrate, come le realtà piccole dove le vite, le storie sono legate le une alle altre, esattamente come le stesse esistenze. Man mano che nel libro si conoscono gli accadimenti di coloro che cercano l’aiuto di Agatino diventa sempre più evidente quanto poco si sa di lui. E se da un lato ciò contribuisce a creare un’aura di mistero intorno alla sua persona, dall’altro si insinua il sospetto o la paura che qualcosa di oscura possa accadere o sia accaduto. Dove condurranno questi presagi? Al male o al miracolo? Soccomberà Agatino sotto il peso delle responsabilità da lui stesso volute? Oppure riuscirà a essere all’altezza del compito e del risultato che tutti ormai si aspettano da lui? 

La trama del libro è molto fitta, intrecciata come le storie narrate. Riesce l’autore a tenere tutto insieme con uno stile narrativo chiaro e tutto sommato lineare, se si considerano anche i continui salti temporali che portano la narrazione ripetutamente avanti e indietro nel tempo. 

La funzione taumaturgica delle azioni di Agatino sembra servire soprattutto a lui e solo in seconda analisi alle persone che si dichiarano bisognose del suo aiuto. Alla fine tutti sembrano trarre beneficio dalle “guarigioni” di Agatino ma è un benessere non tanto e non solo fisico e/o mentale quanto “sociale”. Per questo egli diviene ben presto una necessità all’interno della piccola comunità nella quale si è rifugiato e dalla quale è stato il primo a trovare giovamento. Perché se è vero che tutti i suoi clienti/amici ricevono il suo aiuto e si illuminano di una luce nuova, lo è anche che Agatino stesso sembra illuminarsi attraverso le loro storie e brillare ancor di più all’interno della storia, del romanzo. La vicenda che Città ha voluto narrare parte senza dubbio da Agatino ma, quando sembra distaccarsene per parlare della vita e delle vicende degli altri personaggi, è sempre verso di lui che converge, grazie anche o forse proprio per le storie di vita narrate che si intrecciano con la storia di Agatino e la arricchiscono. 

Eppure, proprio nel loro essere interconnesse le storie di vita raccontate da Città potrebbero benissimo essere separate le une dalle altre, e funzionare egualmente bene. In questo il libro ricorda pubblicazioni di un genere caro a Strout o Steinbeck. Un intreccio di storie che sembrano funzionare perché legate insieme ma che, in realtà, singolarmente potrebbero funzionare anche meglio. O egualmente bene. Tutte insieme però contribuiscono a creare quell’atmosfera tipica e caratterizzante il libro, quasi fiabesca, surreale seppur molto concreta e verosimile alla realtà. 

Ed è proprio intorno alle riflessioni sulla realtà che Massimiliano Città sembra aver studiato i tratti del suo romanzo, un libro sociale, scritto raccontando una comunità con uno sguardo vagamente antropologico che ha messo in evidenza l’aspetto folkloristico dei luoghi e dei personaggi. 


Il libro

Massimiliano Città, Agatino il guaritore, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2024.


Articolo pubblicato su LeggereTutti.eu


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Il ramo e la foglia edizioni per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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“L’imperfetta” di Carmela Scotti

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© 2024, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Gabriella Maleti “Il giorno sulla foglia”

10 venerdì Nov 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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GabriellaMaleti, Ilgiornosullafoglia, IlRamoelaFogliaEdizioni, recensione

Scrivere per raccontare la vita, la propria. Un percorso che porta alla conoscenza di sé. Questo sembra essere stato il cammino seguito da Maleti. Una scrittura che è stata ricerca: dell’esistenza, di se stessi, del mondo. Una narrazione poetica che non segue un rigido schema metrico. Sembra assecondare piuttosto le emozioni. L’impeto propulsivo che, attraverso i sentimenti, raggiunge la carta. Parole che sembrano rincorrersi come le gioie, le paure, i dolori. 

Una scrittura che vuol raccontare la vita non può non confrontarsi con il tormento, l’essenza più faticosa dell’essere umano. 

Maleti ha abbracciato diverse forme artistiche, dalla narrativa alla prosa alla fotografia. Un modo per dare sfogo alle emozioni nelle sue varie forme, alla passione, alla verità. Perché quando si racconta la vita, il vissuto, cadono tutti i veli, non ci sono reti di protezione o scudi dietro cui nascondersi per difendersi. La realtà si affronta e la verità con essa. 

La poesia di Gabriella Maleti è molto autobiografica, ma non nel senso che la vita dell’autrice viene raccontata nelle sue opere, piuttosto che la narrazione attraverso la poesia ha dato il senso all’esistenza dell’autrice. La poesia è diventata il mezzo con cui elaborare e affrontare le fragilità della vita. 

