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Irma Loredana Galgano

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Maria Elisa Aloisi, Sto mentendo.Un caso per Ilia Moncada

15 martedì Ott 2024

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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MariaElisaAloisi, Mondadori, recensione, romanzo, Stomentendo, thriller

In epoca di fake news, di post-verità e di nuovo realismo, il tema della verità, e per contro della menzogna, è diventato talmente centrale da essersi imposto negli ultimi anni come oggetto di riflessione e indagine. Bugie, inganni e menzogne in letteratura abbondano in tutte le forme e sfumature. La lista di bugiardi e mentitori sembra davvero infinita: l’Odisseo omerico, il Miles Gloriosus latino, i bugiardi di Dante del canto XXX dell’Inferno, quelli di Boccaccio e di Chaucer, i mentitori di Corneille e di Goldoni. Per citarne alcuni. Menzogne, inganni, bugie e bugiardi, solitamente condannati tanto dalla morale filosofica quanto da quella comune, sono in letteratura così onnipresenti non solo o non soltanto perché la menzogna è un fenomeno umano rivolto agli umani, come è pure la letteratura, bensì perché strutturalmente, e da un punto di vista squisitamente narrativo, essi sono indispensabili e irrinunciabili affinché la storia stessa, il plot dell’opera, si avvii o si complichi, proceda o si risolva, o comunque si concluda; affinché, insomma, l’opera stessa diventi in qualche modo, e nel suo specifico modo, possibile.1

Maria Elisa Aloisi sembra aver costruito l’intera struttura portante del suo legal-thriller intorno al bisogno o necessità o volontà di mentire di ognuno dei protagonisti che, a vario titolo, entrano nella scena principale dell’opera, ovvero il tribunale dove si svolge il processo per omicidio, vero palcoscenico di tutta la narrazione. Ognuno di loro sembra avere un buon motivo per mentire. Per certo, Ilia Moncada ha la determinazione per costringere tutti e ognuno di loro a dire la verità. 

Sovente l’opera stessa può esistere solo grazie alle bugie che essa contiene e su cui si basa, e questo vale addirittura per il genere letterario di appartenenza e le convenzioni che lo regolano, se solo si pensa al thriller, al detective story. Anche da una prospettiva ermeneutica, inoltre, credere o non credere a bugie e bugiardi da parte degli altri personaggi in senso intradiegetico e da parte dei lettori in senso extradiegetico, oppure essere in grado di smascherare o meno menzogne e mentitori, implica importanti e talvolta decisive conseguenze sia a livello di storie e narrazioni, sia – in maniera molto più complessa – a livello di interpretazione del testo.2

«Però quando credi che il tuo cliente sia innocente, anche senza volerlo ti impegni di più. O no? – È vero – Fui costretta ad ammettere mio malgrado». Sono Ilia Moncada e sua zia Ofelia a raccontarsi gli sviluppi sul caso di omicidio che la ragazza sta seguendo come legale dell’imputato. Al quale non crede. Il quale non le piace. Eppure svolge lo stesso il suo lavoro. Non con lo stesso impegno di quando segue un cliente che ritiene innocente ma lo fa, ponendo in essere, in un certo qual modo, un grande inganno basato sulla menzogna. 

Ogni avvocato, nell’esercizio della sua professione, mente. Ciò accade tutte le volte che sostiene le ragioni del proprio assistito che sa essere dalla parte del torto. 

«Cicerone dopo dato un consiglio al senato o al popolo, da mettersi in opera anche il medesimo, dopo perorata e conchiusa una causa, ancor di una piccola eredità, si poneva a tavolino, e dagl’informi commentari che gli avevano servito a recitare, cavava, componeva, limava, perfezionava un’orazione formata sulle regole e i modelli eterni dell’arte più squisita, e come tale, consegnavala all’eternità. Così gli oratori attici, così Demostene di cui s’ha e si legge dopo 2000 anni un’orazione per una causa di 3 pecore: mentre le orazioni fatte oggi a’ parlamenti o da niuno si leggono, o si dimenticano di là a due dì, e ne son degne, né chi le disse, pretese né bramò ne curò ch’elle avessero maggior durata.»3

È una lamentela comune in epoca di classicismo, resa icasticamente dal giovane Leopardi: il sostanziale silenzio dei moderni retori è contrapposto agli artifici, destinati all’eterno, cesellati dagli antichi, fosse pur col pretesto di una causa intorno a poche pecore. Sempre in Italia, a Novecento inoltrato, la fortuna dell’oratoria avvocatesca si assestò al livello della cultura popolare, soprattutto al Sud.4

«Il diritto, gli avvocati, le cause in tribunale lo colmavano di estasi e delizia. Sapeva a memoria i nomi di tutti gli avvocati della provincia, e i brani delle loro cause più celeri; e in questo non era il solo, perché l’amore per l’oratoria forense è quaggiù abbastanza generale.»5

L’avvocato è in tutto e per tutto un uomo di teatro, di volta in volta istrione, guitto, fine dicitore.6 Il causidico fu spesso, lungo i secoli, assimilato all’attore: un modo forse per nobilitare il secondo e mettere in dubbio la lucidità argomentativa del primo.7

Quasi ovunque nei testi letterari ci imbattiamo in private o pubbliche arringhe che sanno d’aula di tribunale e molto familiare in Italia è la satira di avvocati e notai avidi ma, nel libro di Aloisi, è intorno alle parole di rei e correi che si potrebbe lungamente argomentare. Egualmente adirandosi. 

Sto mentendo è un legal-thriller ambientato tra luoghi che devono essere molto cari all’autrice. Traspare una Sicilia ricca di tradizioni, cultura, folklore, umanità. Anche nell’opera di Aloisi si ritrova la singolarità presente in molti scrittori siciliani che hanno saputo coniugare l’esterofilia e l’apertura al mondo con la tensione, all’inverso, centripeta che domina le loro opere, ossessivamente legate al tema dell’isola, e le loro vite, crocefisse a quella terra amata e odiata, o quanto meno condannate a concludervisi, in sconsolati ritorni che hanno talvolta lo stesso senso, di bruciante sconfitta e di astiosa diffidenza, dell’attaccamento delle “ostriche” verghiane allo “scoglio”.8

Nel testo sono presenti numerosi dialoghi, le descrizioni sono poche e brevi, seppur esaustive. Sembra quasi volontà dell’autrice lasciare siano gli stessi protagonisti a raccontare la storia, attraverso il resoconto della loro vita, delle esperienze, le emozioni, i sentimenti, gli accadimenti. Che siano sempre loro a trascinare il lettore nelle anse di una storia che si snoda tra le vie e le mura di una città che trasuda la sua sicilianità cosmopolita da ogni angolo, da ogni poro. Esattamente come accade per i suoi personaggi, protagonisti del romanzo. 


