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Irma Loredana Galgano

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Erica Mou, Una cosa per la quale mi odierai

23 lunedì Set 2024

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EricaMou, Fandango, recensione, romanzo, Unacosaperlaqualemiodierai

Una cosa per la quale mi odierai è un romanzo che racconta la vita attraverso la narrazione della malattia e della morte. La protagonista trova il coraggio di leggere il diario scritto da sua madre, un resoconto degli ultimi nove mesi di vita. E lo fa proprio quando sta vivendo l’esperienza della gravidanza. Nove mesi che la renderanno madre. Orfana e madre. Sua madre Lucia ha preferito affidare al diario le parole per i suoi cari e, attraverso di esse, Erica riscoprirà il suo rapporto con lei. Le sembrerà quasi di conoscerla di nuovo, quantomeno in una maniera differente. 

Una cosa per la quale mi odierai

Erica sta per compiere un grande passo, a breve andrà a convivere con l’uomo che ama e, quando sua madre le chiede di parlare, è convinta voglia tentare di dissuaderla. Invece Lucia vuole raccontarle “una cosa per la quale mi odierai”. Vuole parlarle della malattia. 

Il senso di colpa è una delle più comuni reazioni alla diagnosi di cancro. C’è chi si sente in colpa perché pensa di aver fatto qualcosa che ha favorito l’insorgenza della malattia. Chi pensa avrebbe potuto riconoscere prima i sintomi. Chi perché non può più svolgere il suo ruolo nella famiglia o sul lavoro. Chi perché si sente un peso per i suoi cari.1

È spaventata Lucia ma, nel raccontare la situazione a Erica, minimizza. Ha paura. Ma teme anche la sofferenza della figlia. 

Il paziente oncologico ha necessità di elaborare il trauma psicologico dovuto alla diagnosi di tumore e di acquisire elementi che gli consentano di rompere l’equazione cognitiva cancro=morte.2 Lucia sembra aver trovato aiuto e sfogo scrivendo il suo diario. 

Le parole possono contribuire all’efficacia delle cure. Presumibilmente hanno aiutato Lucia ad affrontare la malattia e il distacco dagli affetti. Di sicuro hanno aiutato Erica ad affrontare il lutto, la perdita. 

Le pagine del libro di Erica Mou sono articolate secondo uno schema che vede alternarsi parti del diario di Lucia a riflessioni proprie della figlia. Riflette Erica. Legge. Rilegge e riflette. La sua mente ritorna a quei momenti. Poi sovviene al presente. Sono emozioni forti quelle che la assalgono. Pensieri e parole avvolti da un dolore sordo, lancinante, crudele, che sembra non avere mai fine. Ripensare ai momenti della malattia di sua madre le dà il tormento ma ritornare al presente non sembra donarle alcun sollievo perché quello che è stato è ancora lì, nelle crepe del suo cuore, tra le pagine di quel diario, nel profondo della sua mente, nel suo stesso corpo che soffrendo per la perdita, per la morte di sua madre è riuscito comunque a trasformarsi in grembo materno, ha accolto la nuova vita e con essa la speranza. Nel futuro certo. Ma anche nella stessa vita. Con le sue gioie e i suoi dolori. Perché la morte fa paura ma anche la vita allorquando ti costringe ad affrontare il dolore, quello vero, quello che richiede tanta forza per essere elaborato, superato. 

Il racconto di Erica Mou è un inesorabile e sincero resoconto di quanto veramente accade. Non ci sono fronzoli, non ci sono iperboli né edulcorazioni. È la malattia. È la quotidianità. È semplicemente la vita. La quotidianità di una vita completamente stravolta. La sofferenza di chi è malato e quella dei suoi cari. La rabbia. Il dolore. La paura. Il timore di soffrire e veder soffrire. La scrittura di Erica Mou è egualmente lineare, pulita, quotidiana. Una lingua parlata, o meglio “musicata” perché il suo fraseggio ha un non so che di musicale, armonioso, come se leggendo le parole se ne avvertisse quasi il suono, il rumore oppure il silenzio. 

Una cosa per la quale mi odierai non racconta solo un’esperienza o la storia di una persona, o meglio di una famiglia, ne racconta l’intera esistenza, la vita. 


Il libro

Erica Mou, Una cosa per la quale mi odierai, Fandango Libri, Roma, 2024.