Raccontando la vita, Maleti si avvicina alla Natura, alle piccole cose, e lo fa in maniera semplice, lineare. L’autrice fa un uso parsimonioso, quasi nullo, delle figure retoriche e stilistiche. Utilizza un linguaggio lineare, semplice, chiaro, quasi parlato. Anche se per la maggiore sembra un dialogo interiore, con se stessa, con la parte di sé che sta indagando con quel verso, quel componimento, quel ritratto di vita. 

La Natura descritta da Maleti è la campagna, con i suoi alberi che diventano tavoli, tinelli. Un albero sfrondato per un bisogno umano. E un uomo che ha bisogno di ritornare all’albero per cercare e ritrovare la bellezza delle sue “fronde”, l’essenza stessa dell’animo umano. 

Maleti afferma di scrivere di tutto ciò che si muove e respira ma il bene è nella corrispondenza tra il vissuto che resta nel non vissuto e viceversa. Un legame profondo che unisce vita e pensiero di vivere, natura e corpo, anima e natura. 

Traspare una soffusa e diffusa malinconia dai versi dell’autrice, quasi come se ogni aspetto da lei indagato fosse inficiato da questo sentimento che porta al buio, al vuoto. Come una rottura, un buco, lo stesso che la peronospera scava nella foglia. Un calco ritratto nei versi di Maleti per dare l’immagine del buio oltre la luce, dell’ignoto oltre la domanda, del silenzio oltre l’urlo. 

I temi sono i consueti utilizzati dai poeti che raccontano la vita attraverso gli elementi della Natura ma Gabriella Maleti li descrive non come la bellezza dannunziana, né come la caducità carducciana o la meravigliosa nostalgia pascoliana. No l’autrice li racconta “semplicemente” per quello che sono e vi si aggrappa per trovare se stessa. Non sono simboli ma rami di un albero che, con radici e fronde, accoglie e raccoglie l’esistenza di un intero universo. 


Articolo pubblicato su Leggere:Tutti


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Il Ramo e la Foglie Edizioni per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com



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© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

La poesia come espressione della forza delle emozioni: “Il giardino di Sophia” di Sophia de Mello Breyner Andresen

22 lunedì Mag 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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IlGiardinodiSophia, IlRamoelaFogliaEdizioni, poesia, recensione, SophiadeMelloBreynerAndresen

Leggere un libro di poesie non è come leggere narrativa o altro. La poesia è un concentrato di sentimenti, emozioni, aspirazioni, ambizioni, delusioni, paure, dolori, amori… sentimenti forti e grandi condensati in poche righe, o meglio versi. 

Un romanzo è dilatato, concede al lettore il tempo per metabolizzare, assimilare, anche superare in un certo qual modo gli shock emotivi. La poesia no, è crudele da questo punto di vista. 

Non è possibile leggere un libro di poesie tutto d’un fiato come un romanzo, un giallo o un poliziesco. No, la lettura di una poesia ha bisogno di tempo. E la lettura di una raccolta di poesie necessità anche di uno stato d’animo particolare da parte del lettore. 

L’ordine, è un’altra cosa su cui riflettere. Non è necessario leggerle secondo l’ordine di stampa. A meno che non sia stato lo stesso autore a indicarlo. 

Tutto ciò perché le emozioni che possono trasmettere le poesie sono una potenza esplosiva che va ben compresa e per poterlo fare bisogna necessariamente trovare il giusto punto di equilibrio tra la forza della trasmissione e la capacità di assimilazione. 

Il giardino di Sophia è una raccolta di poesie di una potenza estrema. Intensa e cocente. 

Una poesia che lascia intravedere tutta l’esitazione esistenziale dell’autrice la quale, unita alla volontà e determinazione di raggiungere una giustizia sociale, regalano al lettore pagine di una grande letteratura impegnata. 

Un impegno che va oltre il sentimento e anche la religione, l’aspetto spirituale viene rappresentato dall’autrice più come un rimando alle divinità ancestrali che hanno animato la mente degli avi, i quali vivevano a stretto contatto e in simbiosi con la Natura, con le cose, intorno alle quali sembra proprio essere costruita la poesia di Sophia de Mello Breyner Andresen. Un cerchio scritto intorno a loro che sembra anche un abbraccio, all’interno del quale anche il tempo scompare, o meglio rimane sospeso per lasciare liberi i sentimenti di aprirsi senza limiti, di spazio o ti tempo appunto. 