Il libro

Maria Elisa Aloisi, Sto mentendo. Un caso per Ilia Moncada, Mondadori, Milano, 2024.


1L. Pelaschiar, Quella bugiarda della letteratura! Il caso William Shakespeare, in Nuova Informazione Bibliografica, arTs – Università degli Studi di Trieste, Trieste, 2019.

2L. Pelaschiar, op.cit.

3G. Leopardi, Zibaldone, 1823.

4F. Arato, Parola di avvocato: L’eloquenza forense in Italia tra Cinque e Ottocento, Giappichelli Editore, Torino, 2015.

5C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 1945.

6G. Marotta, San Gennaro non dice mai no, Longanesi, Milano, 1948. F. Arato, op. cit.

7C. Vicentini, La teoria della recitazione. Dall’antichità al Settecento, Marsilio, Venezia, 2012.

8A. Di Grado, Memoria e utopia: la vocazione europea della letteratura siciliana, in Fragmentos, numero 36, 2009.


Articolo pubblicato su LuciaLibri.it


Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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“Trappola mentale” di Maria Teresa Casella

Nunzio Primavera, Gibildonna

Massimiliano Città, Agatino il guaritore


© 2024, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Trappola mentale” di Maria Teresa Casella

21 venerdì Lug 2023

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MariaTeresaCasella, recensione, romanzo, thriller, Trappolamentale

Se il dolore che una persona prova è già insopportabile, quale sarà allora il limite verso cui si spingerà per superarlo e dimenticarlo? La protagonista del romanzo di Maria Teresa Casella soffre di emicrania al punto da cercare emozioni sempre più violente che le facciano dimenticare il dolore. Una strada molto pericolosa che la porta a condurre una vita oltre ogni limite. Nel tentativo di liberarsi dalle trame di un dolore fortissimo finisce vittima di una rete di sofferenza ancora più forte. 

Un personaggio davvero potente quello creato da Casella in Trappola mentale che spinge molto anche sull’intera vicenda. Non è la prima volta che Casella studia dei personaggi indagando il loro lato mentale. Devianze, malattie, perversioni, emozioni, sensazioni… sono certamente aspetti dell’esistenza che l’autrice riesce a indagare e narrare egregiamente, riuscendo a inventare storie che colpiscono il lettore, attraendolo al punto da voler leggere il libro quasi d’un fiato. 

Trappola mentale è un thriller in cui l’aspetto psicologico, mentale è centrale. Coinvolgente al punto che il lettore di continuo cerca di interpretare il pensiero della protagonista per venire a capo della vicenda, anche laddove appare evidente si tratta di un labirinto talmente ben studiato che è praticamente impossibile. Riesce molto bene Casella a giocare tra reale e immaginario, sfruttando al massimo il potenziale offerto dalla trappola mentale della protagonista, di cui sembrano diventare tutti vittime, lettore compreso.

Trattandosi di un thriller la storia sembra ruotare intorno all’indagine per omicidio, che vede coinvolta anche la protagonista, eppure fin da subito si comprende come il tutto in realtà sia stato pensato per essere una vera e propria corsa contro il tempo.

Il tempo è uno dei più affascinanti e sfuggenti aspetti dell’esperienza umana, talmente ubiquitario e pervasivo da essere talvolta dato per scontato. In effetti, ogni atto è temporale nella misura in cui presuppone un cambiamento o un’aspettativa di cambiamento.1

È proprio la ricerca di un cambiamento a spingere Giorgia verso le violente emozioni le quali dovranno poi diventare la sua via di fuga dal dolore dell’emicrania. 

Il libro è ben strutturato, la trama ben congegnata e i personaggi ben caratterizzati. Tutto questo però non meraviglia il lettore che già conosce i libri di Maria Teresa Casella. La meraviglia arriva allorquando si entra in contatto con Giorgia, la protagonista. Quando Casella apre la sua mente al lettore. Quando si indaga nel profondo l’essere e il malessere di una persona malata, che soffre per una patologia mentale, invalidante al pari di qualsiasi altra patologia ma meno visibile e, forse anche per questo, meno comprensibile. Pulsioni e ossessioni sono già state oggetto di indagine da parte dell’autrice che, anche questa volta, di certo non delude il lettore. Perché per Giorgia la ricerca di emozioni forti diventa ben presto una vera e propria ossessione.

La lettura di Trappola mentale spinge il lettore anche verso approfondite riflessioni inerenti il mondo visto attraverso la griglia di una malattia, trama di una vera e propria trappola, iconograficamente rappresentabile come una fitta ragnatela, solo in apparenza innocua e fragile. 

Trappola mentale di Maria Teresa Casella è assolutamente una lettura consigliata.


1A. Nicolosi, Il tempo come esperienza simbolica di apertura, Quaderni di Cultura Junghiana, numero 2, 2021: https://quadernidiculturajunghiana.it/il-tempo-come-esperienza-simbolica-di-apertura/


Articolo pubblicato su Leggere:Tutti


Source: Si ringrazia l’autrice per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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“Amore obliquo” di Maria Teresa Casella (Streetlib, 2015)

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“Sbirri e culicaldi” di Stefano Talone (Ensemble, 2020)

10 mercoledì Feb 2021

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Ensemble, recensione, romanzo, Sbirrieculicaldi, StefanoTalone, thriller

Ambientazione, personaggi, suspence, stile narrativo e, soprattutto, trama sono gli elementi che in un buon libro giallo non devono mancare o altalenare. Nel suo poliziesco d’esordio, Stefano Talone ce l’ha messa tutta affinché il testo presentato ai lettori non mostrasse carenza alcuna. E, in effetti, Sbirri e culicaldi si fa leggere con piacere. Unica pecca è il ritmo iniziale un po’ lento, rispetto anche al resto del libro che, al contrario, mostra una narrazione più serrata, sorretta da un ritmo molto più incalzante, perfetto per libri di questo genere.