1Ci si può sentire in colpa per essersi ammalate di cancro?, Fondazione Veronesi Magazine, settembre 2020.

2S. Paladini, La sindrome Psiconeoplastica, PSICOFORM – Psicologia e Formazione, gennaio 2024

Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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Il racconto delle occasioni di vita perdute in “Manuale di fisica e buone maniere” di Daniele Germani (D&M, 2016)

Il romanzo che l’autore non voleva scrivere: “Piano americano” di Antonio Paolacci (Morellini Editore, 2017)


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È l’a-legalità il volano per le mafie?

03 lunedì Gen 2022

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Fandango, Lacittaspezzata, LeonardoPalmisano, recensione, saggio

Bari non è una città qualsiasi del Sud. Tra i grandi capoluoghi meridionali, è il solo a non aver mai avuto un univoco centro di potere. È stata spesso divisa da istituzioni e forze sociali difformi e contrastanti: lo Stato e la Chiesa, la magistratura e la mafia, i fascisti e i comunisti, i ricchi e i poveri. Una città divisa, spezzata, lacerata dal profondo e nel profondo. Una città di antinomie e opposizioni, costruita grazie all’apporto di tribù di non baresi, ovvero gente proveniente da fuori che l’ha poi arricchita di fame e di lavoro.

Anche La città spezzata di Leonardo Palmisano è diviso, un libro che si compone di due distinte parti: il positivo e il negativo. Un racconto struggente e nostalgico di un luogo che è anche casa, di rabbia e rimpianto per quello stesso luogo che ai più rimane mistero.

Le parole dell’autore sono al contempo un grido di denuncia e di dolore da parte di un cittadino autoctono che non vuole arrendersi, nonostante tutto, che non può e non deve farlo perché tutti hanno il diritto di vivere una città dove i lati positivi superano e mettono all’angolo quelli negativi. Dove cittadini come lui, che mai si sono tirati indietro dinanzi alla lotta, devono avere il diritto di gioire e godere dei frutti del proprio lavoro. Dove lo Stato e le istituzioni non devono arretrare dinanzi al Male, in ogni sua forma. 

Le due parti del libro, in realtà, quasi convergono. Anche la prima parte, il positivo, in molti punti parla in negativo. Anche i racconti “felici” di Palmisano lasciano l’amaro in bocca. 

Sembra che comunque e nonostante tutto il positivo resti in una zona d’ombra, oppresso da una velatura di negatività. Come se il male annebbi anche quello che di positivo c’era, c’è oppure è rimasto. 

Palmisano racconta della sua Bari, la città che gli dato i natali, che lo ha visto crescere e diventare uomo, scrittore, sociologo, imprenditore. Una città che lui ha sempre osservato e visto cambiare, nella sua solo in apparenza immobilità. 

È un luogo che conosce perché ci abita. Certo. Ma quante persone si soffermano a guardare con attenzione quanto accade intorno a loro? Ad osservare gli umili, i vinti, i dimenticati? A parlare con loro e cercare di capire cosa accade? A denunciare le malefatte di chiunque le abbia commesse? 

Pochi. Pochi. Pochissimi. E non solo a Bari.

Per l’autore Bari sta perdendo tempo senza accorgersene. Verrebbe da aggiungere che si comporta come l’Italia intera. 

Nel welfare, per esempio, che è diventato tutto un gioco di volontariato. La gran parte di coloro che si occupano del sociale sono volontari appunto, ovvero persone che non hanno le competenze necessarie per svolgere quel lavoro. 

Il che non vuole assolutamente essere un attacco alla figura dei volontari. Figurarsi. Loro per certo cercano di fare il meglio. Si tratta piuttosto di una critica al sistema che lascia a volontari impreparati e improvvisati il compito di tappare i buchi, anche profondi, lasciati vuoti dallo Stato e dalle istituzioni. 

Parafrasando un vecchio proverbio che vedrebbe Parigi potenzialmente simile al capoluogo pugliese, si potrebbe affermare che, senza nulla a cambiare, l’Italia sembra già una grande Bari.

Sono tantissimi gli argomenti che Palmisano tratta nel testo, tutti importanti. Si passa dalla cementificazione indiscriminata e dall’abuso edilizio all’inquinamento nelle sue molteplici forme, dalle discariche abusive e dallo smaltimento illecito dei rifiuti ai roghi simili a quelli della Terra dei Fuochi, dal racket e dall’usura alla ludopatia e altre dipendenze (alcool, farmaci, sostanze stupefacenti, droghe), dalla prostituzione allo sfruttamento, anche di minori e immigrati, dalla delinquenza alle organizzazioni di tipo malavitoso.