Il giardino di Sophia edito da Il ramo e la foglia edizioni è una selezione di poesie tratte dalle quattordici raccolte poetiche dell’autrice. La poesia di Sophia de Mello Breyner Andresen può nascere indistintamente da un giardino proteso verso l’oceano o da un frutto poggiato su una tavola ed entrambe le immagini danno origine a composizioni nelle quali forte è il rimando alla dimensione esistenziale dell’uomo innanzitutto, ma anche di tutto ciò che rappresenta Natura. Attimi di tempo e attimi di vita, in un concetto della stessa esistenza della poesia che, a tratti, rimanda alla poetica pascoliana del fanciullino. 

Anche le composizioni di Sophia de Mello Breyner Andresen, pur nel loro essere universalmente valide, esattamente come quelle del Pascoli, sembrano nascere proprio dal legame con la propria Terra di origine, nei piccoli gesti della vita quotidiana, nell’esistenza delle persone e dei loro sentimenti.

L’espressione più grande della forza dei sentimenti si ritrova comunque nei componimenti a sfondo politico che attaccano il regime di Salazar, dai quali traspare il grande anelito alla giustizia e alla libertà che deve essere stato per certo il fondamento di tutta la ricerca interiore dell’autrice. 

«… neppure una macchia si vedeva sulla veste dei Farisei.»

Il libro

Sophia de Mello Breyner Andresen, Il giardino di Sophia, Il ramo e la foglia edizione, Roma, 2022. Cura e Traduzione di Roberto Maggiani. Postfazione di Claudio Trognoni. 

L’autrice

Sophia de Mello Breyner Andresen: è stata una poetessa portoghese, tra i maggiori autori lusitani nella storia della letteratura. In aperta opposizione al regime di Salazar, compose anche poesie contro la dittatura.


Articolo pubblicato su Leggere:Tutti


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Il ramo e la foglia edizioni per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Memorie di un’avventuriera” di Emanuela Monti 

16 martedì Mag 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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EmanuelaMonti, IlRamoelaFogliaEdizioni, Memoriediunavventuriera, recensione, romanzo

Storia e letteratura sono piene di narrazioni di eroi, avventurieri perlopiù maschi che esplorano il mondo, inventano oggetti, rivoluzionano il modo di essere e di pensare. Poche volte si sentono gli stessi racconti ma al femminile e questo non perché le donne mancassero di inventiva o di iniziativa. È sempre stata la libertà a mancare. La libertà di pensare prima ancora di quella di agire. 

Eppure gli esempi di donne coraggiose, avventuriere, rivoluzionarie non mancano.

Emanuela Monti in Memorie di un’avventuriera racconta una storia liberamente ispirata alla vita di Aphra Behn, la prima donna della letteratura inglese riuscita a guadagnarsi da vivere come scrittrice. Una donna che ha viaggiato molto, spostandosi in diversi paesi e fu anche arruolata come agente segreto al servizio di re Carlo II. Una donna libera e avventuriera, aperta e moderna e, per queste ragioni, anche accusata di oscenità e libertinaggio a causa del contenuto esplicito riguardo a relazioni sessuali e prostituzione nelle proprie opere. Una donna, femminista dentro, che ha scelto e deciso di non sottostare alle regole maschiliste dell’Inghilterra del Seicento pagando a caro prezzo le proprie convinzioni.

La vicenda di Aphra Behn è narrata prevalentemente sotto forma di mémoire in prima persona, con un linguaggio parlatodiretto e attuale. Riesce però l’autrice a imprimere nella storia un taglio psicologico che conferisce al personaggio un carattere universale. La storia è liberamente ispirata alla vita realmente vissuta da Behn, per cui Monti sopperisce ai vuoti biografici con la propria fantasia, rimanendo comunque sempre fedele ai principi di verosimiglianza e al valore della prospettiva storica che l’hanno ispirata. Utilizza inoltre, l’autrice, l’espediente di lettere e diari per dare voce ai fatti accaduti in assenza di Behn o avvenuti dopo la sua morte. Questa scelta narrativa per certo contribuisce a regalare al lettore pagine intense, pregne di pathos e sentimento e contribuisce a formare l’immagine della donna forte quale Aphra Behn è stata. 

Memorie di un’avventuriera racconta nel dettaglio la vita di una donna, vissuta nel Seicento, che ha dovuto lottare ogni giorno per conquistare la propria libertà, per far valere il proprio pensiero e vivere la propria vita, seguendo istinto e desiderio. Ma la storia raccontata da Emanuela Monti riguarda tutte le donne, di ogni epoca, anche quella attuale, perché rappresenta un monito a tenere sempre alta l’attenzione, essere vigili sui propri diritti, consapevoli del fatto che, laddove diventino un qualcosa dato per scontato, vorrà dire che sono in pericolo e con loro la libertà, di essere, di pensare e di agire. 