Come scrivevo, gli elementi topici ci sono tutti e si presentano bene. L’ambientazione è suggestiva e perfetta per un romanzo che vede scendere in campo polizia, agenti segreti e minacciosi terroristi. Londra, forse anche a seguito della fortunata produzione letteraria di Ian Fleming e sicuramente ancor di più per le versioni cinematografiche con protagonista lo 007 con licenza di uccidere, è diventata, nell’immaginario collettivo, simbolo delle spy stories.

Nel libro di Talone lo spionaggio veste i panni dell’attualità aprendo le indagini alla minaccia incombente di attacchi terroristici che, tristemente, anche di recente hanno campeggiato sui titoli dei giornali europei per settimane. Ed è proprio grazie a questo tema di stretta attualità che l’autore riesce bene a raccontare anche della società che si è costruita tutta intorno a queste minacce e, al contempo, alla medesima società che ha originato i malesseri che questo terrorismo hannogenerato.

Il fenomeno dell’immigrazione, con i problemi a esso connessi e mai risolti. Le mille difficoltà di uno stato sociale assente, latitante o carente. Gli strati di culture e sub-culture che si intrecciano e si incontrano almeno quanto si scontrano e che generano sempre e inevitabilmente dei vuoti e delle lacune difficili da colmare.

Sbirri e culicaldi è anche un viaggio nelle periferie, nei sobborghi multietnici della capitale inglese, una sorta di cammino per incontrare, forse anche per conoscere, i vari e variegati personaggi che sembrano essere tenuti uniti, legati da una solo in apparenza inspiegabile voglia di fede e di martirio. Il racconto che Talone fa della sua Londra contemporanea lascia trasparire le mille difficoltà e i tanti ostacoli che ancora persistono e impediscono una effettiva e totale integrazione, anche dei cosiddetti immigrati di seconda o, addirittura, terza generazione. Le mille sfaccettature, per nulla rosee, di una società che si sponsorizza come multietnica ma lo fa nascondendo forse anche a se stessa i tanti risvolti negativi e nodi ancora da sciogliere.

«Non è facile fare parte di una cultura fuori dal paese che ha dato la vita ai tuoi genitori… Vanno in giro senza essere niente. Né pakistani, né britannici. Sanno solo di essere vivi e di volere cambiare il mondo.»

Il romanzo è scritto molto bene. Talone più volte si sofferma nella descrizione dettagliata e minuziosa, anche di tecniche specifiche di indagine, ma senza appesantire troppo la narrazione e riesce a portare avanti la storia sciogliendo tutti i nodi, i vari intrecci che rendono ancora più interessante la lettura e sorprendente il finale.

Sarà la ricerca di due ragazzi culicaldi, ovvero sospettati di essere potenziali attentatori, che farà incontrare e a volte scontrare i detective di Scotland Yard con gli agenti dell’Antiterrorismo, che dà la possibilità all’autore di mostrare al lettore le diverse fasi e le differenti procedure di indagine, nonché le difficoltà che incontrano gli investigatori allorquando si scontrano con la farraginosa macchina burocratica la quale, impegnata e vincolata com’è al rispetto di tempi e regole ferree, appare troppo lontana da una realtà in continuo divenire e ostacolo, essa stessa, alla giustizia.

Victor Gell e Oliver Outeberry, veri protagonisti del libro, sono entrambi, anche se ognuno a modo proprio, detective che credono in quello che fanno. La loro abnegazione li ha portati a compiere scelte anche difficili, a fare rinunce, a scontrarsi con superiori e amministrazione… ciò a cui proprio non riescono e non vogliono rinunciare è loro stessi, quello che sono o che sono diventati. Traspare, da questo atteggiamento, molto ben analizzato da Talone, il volto umano dei corpi di polizia, dei servizi, degli apparati investigativi.

Un libro, Sbirri e culicaldi di Stefano Talone, nel complesso molto ben strutturato. Una piacevole e interessante lettura.


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


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Derive del terrorismo e dell’antiterrorismo in “Non c’è sicurezza senza libertà” di Mauro Barberis (ilMulino, 2018) 

“Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione” di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna (Editori Laterza, 2016) 


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“Dalla parte dell’assassino” di Pietro De Sarlo (Altrimedia Edizioni, 2020)

15 mercoledì Lug 2020

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Altrimedia, Dallapartedell'assassino, PietrodeSarlo, recensione, thriller

Ci sono molti modi per indagare e riflettere sulla società e sulla contemporaneità. Pietro Francesco De Sarlo ha scelto di farlo attraverso le storie che racconta e i personaggi che inventa.

Dalla parte dell’assassino è un romanzo giallo nel quale l’autore inserisce tratti tipici del romanzo poliziesco e tratti peculiari invece dei romanzi di formazione.

Partiamo dal protagonista, un commissario che è innanzitutto un cittadino, scontento del modo in cui la società, lo Stato che egli stesso “serve” ogni giorno, lo tratta. Una persona che stenta a comprendere e fare proprie le dinamiche dell’era digitale. Orfano di ogni riferimento, anche professionale, travolto com’è da un mondo in continua evoluzione, tanto lontano da quello in cui è cresciuto da sentirlo estraneo. La velocità vorticosa che muove tutto intorno a lui è talmente celere per i suoi flemmatici tempi e ritmi che sembra quasi esserne trascinato e, in alcuni passaggi della narrazione, si figura il paradossale scenario nel quale sono gli accadimenti e inseguire lui piuttosto che egli rincorrerli per svelare il mistero che avvolge i delitti.

Nonostante il ritmo serrato del libro, la storia si apre al lettore lentamente, a piccoli pezzi alla volta. Si parte da una vicenda con un interesse personale e limitato e mai ci si sarebbe aspettati poi di vederla illuminare l’immenso scenario che ne deriva da quella sorta di effetto domino che scatenano gli eventi narrati.

Una storia di omicidi che mette a dura prova il commissario il quale sembra essere l’unico a nutrire interesse verso la risoluzione del caso. Un’impresa narrata quasi come un’avventura donchisciottesca, nella quale risalta e contrasta la sua caparbia volontà di proseguire nelle indagini nonostante appare l’unico a voler dare la caccia a un omicida le cui vittime erano invise ai più.

Una ruggine che in realtà acquista quasi sempre, durante tutta la narrazione, i contorni di un vero e proprio risentimento ostile rivolto verso una società in completa avaria e verso i suoi rappresentanti più in vista, responsabili e capro espiatorio per eccellenza di un mondo sbagliato nel fondo e nel profondo. Una società descritta con una cura particolare per i luoghi e per le persone, specchio di un’Italia intera e di un sistema che sta portando il Paese a una vera e propria svendita di beni materiali e immateriali.