Perché accade tutto questo? Perché il sistema culturale dominante affonda le proprie radici in una diffusa a-legalità che tende ad auto-giustificare comportamenti collusi, corrotti, omertosi, indifferenti.

Questo sostrato sottoculturale produce una legittimazione costante dei comportamenti mafiosi. Il mondo intellettuale locale, ricorda l’autore, raramente ha preso posizione aperta contro la mafia del territorio. 

Perché è esattamente così che vanno le cose, a Bari come nel resto di Italia, Europa e del mondo. Un conto è parlare astrattamente della delinquenza e della criminalità organizzata. Altro è affrontarla a viso aperto e a muso duro sul campo. 

Sulla prima ipotesi c’è un consenso globale. Sulla seconda decisamente più scarso. 

Alla fine del libro, Palmisano scrive una scarna filmo-bibliografia che egli stesso definisce piccola. È oggettivamente breve, per un testo come il suo. Ma non si tratta del classico elenco di fonti da cui l’autore ha attinto nozioni poi rielaborate, o concetti fondamentali della materia. Piuttosto di una lista di letture e visioni consigliate, per così dire. 

Egli non basa la sua scrittura solo sui dati forniti da fonti scritte, documentali, visive o altro. Si affida, in prevalenza, aquello che i suoi occhi hanno visto e le orecchie sentito. Per le cui informazioni, solo in un secondo momento, cerca i riscontri oggettivi. 

Una scrittura, la sua, che non scivola come un guanto lungo il palmo e il dorso di una mano, no. Piuttosto appare come una grattugia che lacera la buccia agra di un agrume o l’interno dolce di un formaggio. 

È una narrazione che colpisce la sua, un racconto vero, quello di chi vive un luogo marcio dentro e non vuol fingere che così non sia. Cosa che accade spesso, purtroppo. Lo abbiamo visto tante volte e per tanti luoghi d’Italia. Nessuno vuole accettare di vivere in un luogo “mafioso”, pervaso e invaso, intriso di malavita e criminalità organizzata, corruzione, collusione… È un’etichetta che nessuno accetta di veder cucita addosso alla propria casa.

Palmisano è un sociologo. Osserva la realtà che lo circonda non da semplice cittadino ma secondo indicazioni e regole che insegna la sociologia e che sono simili o in comune a quelle dell’antropologia e che diventano metodo.

Osservare la realtà che ci circonda, le persone, le azioni, le parole, i silenzi, le relazioni. Ma, determinante per la riuscita di un’indagine, una ricerca sul campo, un’inchiesta… si rivela essere il non fermarsi mai dinanzi all’ovvio. Andare oltre deve diventare una sorta di imperativo categorico. 

Ed è proprio una ricerca sul campo, quella condotta dall’autore, portata avanti con conoscenza, competenza e metodo in un “campo” che è anche la sua casa. 

A settembre 2018 Leonardo Palmisano riceve minacce di morte, pervenutegli tramite il suo profilo Facebook da parte di soggetti che si sono serviti di profili social risultati poi fake. 

In quei giorni Palmisano aveva firmato diversi articoli, apparsi sul Corriere del mezzogiorno, sui legami tra la mafia garganica e quella nigeriana circa la gestione degli affari illeciti del Nord della Puglia, soprattutto all’interno del ghetto di Borgo Mezzanone. Palmisano è anche Premio Livatino contro le mafie e Colomba d’oro per la Pace.

Il coraggio di andare oltre, di andare avanti, sempre. 

Il libro

Leonardo Palmisano, La città spezzata, Fandango Libri, Roma 2021.

L’autore

Leonardo Palmisano: dirigente d’impresa, scrittore e autore di inchieste.