L’alternarsi di parti narrate in prima persona con parti sotto forma di diari o lettere, unitamente al linguaggio di forte ascendenza seicentesca, a tratti ingenerano confusione nel lettore, il quale si ritrova in più punti a dover arrestare la lettura per riflettere sul contenuto e sul significato della narrazione. Alla scorrevolezza non giova neanche la presenza dei numerosi personaggi, ognuno a suo modo protagonista della storia raccontata. Ciò però si avverte soprattutto all’inizio, man mano che si prosegue nella lettura si entra nell’ordine della narrazione voluta dall’autrice come anche nella struttura stessa del romanzo e ogni passo appare chiaro e significativo, necessario per comprendere il libro nel suo essere complesso e profondo, come la vita stessa della protagonista. 

In generale, quindi, Memorie di un’avventuriera risulta una gradevole lettura, interessante per la storia narrata come anche per gli sviluppi impliciti, per gli insegnamenti che da essa se traggono, per il monito alla tutela dei diritti delle donne, di tutte le donne come anche di tutte le persone, degli esseri umani, qualunque sia il loro genere. 


Il libro

Emanuela Monti, Memorie di un’avventuriera. Liberamente ispirato alla vita di Aphra Behn, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2022. 

L’autrice

Emanuela Monti: editor, lessicografa, scrittrice, curatrice della rubrica letteraria Di parola in parola sul blog Culturificio.


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa IRELFE – Il Ramo e la Foglia Edizioni per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


Articolo pubblicato su OublietteMagazine


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© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Il tempo tessuto di Dio” di Margherita Pascucci (Il Ramo e la Foglia Edizioni, 2021)

03 venerdì Set 2021

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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IlRamoelaFogliaEdizioni, IltempotessutodiDio, MargheritaPascucci, recensione

Perché si scrive un libro? Qual è il fine ultimo della scrittura?

Interrogativi che ricorrono spesso e che, per certo, non hanno una risposta facile né univoca. Per Margherita Pascucci la scrittura diventa un’etica e apre spazi nuovi del pensare e del sentire. Un sentire rivolto al mondo esterno ma anche e soprattutto all’interiorità. Un sentire, nel caso dell’autrice, che nasce dalla lettura delle opere di Dacia Maraini, dalle riflessioni seguenti la lettura, dall’immaginazione che si intreccia con il suo filosofare sui principali temi trattati in dette opere.

Ne è nato un libro che va ben compreso per essere apprezzato. Un libro composto in gran parte da una sorta di dialogo mai realmente avvenuto. Tra l’autrice e Maraini, o meglio tra il pensiero dell’autrice e i temi trattati da Maraini nelle sue opere. Un dialogo che, alla fin fine, è un discorrere di Pascucci con se stessa, con la parte di sé che elabora i temi letti nei libri di Maraini. Un libro complesso, come solo un pensiero filosofico può esserlo, ma mai complicato. Caratterizzato da quella semplicità che solo il vero pensiero filosofico può dare. 

La presenza di Dacia Maraini in questo scritto è imponente, anche se mai ella è direttamente intervenuta in questo dialogo. Un dialogo mai interrotto di Pascucci con il suo inconscio e la sua immaginazione. 

È forse anche questo uno dei possibili scopi della scrittura: lasciare che i propri pensieri siano liberi di essere “catturati” dal lettore e che questi li trasformi in un dialogo immaginario con se stesso, un dialogo che porti, attraverso una profonda riflessione, all’analisi dei temi fondanti e alla ricerca sul senso degli stessi. 

Numerosi sono i temi trattati da Pascucci, i medesimi che lei stessa ha ritrovato come lettrice di Maraini: conoscenza, dolore, desiderio, rifiuto, ne sono alcuni. Temi pieni di significato e di simboli. Temi che avvicinano e accomunano filosofia e letteratura. Temi che anelano, al contempo, al reale e all’immaginario. Perché è proprio l’immaginazione il valore che deve essere “liberato” per fare in modo che il cammino della conoscenza continui e sia libero di farlo. 

Il libro

Margherita Pascucci, Il tempo tessuto di Dio. Ritratto filosofico immaginario di Dacia Maraini in vari atti, Il Ramo e la Foglia Edizioni, Roma, 2021, p. 180, €15.00.


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Il Ramo e la Foglia Edizioni per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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© 2021, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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