De Sarlo spazia dalla politica all’economia, da riflessioni di carattere sociale ad analisi di geopolitica internazionale. Immette nel testo fatti e personaggi reali o realistici. Avanza anche delle responsabilità, dirette o indirette, riguardo azioni o decisioni che hanno portato o contribuito alla situazione attuale. Ma riesce ad inglobare il tutto all’interno della storia principale senza appesantire la narrazione che, al contrario, risulta leggera e scorrevole con diverse punte ben inserite di ironia capaci di suscitare nel lettore una sincera ilarità.

Lo stile narrativo di De Sarlo è molto curato. Dimostra infatti l’autore di dedicare particolare attenzione ai dettagli, alla costruzione del periodo e, dal punto di vista narrativo, all’intreccio. I personaggi, in particolar modo il protagonista, sono ben caratterizzati, studiati e definiti proprio per assolvere il ruolo che l’autore ha voluto attribuire loro. Funzionali a un racconto che sembra però anch’esso funzionale ad essi. Un gioco di rimandi che, lungi dall’ingenerare confusione, consente a chi legge di rimanere ben ancorato alla realtà, nonostante si tratti ufficialmente di un’opera di fantasia e che pare rifarsi all’evidenza largamente condivisa della realtà che quasi sempre supera di la fantasia e l’immaginazione.

Uno stile, quello di Pietro De Sarlo, che diventa un vero strumento di indagine e riflessione sulla contemporaneità senza pretesa di esserlo. Una lettura, Dalla parte dell’assassino, fuor di dubbio piacevole e interessante.


Source: Si ringrazia l’autore per la disponibilità e il materiale


Articolo disponibile anche qui


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“L’Ammerikano” di Pietro De Sarlo: un libro sui contrasti (Europa Edizioni, 2016) 

La fusione tra pensiero immagine e parola in “Sciamenesciá” di Solito Carlos 


 

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Le nuove frontiere della suspense: “Alla ricerca della vita”, il thriller ‘biologico’ di Giovanni Nebuloni (13Lab, 2018)

18 mercoledì Lug 2018

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13Lab, Allaricercadellavita, GiovanniNebuloni, recensione, romanzo, thriller

Nulla si teme più per la salute di un’epidemia. Ne Alla ricerca della vita Giovanni Nebuloni ne ha immaginato una di cancro umano trasmissibile.
Un thriller originale quello scritto da Nebuloni e pubblicato a marzo di quest’anno da 13Lab. Un giallo pieno di suspense che lui stesso ama definire ‘biologico’. E, in effetti, non è solo e non è tanto l’azione volontaria degli uomini a generare l’intrigo quanto quella della natura, o meglio della biologia animale, cui l’uomo appartiene.

La ricerca della vita che l’autore fa compiere alle protagoniste del libro sembra essere più uno scavo profondo nel torbido dell’animo umano, mosso da sentimenti di rivincita, di rivalsa, di supremazia. Scienza e vita si incontrano e si scontrano brutalmente all’interno di un laboratorio nella lontana e misteriosa città di Johannesburg, in South Africa. Uno scontro dove sembra uscirne vittoriosa solo la morte. Ma è un inganno. Oppure no.

Si è certamente divertito Giovanni Nebuloni a ‘sfidare’ i suoi lettori in un gioco di azioni e reazioni, emozioni e riflessioni, un vortice esistenziale che rasenta a tratti l’esistenzialismo puro.

Ad accogliere il lettore è una citazione di Gabriel García Márquez che racchiude in sé il senso estremo anche del libro di Nebuloni.

«Lo turbò il sospetto che è la vita, più che la morte, a non avere limiti».

Nebuloni è giunto al decimo romanzo e sta portando avanti la sua ricerca sulla conoscenza ma anche sulla scrittura. E sull’intreccio di entrambe. Per il fondatore della Fact-Finding Writing (Scrittura conoscitiva – Scrivere per conoscere) infatti l’immobilità, del corpo ma soprattutto della mente, se non proprio deleteria è di sicuro inutile. Il movimento implica invece evoluzione e, pertanto, «eventualmente, anche la vita – si pensi alle erbe che tenacemente, partendo dal seme attecchiscono nel cemento». Oppure, ritornando al nuovo romanzo, alle cellule che mostrano metamorfosi e cambiamento, ai corpi che generano anticorpi, alle malattie, alle epidemie come pure le resistenze immunitarie alle medesime.

La vita, la natura, la biologia, la scienza e la medicina… che nel libro di Nebuloni si fondono al mistero, alla suspence, all’intrigo e sono tenute insieme, non solo e non tanto dalla storia narrata, quanto dallo stile della narrazione. Una scrittura che appare studiata, maturata proprio per raccontare questo genere di storie.

I personaggi, come l’ambientazione stessa, a volte appaiono troppo mutevoli e sfuggenti, quasi evanescenti. Sembrano sfuggire al lettore che vorrebbe meglio inquadrarli, definirli. Ma forse è una scelta voluta dell’autore che permette in questo modo una migliore concentrazione proprio sulla scrittura, sulla evoluzione del suo percorso narrativo e conoscitivo.

Le storie dei romanzi di Nebuloni sono comunque auto-conclusive per cui il lettore, anche laddove non avesse seguito il suo percorso o non avesse letto le precedenti pubblicazioni, non riscontrerà alcun intoppo in tal senso nel leggere Alla ricerca della vita. Un testo interessante, nell’ottica del percorso di scrittura conoscitiva che Nebuloni segue da anni, ma valido anche come mera lettura di un thriller, in questo caso ‘biologico’.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’autore, Giovanni Nebuloni, per la disponibilità e il materiale


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È la lavorazione a fare il libro, non i singoli ‘ingredienti’: la ‘ricetta’ di Giovanni Ricciardi intervistato per “Gli occhi di Borges” 

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Il senso della vita raccontato da Edith Pearlman in “Intima apparenza” (Bompiani, 2017) 


 

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“Non temerò alcun male” di L.K. Brass (Autopubblicazione, 2017)

24 giovedì Mag 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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IldealdellApocalisse, LkBrass, Nontemeroalcunmale, recensione, romanzo, thriller

L.K. Brass mantiene anche in Non temerò alcun male l’impostazione data alle altre sue pubblicazioni. Romanzi ambientati in località e città solo in apparenza amene. Personaggi che forse non la vorrebbero neanche una vita “normale” e sono costantemente “costretti” dal caso, dalle loro conoscenze come dalla forte determinazione che li caratterizza, a dimenarsi tra mille pericoli e ostacoli, affrontare i cattivi, combattere il male nelle sue molteplici forme pur di portare a compimento la missione o il salvataggio.