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Fandango Libri per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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“Donne di mafia. Vittime. Complici. Protagoniste” di Liliana Madeo (Miraggi, 2020)

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L’Italia infuocata dai rifiuti nel libro-confessione di Gaetano Vassallo (Sperling&Kupfer, 2016)


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Libertà di culto e manipolazione del pensiero: “Nella setta” di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni (Fandango, 2018)

09 martedì Apr 2019

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CarmineGazzanni, Fandango, FlaviaPiccinni, Nellasetta, paura, recensione, saggio, terrore

Nella setta di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni è un libro-inchiesta esemplare. Un preciso lavoro di indagine e ricerca sul campo, preceduto o parallelo a uno studio delle fonti documentali, e che ha poi condotto alla stesura di un testo che si legge con avidità, maggiormente se si è distanti o a digiuno dell’argomento trattato.
Del resto Piccinni ha già abituato i suoi lettori a tale livello investigativo. Come nell’inchiesta da lei stessa condotta sui concorsi di bellezza e le sfilate di moda riservate ai minori e divenuta Bellissime. Baby miss giovani modelli e aspiranti lolite edito sempre dalla Fandango Libri nel 2017.

Il libro è scritto in maniera chiara, con l’uso di un registro narrativo preciso e semplice, mai semplicistico. Grande attenzione viene riservata alle fonti, siano esse documentali o testimonianze dirette, oltre che, naturalmente, alla trascrizione e rielaborazione dei diari di campo della ricerca in loco condotta direttamente dagli autori, spesso come veri e propri “infiltrati”.

Nella setta di Piccinni e Gazzanni non è semplicemente un libro da leggere, è un vademècum da tenere sempre bene a mente. L’unico vero “mantra” necessario e utile per sconfiggere suggestioni, paure, condizionamenti e debolezze che sono, alla fin fine, il vero lasciapassare per truffatori e guru vari.
La libertà di culto, di fede religiosa, sancita anche dall’articolo 19 della Costituzione, non va confusa o mischiata con la manipolazione del pensiero, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento della prostituzione, l’adescamento, la pedofilia, i maltrattamenti, lo sfruttamento dei minori, il ricatto, la minaccia… ed è esattamente questo che cercano di chiarire e dimostrare Piccinni e Gazzanni con la loro inchiesta.

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume» [La Costituzione, Parte I – Diritti e doveri dei cittadini – Titolo I – Rapporti civili].

Tutte le testimonianze e i dati raccolti nell’indagine condotta dagli autori evidenziano la volontà comune a ogni setta di creare una sorta di “universo parallelo”, alternativo al mondo. Un luogo simbolo e simbolico dove far vigere i propri dettami, le regole, le usanze. Lavorare, studiare e nutrirsi seguendo un percorso purificativo-conoscitivo che porta, o meglio porterebbe alla salvezza. Dal male, da Satana, dalle malattie… ma più genericamente dal mondo esterno, quello che deve essere tenuto rigorosamente fuori dallo “universo parallelo”.
Eppure, leggendo il libro, l’idea che prende sempre più forma nella mente del lettore è che, pur se ognuna con i propri ideali, veri o dichiarati, e le proprie regole, le sette finiscono per somigliarsi un po’ tutte. Indottrinamento di massa, manipolazione del pensiero, violenze, abusi e schiavismo protratti per la maggiore su donne e minori, sono le violazioni maggiormente riscontrate. Unitamente all’aspetto economico. La salvezza sì ma da raggiungersi sempre e solo previo esborso di onerosi e ripetuti oboli alla causa.
Truffe e violenze di cui è pieno, purtroppo, anche il mondo fuori.

La manipolazione del pensiero non può e non deve mai essere sottovalutata anche e forse soprattutto quando vip e celebrity varie si fanno testimonial o portavoce di sette o gruppi, arrivando così a sommare le capacità di persuasione di fondatori e adepti alle proprie. Inqualificabile è per certo l’atteggiamento di autorità e politici che presenziano a eventi o avallano questi gruppi senza aver preso preventivamente le dovute informazioni per scongiurare l’eventualità, più volte verificatisi purtroppo, di sostenere associazioni o sette dedite alla manipolazione e allo sfruttamento, fisico ed economico.
A pesare ancor di più è l’assenza, a partire dal vuoto normativo ancora in essere, o la distanza nella tutela delle vittime.
A onor del vero va sottolineata questa negligenza dello Stato anche per quanto riguarda le vittime di associazioni, istituzioni e religioni definite “grandi” in riferimento sempre all’estensione territoriale, proselitista ed economica. Ovvero ciò che genera potere.