Storie che solo in apparenza ricordano o rimandano a quelle di spionaggio o geopolitica internazionale. A muovere i protagonisti di Brass non è mai la mera sete di vendetta o di denaro, la stabilità economica o di potere… no, l’autore racconta le vicende di persone che mantengono sempre, nonostante tutto, la loro profonda umanità. E questa forse è proprio la peculiarità che meglio li caratterizza.

Invariato, rispetto alle precedenti opere, il registro narrativo. Uno stile di scrittura che è apparso maturo fin dai primi romanzi. Una grande capacità di raffigurazione pur nell’essenzialità delle descrizioni ambientali e temporali. Una immediata capacità di coinvolgimento del lettore nel quale suspense e curiosità si fondono già dalle prime pagine.

L’autore racconta sempre, nei suoi libri, storie in apparenza inverosimili, esagerate, con intrighi e complotti internazionali. Vicende che letteratura, cinema e televisione ci hanno abituati a indicare come tali, ovvero verificabili solo nella finzione, nell’immaginario fantasioso di uno scrittore, produttore, sceneggiatore o regista che sia. Eppure è proprio in questo loro “esagerato” irrealismo che le storie di Brass acquisiscono tutta l’autorevolezza di un racconto di vita vissuta: nella precisione dei dettagli, nella descrizione accurata dei gesti come dei pensieri dei protagonisti… tutto lavoro che, ogni volta, conferma le grandi doti di scrittura dell’autore, indipendentemente dalla veridicità o meno dello scritto.

Che sia una storia vera o immaginaria a un certo punto non conta più per il lettore di Brass, ammaliato e rapito com’è dai suoi scritti al punto da desiderare con forza, nel caso di Non temerò alcun male per esempio, che la storia duri ancora molto, prosegua in altri libri e, magari, trovi una “migliore” conclusione. Anche in questo caso infatti l’epilogo è triste, amaro, realistico, come del resto l’intera vicenda. Le storie raccontate dall’autore, come gli stessi protagonisti, non sono facili e loro non hanno di certo una vita semplice, nonostante l’assenza quasi plenaria di difficoltà economiche e conoscenze, soprattutto linguistiche e informatiche. Persone che a un occhio estraneo potrebbero dare l’idea di essere dei privilegiati sono in realtà dei tormentati che scelgono però, comunque, di portare a fondo la loro missione, gli impegni presi, anche quando sono perfettamente consapevoli di cosa questa scelta comporterà per la loro vita e per quella dei loro cari.

Uomini profondamente innamorati e rispettosi delle compagne. Impavidi e coraggiosi. Pronti a rischiare la vita pur di saperle al sicuro o di ottenere per loro giustizia. Personaggi certo, ma anche modelli ideali che hanno al fianco donne altrettanto coraggiose, fedeli e determinate. “Fantasiosi” modelli di persone che si vorrebbe incontrare sempre più spesso nella vita reale, di cui si sentirebbe parlare molto più volentieri che non, come purtroppo accade, di psicopatici violenti, aggressivi e vendicatori che usano la violenza per placare le personali frustrazioni e insicurezze, che fanno la voce grossa nel tentativo di celare il vuoto della loro ignoranza.

Tecnicamente molto ben riusciti i passi nei quali Max legge stralci della bozza del romanzo di Lisa e vengono, in questo modo, chiariti i punti salienti e quelli rimasti ancora oscuri della vicenda che ha stimolato la giornalista prima a indagare nell’archivio, per caso ritrovato nella soffitta della loro nuova abitazione, e poi a mettere nero su bianco quanto scoperto. Risultano questi dei passaggi narrativi molto interessanti che aiutano il lettore a entrare nel rapporto profondo tra Max e sua moglie, come a conoscere quei personaggi finora solamente nominati, anche laddove si parla di persone e vicende del passato.

I libri di Brass sono ben scritti e hanno sempre una trama molto fitta e articolata, sono romanzi che non disdegnano la denuncia, l’impegno civile e sociale, la conoscenza e l’analisi dei problemi e dei mali della società contemporanea. Il lettore non può quindi fare a meno di chiedersi se la via dell’autopubblicazione sia una scelta dell’autore o sei i libri non trovano interesse e riscontro da parte degli editori e, in questo caso, per quale motivo. Nella quarta si legge: «L.K. Brass ha scelto di aprire al pubblico anche le opere inedite perché è convinto che solo i lettori abbiano l’ultima parola». Probabilmente è questo che interessa all’autore, il quale vuole far arrivare i suoi scritti ai lettori, indipendentemente dalla presenza o meno di un editore.

La storia di Lisa e Max e, in particolare le vicissitudini della donna, invogliano il lettore a riflettere sulla “leggerezza” con la quale tutti o quasi hanno sostituito i tradizionali mezzi di scrittura e condivisione in favore del molto più “accessibile” computer. Elemento indispensabile certo ma strumento che ha cancellato il diritto al ripensamento, all’oblio e alla privacy, maggiormente dopo l’avvento delle Rete. Strumento dove anche ciò che viene in apparenza cancellato rimane accessibile per coloro che conoscono i meccanismi e i processi di funzionamento molto più della gran parte dei comuni fruitori. Non si può tornare indietro e non sarebbe neanche un vantaggio ma è assolutamente necessario andare avanti con coscienza reale e consapevolezza di cosa ciò veramente rappresenti. E Brass nei suoi libri più volte cerca di mostrarlo ai suoi lettori.

Il finale è perfettamente in linea con il resto della storia e non delude di certo il lettore, anche laddove si era potuto sperare in un epilogo meno tragico e cruento. Ma, come spesso ricordato anche nel libro, la realtà supera sempre la fantasia e, per essere realistica, una storia non può e non deve seguire solo le speranze e i sentimenti. Non reggerebbe l’impatto con la realtà, in questo caso rappresentata dallo “spietato” giudizio critico del lettore.

Impressiona quasi che Brass capace di scrivere in maniera molto rigida di spionaggio, pirateria informatica, complotti, esecuzioni efferate, armi e ordigni… sia al contempo capace di destinare alla compagna una dedica di siffatta dolcezza. Del resto è lo stesso dualismo che si ritrova anche nei suoi personaggi.
«Non di certo per ultima, ringrazio la mia prima lettrice, mia fonte d’ispirazione quando scrivo di legami indissolubili. Ho la fortuna di non dovermi addentrare in alcuna selva oscura, ma accanto a lei non temerei alcun male».

Un libro sicuramente ben riuscito, Non temerò alcun male che L.K. Brass ha pubblicato a marzo dello scorso anno. Un romanzo che soddisfa gli amanti del thriller ma che contiene anche tanto altro. Una lettura per certo consigliata.


L.K. Brass: Nato a Lugano, si occupa di consulenza per i sistemi informativi finanziari. Ha vissuto a Parigi, Vaduz, Chicago, Ginevra e Zurigo. Ha esordito con “Il deal dell’Apocalisse” (pubblicato anche con il titolo “I mercanti dell’Apocalisse”), primo libro dell’omonima trilogia. “Non temerò alcun male” è il suo quarto romanzo.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’autore L.K. Brass per la disponibilità e il materiale


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“Oltre ogni verità” di Gianluca Arrighi (Edizioni CentoAutori, 2018)

13 venerdì Apr 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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EdizioniCentoAutori, GianlucaArrighi, legalthriller, Oltreogniverita, recensione, thriller

Uscito a gennaio 2018 con Edizioni CentoAutori, il nuovo thriller dell’avvocato-scrittore romano Gianluca Arrighi è l’occasione per far conoscere ai suoi lettori il capitano Jader Leoni. Dopo aver deciso quindi, forse in maniera definitiva, di mandare in pensione Elia Preziosi, protagonista indiscusso dei due precedenti libri (L’inganno della memoria e Il confine dell’ombra), Arrighi mette sul tavolo una carta tutta nuova da giocare.

Jader Leoni, capitano del gruppo di intervento speciale e reparto d’élite delle unità antiterrorismo di stanza a Roma, dove vive con la famiglia, viene mandato in un piccolo paese della provincia di Rieti dove, tra l’altro, ha dei parenti e dei ricordi del suo passato che emergono lentamente durante la narrazione ma saranno per la sua conclusione determinanti.

Un piccolissimo paese arroccato sull’Appennino centrale, a vocazione prevalentemente agricola, un ambiente rurale e a tratti dipinto così agreste da ricordare le scene bucoliche di Virgilio. Quale posto migliore per ambientarci un omicidio e uno scandalo a carattere sessuale per rendere ancor più stridente il contrasto tra la realtà e le ipocrisie del pregiudizio e dell’apparenza?

Persone ambigue ma che in fondo non hanno nulla da nascondere e persone perbene che possono trascinarti con facilità estrema in un baratro di menzogne, falsità, dolore e omicidi, nella vana speranza di mantenere inalterata l’apparenza che con tanta dedizione e fatica hanno creato, costruito intorno a se stessi, proprio come le maschere di cui tanto ha narrato Pirandello.

La scrittura di Arrighi è chiara, con frasi brevi e un linguaggio che ricorda molto quello parlato, uno stile narrativo che potrebbe essere definito basico, con la suspense, peculiarità immancabile in questo genere letterario, creata mantenendo pressoché invariato il registro narrativo. Il racconto degli eventi, che incalzano e vanno a incastrarsi come tessere di un puzzle, inocula in chi legge un tanto equilibrato quanto morboso input di curiosità che lo invoglia nel prosieguo della lettura.

Si nota, lungo tutto il testo, l’uso ripetuto della similitudine. Per esempio quando l’autore scrive: “le notizie si diffondono alla velocità di un incendio in un fienile”, oppure “si muoveva rapido e fluido come un fiume nel suo letto”. Espressioni che sembrano servire non tanto a chiarire concetti che sono già chiari ed elementari, quanto a legare il narrato e i protagonisti al territorio, ai luoghi ove le vicende si svolgono. Un incendio in un fienile e un fiume che scorre nel suo letto non possono non legare quanto il lettore legge all’ambientazione stessa, ovvero un ambiente rurale e contadino con il cadavere rinvenuto in un bosco.

Il capitano Jader Leoni, pur differente da Elia Preziosi sotto molti aspetti, lo ricorda per la determinazione, per l’attaccamento al lavoro e agli affetti e per il ricorso, se necessario, a metodi anche poco ortodossi affinché giustizia sia fatta. Un personaggio che, tutto sommato, irrompe bene sul palcoscenico narrativo di Arrighi e che, forse, nei prossimi libri, riuscirà a mettere definitivamente in ombra il suo predecessore.

Persiste, nello stile narrativo di Gianluca Arrighi, la ricerca sistemica della perfezione. Nella precisione e nella cura di ogni singolo dettaglio che riguarda la vicenda narrata come nella stessa scrittura, che può, soprattutto nei dialoghi, risultare a volte troppo manierata. Nel complesso comunque il giudizio sulla nuova avventura letteraria di Arrighi è positivo. La lettura si conferma piacevole e scorrevole. Come positivo viene interpretato da chi legge lo sforzo compiuto dall’autore nel voler raccontare con un tocco originale due aspetti cruciali della contemporaneità: omofobia e islamofobia. L’aver voluto portare i protagonisti della vicenda in un ristretto e rurale contesto ha agevolato anche l’immissione nella quotidianità di questi aspetti troppo spesso raccontati come astratti, lontani. Solo in questo modo infatti si riesce a svelare l’arcano che vuole tutti menzogneri “per nascondere quello che sono veramente”.

Source:Si ringrazia Gaia Luvera, dell’Ufficio Stampa Edizioni CentoAutori, per la disponibilità e il materiale


Articolo originale qui



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Riflettori puntati sul mondo della finanza in “Fine dell’oblio” di L.K. Brass

25 lunedì Dic 2017

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Finedelloblio, IldealdellApocalisse, ImercantidellApocalisse, LkBrass, NWO, ordinemondiale, paura, recensione, romanzo, thriller

Continua la saga de Il deal dell’Apocalisse di L.K. Brass che con Fine dell’oblio aggiunge un altro capitolo alle avventure di Daniel e Anna, sempre impegnati nella loro crociata contro le ingiuste e occulte operazioni della finanza internazionale.