Ogni mattina, in Italia, «quattro milioni» di persone si alzano e «hanno un segreto: sono membri di un’organizzazione settaria». Alcuni appartengono a comunità fisiche, altri a realtà internazionali e altri ancora a gruppi misteriosi ed esoterici. Intorno a tutti aleggia il rischio concreto che la libertà di culto, la volontà di rivalsa, il desiderio di apprendimento di nuove filosofie esistenziali siano soffocate dalla manipolazione mentale, dallo sfruttamento, dalle violenze. Educare cittadini consapevoli è per certo il primo passo per evitare che debolezze, paure, suggestioni, timori li rendano facili prede. Un’adeguata normativa in merito è il passo successivo o, se si preferisce, precedente per garantire la tutela, soprattutto dei minori. Controlli economici, finanziari e fiscali potrebbe essere un terzo valido strumento in mano alle autorità statali e non da ultimo necessita un articolato supporto psicologico e psichiatrico per le vittime e i fuoriusciti affinché riescano a superare il trauma certo ma anche i problemi di insicurezza che li hanno spinti a cercare ‘protezione’ in un ambiente chiuso, settario e gerarchizzato.

Nella setta di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni è un libro assolutamente da leggere perché la vera libertà non risiede mai semplicemente nella diversificazione, vera o presunta, dell’offerta, negli slogan e nelle sponsorizzazioni che cercano di avallare progetti e intenti. No, la vera libertà, anche di culto ed espressione religiosa, sta nella capacità e nella possibilità di abbracciare o meno una causa, una fede, un progetto… ma di farlo sempre e comunque con la propria testa, scevri da condizionamenti di qualsiasi tipo.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa della Fandango Libri per la disponibilità e il materiale


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© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Dove sta l’umanità? “Carnaio” di Giulio Cavalli (Fandango Libri, 2018)

28 venerdì Dic 2018

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Carnaio, Fandango, flussimigratori, GiulioCavalli, migrazioni, monocolooccidentale, recensione, romanzo

Cadaveri ripescati in mare. Ecco qual è l’immagine che Giulio Cavalli sceglie come overture del suo nuovo romanzo Carnaio, edito da Fandango Libri. Il fotogramma più cruento e drammatico di questa enorme e globale emergenza che sono diventate le migrazioni di popoli.
Perché alla fin fine, se passassimo al setaccio l’intero “problema”, non resterebbero che la morte e il dolore. Oppure entrambi.

Morte e dolore che finiscono, inevitabilmente, per alimentare dibattiti infiniti generati, si racconta, dal bisogno di solidarietà e umanità. Motivati, in realtà, per la gran parte, da ipocrisia o peggio opportunismo.
E non dimentica certo di parlare di tutto questo Giulio Cavalli in Carnaio. Racconta nel dettaglio tutta la grande ipocrisia che si può accumulare anche in un piccolo paese arroccato su delle aspre scogliere, abitato per la maggiore da pescatori o figli di pescatori, da sindaci figli di sindaci, da preti che non perdono occasione per fare la morale anche quando tutti sanno che facilmente si lasciano tentare dal gentil sesso, anche senza il gentile.

Carnaio sembra essere un romanzo corale, grazie soprattutto all’espediente narrativo adottato dall’autore di dare voce a più protagonisti. In questo modo lo stesso accadimento viene osservato e commentato da diversi punti di vista e il lettore può “ascoltare”, ovvero leggere, le differenti opinioni in merito, esattamente come accadrebbe e come accade per un fatto reale.
Il narrato di Cavalli è originato dalla sua fantasia di scrittore certo ma è egualmente molto realistico, cruento e “crudele”. Nel senso che descrive, immaginando una storia, esattamente quello che accade da anni, decenni e che ha trasformato, purtroppo, il Mare nostrum in un’immensa pozza di morte, ingiustizie, dolore, indifferenza e opportunismo.

Cavalli è politicamente attivo e, giornalisticamente parlando, molto prolifico. La sua opinione, categorica, in merito a quanto sta accadendo non è certo un mistero, eppure egli riesce, con la dote che è propria di chi è scrittore e non semplicemente perché tale si dichiara, che siano il racconto e la narrazione a parlare, non i pregiudizi e i preconcetti che possono scaturire da posizioni eccessivamente rigide.
Ovvio che il libro è scritto dall’autore, e sempre lui ha scelto cosa far dire ai protagonisti e cosa no, ma l’impostazione del narrato, pur nella sua causticità, lascia libero il lettore di formarsi una propria opinione. In questo caso in base alla propria coscienza. E alla propria umanità.