Troveranno nuovi compagni di viaggio che sono in realtà presenze del loro passato e, in contemporanea, dovranno, ancora una volta, dire addio ad affetti e amori. Un’esistenza straziante la loro, votata a combattere nemici tanto ‘invisibili’ quanto crudeli la cui unica fede è il denaro che porta al successo, che conduce al potere.

In Fine dell’oblio L.K. Brass si è divertito a inserire un lungo prologo e un paio di capitoli iniziali che, se pur necessari al compimento della storia, ritardano il reincontro del lettore con i protagonisti lasciati ne I mercanti dell’Apocalisse e le loro adrenaliniche vicende. A partire dal terzo capitolo però il lettore viene ricompensato e riesce a ‘inserirsi’ appieno nella vicenda narrata, a seguirla con interesse crescente e sperare di ritrovarla ancora nel prossimo libro.

In teoria la vicenda di Daniel Martin e Anna Laine potrebbe aver trovato la sua conclusione in maniera esaustiva anche con un minor numero di pagine e di libri ma quello portato avanti dall’autore sembra essere un progetto di più ampio respiro, nel quale le vicissitudini dei protagonisti ne costituiscono solo una parte. La capacità maggiore di scrittura di L.K. Brass risiede infatti nella volontà di raccontare ciò che in letteratura e al cinema viene sempre presentato come fantascientifico per quello che in realtà è, e di farlo anche molto bene. Azioni e operazioni che hanno luogo ogni giorno nel mondo reale come in quello surreale della finanza. E presentarlo come un vero problema, anche qualora la storia da lui narrata sia tutto frutto di fantasia.

Raccontare il danno causato all’economia reale dalle manipolazioni dei mercati finanziari. «Pensa alla mamma che stringe la sua bimba che si sta spegnendo per la fame, perché la farina ha raggiunto prezzi che lei non può pagare. Pensa ai bambini di Atene che arrivano a casa la sera e scoprono che i genitori si sono suicidati perché hanno perso tutto. Pensa se questo si moltiplicasse non due, non dieci, ma cento o mille volte»… Pensiamo che la moltiplicazione è già in atto, purtroppo. Bisogna pensarci, agire e risalire alla «fonte del danno».

L.K. Brass conferma con Fine dell’oblio la sua capacità di inventare storie interessanti e coinvolgenti, di raccontare il lato oscuro della finanza internazionale in maniera da renderlo comprensibile e accessibile a tutti, di denunciare i mali del mondo e di farlo in maniera ineccepibile creando libri assolutamente da leggere.


Source: Si ringrazia l’autore L.K. Brass per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte trama libro quarta di copertina; fonte biografia sito personale dell’autore

LEGGI ANCHE

Recensione a “I mercanti dell’Apocalisse” di L.K. Brass (Giunti, 2016)

“È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016)

“Sono i deboli le prime vittime dell’evasione fiscale”. Intervista a Angelo Mincuzzi


Articolo disponibile anche qui

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Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi (Tea, 2017)

15 venerdì Set 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Lagunanera, MauriSpagnol, MicheleCatozzi, recensione, romanzo, Tea, thriller, Venezia

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Uscito con Tea, del gruppo editoriale Mauri Spagnol, Laguna nera di Michele Catozzi è un giallo la cui storia, come sospesa nel tempo, ben si sposa con l’ambientazione. Venezia, la città «più bella del mondo», dove il tempo sembra essersi fermato… o almeno questo vorrebbero i nostalgici della bellezza della città lagunare. I tradizionalisti incalliti come il commissario Nicola Aldani, protagonista delle indagini sull’omicidio al centro della vicenda e veneziano doc che sembra smarrire un pezzo di sé ogni qualvolta per le calli apre un nuovo fast food o un qualsiasi altro store che non siano le antiche trattorie a lui tanto care.

LEGGI ANCHE – Venezia e le grandi navi, l’inesorabile distruzione di una città

Una struttura particolare quella studiata da Catozzi in Laguna nera che si apre al lettore con un prologo nel quale l’autore rivela a chi legge indizi utili a conoscere e riconoscere l’identità dell’assassino. Così accade che al lettore sembra gli siano state fornite informazioni maggiori di quelle in possesso degli inquirenti. La sfida, che invoglierà comunque al prosieguo della lettura, sarà quindi determinata dall’ansia di conoscere le modalità che porteranno la squadra interforze a conoscere il mistero che si cela dietro l’omicidio dell’assessore Baldan. Un’esecuzione che in realtà è una vendetta, maturata per quasi trent’anni.

Il corpo centrale del testo è caratterizzato dal racconto del lavoro di indagine degli inquirenti, routine arricchita dalle riflessioni che Catozzi attribuisce al suo commissario Aldani sulla società “strozzata” dalla malavita organizzata ma anche dallo strozzinaggio, quello vero che a Venezia è tangibile lungo il molo di attracco dinanzi al Casinò del Lido. Il luogo simbolo delle contraddizioni di un’amministrazione che sostiene le campagne contro il gioco d’azzardo e, al contempo, gestisce la struttura. Specchio di uno Stato intero che sponsorizza le campagne pubblicitarie contro il gioco d’azzardo mentre organizza lotterie, gratta e vinci, totogol e autorizza l’apertura di sempre nuove sale slot.

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Apoteosi di una tale zona grigia è l’ingresso a pieno titolo nelle istituzioni di soggetti appartenuti o appartenenti alla criminalità organizzata, oppure alla Mala del Brenta. A dimostrazione della «vulnerabilità di Venezia alle infiltrazioni mafiose» e, aggiungerei, dell’Italia intera. Perché nei territori dove «mafiosi e camorristi» non riescono a «emergere con un’organizzazione propria» preferiscono «cooperare». E i legami tra “affari” e politica, inutile negarlo o fingere di non saperlo, divengono sempre più intensi, radicati e dannosi. La storia scritta da Catozzi, è bene ricordarlo, pur basandosi su accadimenti veri del passato, come le scorrerie dei membri della Mala del Brenta, è frutto solo della sua fantasia. Ma si sa che spesso, purtroppo, la realtà supera di gran lunga la fantasia di uno scrittore.

LEGGI ANCHE – L’Italia infuocata dai rifiuti nel libro-confessione di Gaetano Vassallo

Interessanti risultano anche i passaggi nei quali l’autore porta il protagonista a riflettere e chiosare sul precario stato delle forze dell’ordine, sui continui tagli che, inevitabilmente, vanno a ripercuotersi sull’esito stesso delle indagini. Quasi tenero l’epilogo, dove Catozzi porta Aldani a vincere le sue battaglie più dure, quelle condotte contro la spending review del governo che taglia fondi e mezzi e lo fa quasi a dispetto di chi ogni giorno combatte contro il Male e la Mala.

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Un giallo “lungo” Laguna nera di Michele Catozzi, che snocciola indizi e informazioni per oltre trecento pagine, ma che egualmente affascina il lettore per l’impostazione che l’autore ha dato alla storia, per l’attualità delle tematiche trattate e, non da ultimo, per la simpatia che suscitano i protagonisti, a partire dal commissario Aldani alle prese con crimini, delitti e deliri famigliari. Un libro promosso a pieni voti e una lettura di certo consigliata.

Articolo originale qui

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Cosa accade quando il mondo non va oltre Il confine dell’ombra? Esce oggi il nuovo legal thriller di Gianluca Arrighi (Edizioni Cento Autori, 2017)

13 giovedì Apr 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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EdizioniCentoAutori, GianlucaArrighi, Ilconfinedellombra, legalthriller, Lingannodellamemoria, recensione, thriller

Esce oggi la nuova “arringa letteraria” dell’avvocato-scrittore romano Gianluca Arrighi, Il confine dell’ombra, pubblicato da Edizioni Cento Autori. Sequel de L’inganno della memoria (Edizioni Anordest, 2014) potrebbe valere anche come libro a sé tant’è stata la bravura dell’autore di fondere e al contempo separare le due storie. I protagonisti sono i medesimi e i fan del magistrato Elia Preziosi non resteranno delusi dal nuovo incontro con il ‘personaggio’ ancor meglio delineato in questa nuova avventura. E sono proprio loro il trait d’union con il precedente libro di Arrighi, loro che portano ancora i segni e le cicatrici dovute all’incontro-scontro con il killer degli organi. Riesce in maniera ottimale l’autore a rinverdire i ricordi di chi ha letto a suo tempo L’inganno della memoria senza comunque svelare nulla che possa rovinare la sorpresa in chi invece quel libro ancora non lo ha letto ma magari, incuriosito proprio da quanto scritto ne Il confine dell’ombra, intende poi farlo.

Leggi anche – “L’inganno della memoria” – Recensione

Questa volta magistratura e polizia si trovano a dover contrastare l’azione di un killer seriale ancora più spietato determinato e sfuggevole di quello ‘degli organi’. Un uomo-ombra ulteriormente celato da una macabra maschera che gli copre il volto per intero e gli conferisce un aspetto decisamente più inquietante. Sarà proprio lui, Orco, a chiamare in causa Elia Preziosi. Il perché si pensa di poterlo intuire anche prima ma in realtà si capirà solo nell’epilogo della vicenda. Preziosi si è ritirato dalla professione e quindi l’autore ne Il confine dell’ombra accompagna i suoi lettori in un viaggio ancor più profondo nell’intimità del protagonista, nella sua mente tormentata dai fantasmi del passato, dal rifiuto del presente e dalla negazione del futuro. L’unico appiglio valido a sorreggere Preziosi e utile per evitare che precipiti inesorabilmente nel tunnel dell’alcolismo e della depressione è il suo amore per Silvia, la donna della sua vita che ha rinunciato a carriera e lavoro per stargli vicino.

Il libro, la storia, il registro narrativo, i personaggi sono curati nel minimo dettaglio, con una precisione che non definirei maniacale bensì “legale”. Complice forse la professione svolta dall’autore traspare in ogni pagina una cura estrema per ogni minimo dettaglio, o cavillo appunto. In particolare, lungo tutto il racconto, si nota l’attenzione riservata alla creazione dei personaggi. Arrighi ha creato proprio i ‘tipi giusti’ per la storia che voleva raccontare. Li ha amorevolmente curati come un giardiniere fa con le sue piante. Li ha plasmati come creta nelle mani di un abile ceramista. Ispirandosi costantemente alla realtà e all’ambiente in cui li ha inseriti. A volte sembra che lo stesso Arrighi si aspetti, da un momento all’altro, di incontrarli per davvero tra le strade di Roma o lungo i corridoi degli uffici giudiziari.

Leggi anche – Intervista a Gianluca Arrighi

L’autore spalanca per i suoi lettori le porte dell’Unità per l’Analisi del Crimine Violento (UACV), sezione speciale della Polizia di Stato chiamata in causa nei casi di omicidi particolarmente efferati. Una sorta di Unità di Analisi Comportamentale (The Behavioral Analysis Unit – BAU) dell’FBI, nota al grande pubblico grazie alla serie televisiva Criminal Minds, ma in versione Made in Italy. Un’irruzione seppur fittizia in uffici investigativi notoriamente chiusi e perlopiù sconosciuti che indirettamente invita chi legge a riflettere sulle conseguenze a cui vanno incontro gli uomini e le donne che coraggiosamente scelgono di svolgere determinate professioni le quali inesorabilmente cambieranno il corso della loro vita.

Quasi per uno strano gioco del destino, o della stessa vita, Elia Preziosi e Orco si sentono egualmente braccati dai demoni che albergano nelle rispettive menti, fantasmi originatisi in maniera diversa ma che hanno col tempo ingenerato le medesime conseguenze… Preziosi ha scelto però di combatterli con una sorta di stoico autolesionismo mentre Orco ha deciso di tentare la sua vendetta perché per lui ormai il mondo non va oltre il confine della sua ombra.

La lettura è piacevole e scorrevole, le oltre duecento pagine del libro scivolano sotto gli occhi del lettore in maniera perfettamente lineare e veloce e man mano che la vicenda entra nel vivo aumenta la suspense e la voglia di bruciare le tappe e scoprire il finale il prima possibile. Senza dubbio alcuno Il confine dell’ombra di Gianluca Arrighi si rivela una lettura accattivante che non deluderà gli appassionati del genere.

Gianluca Arrighi: Romano, avvocato penalista e scrittore. Cultore di Diritto penale alle Università di Cassino e Roma. Autore di diversi legal thriller e numerose novelle noir pubblicate su quotidiani e riviste.

Source: Si ringrazia l’autore e Gaia Luvera dell’Arrighi PressOffice per la disponibilità e il materiale.

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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