Nel testo si ritrovano tutti gli aspetti e gli sviluppi del fenomeno migratorio che campeggia nei titoli di giornali e telegiornali quasi sempre per notizie o eventi drammatici, disastrosi. Una crisi umanitaria derivata dalla degenerazione dell’umanità che ha scelto di votarsi e immolarsi verso la crescita economica a ogni costo. Inarrestabile. Anche laddove è palese ormai che a rimetterci sono la stessa umanità e il pianeta che la ospita.

Giulio Cavalli è un ottimo narratore, sa bene cosa raccontare e come farlo. La domanda da porsi è: quale sarà il messaggio che il lettore vorrà raccogliere?
Si sceglierà di aver letto un semplice romanzo oppure si ammetterà di aver letto la versione romanzata di una triste realtà? Si preferirà archiviare il libro come semplice narrativa oppure si ammetterà di avere tra le mani la versione letteraria del resoconto “storico” di una struggente attualità?
L’autore ha lasciato libero il lettore di fare le proprie scelte. Non poteva fare altrimenti del resto.

In Carnaio Giulio Cavalli mantiene intatta la sua grande capacità di scrittura. Uno stile coinvolgente che cattura il lettore fin dalle prime battute. Quasi un rapimento sensoriale per l’intera durata della lettura di quella che acquisisce a tutti gli effetti i connotati di una accuratissima pièce teatrale. Una scena costruita intorno a un fenomeno troppo carico di dolore e sofferenza per poter lasciare umanamente indifferente chi legge. Al pari di quando si apprendono simil eventi nei resoconti di cronaca. Peggio se nera. Sprazzi di solidarietà ed empatia che vanno o andrebbero poi tradotti in mutazioni radicali di comportamenti singoli e globali altrimenti si rischia la banale retorica. Ma questo è un altro discorso. Chi scrive concorda con l’autore nel lasciare piena libertà al lettore o allo spettatore, in base alla coscienza che ognuno ha o ritiene di avere.


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Cosa siamo diventati? Migrazioni, umanità e paura in “Lacrime di sale” di Bartolo – Tilotta (Mondadori, 2016) 

 Rotta Libia – Italia: viaggio fatale per i bambini, la denuncia dell’Unicef 

Migrazioni… di organi 

Intervista a Giuseppe Catozzella per “Non dirmi che hai paura” (Feltrinelli, 2014) 

Umanità e Giustiza salveranno i migranti… e anche tutti gli altri. “Padre Mosé” di Mussie Zerai e Giuseppe Carrisi (Giunti, 2017) 

Il Buddhismo contro l’imbarbarimento del caos. “Le ragioni del Buddha” di Diego Infante (Meltemi, 2018) 

“Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna (Editori Laterza, 2016) 

“Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli (Rizzoli, 2015) 


 

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Chi tutela questi bambini? “Bellissime – Baby Miss, giovani modelli e aspiranti lolite” l’inchiesta-faro di Flavia Piccinni (Fandango, 2017)

18 lunedì Set 2017

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Bellissime, Fandango, FlaviaPiccinni, recensione

bellissime

Stendhal affermava che «la bellezza non è che una promessa di felicità». Già, semplicemente una promessa.

Con le parole del noto scrittore francese si apre al lettore il libro di Flavia Piccinni Bellissime. Baby Miss, giovani modelli e aspiranti lolite, edito quest’anno da Fandango Libri. Un “documentario” di parole che racchiude più di quanto ci si aspetti, che racconta più di quello che si vorrebbe sapere e vedere, che lascia poco spazio a fraintendimenti e ipocrisie. Insomma, un libro necessario.

La Piccinni condensa nelle pagine di Bellissime il risultato delle sue ricerche sul campo, delle sue ricerche documentarie, delle sue esperienze dirette, il racconto di testimoni e testimonianze varie nonché i suoi personali ricordi d’infanzia… al punto da conferire all’intero testo un’impostazione che non è quella del saggio tecnico in senso stretto, piuttosto di un dettagliato reportage giornalistico. La scrittura rimane sempre semplice, lineare, quasi colloquiale.

Va riconosciuto anche all’autrice il merito di essere riuscita, nonostante la costante personalizzazione del racconto, a far rimanere le sue opinioni e le sue esperienze marginali rispetto al racconto principale del testo. E così Bellissime permette al lettore di «guardare oltre la superficie» glitterata e “sorridente” del mondo della moda-bimbi, emblema e simbolo, come il campo della moda in generale, del «culto della grazia e della necessità di piacere». Il che non sarebbe neanche così tanto da recriminare se la bellezza fosse «fine a se stessa», invece «diventa espediente per arrivare a qualcosa».

Questo, associato al fatto che parliamo di minori, di piccoli che non superano il metro e venti di altezza e i dodici anni di età, inizia già a rendere chiaro quanto pericoloso sia il quadro che si delinea in questo “universo” nel quale scarsissima importanza viene data al «labirinto emotivo» della «necessità di piacere agli altri» e alle conseguenza cui vanno o possono andare incontro questi cuccioli, necessari e sacrificabili a quanto pare in nome del marketing e della pubblicità.

Leggendo Bellissime si viene catapultati in un mondo pressoché sconosciuto a chi non segue molto la moda, le sfilate, le tendenze, gli eventi… un mondo di finzione, come il cinema, i film e le serie tv, dove i “modelli” e le “modelle” vengono travestiti per apparire altro rispetto a quello che sono fuori dai set e dalle passerelle. Dove questa finzione però arriva finanche a prendere il sopravvento sulla realtà e sulla reale necessità dei bambini a cui, a volte, viene negato anche di bere e andare in bagno. Per rispettare i tempi. Non si può non chiedersi: ma di cosa stiamo parlando?!

Il lettore più volte si chiede, insieme alla Piccinni, quando i genitori hanno «smesso di fantasticare su figli medici o avvocati, per cominciare a vaneggiare sullo showbiz».

La situazione è molto più complessa, è vero, e l’autrice la analizza da svariate angolazioni portando avanti un gran bel lavoro di ricerca e sintesi, entrando in punta di piedi in questo mondo pieno di paillettes e lustrini, mossa forse da un innato e assolutamente motivato rispetto per l’infanzia che accompagna e vigila sulla scrittura dell’intero libro. Un rispetto che mai andrebbe calpestato o messo in discussione, figuriamoci poi per il mero tornaconto economico di un brand di moda o dell’etichetta sponsorizzata in pubblicità.

Bellissime è un pugno nello stomaco del lettore, il quale all’improvviso realizza, o meglio rammenta, di essere troppo spesso spettatore, osservatore o telespettatore di immagini, video, spot, serie tv, film o spettacoli di vario genere in cui “protagonisti” sono dei minori… e tutto appare sempre talmente normale, ordinario da passare quasi inosservato. La Piccinni ci ricorda tutto quello che c’è dietro. Il delirio. La «retorica dell’apparenza» di questo «mondo adulto miniaturizzato», dove, soprattutto le bambine, subiscono una precocissima sessualizzazione, «giovanissima carne addobbata da donna» e incitata a imitarne gli atteggiamenti più sensuali.

E allora ci si chiede perché in un mondo, quello vero, martoriato dalla piaga della pedofilia, si invogliano giovani ragazze e bambine ad attirare l’attenzione su una versione sexi e provocante di se stesse?

Bellissime. Baby Miss, giovani modelli e aspiranti lolite si rivela fin dalle prime pagine una lettura interessante, necessaria che illumina, come un faro, i lati bui di un mondo scintillante ma dal verso sbagliato e che invoglia il lettore a riflettere sui molteplici aspetti di questo fenomeno sociale, come di tutti gli altri ad esso direttamente o indirettamente collegati. A metabolizzare il concetto che la bellezza oggi altro non è che «l’eredità di un mondo fallito».

Flavia Piccinni: Nata a Taranto, è una scrittrice e giornalista italiana. Ha pubblicato numerosi romanzi e un saggio sulla ‘ndrangheta. Collabora con diversi giornali, è autrice di documentari per Rai1 e Radio3 e coordinatrice editoriale della casa editrice Atlantide.

Scheda libro:

Prezzo: € 16, 00 (su Libreria Universitaria € 15, 20)
Ebook: non disponibile
Pagine: 200
Formato: brossura
Scheda editore: qui

Source: pdf inviato al recensore, da parte di Simonetta Simonini per conto di Fandango Libri, che ringraziamo.

Articolo originale qui

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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